Nella arcinota vicenda conosciuta come la “facoltà rumena di medicina” ossia dei corsi di laurea e post laurea in medicina e chirurgia e professioni sanitarie da parte di una Università della Romania in Sicilia, si pronuncia con rigore argomentativo il Tribunale di Caltanissetta, Giudice Balsamo, con l’ordinanza emessa il 2 febbraio 2016 su ricorso ex art. 700 c.p.c. presentato dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Vicenda ricostruita nel provvedimento nei seguenti termini:
- il 28 agosto 2015 era stata siglata una convenzione tra la Regione Sicilia, la Libera Università con sede ad Enna ed una Fondazione del luogo, finalizzata ad assicurare i supporti organizzativi e strutturali per l’avvio di corsi di laurea e post laurea in medicina e chirurgia e professioni sanitarie da parte dell’Università Romena, ospitati presso la sede della Libera Università con sede ad Enna;
- il successivo 1 settembre 2015, il M.I.U.R. chiedeva chiarimenti a tutti i soggetti interessati (dal Presidente della Regione Sicilia, ai due Rettori dell’Università siciliana ed a quello romeno nonché al Ministero della Salute e al Presidente del Comitato Regionale delle Università della Regione Sicilia, rilevando una possibile violazione del D.M. 26 aprile 2004, n. 214 (attuativo della l. 11 luglio 2002, n. 148, con la quale è stata ratificata la Convenzione di Lisbona dell’11 aprile 1997).
Secondo il M.I.U.R. “l’attivazione dei suddetti corsi di laurea in convenzione con l’Università rumena costituirebbe un illegittimo aggiramento, da parte dell’Università […]e della Fondazione […], del divieto reso in precedenza dal M.I.U.R. all’attivazione, da parte degli stessi soggetti, di corsi di laurea e post laurea nel settore medico e che anche qualora si dovesse ritenere la riconducibilità dei corsi alla sola Università rumena, si configurerebbe una violazione del summenzionato D.M. 214/04 e del sistema delle quote di ingresso annue massime stabilite per gli atenei italiani, senza peraltro alcuna garanzia per la qualità della formazione”.
Con la conseguenza che, ad avviso del M.I.U.R., “il protrarsi di tale situazione comporterebbe un pregiudizio all’autorevolezza normativa del Ministero di fronte alla collettività e agli studenti di medicina e professioni sanitarie italiani, all’Ordine Nazionale dei Medici e al mondo scientifico estero, e di fronte alla comunità Universitaria nazionale e regionale”. Ciò posto chiedeva al tribunale adito, di inibire in via di urgenza “la prosecuzione di qualsivoglia attività didattica e/o amministrativa, poste in essere dall’Università […] (Romania), dalla Fondazione […]o dal Fondo […] ed eventualmente dagli altri soggetti evocati in giudizio”.
Il Tribunale, dopo aver dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’Università Ennese, dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Enna, dell’Assessorato Regionale della Salute e dell’Assessorato Regionale dell’Istruzione e della Formazione Professionale, ha respinto il ricorso per difetto di entrambi i requisiti del fumus e del periculum.
Secondo il giudice adito, nella specie, manca il requisito del periculum in mora, in quanto:
1) il paventato pregiudizio “all’autorevolezza normativa” del Ministero è incomprensibile nei suoi tratti giuridici;
2) nemmeno vi sarebbe il pericolo di “aggiramento delle quote” di ingresso ai corsi universitari citati, in quanto, l’università rumena […] si è limitata “al rilascio di titoli da parte della medesima Università, senza alcuna refluenza, dunque, sul sistema italiano delle quote. E ciò tanto ove si ritenesse che nella fattispecie in esame si versi in un’ipotesi di vera e propria “delocalizzazione” dell’attività didattica, quanto nel diverso caso di mera partecipazione da parte di studenti che si trovano in Italia di lezioni tenute in Romania attraverso il sistema della c.d. ‘aula remota’”;
3) ma non sussisterebbe il periculum nemmeno a voler ritenere, come ha fatto il M.I.U.R., che non vi sarebbero garanzie sulla qualità della formazione dell’Ateneo rumeno.
