dottoressa Francesca GaRLISI, funzionario presso la Corte dei conti
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I fatti
Il presente scritto prende spunto da alcune vicende emerse a seguito di indagini condotte in un caso dal Nucleo Antifrodi dei Carabinieri di Parma (NAC) su delega della Procura della Repubblica di Treviso e in un altro caso dal Corpo Forestale dello Stato di Verona, relative ad una serie di erogazioni di contributi comunitari effettuate da AGEA (Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura) ed AVEPA in favore di società agricole con sede in varie regioni.
Tali società avevano beneficiato di aiuti relativi ai premi speciali per “bovini maschi” ed ai pagamenti per “l’estensivizzazione” per gli anni 2001, 2002, 2003 e 2004, a fronte di domande contenenti, fra gli altri dati, le dichiarazioni in merito alle superfici foraggere disponibili.
Le indagini suddette erano sfociate in più procedimenti penali –successivamente riuniti– a carico delle aziende beneficiarie, alle quali erano stati contestati i reati di associazione a delinquere (art. 416 c.p.) e di truffa aggravata e continuata ai danni della Comunità Europea (artt. 81 e 416 bis c.p.). Veniva, infatti, ipotizzata dall’accusa una frode posta in essere dai soggetti riconducibili alle predette società, i quali, ai fini dell’ottenimento dei premi suindicati, avevano presentato, in allegato alle domande di contributi, delle dichiarazioni sostitutive di atto notorio ideologicamente false, relative all’esistenza di contratti di comodato d’uso di superfici foraggere oggettivamente e soggettivamente simulati, all’insaputa dei proprietari delle aree stesse, al fine di dimostrare la disponibilità di consistenti superfici foraggere in capo alle aziende interessate ai premi.
Per le ipotesi di reato di competenza del Tribunale di Trento, la sentenza n. 357 del 14.05.2009, riconosciuto il vincolo della continuazione, condannava gli imputati per i reati di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni da parte della Comunità Europea e di falsità ideologica in atto pubblico. Veniva accertato che i premi ed i pagamenti erano stati conseguiti dalle ditte individuali o dalle società coinvolte attraverso un sistema fraudolento, che prevedeva la presentazione di domande con allegate dichiarazioni sostitutive di atto notorio ideologicamente false, attestanti la disponibilità di aree pascolive sulle quali non disponevano di alcun valido titolo giuridico che ne legittimasse l’utilizzo, ovvero che non presentavano le caratteristiche per poter essere considerate superfici foraggiere, o ancora aventi in realtà dimensioni inferiori rispetto a quanto dichiarato.
Il Tribunale di Treviso –per la parte di sua competenza– con ordinanza del 6.5.2008 sospendeva il procedimento e rimetteva la causa alla Corte di Giustizia UE, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE, affinché chiarisse se fra i presupposti richiesti dalla normativa comunitaria al fine del legittimo percepimento dei premi oggetto del giudizio dovesse ritenersi necessario quello dell’esistenza in capo alle società di un valido titolo giuridico che legittimasse l’utilizzo delle superfici foraggere, ovvero se fosse sufficiente la mera disponibilità de facto delle stesse.
La Corte di Giustizia Europea, con sentenza del 24 giugno 2010 (proc. C–375/08), come si vedrà più dettagliatamente nei paragrafi successivi, chiariva che seppur la normativa comunitaria non subordini l’ammissibilità di una domanda di premi speciali “bovini maschi” e di pagamenti per “l’estensivizzazione” alla presentazione di un valido titolo giuridico che riconosca il diritto del richiedente all’utilizzo delle superfici foraggere oggetto della domanda stessa, tuttavia non esclude la possibilità che la normativa nazionale degli Stati membri imponga l’obbligo di produzione di un siffatto titolo, a condizione che “siano rispettati gli obiettivi perseguiti dalla normativa comunitaria e i principi generali del diritto comunitario, in particolare il principio di proporzionalità” (sentenza Corte Giustizia, 24.6.2010).
