1. Nozione
L’autotutela amministrativa può essere definita come quel complesso di attività con cui ogni
Pubblica Amministrazione risolve i conflitti potenziali o attuali, relativi ai suoi provvedimenti o alla
sue pretese. In questi casi, la P.A.. interviene con i mezzi amministrativi a sua disposizione,
tutelando autonomamente la propria sfera d’azione. Pertanto, il fondamento di tale potere si
rinviene nella potestà generale che l’ordinamento riconosce ad ogni Pubblica Amministrazione di
intervenire unilateralmente su ogni questione di propria competenza (ed è per questo che la si
considera espressione del più generale concetto di autarchia). Più precisamente, il suddetto potere,
si identifica nella “capacità di farsi giustizia da sé” senza necessità di ricorrere all’autorità
giurisdizionale. Sposando l’autorevole dottrina – Benvenuti – che ha esaminato l’istituto, l’autotutela
può essere anche definita anche come “la capacità riconosciuta dall’ordinamento
all’amministrazione di riesaminare criticamente la propria attività, in vista dell’esigenza di
assicurare il più efficace perseguimento dell’interesse pubblico”. Lo stesso autore chiarisce che “il
suo fine è quello di realizzare l’interesse pubblico e non di garantire al cittadino un ulteriore mezzo
di difesa oltre a quelli assicurati dal sistema di tutela amministrativa”.
2. Le tipologie di autotutela
Nel diritto amministrativo, si suole distinguere tra due tipi di autotutela:
a) L’autotutela esecutiva: la quale deve essere attribuita alla Pubblica Amministrazione da una
disposizione di legge specifica, che le consenta di poter agire in via immediata e diretta per attuare i
propri provvedimenti. Essa si sostanzia nel complesso di attività volte a porre in esecuzione ed
attuare le decisioni già adottate dall’amministrazione. Si citi ad esempio, l’ordine di rilascio ai sensi
dell’art. 823, comma 2, c.c., quale provvedimento di autotutela esecutiva che l’amministrazione è
tenuta ad adottare per rientrare in possesso di un bene demaniale abusivamente detenuto da un
privato. In tale ipotesi, la Pubblica Amministrazione pone in esecuzione, senza ed anzi in alternativa
all’intervento del giudice dell’esecuzione, una propria decisione a cui non si è adempiuto
spontaneamente. Esplicazione di tale tipo di autotutela è l’art. 21 ter l. n. 241/90, la c.d.
“esecutorietà”, secondo cui “nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche
amministrazioni possono imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi nei loro confronti”.
b) L’Autotutela decisoria: in teoria non avrebbe bisogno di una disposizione legislativa ad hoc per
poter essere esercitata, essa si fonda sull’articolo 97, primo comma, Cost., secondo cui la Pubblica
Amministrazione deve agire nel rispetto del principio di legalità, ovvero secondo imparzialità e
buon andamento; ai sensi dell’art. 1, primo comma, della legge n. 241 del 1990 – legge generale sul
procedimento amministrativo – essa deve inoltre conformarsi a criteri di economicità, efficacia,
pubblicità e trasparenza oltre che ai principi dell’ordinamento comunitario. L’autotutela
amministrativa, pertanto, nella sua forma decisoria, assume una portata generale, a differenza di
quella privata, proprio sulla base della considerazione del fatto che essa, quale manifestazione di
attività amministrativa, attiva di II grado, è deputata al soddisfacimento dell’interesse pubblico. Per
meglio dire, l’autotutela amministrativa decisoria – sia sotto la forma dell’annullamento d’ufficio
del provvedimento illegittimo che della revoca del provvedimento inopportuno – è uno strumento
proprio dell’attività amministrativa, con il quale si interviene al fine di correggere la portata
dell’azione amministrativa fino a quel momento posta in essere, onde consentirle il migliore
perseguimento dell’interesse pubblico, così come declinato dal principio di legalità (inteso in senso
ampio). Pertanto, a differenza dei privati che perseguono interessi propri, la Pubblica
Amministrazione esercita potestà pubbliche che devono poter essere rivalutate, dallo stesso soggetto
detentore del potere, in via generale e senza il preventivo intervento delGiudice, salva la possibilità
di un sindacato giurisdizionale anche sul corretto esercizio del potere di autotutela. L’esercizio di
tale attività discrezionale, consiste nell’emanazione di una decisione amministrativa con cui la P.A.
può riesaminare, annullare e rettificare (o anche solo sospendere) gli atti dalla stessa adottati, in
virtù della legge n. 241/1990. Trattasi dunque, di uno strumento funzionale ad assicurare la validità
dell’azione amministrativa nel pubblico interesse. In tale tipo di autotutela rientrano: 1) la revoca;
2) l’annullamento; 3) la sospensione del provvedimento amministrativo; 4) le figure sintomatiche
del potere di autotutela.