Secondo il tribunale, il ricorso del M.I.U.R. aveva uno scopo ben preciso che nulla ha a che vedere con la tutela della “qualità della formazione”. Scopo vero, scrive il giudice “è l’impedire il conseguimento del titolo (e non la frequenza in sé dei corsi)”. A tanto si arriva dalla circostanza che il ricorrente ha citato, a fondamento dell’azione, l’asserita violazione del D.M. 214/04, contenente il regolamento attuativo della l. 11 luglio 2002, n. 148, con la quale lo Stato italiano ha ratificato la Convenzione di Lisbona dell’11 aprile 1997.
Il D.M. citato, dando attuazione alla legge di ratifica della Convenzione di Lisbona, fa sì – come si legge nell’ordinanza – che la “Convenzione disciplina non le condizioni per l’attivazione di corsi di laurea in uno dei Paesi aderenti da parte di un Ateneo di altro Stato, ma le condizioni per il riconoscimento dei titoli di studio relativi all’insegnamento superiore nella Regione europea”. Per dirla in breve, il M.I.U.R. ha sbagliato l’oggetto della tutela cautelare richiesta in quanto le norme invocate attengono ad altra e diversa fattispecie.
Manca, poi, nel caso in esame, anche il requisito del fumus boni juris. Ad avviso del tribunale, “fermo restando che il reale obiettivo del Ministero sarebbe quello di impedire il conseguimento (o quantomeno la spendita) del titolo rumeno in Italia, si osserva che nel caso in cui il M.I.U.R. ritenesse che tali titoli non trovino automatico riconoscimento nel nostro Paese, ben potrebbe adottare, nell’ambito delle proprie attribuzioni, un formale provvedimento di diniego di tale efficacia, non risultando necessaria una preventiva pronuncia da parte dell’Autorità Giudiziaria. Qualora, al contrario, il Ministero ritenesse che tali titoli godano del riconoscimento automatico in Italia, mal si comprenderebbe su quale base giustificare la chiesta interruzione dei corsi”.
Questa parte della pronuncia, non appare pertinente e rischia di creare un precedente decisamente negativo. Se esaminiamo il dato normativo (articolo 2 L. 148/2011 di ratifica della convenzione) ci avvediamo che lo stesso non consente – come invece ritiene il Tribunale Nisseno – al M.I.U.R. di emettere un “formale provvedimento di diniego di efficacia” della laurea “rumena” in medicina conseguita con i corsi svolti in Italia. E ciò per le seguenti ragioni:
a) sarebbe irrazionale ed ingiusto per gli studenti consentire loro di frequentare i corsi presso l’ “aula remota” ennese o di qualsiasi altra parte d’Italia e poi “privare di efficacia il titolo” conseguito con provvedimento del M.I.U.R.
b) Come ricordato recentissimamente dal Consiglio di Stato (Ad. Plein.), Sent., 28-01-2015, n. 1 “si devono anche ricordare i principii della Convenzione di Lisbona sul riconoscimento dei titoli di studio stranieri, come ratificata con L. 11 luglio 2002, n. 148, il cui art. 2 stabilisce che: ‘La competenza per il riconoscimento dei cicli e dei periodi di studio svolti all’estero e dei titoli di studio stranieri, ai fini dell’accesso all’istruzione superiore, del proseguimento degli studi universitari e del conseguimento dei titoli universitari italiani, è attribuita alle Università ed agli Istituti di istruzione universitaria, che la esercitano nell’ambito della loro autonomia e in conformità ai rispettivi ordinamenti, fatti salvi gli accordi bilaterali in materia’. Il che rappresenta indice normativo significativo del potere/dovere attribuito all’autonomia dell’università [e non del M.I.U.R. appunto] di riconoscere i periodi di studio svolti all’estero (e dunque anche quelli non sfociati in un “titolo” ivi conseguito), tenendo conto del dato sostanziale costituito dalla completezza, esaustività, corrispondenza dei corsi da accreditare con gli omologhi corsi nazionali, prendendo in considerazione i contenuti formativi del corso di studii seguito all’estero con riferimento alle discipline oggetto d’esame; potere, questo, rispetto al quale completamente ultronea risulta la pretesa di effettuazione di una preliminare verifica della “predisposizione” a studi già in parte compiuti”.