Sull’impugnazione presentata dai soggetti condannati in primo grado dal Tribunale di Trento, la Corte d’appello trentina, con la sentenza n. 81/2011, depositata il 16.6.2011, assolveva tutti i condannati, ritenendo, proprio sulla base della pronuncia della Corte di Giustizia europea, non necessaria, ai fini della legittima riscossione dei premi in oggetto, l’esistenza del requisito formale di un titolo giuridico sui pascoli, che peraltro –secondo la Corte di merito– “non fornisce alcuna garanzia della effettiva pratica di un allevamento con criteri estensivi, obiettivo della comunità tutelabile con altri sistemi”. Riteneva la Corte, invece, sufficiente la concreta ed effettiva utilizzazione del territorio, quale requisito per l’accesso ai premi, in quanto già di per sé consente il perseguimento del fine proprio degli aiuti previsti dal regolamento (CE) 1254/99, ossia quello di favorire l’allevamento in forma estensiva.
Sui medesimi fatti oggetto del procedimento penale innanzi al Tribunale di Treviso –sospeso, come detto, in attesa della pronuncia della Corte europea sulla questione pregiudiziale sollevata ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE– la Sezione Giurisdizionale Regionale della Corte dei conti per il Veneto condannava le ditte beneficiarie dei premi “bovini maschi” e dei pagamenti per “l’estensivizzazione”, percepiti per le annualità dal 2001 al 2004, al pagamento in favore dell’Erario della somma di € 3.613.644,41, ritenendo le relative erogazioni prive di causa “stante l’assenza dei presupposti di legge” (Corte conti Veneto, 26.1.2011, n. 54).
La Sezione Giurisdizionale veneta fondava la propria decisione di condanna sulla considerazione della necessarietà di un titolo documentabile, attributivo all’allevatore della disponibilità delle superfici, al fine dell’ammissibilità all’erogazione del contributo; titolo che non può essere surrogato dall’esistenza di una mera relazione di fatto con i terreni.
2. Uno sguardo alla normativa comunitaria e nazionale di riferimento
La normativa comunitaria di riferimento è quella di cui al Regolamento 1999/1254/CE del 17.5.1999, contenente disposizioni sull’organizzazione comune dei mercati nel settore della carni bovine e recepita nell’ordinamento nazionale attraverso i decreti ministeriali del 16.3.2000 n. 122, del 20.5.2000, del 22.1.2001, e del 27.11.2001.
Obiettivo della disciplina comunitaria è quello di regolare il mercato delle carni bovine a livello comunitario e garantire un equo tenore di vita alla popolazione agricola, attraverso la stabilizzazione della produzione e, conseguentemente, dei prezzi di vendita dei capi nei vari Stati membri.
Al 13esimo considerando del Reg. (CE) 1254/99 viene individuata un’ulteriore finalità della disciplina di settore, vale a dire quella di evitare tipi di allevamento eccessivamente intensivi e di favorire, quindi, l’estensivizzazione della produzione bovina. Tale scopo viene perseguito limitando la concessione dei premi connessi con il potenziale foraggero dell’azienda (numero e specie degli animali) e favorendo, invece, quelle aziende che rispettano il c.d. “coefficiente di densità”, valore determinato dal rapporto tra unità di bestiame ed estensione del terreno. Il comma 2 dell’art. 12 del Reg. (CE) 1254/1999 individua le modalità di determinazione di detto coefficiente, precisando, quanto alla superfice foraggera, che si deve tener conto della “superficie dell’azienda disponibile durante tutto l’anno civile per l’allevamento dei bovini e degli ovini e/o dei caprini” (art. 12, comma 2, lett. b), Reg. CE 1254/99).
In particolare, il numero dei capi posseduti va rapportato alla suddetta superficie, e tale rapporto dev’essere inferiore al limite fissato dal Regolamento stesso in due UBA (Unità Bovino Adulto). Risulta, pertanto, evidente che quanto maggiore sarà la superficie dell’azienda, tanti più saranno i capi ammessi a beneficiare del premio speciale, nel limite del coefficiente di densità fissato dal legislatore comunitario; diversamente, un’importante disponibilità di capi non accompagnata da un’adeguata superficie foraggera escluderà l’azienda dalla possibilità di beneficiare del premio.
Quanto all’esercizio del potere normativo in capo agli Stati membri, il 15esimo considerando del Regolamento (CE) 1254/99 impone agli stessi di utilizzare i loro poteri discrezionali “esclusivamente in base a criteri oggettivi, in modo da salvaguardare pienamente il principio della parità di trattamento e di evitare distorsioni del mercato e della concorrenza”.
