Per effetto dell’art. 16, comma 7, DL 185/2008 l’avvocato deve comunicare al CdO il proprio indirizzo di posta elettronica certificata (o “analogo” indirizzo di posta elettronica) entro un anno dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto.
Il successivo comma dispone che gli Ordini pubblichino in un elenco riservato, consultabile in via telematica esclusivamente dalle pubbliche amministrazioni, i dati identificativi degli iscritti con il relativo indirizzo di posta elettronica certificata.
Il comma 10 aggiunge, con una coerenza non propriamente mirabile, che la consultazione telematica dei singoli indirizzi PEC debba avvenire liberamente e senza oneri, riservando alle sole pubbliche amministrazioni la possibilità di estrarre elenchi di indirizzi.
La scadenza si avvicina: esaminiamo quindi le suddette disposizioni, cercando di capire come possano essere concretamente attuate:
1) l’avvocato comunica al suo CdO l’indirizzo PEC
Per attuare tale disposizione occorre innanzi tutto, naturalmente, che l’avvocato si doti di un indirizzo PEC; ciò può avvenire o a seguito di iniziative dei singoli avvocati oppure, più comodamente, con un servizio di “attivazione massiva” degli indirizzi PEC, tramite un contratto stipulato dal CdO per tutti i suoi iscritti; il canone, in tal caso, sarà pagato dal singolo avvocato che attiverà la casella PEC. In tal modo sarà anche agevolata la comunicazione della disponibilità dei singoli indirizzi PEC tra avvocati e CdO.
2) l’avvocato comunica al suo CdO non la PEC, ma “analogo indirizzo di posta elettronica basato su tecnologie che certifichino data e ora dell’invio e della ricezione delle comunicazioni e l’integrità del contenuto delle stesse, garantendo l’interoperabilità con analoghi sistemi internazionali.”
Riteniamo che tale disposizione, allo stato, non possa e non debba essere attuata, per vari motivi che di seguito sintetizziamo:
a) non vi è alcuna ragione pratica per non scegliere la PEC, perché questa è uno strumento semplice da configurare, facile da utilizzare (almeno quanto strumenti che si presume “analoghi”) e con un costo irrisorio;
b) sulla base delle nuove regole tecniche in materia di validazione temporale (DPCM 30.3.2009), il riferimento temporale ottenuto attraverso l’utilizzo di PEC (e non di “analoghi” e imprecisati strumenti) costituisce validazione temporale e, quindi, consente la c.d. “opponibilità ai terzi”;
c) l’avvocato e il CdO possono individuare facilmente i gestori del servizio di PEC, da cui deriverà il valore giuridico delle trasmissioni e ricezioni dei documenti informatici; appare viceversa complicato e poco conveniente individuare gestori di servizi “analoghi” alla PEC, con tutti i rischi che ne conseguono in caso di scelte erronee o comunque dubbie;
d) la PEC è pienamente interoperabile in ambito nazionale, per l’uso che se ne dovrà fare, cioè quello tra le pubbliche amministrazioni, le imprese, i professionisti e, con il DPCM 6.5.2009, anche i cittadini;
e) in ambito internazionale, per quello che può interessare ai nostri fini, è stato redatto un Internet Draft per avviare presso l’IEFT il processo di standardizzazione della PEC (siamo alla versione n. 5 pubblicata il 16 settembre 2009 con scadenza 20 marzo 2010);
f) la neutralità tecnologica, che è alla base della disposizione dedicata ai servizi “analoghi” alla PEC, può essere quindi interpretata come sinora è stato fatto, ad esempio, per la categoria delle “firme elettroniche qualificate” rispetto alle firme digitali: apertura alla neutralità tecnologica, ma non improvvisazione su una sterile scelta di tecnologie (forse) equivalenti.
3) il CdO pubblica in un elenco riservato, consultabile in via telematica esclusivamente dalle pubbliche amministrazioni, i dati identificativi degli iscritti con il relativo indirizzo di PEC. La consultazione telematica dei singoli indirizzi PEC deve avvenire liberamente e senza oneri, mentre l’estrazione di elenchi di indirizzi deve essere consentita alle sole pubbliche amministrazioni per le comunicazioni relative agli adempimenti amministrativi di loro competenza.
Una domanda circola in questi giorni: per il suddetto elenco (che deve comprendere “dati identificativi” e indirizzi PEC degli avvocati iscritti in un determinato albo), si può utilizzare l’elenco formato ai sensi dell’art. 17 del D.M. 17.7.2008 (regole tecniche sul processo civile telematico)?
Quest’ultimo elenco, in realtà, è frutto di una procedura complessa che è rivolta alla delicata certificazione del difensore nell’ambito del processo telematico; esso prevede, quindi, una serie di dati non del tutto pertinenti per gli scopi del decreto anti-crisi. Inoltre, poiché l’elenco di cui al predetto art. 17 deve essere autentico, integro, interoperabile e aggiornato, vi sono degli adempimenti tecnici rigorosi: occorre un costante aggiornamento con le modalità previste dalle regole tecniche, l’elenco deve essere strutturato in XML e deve sottoscritto con la firma digitale del presidente del CdO (o di un suo delegato); inoltre, deve essere comunicato tramite canali sicuri.
Insomma, non si può utilizzare tale elenco per i fini di cui al decreto anti-crisi. D’altro canto, è bene ricordare che la PEC del processo telematico è dedicata agli usi dello stesso processo ed è rilasciata da un punto di accesso, quindi non coincide con la PEC di cui al decreto 185, che è quella ordinaria, rilasciata da altri gestori e pensata per un utilizzo generalizzato tra P.A., imprese, professionisti e cittadini, al di fuori del circuito chiuso del processo telematico.
Ciò che si potrebbe fare, semmai, è inserire nel software di gestione dell’albo, in un’apposita colonna, gli indirizzi PEC degli iscritti, ed estrarre i dati da pubblicare prima della conversione in XML ai fini del processo telematico, in un formato che dovrebbe essere concordato per garantire l’accessibilità ai soggetti aventi diritto, quindi di più semplice lettura.
In alternativa, appare conveniente concordare con il fornitore degli indirizzi PEC, che abbia proceduto alla eventuale attivazione massiva, un’estrazione dei dati identificativi e degli indirizzi PEC degli avvocati.
La norma, peraltro, non precisa quali siano i dati identificativi da pubblicare (solo nome e cognome, o anche codice fiscale, domicilio dello studio, data e luogo di nascita, etc.); sarebbe opportuno quindi che il CNF chiarisca questi aspetti, relativi sia alla tipologia dei dati identificativi da pubblicare, sia alle modalità (e ai formati) della pubblicazione. Solo dopo tale precisazione si potrà avere una pubblicazione uniforme di tali dati, non rimessa alle interpretazioni dei singoli CdO.
Occorre infine chiarire come garantire, da un lato, la consultazione telematica e l’estrazione di elenchi di indirizzi “esclusivamente” alle pubbliche amministrazioni e, dall’altro, una consultazione telematica dei singoli indirizzi PEC “liberamente” (cfr. commi 6 e 10 art. 16).
Avv. Giorgio Rognetta
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