Per completezza argomentativa, tratteremo, seppur in maniera succinta, poiché non sono state
oggetto di rilevanti modifiche, la sospensione del provvedimento amministrativo e le figure
sintomatiche del potere di autotutela. In questa sede, è opportuno precisare che rientra nel potere di
autotutela la possibilità per la P.A. di provvedere alla sospensione del provvedimento emanato ai
sensi dell’art. 21 quater l. n. 241/90. L’articolo in questione, disciplina precisamente il c.d.
“processo di sospensione”, distinguendo tra la sospensione dell’efficacia (ossia gli effetti giuridici
del provvedimento) e la sospensione dell’esecuzione (consistente nell’attività esecutiva materiale).
Tale sospensione può essere disposta per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, ed
essendo un provvedimento discrezionale, deve essere sempre motivato. Quanto invece alle figure
sintomatiche del potere di autotutela, esse di concretizzano:
– nella convalescenza, mediante la quale l’amministrazione opera una sanatoria dei vizi contenuti
nell’atto per mezzo della convalida, ratifica e sanatoria;
-nella conservazione, con cui la P.A. tende a rendere intaccabile un atto da ricorsi giurisdizionali
mediante conferma e conversione.
3. Le modifiche alla legge 7 agosto 1990 n. 241
Gli artt. 21 quinquies e 21 nonies, l. n. 241/90, hanno conferito dignità positiva all’autotutela
decisoria nella duplice forma della revoca e dell’annullamento d’ufficio. In particolar modo, in sede
di conversione del decreto legge, 12 settembre 2014, n. 133 c.d. “Decreto Sblocca Italia”, il
Parlamento ha introdotto alcune importanti modifiche alla legge generale sul procedimento
amministrativo. Le novità sulle quali occorre soffermarsi in tale sede sono quelle che riguardano gli
articoli appena citati.
1) Art. 21 quinquies “Revoca del provvedimento amministrativo”: il provvedimento di revoca
costituisce, come noto, una delle maggiori espressioni della c.d. discrezionalità amministrativa.
Esso è attivabile a fronte di un generale ripensamento della scelta amministrativa cristallizzata in un
precedente provvedimento, il quale, a distanza di tempo, pur continuando ad essere legittimo ha
perso i requisiti dell’opportunità e dell’adeguatezza. Dunque la revoca è comunemente intesa come
atto che incide su altro precedente provvedimento, caducandone con portata ex nunc l’efficacia. Nel
momento in cui il Legislatore ha previsto per la prima volta l’introduzione della disciplina di
revoca, tale provvedimento aveva una diametro esteso e dilatato a ricomprendere, tra i presupposti
di esercitabilità, sia un’ampia nozione di sopravvenienza (ricomprendente motivi di interesse
pubblico e circostanze di fatto), sia il c.d. ius poenitendi. Ed invero, il “vecchio” dettato dell’art. 25
quinquies, l. n. 241/90, prevedeva testualmente che “per sopravvenuti motivi di interesse pubblico
ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di una nuova valutazione dell’interesse
pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da
parte dell’organo che lo ha emanato ovvero altro organo previsto dalla legge”. A distanza di anni,
il Legislatore ha ritenuto di restringere le maglie dell’esercitabilità dell’autotutela e, in particolare,
dell’uso da parte dell’amministrazione del potere di revoca, modificando la disciplina di entrambi i
presupposti enunciati dalla prima stesura dell’art. 21 quinquies, l. n. 241/90,: la sopravvenienza e lo
ius poenitendi. Infatti, precedentemente, la locuzione di sopravvenienza si ramificava in due
distinte ipotesi: una inclusiva di sopravvenuti motivi di interesse pubblico e l’altra comprendente
i casi di mutamento della situazione di fatto. Il primo dei presupposti enunciati dalla norma è
rimasto invariato, non essendo inciso dalla modifica apportata dalla l. n. 164/2014, per cui deve
pacificamente ritenersi che l’amministrazione possa legittimamente revocare un proprio precedente
atto, tutte le volte in cui ricorrano, in un momento successivo all’adozione dello stesso, motivi di
pubblico interesse. Il recente intervento normativo ha invece modificato l’altro presupposto, ossia
quello relativo al mutamento della situazione di fatto. Rispetto a tale elemento, la norma ha
limitato la portata di fatti e circostanze sopravvenute, come presupposto logico- giuridico della
revoca. Infatti se precedentemente doveva considerarsi ammissibile la revoca a fronte del
mutamento della situazione di fatto tout court, ora è ammessa solo nel caso in cui tale mutamento
non sia da considerarsi come prevedibile già al momento dell’adozione dell’atto da sottoporre a
revisione.
