Il possibile terzo mandato di alcuni governatori: punto sul dibattito

Il dibattito sul terzo mandato dei presidenti di Regione ha assunto connotazioni ideologiche contrastanti quando il partito della Lega ha presentato un emendamento al decreto legge n.7 in data 29 gennaio 2024 con il quale è stato innalzato da due a tre mandati il limite di permanenza del Sindaco dei Comuni che hanno tra i 5.000 e i 15.000 abitanti ed è stato eliminato ogni limite di mandato per quelli sotto i 5.000 abitanti, prevedendo anche un terzo mandato per i governatori. Tale emendamento è stato respinto in commissione parlamentare Affari Costituzionali del Senato dai partiti Fratelli di Italia, Forza Italia, Partito Democratico, movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi Sinistra, mentre hanno votato a favore la Lega e Italia Viva con l’astensione di Azione. Tuttavia, taluni governatori, come quello della Campania e quello della Puglia, hanno affermato che, in base alla normativa vigente, il limite al terzo mandato non si applicherebbe a quelle Regioni in quanto le stesse non hanno recepito la disposizione normativa prevista dalla legge n. 165/2004 che prevede tale limite. Si ritiene, invece, che in realtà il governo avrebbe gli strumenti per imporre anche a queste Regioni il citato limite.