Nell’ambito della disciplina nazionale, la Circolare AGEA 24.4.2001, n. 35 (“Istruzioni concernenti adempimenti specifici derivanti dalla vigente normativa comunitaria in ordine ai settori: seminativi, zootecnia, sviluppo rurale e settore vitivinicolo”), ha previsto che il produttore che non sia proprietario delle superfici dichiarate debba, nella domanda di aiuto, “comprovare il titolo di conduzione dei terreni (ad esempio nel caso di affitto, di comodato, di usufrutto, di enfiteusi, etc.) in questione, fornendo: copia autentica del titolo regolarmente registrato ai sensi della normativa vigente”. Se non in grado di produrre tale documentazione, ovvero in caso di contratto verbale con il proprietario delle superfici, il produttore deve presentare un’autocertificazione circa il rapporto contrattuale che lo legittima all’utilizzo dei terreni, il nominativo del proprietario degli stessi, la data di inizio e fine del rapporto contrattuale, e la superficie oggetto del contratto, “specificando sotto la propria responsabilità il titolo di conduzione ed i motivi per cui è necessario ricorrere all’autocertificazione” (Circ. Agea 35/2001).
Nel caso di terreni concessi da un ente o da un altro soggetto, il produttore deve esibire “idonea dichiarazione dell’ente” (Circ. Agea 35/2001).
Risulta, pertanto, evidente che la normativa nazionale di attuazione del Regolamento comunitario 1254/1999, condiziona l’ammissibilità della domanda di aiuto alla sussistenza di un valido titolo attributivo della legittimazione all’utilizzo della superficie, che deve poter essere documentabile o certificabile.
Il fondamento della necessità di tale requisito è stato individuato dalla Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per il Veneto nell’esigenza di “destinare le risorse a coloro che realmente sono i destinatari delle politiche comunitarie di sostegno all’agricoltura”, nonché in quella connessa di “semplificare il controllo che tale destinazione abbia luogo” (Corte conti Veneto, sentenza n. 54/2011).
Questo anche nell’ottica del potere attribuito agli Stati membri dall’art. 4 del Reg. (CE) 2419/2001 (che contiene “norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell’ambito della politica agricola comune”) di esigere, al fine dell’identificazione attendibile delle particelle agricole indicate nella domanda, “che le domande di aiuto per superficie siano corredate dagli elementi o dai documenti definiti dalle competenti autorità, al fine di localizzare e misurare ciascuna particella agricola”. Risulta, infatti, evidente che la possibilità di localizzare e misurare l’estensione delle superfici dichiarate potrà essere effettiva solamente in presenza di un titolo giuridico che individui nel dettaglio le aree su cui il diritto del produttore può essere esercitato.
Dovere degli Stati membri è, infatti, anche quello di vigilare in modo efficace sul rispetto delle disposizioni relative ai regimi di aiuti gestiti nell’ambito del sistema integrato (17esimo considerando, Reg. CE 2419/2001), approntando un sistema di misure appropriate contro le irregolarità e le frodi, che permetta così di tutelare in modo efficace gli interessi finanziari della Comunità europea (32esimo considerando Reg. CE 2419/2001). Per “irregolarità” deve intendersi, secondo la definizione contenuta all’art. 2 del Reg. (CE) 2419/2001, “qualsiasi inottemperanza alle disposizioni che disciplinano la concessione degli aiuti”.
Questa la disciplina fino all’anno 2005, quando è stato istituito un premio unico aziendale in favore dei produttori già beneficiari di aiuti negli anni 2000, 2001 e 2002, che abbiano a disposizione per dieci mesi le superfici dichiarate e vi esercitino l’attività agricola nel rispetto dei parametri fissati dai regolamenti comunitari. Come ha precisato la stessa Corte d’appello di Trento nella sentenza 81/2011, con questo sistema operante dal 2005 non rileva più il rapporto fra capi e superficie disponibile, ossia il coefficiente di densità, ma “diventa determinante la disponibilità di superficie e dei titoli pregressi, base indispensabile per la concessione degli aiuti” (pag. 47 sentenza App. Trento); ciò che rileva dal 2005 in poi è, in altre parole, la disponibilità formale delle superfici.