Il Legislatore ha quindi delimitato fortemente l’ambito di operatività per sopravvenute
circostanze di fatto, escludendo pedissequamente il ricorso alla revoca nel caso in cui
l’amministrazione avrebbe potuto, e quindi dovuto, prevedere l’avveramento di nuove,
modificative, circostanze di fatto al momento dell’adozione dell’atto originario e cioè del primo
provvedimento. In questo quadro la posizione del privato appare indubbiamente rafforzata, ed
invero il nuovo art. 21 quinquies, l. n. 241/90 lo garantisce dall’aleatorietà derivante dalla
possibilità di una successiva revoca. Spetta dunque all’amministrazione farsi carico di valutare
adeguatamente la situazione contingente anche in una prospettiva futura. Parte delle considerazioni
svolte fino ad ora, valgono anche per l’ulteriore modifica apportata con la legge n. 164/2014 ,
relativa al requisito del c.d. ius poenitendi. Si tratta, in questo caso, della seconda parte del comma 1
dell’art. 21 quinquies, l. n. 241/90 concernente la revoca per una nuova valutazione dell’interesse
pubblico originario. Infatti rimane invariato l’arco delle possibilità di rivalutazione dell’interesse
originario, eccetto un’ipotesi specifica concernente i provvedimenti di autorizzazione o di
attribuzione di vantaggi economici. Ai sensi del “nuovo” art. 21- quinquies, l. n. 241/90,
l’amministrazione è sempre abilitata a rivalutare l’interesse pubblico originario, ossia una
rivalutazione da parte dell’amministrazione del medesimo interesse, definibile come ius poenitendi.
Esso va inteso come la possibilità per la P.A., di disporre un nuovo assetto di interessi a fronte non
di circostanze di fatto nuove o per motivi di interesse pubblico sopravvenuti, bensì in caso di una
rivalutazione del medesimo interesse pubblico originario. A tale ampiezza, vi è un’eccezione,
costituita dall’impossibilità per l’amministrazione di procedere alla revoca di atti che siano di
portata ampliativa per il destinatario, tra cui: i provvedimenti di autorizzazione e quelli di
attribuzione di vantaggi economici. Da ciò è possibile ritenere che siano esclusi espressamente dal
potere di revoca della P.A. per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, tutti gli atti
con i quali l’amministrazione abbia apportato una modifica in senso ampliativo. Da tale riforma,
risulta evidente l’interesse del Legislatore a delimitare con maggiore chiarezza l’ambito di
esercitabilità della revoca, al fine di offrire un’ampia tutela del privato. Inoltre occorre precisare che
la legge n. 164/2014 ha lasciato invariati gli artt. 1 bis e ter dell’art. 21 quinquies, l. n. 241/90,
secondo cui a seguito dell’esercizio del potere di autotutela della P. A., mediante la revoca, qualora
questa incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati,
ossia i soggetti passivi del provvedimento di revoca, sarà parametrato al solo danno emergente,
escludendo in tal modo il relativo lucro cessante e tenendo conto dell’eventuale conoscenza o
conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca
all’interesse pubblico.