Indice

1. La questione del terzo mandato per i Governatori


In seguito alla riforma del titolo V della Costituzione il Presidente della Giunta regionale (o Presidente della Regione) ha assunto un ruolo sempre più determinante. In particolare, mentre quest’ultimo in passato veniva eletto dal Consiglio regionale tra i suoi componenti, l’odierno art. 122 Cost., come modificato dalla legge costituzionale. n. 1/1999, dispone che “Il Presidente della Giunta regionale, salvo che lo statuto regionale disponga diversamente, è eletto a suffragio universale e diretto”.[1]
In totale sono cinque le Regioni in cui sono previste le elezioni regionali nel 2024: Abruzzo, Basilicata, Piemonte, Sardegna e Umbria.
Accanto alla forza politica derivante dalla legittimazione popolare, negli ultimi anni si è assistito al mutamento del quadro politico caratterizzato da una personalizzazione del ruolo dei presidenti in cui la scelta politica non tiene conto dell’ideologia o del partito bensì della personalità del leader.
Tutto ciò si è verificato a discapito degli altri organi regionali (Giunta e Consiglio), in quanto il Presidente della Giunta regionale, oltre al potere di nomina e revoca dei componenti della Giunta, ai sensi dell’art. 121 Cost., rappresenta la Regione; dirige la politica della Giunta e ne è responsabile; promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali; dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica.
In questo contesto, pertanto, risulta attuale la questione del limite ai mandati del Presidente della Giunta regionale. Tale limite trova la sua ratio in diverse esigenze: garantire un ricambio della classe dirigente al fine di evitare i rischi derivanti dalla protratta concentrazione di poteri in una sola persona; assicurare la libera espressione del voto; limitare il vantaggio derivante dall’elezione diretta per garantire una condizione di parità fra candidati. Più in generale, esso risponde all’antica logica del costituzionalismo che ha bisogno di limitare il potere per evitare che degeneri in tirannide.[2]
L’art. 122, primo comma, Costituzione prevede che “il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale, nonché dei Consiglieri regionali, sono disciplinati con legge dalla Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che disciplina anche la durata degli organi elettivi”.
La legge n. 165/2004 ha dato, poi, attuazione al citato precetto costituzionale, stabilendo i principi fondamentali ai quali deve attenersi la Regione nel disciplinare la materia e riservando allo Stato la definizione dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità di componenti di organi costituzionali e di appartenenti ad amministrazioni od enti pubblici statali.
In particolare, la legge n. 165/2004 prevede che “le regioni disciplinano con legge il sistema di elezione del Presidente della Giunta regionale e dei consiglieri regionali […]” nei limiti di alcuni princìpi tra cui, all’art. 2, comma 1, lettera f), la previsione della non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto, sulla base della normativa regionale adottata in materia.
Tuttavia, secondo alcune decisioni della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, una legge quadro non dovrebbe essere specifica e quindi i principi fondamentali che esprime non dovrebbero essere applicati direttamente. Secondo questa interpretazione dunque, la legge 165/2004 non inserisce direttamente un limite di due mandati, ma piuttosto l’obbligo per le regioni di inserire tale limite nella legge elettorale.[3] Quindi, resta aperta la questione dell’autoapplicazione di quella che dovrebbe essere una legge quadro. Tuttavia se è vero che i giudici di merito in passato hanno seguito l’orientamento espresso dalle due massime corti italiane è altrettanto vero che la corte costituzionale non si è mai occupata direttamente di questa specifica questione.