3. Disponibilità de facto delle superfici e sussistenza di un valido titolo giuridico sulle stesse
I fatti oggetto dei procedimenti penali, oltre che del procedimento amministrativo-contabile, di cui s’è detto al paragrafo 1, s’incentrano sull’atto della presentazione, da parte del legale rappresentante delle ditte produttrici richiedenti gli aiuti, di domande per pagamenti per superfici (c.d. “PAC seminativi”), necessarie per percepire il “premio speciale bovini maschi” ed il “premio estensivizzazione”, contenenti dati non veritieri circa i titoli di godimento e utilizzo dei terreni nelle stesse indicati, la loro destinazione d’uso e la loro destinazione a foraggio.
A tali domande, in particolare, venivano allegate delle dichiarazioni sostitutive di atto notorio, con cui i legali rappresentanti delle società, consapevoli delle responsabilità penali in cui sarebbero incorsi in ipotesi di dichiarazioni mendaci, riconoscevano di essere legittimi conduttori delle superfici individuate catastalmente nelle domande, sulla base di un contratto d’affitto verbale con il proprietario delle stesse.
La falsità di tali dichiarazioni emergeva nel corso dell’istruttoria svolta dal Nac di Parma, che accertava che in esse si faceva riferimento a contratti di comodato d’uso delle superfici foraggere creati all’insaputa dei proprietari dei terreni stessi, ovvero a terreni caratterizzati da pascolabilità vietata o esclusa di fatto.
Giovi precisare che il sistema di aiuti in esame prevede l’erogazione del premio sulla base delle semplici dichiarazioni contenute nelle domande, riservando gli eventuali controlli ad una fase successiva alla corresponsione del premio. L’art. 1, n. 1 del Reg. (CE) del Consiglio 3598/1992 ha istituito il SIGC (Sistema Integrato di Gestione e Controllo), applicabile a vari regimi di aiuti comunitari nel settore della produzione vegetale ed animale, che comprende una banca dati informatizzata, un sistema di identificazione della parcelle agricole, un sistema di identificazione e registrazione degli animali e delle domande di aiuti, ed un sistema integrato di controllo.
Tali accertamenti possono essere di natura “amministrativa”, attraverso verifiche incrociate dei dati relativi alle superfici ed ai capi dichiarati ed inseriti nelle varie domande presentate, che consentono di evitare che lo stesso aiuto venga concesso più di una volta per lo stesso anno, o che il premio sia indebitamente cumulato ad altri aiuti connessi alle superfici dichiarate, ovvero possono consistere in controlli in loco, da effettuarsi necessariamente a campione.
Come ha chiaramente evidenziato la Corte di Giustizia europea, investita della questione pregiudiziale dal Tribunale di Treviso ex art. 234 Trattato CE, la normativa comunitaria, richiede genericamente e senza ulteriori specificazioni, per il conseguimento dei premi in oggetto, “la disponibilità” delle estensioni di terreno su cui esercitare l’attività di allevamento. Tale scelta legislativa risponde all’esigenza di “dettare una disciplina comune, preservando le peculiarità degli ordinamenti degli Stati aderenti all’Unione” (Corte conti Sicilia, 28.7.2009, n. 1890), rimettendo, quindi, ai legislatori nazionali l’individuazione di ulteriori disposizioni tecniche di dettaglio per l’applicazione della disciplina comunitaria.
Nell’esercizio di tale potere la normativa nazionale ha espressamente previsto la necessaria indicazione in domanda delle modalità di conduzione delle superfici in relazione alle quali vengono chiesti i premi, e la produzione di un atto (contratto o dichiarazione sostitutiva di atto notorio) a comprova dell’esistenza di tale legittimazione.