c) Non appare allora concepibile un intervento “a posteriori” del Ministero circa l’efficacia dei titoli di studio conseguiti nelle “aule remote”. Ancora una conferma la si ha con la decisione del C.d.S. Sez. VI, 31-01-2007, n. 376, dove è esattamente posta la questione delle competenze al riconoscimento sulla base dell’oggetto della richiesta: “Il riconoscimento dei titoli di studio è certamente riservato, nell’ordinamento in vigore, alle Università degli Studi, spettando ai competenti Ministeri – in particolare, a quello “della Salute” per quanto riguarda la materia in questione – il riconoscimento dei titoli di qualificazione per l’esercizio in Italia della relativa professione, mentre, dall’altro, il riconoscimento dei titoli professionali, per il quale è competente il Ministero di settore concerne solo l’ipotesi in cui l’interessato risulti già abilitato all’esercizio di una professione in un certo Stato ed intenda ottenere nel territorio italiano analoga abilitazione (art. 1, comma 2, del D.lgs. n. 115 del 1992)”.
Lo stesso art. 3, n. 6 del DM 270/2004[1], per il quale “Il corso di laurea magistrale ha l’obiettivo di fornire allo studente una formazione di livello avanzato per l’esercizio di attività di elevata qualificazione in ambiti specifici”, conferma che i “corsi in aula remota” tenuti in Italia da un’Università straniera sono perfettamente ammissibili in quanto sfocianti in un titolo di studio il cui riconoscimento e validità didattica sono successivi al corso e non possono essere anticipati per via amministrativa o peggio, impediti per via giudiziaria, sulla presunzione della mancanza di garanzia circa la qualità della formazione rilasciata dalle università straniere operanti in Italia. In realtà, verosimilmente, il M.I.U.R. e gli Atenei italiani, sono preoccupati del valore di precedente che potrebbe assumere il “caso Enna” nell’ambito dell’offerta formativa a livello nazionale. Ma questo è un aspetto che non può passare per via giudiziaria, come giustamente ha affermato il tribunale di Caltanissetta.
Le recenti precisazioni date all’ANSA dallo stesso ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, per la quale «i corsi Ateneo Enna restano non autorizzati. L’ordinanza del Tribunale di Caltanissetta in merito alla legittimità del corso di laurea in medicina a Enna è misura cautelare e non entra nel merito. Resta ferma la nostra posizione a tutela della qualità della formazione dei nostri studenti: non c’è qualità senza accreditamento dei corsi di studio e nessun accreditamento è stato riconosciuto all’Università Rumena Dunarea de Jos Galati da parte del Ministero dell’Università italiana», non solo non cambia il merito della questione che è stato invece affrontato dal tribunale di Caltanissetta ma, soprattutto, non colgono nel segno: sulla base di quale potere il M.U.I.R. può anticipatamente concedere o negare l’accreditamento ai corsi svolti in “aula remota” da un ateneo europeo? Lo stesso Consiglio di Stato (Cons. Stato Sez. VI, 07/08/2015, n. 3907)[2] ha di recente ribadito che “È lasciata all’autonomia dell’Università il riconoscimento dei periodi di studio svolti all’estero e dunque anche quelli non sfociati in un titolo ivi conseguito, tenendo conto del dato sostanziale costituito dalla completezza, esaustività, corrispondenza dei corsi da accreditare con gli omologhi corsi nazionali, prendendo in considerazione i contenuti formativi del corso di studi seguito all’estero con riferimento alle discipline oggetto d’esame; potere, questo, rispetto al quale completamente ultronea risulta la pretesa di effettuazione di una preliminare verifica della predisposizione a studi già in parte compiuti”. Vale a dire che la valutazione dei corsi svolti è sempre a posteriori e non a priori.
[1] D.M. 22 ottobre 2004, n. 270, recante “Modifiche al regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei, approvato con D.M. 3 novembre 1999, n. 509 del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica”.
[2] Che infatti ha rigettato “l’appello del Ministero avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio 12 gennaio 2013 n. 256 che ha accolto il ricorso proposto dagli appellati avverso gli atti con i quali l’Università dell’Aquila, su espressa sollecitazione del MIUR, ha disposto l’annullamento dei trasferimenti presso l’Ateneo aquilano degli originari ricorrenti, già iscritti a distinti corsi di laurea in Medicina e chirurgia presso alcune Università della Romania”.
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