Il DDL Anticorruzione
L’emendamento al DDL Anticorruzione (n. 1189) che approdato ora in aula intende porre il blocco di termini a partire dall’emissione della sentenza di primo grado o del decreto di condanna, oltre alla rideterminazione del dies a quo dalla cessazione della continuazione nel caso previsto dall’art. 81 c.p.
Con tale soppressione in tali casi, i termini non riprenderanno mai più a decorrere.
La proposta non è del tutto nuova, essendosi già stata proposta durante i lavori svolti dalla commissione ministeriale precedente, oltre che da tempo prevista con riguardo all’illecito amministrativo dipendente da reato degli enti collettivi (art. 22 comma 4 d.lgs. 231/2001). Inoltre, tale fattispecie appare isolata a comparazione con altri sistemi.
Perché il tema è così discusso?
Le ragioni sono esclusivamente di rango costituzionale
L’estinzione del reato per prescrizione si giustifica col venir meno dell’interesse dello Stato a punire il reo e con la tendenziale difficoltà di reperirne le prove, ma anche di esercitare il diritto di difesa. In questi termini, è evidente che dopo la pronuncia di primo grado i successivi gradi di giudizio rimangono condizionati (cfr. divieto di reformatio in peius).
Con tale intervento si ha il timore di un processo senza fine, in contrasto col vincolo costituzionale della sua ragionevole durata (art. 111 Cost.). Benché il timore risulti fondato si rischia che a fronte del fallimento di un processo troppo lungo, l’unica garanzia debba consistere per l’imputato nel diritto a beneficiare dell’estinzione del reato, magari solo per effetto, come spesso avviene, di impugnazioni in appello o in cassazione.
A ragione di questo è stato proposto di prevedere accanto alla prescrizione del reato, una prescrizione del processo, quale tempo massimo di durata dell’accertamento giurisdizionale.
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