In questo senso, il d.P.R. 1.12.1999, n. 503 (“Regolamento recante norme per l’istituzione della Carta dell’agricoltore e del pescatore e dell’anagrafe delle aziende agricole”), che all’art. 3, lett. f), dispone che per ciascuna azienda iscritta all’anagrafe debba essere indicato anche il “titolo di conduzione” degli immobili (proprietà, affitto, mezzadria, comodato, usufrutto, etc.), richiesto anche dall’art. 9, comma 2 del medesimo d.P.R., all’interno del fascicolo aziendale che dev’essere formato per ogni società produttrice; così anche i decreti del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali 4.4.2000, 10.8.2001, e 17.4.2003, ed infine le Circolari attuative di AGEA 24.4.2001, n. 35 e 24.4.2003, n. 23 (la quale ha esteso le prescrizioni della Circolare n. 35 al settore delle carni bovine). La Circolare n. 35, in particolare, richiede espressamente, fra i documenti da produrre in allegato alla domanda di aiuto, i titoli inerenti la conduzione delle superfici, ossia gli atti comprovanti l’esistenza di un diritto di godimento sui terreni indicati in domanda. Inoltre, il d.m. 25.5.2000, contenente le norme applicative del d.m. 16.3.2000, n. 122, prevede che gli allevatori che intendono chiedere il premio “estensivizzazione” e che facciano uso di superfici di titolarità pubblica, debbano indicare la superficie utilizzata e produrre “l’attestazione dell’ente o organo proprietario”.
Il titolo di conduzione richiesto dalla disciplina nazionale, ha precisato la Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti della Sicilia (sentenza 28.7.2009, n. 1890), non può “essere surrogato dalla esistenza di relazioni di fatto del soggetto che auspica l’erogazione di contributi comunitari con il fondo, anche laddove tali relazioni presentino connotati tali da consentirgli di ottenere il riconoscimento giudiziale di un diritto reale sul bene medesimo (usucapione)”.
È evidente, di conseguenza, che trattandosi di aiuti strettamente connessi all’estensione dei terreni dichiarati in domanda, la reale disponibilità degli stessi costituisce un elemento essenziale e determina, di conseguenza, l’interesse delle aziende a dimostrare di avere disponibilità di aree adeguatamente estese, affinché l’indice di densità, di cui s’è detto al paragrafo 2, non superi il valore previsto dall’art. 12, comma 1, Reg. (CE) 1254/1999, ai fini dell’ammissibilità al premio.
Indipendentemente dalla rilevanza penale dei fatti oggetto dei giudizi che hanno coinvolto le società beneficiarie dei premi, ed a prescindere dalle assoluzioni pronunciate dalla Corte d’appello di Trento nella sentenza 81/2011, si criticano con forza le conclusioni cui il Collegio è giunto dall’esame della pronuncia della Corte di Giustizia europea nel procedimento C–375/08).
La Corte d’appello trentina, infatti, dopo aver riportato quanto affermato dalla Corte europea in ordine alla possibilità che gli Stati membri impongano l’obbligo della produzione di un titolo giuridico sulle superfici oggetto di aiuti, a condizione che “siano rispettati gli obiettivi perseguiti dalla normativa comunitaria in materia e i principi generali del diritto comunitario, in particolare il principio di proporzionalità” (Corte di Giustizia, 24.6.2010, Luigi Pontini e altri), è giunta ad affermare che la pretesa di imporre la produzione di un titolo giuridico che legittimi l’imprenditore alla conduzione dei terreni adibiti a foraggio “non sia funzionale al perseguimento degli obiettivi voluti dalla Comunità con l’istituzione dei premi in parola, e non rispetti il principio di proporzionalità e, quindi, non può costituire requisito della fattispecie penalmente rilevante” (App. Trento, 81/2011).
Essendo scopo primario della Comunità quello di combattere, attraverso l’istituzione dei premi, la diffusa pratica degli allevamenti intensivi, ciò che –a parere dei giudici del gravame– è in grado di garantire la realizzazione di tale finalità propria della normativa comunitaria in materia di aiuti è “l’effettiva conduzione di un allevamento con modalità tali da poter essere considerato estensivo” (App. Trento, 81/2011) .
4. La sentenza della Corte di Giustizia e l’errata interpretazione della Corte d’appello trentina
Pare a questo punto opportuno richiamare i principi affermati dalla Corte di Giustizia europea, investita della questione pregiudiziale dal Tribunale di Treviso, e chiamata a fornire un’interpretazione della normativa comunitaria in materia di domande di aiuti per animale, ed in particolare a chiarire i presupposti stabiliti dalla normativa stessa ai fini della concessione dei premi speciali “bovini maschi” e dei pagamenti per “l’estensivizzazione”, previsti dagli artt. 4 e 13 del Reg. (CE) 1254/99.