Inoltre, l’articolo 5 della legge costituzionale 1/1999 prevede che nelle more dell’adozione di nuove leggi elettorali regionali si applicano le regole previste in precedenza, regole che non includevano alcun limite di mandati.
Infatti, le Regioni Campania, Puglia, Liguria, tutte guidate da governatori al secondo mandato, non hanno recepito con legge regionale la norma sul limite del doppio mandato.
D’altronde è la stessa legge quadro a esprimere esplicitamente questa distinzione. Il vincolo infatti è imposto solo nel caso in cui sia adottata una legge elettorale che prevede l’elezione diretta del presidente. Se una regione si dota invece di un modello istituzionale di tipo parlamentare, come ad esempio la Valle d’Aosta, tale limite non si applica.
La posizione ufficiale della conferenza delle regioni risulta moderata rimanendo nondimeno chiara. Tale organismo, interpellato recentemente in merito alle proposte di legge di riforma delle province, ha infatti sostenuto la necessità di portare a tre il limite di mandati; anche in questo caso però il limite si applicherebbe dal momento dell’approvazione delle nuove leggi regionali. 
Secondo alcuni, il principio statale, anche in virtù del suo evidente e ben definito portato normativo, che non necessita di una specifica regolazione regionale per essere applicato, sarebbe immediatamente vincolante in quelle regioni i cui statuti abbiano optato per l’elezione a suffragio universale e diretto del Presidente della Giunta. Secondo altri, invece, il principio statale rimarrebbe improduttivo di effetti finché non sia recepito dalla legislazione elettorale regionale, continuando ad applicarsi, nel frattempo, la disciplina statale preesistente alla riforma dell’art. 122 Cost.[4]
Si propende al riguardo per la legittimità – e diretta applicabilità – di norme di dettaglio contenute nella legge cornice.[5]
Questa impostazione, peraltro, sembra trovare una significativa conferma nell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale, che pure è stata valutata come incerta e oscillante sul punto, ma che ha registrato poi una progressiva correzione di tiro, con pronunce che, ad esempio, hanno escluso l’incostituzionalità di norme di dettaglio statali in tema di governo del territorio.
Da ultimo, l’impostazione risulta confermata dalla Corte costituzionale che in qualche modo supera la stessa distinzione fra norme di principio e di dettaglio contenute nella legge cornice, ritenendo, ad esempio, che il T.U. dell’edilizia, sedes materiae della legislazione cornice riconducibile al governo del territorio, di fatto contenga “norme dalla diversa estensione sorrette da rationes distinte e infungibili, ma caratterizzate dalla comune finalità di offrire a beni non frazionabili una protezione unitaria sull’intero territorio nazionale”.[6]
Mutatis mutandis, per riportare il ragionamento alla fattispecie in esame, il bene non frazionabile meritevole di una protezione unitaria sull’intero territorio nazionale sarebbe il diritto di elettorato passivo, ex artt. 3 e 51 Cost., strettamente connesso al principio democratico che informa di sé l’intero ordinamento, se è vero che il protrarsi dei mandati del Presidente della regione, alla luce dei poteri molto incisivi di cui gode, lede gravemente l’effettiva possibilità di competizione democratica degli altri candidati.[7]
Orbene, il divieto del terzo mandato ha indubbiamente un contenuto definito, al punto che, al di là dell’auto-qualificazione che ne fa l’art. 2, lett. f) della l. n. 165/2004, pare atteggiarsi piuttosto come norma stringente che come principio.