2) Ulteriore esplicazione del potere di autotutela decisoria è l’annullamento d’ufficio ai sensi
dell’art. 21 nonies, l. n. 241/90. Esso consiste nel poter annullare il provvedimento amministrativo,
ossia ritirarlo dall’ordinamento, con efficacia retroattiva, perché inficiato da vizi che lo rendono
illegittimo. Tale annullamento costituisce una deviazione rispetto al normale regime di poteri
giuridici, in quanto ogni soggetto ha la possibilità di far accertare l’illegittimità di un atto che leda i
suoi interessi ma tale accertamento solitamente è opera del Giudice. Invece, l’amministrazione per
mezzo di tale potere può dichiarare l’illegittimità dei propri provvedimenti senza adire l’autorità
giurisdizionale. Il privilegio consiste sia nel fatto di poter far valere l’illegittimità dei propri atti,
sostituendosi al Giudice, sia nella retroattività, che contraddistingue il potere di annullamento da
quello di revoca. Pertanto l’annullamento d’ufficio deve essere esercitato entro un termine
ragionevole, a condizione che sussista un interesse pubblico alla rimozione dell’atto dal mondo
giuridico e che tale interesse sia prevalente sugli interessi dei destinatari dell’atto stesso e a quelli
degli eventuali controinteressati. Tuttavia, nonostante le suesposte considerazioni, occorre
soffermarsi sul fatto che anche tale articolo è stato notevolmente modificato, in termini di
contrazione, dalla l. n. 164/2014. Infatti, se il testo originario dell’art. 21 nonies, l. n. 241/90,
prevedeva espressamente la possibilità per l’amministrazione di annullare d’ufficio entro un termine
ragionevole il provvedimento illegittimo, ai sensi dell’art. 21 octies, l. n. 241/90, la riforma dispone
che l’amministrazione può annullare un proprio atto illegittimo solo nella misura in cui
l’illegittimità non rientri tra quelle enunciate dall’art. 21 octies, comma 2, l. n. 241/90. Pertanto,
cosi come il provvedimento adottato in violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli
atti o per la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento nei casi di cui al citato art. 21
octies, l. n. 241/90, non è annullabile in sede giurisdizionale, analogamente non è suscettibile di
essere annullato in via di autotutela. Dunque, con il nuovo inciso introdotto dalla legge n. 164/2014
all’art. 21 nonies, l. n. 241/90, si priva l’amministrazione della possibilità di eliminare ab initio un
provvedimento assunto in modo illegittimo.
Minime considerazioni devono essere rivolte anche al provvedimento di convalida, benché non
direttamente interessato dalla novella. La portata innovativa introdotta dalla legge n. 164/14 sull’art.
21 nonies, l. n. 241/90, sembra suscettibile di espandersi anche alla disciplina prevista dal comma 2,
nella misura in cui si ritenga che l’esercizio del potere di convalida sia strettamente connesso al
potere di annullamento d’ufficio. L’eliminazione dei casi di cui all’art. 21 octies, comma 2, l. n.
241/90, dal catalogo dei vizi che fondano il potere di annullamento d’ufficio, sembra quindi doversi
applicare anche alla disciplina della convalida. Pertanto tutti i provvedimenti di cui al comma 2
dell’art. 21 octies, l. n. 241/90, non saranno suscettibili di convalida.
Dunque, in virtù dei principi esposti, nonché delle considerazioni finora svolte, appare, ictu oculi,
come la modifica normativa, nel suo insieme, sembri tesa a rafforzare la posizione del privato nei
rapporti con l’amministrazione, limitando rispetto al passato le ipotesi nelle quali il provvedimento
possa essere sottoposto ad autotutela. È pur vero che la novella delimita, restringendola, la casistica
dell’azionabilità dell’autotutela ma essa si rivela sempre il rimedio più utile ed efficace innanzi
all’illegittimità ed inopportunità dell’azione amministrativa, consentendo alla stessa
amministrazione di intervenire sugli effetti della propria attività provvedi mentale, quando la stessa
viene riconosciuta viziata, irregolare o comunque incoerente con l’interesse pubblico alla cui cura
risulta preordinata la funzione esercitata. Non solo, la podestà in esame, oltre a permettere la
tempestiva correzioni di errori ed a restituire correttezza e legalità all’attività amministrativa svolta
precedentemente, consente di perseguire al contempo, gli obiettivi di contenimento della spesa
pubblica (evitando o quanto meno riducendo le pretese risarcitorie dei privati), della deflazione del
contenzioso e una tutela più pregnante e satisfattiva degli interessi legittimi dei privati.
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