La Corte, nella sentenza del 24.6.2010, individua l’obiettivo perseguito dal Regolamento suindicato in quello di arginare la tendenza all’intensificazione della produzione della carne bovina, dovuta alla detenzione da parte delle aziende di una quantità in continua crescita di bovini, senza che a tale incremento corrisponda un aumento delle superfici disponibili e sufficienti quindi per la nutrizione degli animali. Tale finalità viene realizzata attraverso l’introduzione del già esaminato “coefficiente di densità”, diretto a far sì che i premi vengano erogati solamente in favore di aziende che dispongano di superfici sufficienti a nutrirli.
Una volta constatata dalla Corte l’assenza nella normativa comunitaria di alcuna disposizione che imponga la necessità di un titolo giuridico che legittimi la conduzione dei terreni cui si riferiscono le domande di aiuti, essa individua “quale sia il margine di discrezionalità concesso agli Stati membri in ordine al controllo del rispetto delle condizioni previste per l’erogazione degli aiuti”. In questo senso, l’art. 6, n. 1 del Reg. (CE) 3508/02, istitutivo di un “sistema integrato di gestione e di controllo di taluni regimi di aiuti comunitari”, dispone che per essere ammesso a fruire degli aiuti comunitari previsti dal Regolamento stesso ciascun imprenditore deve presentare una domanda di aiuto che contenga, oltre all’indicazione della particelle agricole, anche “qualsiasi altra informazione necessaria prevista dai regolamenti relativi ai detti regimi di aiuti comunitari, o dallo Stato membro interessato”. Ancora, il Reg. (CE) 2419/2001, all’art. 22, n. 3, stabilisce che lo Stato membro, al fine della verifica dell’ammissibilità delle parcelle agricole dichiarate, può richiedere al produttore, se necessario, la presentazione di prove supplementari.
Emerge allora chiaramente, afferma la Corte, che gli Stati membri dispongono di un certo margine di discrezionalità, che deve tener conto delle prassi abituali nel loro territorio, e che riguarda i documenti giustificativi, le prove in ordine alle superfici foraggere dichiarate in domanda, nonché i titoli da produrre circa l’utilizzazione delle superfici foraggere, che ogni Stato può pretendere dai richiedenti l’aiuto.
Tale potere discrezionale degli Stati membri è, tuttavia, sottoposto ad alcuni limiti. Esso dev’essere esercitato in base a criteri oggettivi, in modo da garantire il rispetto del principio della parità di trattamento ed evitare distorsioni del mercato e della concorrenza (15esimo considerando Reg. CE 1254/99). In particolare, imporre al richiedente l’aiuto l’obbligo di produrre un valido titolo giuridico che giustifichi il suo diritto di utilizzare le superfici foraggere oggetto della sua domanda, deve rispettare il principio di proporzionalità.
Ma la Corte europea si spinge oltre, e giunge ad affermare che una normativa nazionale come quella applicabile alla fattispecie sottoposta al suo vaglio, diretta evidentemente ad impedire che gli allevatori possano abusivamente utilizzare terreni altrui al fine di eludere la normativa comunitaria in materia di aiuti, “cerca di rispettare tali obiettivi” e, ove impone l’obbligo della produzione di un titolo giuridico valido “sembra conforme al principio di proporzionalità”.
Questo il giudizio espresso dalla Corte di Giustizia, la quale rimette al giudice a quo il compito di verificare l’effettivo rispetto di tale principio nella fattispecie concreta.
La Corte d’appello di Trento, tuttavia, sembra non tener conto della valutazione dei giudici europei, ed anzi afferma che la titolarità di un diritto sul terreno non garantisce che di fatto poi sia effettivamente il titolare di tale diritto ad utilizzarlo per praticarvi l’allevamento estensivo, e che, d’altra parte, l’uso di fatto, in assenza di un valido titolo giuridico, “non è sempre sinonimo di precarietà né di illiceità”. La Corte trentina ritiene, in altre parole, legittimo ai fini della concessione del premio, l’utilizzo di fatto di superfici, anche in ipotesi di mancato consenso del titolare del diritto di proprietà sugli stessi, ed anche, quindi, eventualmente in ipotesi di pascolo abusivo (reato previsto e punito dall’art. 636 c.p.).