2. Il possibile terzo mandato di alcuni presidenti di Regione


Il dibattito sul terzo mandato dei Presidenti di Regione è tornato alla ribalta quando il partito della Lega ha presentato un emendamento al decreto legge n.7 in data 29 gennaio 2024 con il quale è stato innalzato da due a tre mandati il limite di permanenza del Sindaco dei Comuni che hanno tra i 5.000 e i 15.000 abitanti ed è stato eliminato ogni limite di mandato per quelli sotto i 5.000, abitanti prevedendo anche un terzo mandato per i governatori. Tale emendamento è stato, però, respinto in commissione parlamentare Affari Costituzionali del Senato dai partiti Fratelli di Italia, Forza Italia, Partito Democratico, movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi Sinistra, mentre hanno votato a favore la Lega e Italia Viva con l’astensione di Azione.
Con queste premesse si potrebbe dunque pensare che il limite dei due mandati sancito con legge nazionale non sia effettivamente applicabile, almeno per quelle Regioni che non hanno disciplinato la materia. Infatti, la Campania, Puglia, Liguria (tutte guidate da governatori al secondo mandato) non hanno accolto con legge regionale la norma sul limite del doppio mandato. La questione però, risulta più complessa.
Sulla base di tale interpretazione in questo modo, si aprirebbe un varco giuridico per il terzo mandato dei presidenti di Regione senza passare per il voto in Parlamento. Stando così le cose, i governatori Vincenzo De Luca (Campania), Michele Emiliano (Puglia) e Giovanni Toti (Liguria) potrebbero tranquillamente candidarsi alla scadenza, nel 2025, del secondo mandato ed essere rieletti per altri cinque anni alla guida della Regione. In quel caso il governo avrebbe come un’unica arma quella del conflitto di competenza presso la Consulta ai sensi dell’art. 134 della Costituzione tra legge dello Stato (che impone il limite dei due mandati) e quella regionale (che non prevede alcun limite).[8]
Ricandidandosi quindi i presidenti si esporrebbero al rischio di ricorsi da parte dei propri avversari politici e a un possibile rinvio alla Corte costituzionale. Per quanto complessa resti la materia, la consulta si troverebbe quindi a giudicare delle leggi elettorali regionali che hanno chiaramente ignorato i principi generali stabiliti con legge della Repubblica. 
D’altronde se venisse confermata la prevalenza della legge regionale, il rischio sarebbe quello di permettere ai presidenti di eludere il divieto posto dalla legge nazionale evitando semplicemente di legiferare.
Si ritiene, invece, che in realtà il governo potrebbe avere gli strumenti per imporre anche a queste Regioni il citato limite, indipendentemente dal possibile ricorso alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione.
Infatti, in materia di parità di genere, nonostante un inequivocabile dettato normativo di cui alla legge 165/2004, prima delle elezioni regionali del 20 e 21 settembre 2020 erano sei le regioni inadempienti: Puglia, Liguria, Piemonte, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta; in due casi, Puglia e Liguria, si sarebbe votato il 20 e 21 settembre.
Ma, data questa inadempienza, il Governo in data 25 giugno 2020, ha deciso di imporre alle Regioni ancora inadempienti il correttivo di genere alla legge elettorale.
Successivamente, al fine di evitare un’imposizione dall’alto, in data 3 luglio 2020, il Presidente del Consiglio ha inviato una lettera ai Governatori delle regioni che non si erano adeguati alla norma nazionale, con la quale li ha invitati con la massima urgenza ad allinearsi a tale normativa per “garantire l’equilibrio di rappresentanza tra donne e uomini nei consigli regionali”. La Regione Liguria ha ottemperato a questa direttiva, ma non la Puglia.[9]
A seguito dell’ennesima inadempienza del Consiglio regionale pugliese “Il prefetto di Bari è [stato] nominato commissario straordinario allo scopo di provvedere agli adempimenti» necessari all’adeguamento del sistema elettorale della Puglia alla legge n. 165/2004 ed ai principi di parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”; così recita l’art. 1, comma 3, del d.l. approvato dal Consiglio dei ministri il 31 luglio 2020, n.86, convertito nella l. 7 agosto 2020, n.98. (Disposizioni urgenti in materia di parità di genere nelle consultazioni elettorali delle regioni a statuto ordinario).
Il decreto è auto applicativo e stabilisce che il mancato recepimento nella legislazione regionale dei principi fondamentali fissati dall’art. 4 della citata legge n. 165/2004, “integra la fattispecie di mancato rispetto di norme di cui all’art.122 della Costituzione e, contestualmente, costituisce presupposto per l’assunzione delle misure sostitutive ivi contemplate”. Poi, “al fine di assicurare il pieno esercizio dei diritti politici e l’unità giuridica della Repubblica»” introduce in Puglia, unica ancora inadempiente tra le Regioni che sono andate al voto il 20 e 21 settembre 2020, la doppia preferenza di genere, ovvero che ciascun elettore possa esprimere due voti di preferenza, di cui una riservata ad un candidato di sesso diverso dall’altro. Il provvedimento affida dunque al commissario straordinario gli adempimenti conseguenti per l’attuazione del decreto, ma anche “la ricognizione delle disposizioni regionali incompatibili” con la legge nazionale.
E’ la prima volta nella storia della Repubblica che il governo esercita i poteri sostitutivi ed il principio richiamato è quello della «tutela dell’unità della Repubblica» e si ritiene che, anche con riferimento alla disciplina dei tre mandati dei Presidenti di Regione, tale strumento potrebbe essere applicato data la evidente analogia delle due fattispecie e il comune riferimento all’art. 122 della Costituzione e alla legge n.165/2004.

