Il potere certificativo attribuito all’esercente la professione di avvocato riguarda esclusivamente l’autografia della sottoscrizione e non anche l’apposizione in presenza della medesima.
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Indice
1. La questione
La Corte di Appello di Milano confermava una decisione del Tribunale di quella stessa città, che aveva dichiarato l’imputato colpevole del reato di cui all’art. 481 cod. pen. per avere, in qualità di avvocato nell’esercizio della professione forense, falsamente attestato la verità e la autenticità della sottoscrizione di una parte nell’atto di nomina e procura alle liti allegato alla memoria di costituzione e risposta depositata dal ricorrente nell’interesse (tra gli altri), nell’ambito di un procedimento civile incardinato presso il Tribunale di Milano (mandato mai conferito e sottoscrizione mai apposta).
Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione la difesa dell’accusato che, con un unico motivo, deduceva vizi della motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla inferenza logica e alla individuazione della massima di esperienza a supporto del ragionamento della Corte di Appello.
In particolare, secondo il ricorrente, non sarebbe stata provata, con la necessaria certezza processuale, la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, ovvero la consapevolezza dell’imputato della falsità della firma apposta sul mandato alle liti successivamente autenticato dal momento che la Corte d’Appello non era stata in grado di risolvere in maniera logica il dilemma relativo alla probabile inconsapevolezza della falsità della sottoscrizione da parte dell’autenticatore e, dunque, della sussistenza o meno dell’elemento soggettivo del reato previsto dall’art. 481 cod. pen.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione: l’autografia della sottoscrizione
La Suprema Corte riteneva il ricorso proposto non meritevole di accoglimento.
In particolare, gli Ermellini rilevavano in via preliminare come la Corte territoriale non avesse ritenuto integrato il reato perché l’imputato avrebbe attestato l’apposizione in sua presenza della firma risultata apocrifa, bensì si era correttamente orientata nel senso di ritenere che compito del difensore è esclusivamente quello di certificare l’autografia della firma apposta in calce al mandato difensivo, essendo pacifico che il potere certificativo attribuito all’esercente la professione di avvocato abbia ad oggetto, appunto, esclusivamente, l’autografia della sottoscrizione e non anche l’apposizione in presenza della medesima. (cfr. Cass. pen., sez. V, ud. 22 marzo 2022- dep. 27 aprile 2022, n. 16214 n.m.).
Il fatto materiale contestato e ritenuto dai giudici di merito era, dunque, per la Corte di legittimità, quello tipizzato dalla norma.
Premesso ciò, i giudici di piazza Cavour, entrando nel “merito” della questione, reputavano come la Giudice di appello avesse svolto un’accurata indagine finalizzata alla verifica dell’eventuale errore in cui poteva essere incorso l’imputato al momento dell’autenticazione della firma, circa il fatto che fosse stato proprio quest’ultimo ad apporla realmente, dato che quella dell’autenticazione “differita” è prassi tutt’altro che inusuale e comunque non illecita, fermo restando, per l’appunto, che il professionista legale, nell’esercizio del suo potere attestativo, sia certo dell’identità del sottoscrittore.
Ebbene, per il Supremo Consesso, ciò che difettava era proprio questa certezza, reputandosi come i giudici di seconde cure non l’avessero ravvisata con (stimata) adeguata argomentazione, escludendo che l’imputato potesse averla, invece, coltivata sulla base di un’erronea convinzione, fermo restando che, anche un errore vi fosse stato, esso, anche qualora dovuto a negligenza, sarebbe stato comunque idoneo ad escludere il dolo del reato, anche nella sua forma eventuale.
Invece, il Giudice a quo, nella ritenuta irrilevanza di conoscere chi abbia materialmente vergato la firma, aveva, per la Corte di legittimità, correttamente valutato, sulla scorta di una pluralità di elementi fattuali, come il reato in esame fosse stato integrato, non dalla consapevolezza della falsità della sottoscrizione, ma dalla consapevolezza della falsa attestazione della autenticità della firma, sul rilievo che il ricorrente era ben consapevole che la p.o. fosse del tutto all’oscuro della vicenda che aveva dato luogo al contenzioso civile, e finanche della instaurazione di quest’ultimo.
La Corte territoriale aveva quindi, per il Supremo Consesso, in modo del tutto corretto, affermato la colpevolezza dell’imputato, individuando la consapevolezza circa la falsità della sottoscrizione oggetto di attestazione, sulla base di un corretto ragionamento inferenziale, di tipo logico-deduttivo, adeguatamente rappresentato da una pluralità di indicatori fattuali, mentre, sempre a detta della Cassazione, il ricorso ometteva l’effettivo confronto con tale costrutto argomentativo, del tutto coerente con ì datti fattuali e privo di manifeste illogicità, facendosene conseguire da ciò che motivi del genere più che specifici, come richiede l’art. 581 cod. proc. pen., risultavano essere soltanto apparenti, in quanto omettevano di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. U. n. 8825 del 27/10/2016).
Gli Ermellini, pertanto, dichiaravano il ricorso proposto inammissibile e condannavano l’impugnante al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse nella parte in cui è ivi chiarito che il potere certificativo attribuito all’esercente la professione di avvocato riguarda esclusivamente l’autografia della sottoscrizione e non anche l’apposizione in presenza della medesima.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che il potere certificativo attribuito all’esercente la professione di avvocato ha ad oggetto (per l’appunto) esclusivamente l’autografia della sottoscrizione e non anche l’apposizione in presenza della medesima.
Di conseguenza, ove si verifichi questa seconda ipotesi, nessuna conseguenza di natura penale è ascrivibile al legale che abbia proceduto a siffatta certificazione.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
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