Non si vede come si possa consentire che da un fatto costituente illecito o addirittura reato derivi, quale conseguenza dell’applicazione della normativa europea e nazionale, un beneficio per l’autore del fatto stesso, in termini di aiuti pubblici alla produzione.
Peraltro l’occupazione e l’utilizzo di terreno altrui senza il consenso del proprietario legittimante secondo la Corte d’Appello di Trento l’ammissione al premio, si risolverebbe in una palese violazione di uno dei diritti fondamentali dell’uomo, quello di proprietà, riconosciuto dall’art. 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione per la Salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4.11.1950 e recepita dalla U.E. con il recente Trattato di Lisbona, oltreché della Costituzione italiana che tutela all’art. 42 il diritto di proprietà privata..
Ciò che pare, invece, evidente è che la disciplina nazionale che richiede l’esistenza e la produzione di un valido titolo giuridico (ovvero di un’autocertificazione in sostituzione dello stesso), al fine dell’ammissibilità ai premi, è conforme al criterio dell’oggettività delle previsioni, in quanto viene applicata indistintamente e senza discriminazioni a tutti i richiedenti i premi e rispetta il principio di proporzionalità in relazione all’obiettivo della norma comunitaria, che è quello di favorire la pratica dell’allevamento estensivo. Tale principio riconosce la legittimità di una disposizione che impone un obbligo o stabilisce una sanzione in relazione alla sua idoneità al raggiungimento degli scopi voluti.
Se, come afferma la Corte d’appello di Trento, chi dispone un titolo di conduzione sul terreno ben potrebbe poi, di fatto, non utilizzare la superficie cui il titolo stesso si riferisce –accertamento questo effettuabile solamente attraverso controlli in loco, non certo possibili per la totalità dei beneficiari dei premi– a maggior ragione non si vede perché tale utilizzo effettivo dovrebbe essere più probabile da parte di chi non ha alcun diritto sul bene stesso. Senza considerare che l’allevatore che pascola su un terreno, in assenza del consenso del proprietario, si espone alla possibilità che la sua attività sia interrotta ed inibita dal legittimo titolare della superficie, così da non poter necessariamente rispettare la condizione prevista dall’art. 5, n.1, lett. c) del Reg. (CE) 2419/2001 (che fissa le “modalità di applicazione del sistema integrato di gestione e di controllo relativo a taluni regimi di aiuti comunitari istituito dal regolamento CEE n. 3508/92 del Consiglio”), secondo la quale ciascuna superficie foraggera dev’essere disponibile per un periodo di almeno sette mesi a decorrere dalla data determinata dallo Stato membro.
E’ chiaro, infatti, che un utilizzo “abusivo” delle superfici dichiarate in domanda potrebbe essere in ogni momento interrotto dal proprietario degli stessi, e quindi non rispettare il periodo minimo previsto dalla normativa comunitaria di disponibilità delle superfici stesse.
Come accennato, solamente un controllo in loco, evidentemente impossibile per la totalità delle aziende beneficiarie dei premi, potrebbe garantire la pratica dell’allevamento estensivo, ma senz’altro l’obbligo di disporre di un titolo giuridico che legittimi la conduzione dei terreni, richiedendo quindi una relazione qualificata e non di mero fatto tra azienda e terreni, mira al raggiungimento di tale obiettivo, escludendo ogni forma di utilizzazione precaria e abusiva di terreni altrui.
Si ricorda, peraltro, che nel caso oggetto della pronuncia della Corte d’Appello di Trento si trattava per lo più di superfici di proprietà di enti pubblici, gravati da usi civici o sui quali era proibito il pascolo.
La Corte d’Appello, peraltro, fonda il proprio convincimento sull’avvenuto effettivo utilizzo dei terreni da parte delle società beneficiarie dei premi, prevalentemente sulle dichiarazioni rese dai testimoni nel corso del processo di primo e secondo grado, che attestavano la presenza dei bovini al pascolo nei terreni indicati nelle domande. Viene in tal modo implicitamente addossato a carico dell’Ente pagatore dei contributi (AGEA ovvero AVEPA) l’onere di fornire la prova negativa (probatio diabolica) del mancato utilizzo dei terreni stessi. In altre parole, per confutare il contenuto delle testimonianze a favore degli allevatori, l’Ente pagatore, secondo il ragionamento della Corte d’Appello trentina, dovrebbe fornire la prova che nessun pascolamento è stato effettuato sulle superfici indicate nelle domande, ricorrendo a mezzi probatori improbabili e di difficile attuazione, come testimonianze, ispezioni, etc.. Diversamente, i titoli giuridici che i giudici trentini hanno ritenuto facilmente falsificabili e quindi non attendibili circa l’effettivo pascolamento, rappresentano uno strumento di efficace ed immediata utilizzazione da parte dell’Agenzia di pagamento e che responsabilizza i soggetti destinatari dei finanziamenti.