3. Conclusioni


L’attenzione si sposta, quindi, sulle prossime elezioni regionali di Campania, Liguria e Puglia che si terranno nel 2025 e i cui rispettivi Presidenti concluderanno un secondo mandato.
In particolare, complessa è la definizione della situazione in queste Regioni le cui leggi elettorali regionali non hanno recepito il c.d. divieto del terzo mandato. Diverse sono le ipotesi percorribili per i Presidenti uscenti; in primo luogo ben potrebbero non integrare le rispettive leggi regionali sempreché, in caso di ricorso da parte degli avversari politici, non venga sollevata la questione di legittimità costituzionale che potrebbe portare la Corte a riconoscere l’incostituzionalità delle leggi in esame per violazione di una norma interposta (la legge n. 165/2004 a cui l’art. 122 Cost. effettua il rinvio); in secondo luogo, potrebbero altresì disciplinare espressamente il divieto prevedendo la sua efficacia ex nunc al fine di ottenere l’azzeramento dei mandati precedenti, esponendosi però, oltre che ai ricorsi degli avversari politici, al potere di impugnativa del Governo ex art. 127 Cost. Si comprende così come un istituto così delicato sia in mano a scelte di opportunità politica.
Viceversa, la legge elettorale regionale n. 21/2014 della Regione Emilia-Romagna ha recepito il divieto disponendo all’art. 7 che “Non può essere immediatamente ricandidato alla carica di Presidente della Giunta regionale chi ha già ricoperto ininterrottamente tale carica per due mandati consecutivi” ma senza prevedere nulla, a differenza della Regione Veneto, sulla decorrenza di tale divieto. In ogni caso, sembra essere preclusa la ricandidatura dell’attuale Presidente Bonaccini avendo quest’ultimo svolto due mandati consecutivi e successivi (2014 e 2019) all’entrata in vigore della legge elettorale in questione.
Il governatore del Veneto e il segretario della Lega, hanno esplicitamente contestato la ratio della norma relativa al divieto del terzo mandato, che, a loro avviso, non dovrebbe applicarsi alle Regioni.  Infatti gli esponenti della Lega contestano che tale limite sia imposto solo ai Sindaci e ai presidenti di Regione; mentre al contrario nessun limite si applica ai membri del governo, ai parlamentari (europei e nazionali) ai consiglieri regionali o comunali. Dal canto loro, i presidenti della Puglia e quello della Campania hanno ribadito che tale divieto non si applicherebbe alle Regioni che non hanno recepito la normativa nazionale
Tuttavia non si può negare che nell’ordinamento italiano gli incarichi di Regione sono gli unici due incarichi monocratici al vertice di un organo politico esecutivo cui si accede con elezione diretta sul modello del presidenzialismo degli Stati Uniti. Incarichi che peraltro garantiscono un potere notevole nell’ambito del proprio livello di governo. Non a caso anche il modello americano prevede questo limite per il ruolo di presidente, mentre lo stesso non vale per i suoi ministri o per i parlamentari.
D’altronde è la stessa legge quadro a esprimere esplicitamente questa distinzione. Il vincolo infatti è imposto solo nel caso in cui sia adottata una legge elettorale che prevede l’elezione diretta del presidente. Se una Regione si dota invece di un modello istituzionale di tipo parlamentare, come ad esempio la Valle d’Aosta, tale limite non si applica.
In ogni caso se non dovesse essere approvata una legge ad hoc sul terzo mandato, almeno i presidenti di Campania, Puglia, Liguria potrebbero comunque decidere di candidarsi nel 2025 e un eventuale sentenza della Corte Costituzionale, che dichiari illegittimo il terzo mandato, arriverebbe, con tutta probabilità, dopo le elezioni, a meno che il Governo decida di intervenire con un provvedimento normativo di natura sostitutiva, come avvenuto in materia di parità di genere per la Regione Puglia nel 2020 con la menzionata legge n. 98/2020.
In conclusione, si auspica un intervento del Parlamento o del Governofinalizzato a porre fine alla questione. Quest’ultimi ben potrebbero intervenire sulla legge n. 165/2004 modificando la disposizione prevista dall’art. 2 co. 1 let. f) introducendo una norma finalizzata a garantire, in materia di rielezione del Presidente della Giunta, la libera espressione del voto e la parità fra candidati. In tal modo le Regioni sarebbero chiamate, attraverso la disciplina di dettaglio, ad attuare tali principi prevedendo il divieto del terzo mandato.[10]

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Note

  1. [1]

    F. Lamacchia, Il limite ai mandati del presidente della giunta regionale, in Jus in itinere del 5 febbraio 2024.

  2. [2]

    M. Galdi, Il terzo mandato del Presidente di regione di fronte al limite dei principi fondamentali stabiliti con “legge della Repubblica”, 2021, p. 14.

  3. [3]

    Redazione, I presidenti di regione e il limite dei due mandati, in Openpolis dell’11 luglio 2023.

  4. [4]

    M. Galdi, Il terzo mandato del Presidente di regione di fronte al limite dei princìpi fondamentali stabiliti con “legge della Repubblica”, in Autonomie n.2/2021.

  5. [5]

    Cfr. Corte costituzionale, ord. 23 luglio 2002, n. 383. Più di recente si veda Corte cost., 26 giugno 2018, n. 134.

  6. [6]

    Cfr, decisione n. 70 del 2020.

  7. [7]

    M. Galdi, Il terzo mandato del Presidente di regione di fronte al limite dei princìpi fondamentali stabiliti con “legge della Repubblica”, cit.

  8. [8]

    P. Napolitano, L’idea dei governatori: terzo mandato “fai da te”, in Il Giornale del 24 febbraio 2024.

  9. [9]

    P. Gentilucci, La parità di genere nel sistema elettorale, Edita, 2021.

  10. [10]

    F. Lamacchia, Il limite ai mandati del presidente della giunta regionale, cit.

Prof. Paolo Gentilucci

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