Si rilevi, inoltre, la contraddizione in cui incorre la Corte d’appello di Trento ove illustra la normativa applicabile ai premi in oggetto a partire dall’anno 2005 (riforma “PAC”), momento a partire dal quale viene espressamente previsto l’obbligo di produrre un contratto d’affitto di superfici per il conseguimento dei premi comunitari. I giudici di secondo grado precisano, infatti, che diventa determinante “la disponibilità di superficie e titoli pregressi, base indispensabile per la concessione degli aiuti” e conseguentemente assumono fondamentale rilevanza “gli aspetti ‘formali’ delle domande di aiuto, fondate su presupposti totalmente diversi dai precedenti premi indissolubilmente collegati, come illustrato, alle reali modalità di allevamento del bestiame da cui, dopo il 2005, sono invece totalmente scissi” (App. Trento, 81/2011).
Afferma pertanto la Corte trentina che diventa essenziale per il legittimo percepimento dei premi, dopo il 2005, la “disponibilità (non più di fatto per la pratica dell’allevamento in forma estensiva) giuridica dei fondi” (App. Trento, 81/2011).
Di tutta evidenza la contraddittorietà delle affermazioni della Corte, che richiede –non è dato comprendere per quale motivo– la disponibilità formale delle superfici solamente dal 2005 in poi e non per gli anni precedenti.
Si consideri, inoltre, l’ipotesi, presa in considerazione dal Procuratore Generale della Repubblica di Trento nel ricorso in Cassazione proposto avverso la sentenza n. 81/2011 della Corte d’appello di Trento, in cui l’allevatore presenti congiuntamente domanda per il premio speciale “bovini maschi” (derivante da titoli ordinari) e domanda di aiuto supplementare nel settore delle carni bovine (art. 68 Reg. CE 1782/2003), utilizzando le medesime superfici; ci troveremo di fronte a due diverse interpretazioni della Corte d’appello trentina in tema di legittimo percepimento di premi del tutto analoghi, in quanto solamente nel caso di domanda ex Reg. CE 1782/2003 vi sarebbe l’obbligo di disporre di un valido titolo giuridico, mentre per il premio speciale “bovini maschi” ciò non sarebbe necessario.
Si considerino inoltre, indipendentemente dagli sviluppi che hanno avuto le indagini del NAC e del Corpo forestale dello Stato e dagli accertamenti che ne sono derivati, la posizione delle società che pur non disponendo di un valido titolo di conduzione sui terreni sui cui effettuare il pascolo, come richiesto dalla Circolare Agea n. 35, hanno prodotto contratti falsi ovvero dichiarazioni di atto notorio mendaci, ed hanno così potuto beneficiare degli aiuti comunitari, e la posizione degli allevatori che ugualmente non disponevano di alcun titolo legittimante l’utilizzo delle superfici (sulle quali tuttavia di fatto ben avrebbero potuto pascolare perché, ad esempio, da tempo abbandonate dal legittimo proprietario), e che non hanno quindi presentato la domanda di premio, non potendo produrre né certificare una loro legittimazione, e non volendo incorrere in false attestazioni.
Ecco allora che è proprio l’interpretazione della Corte di Appello di Trento, che considera la normativa nazionale, che impone la produzione di un titolo giuridico al fine del legittimo percepimento del premio, non rispettosa del principio di proporzionalità rispetto al perseguimento dell’obiettivo della Comunità europea, che viola il principio di parità di trattamento cui deve invece attenersi l’esercizio del potere discrezionale concesso agli Stati membri (15esimo considerando Reg. CE 1254/99) e determina così distorsioni del mercato e della concorrenza.
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