2007: Anno delle Pari Opportunità per tutti. Verso una società giusta
Il Parlamento Europeo ed il Consiglio Europeo, su proposta della Commissione Europea
[1], hanno concordato
[2] di dedicare l’anno appena iniziato alle “Pari Opportunità per tutti”.
Lo scopo principale, che le Istituzioni comunitarie intendono perseguire, è di incrementare la consapevolezza della società civile nei confronti dell‘acquis comunitario sostanziale in materia di uguaglianza e di non discriminazione, nell’intento di realizzare una società giusta, come è evidenziato nell’epigrafe stessa della Decisone istitutiva dell’Anno 2007.
In particolare, gli obiettivi specifici descritti nel programma d’azione per l’anno 2007 sono quattro, sintetizzati dalle parole- chiave “Diritti”, “Rappresentatività”, “Riconoscimento”, “Rispetto”:
1) sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti del diritto all’uguaglianza e alla tutela dalle discriminazioni basate sul sesso, sulla razza o sull’origine etnica, sulla religione o sulle convinzioni, sulla disabilità, sull’età e, infine, sull’orientamento sessuale;
2) stimolare il dialogo sociale per rendere effettiva la partecipazione delle vittime della discriminazione, potenziali ed attuali, nonché realizzare una partecipazione equilibrata fra donne e uomini;
3) celebrare e facilitare la diversità;
4) promuovere una società più solidale.
Conformemente al principio di sussidiarietà, uno dei postulati fondamentali sotteso all’organizzazione del calendario di attività che si svolgeranno nell’intero 2007 è la “decentralizzazione”: in ognuno dei 27 Stati membri
[3] è demandato agli Organi Nazionali di implementazione (per l’Italia l’Unar
[4]) il compito di identificare e attuare gli eventi opportuni per perseguire le finalità da raggiungere. In tal modo dovrebbe essere possibile tener conto dei diversi gradi di effettività della norma d’attuazione nei vari Stati e riuscire a coinvolgere adeguatamente le popolazioni locali. A livello europeo il programma mira ad organizzare eventi istituzionali e a produrre studi e relazioni sull’effettività della legislazione antidiscriminatoria.
Il 2007 rappresenta, quindi, un momento denso di significati per l’affermazione del principio di non discriminazione almeno sotto due profili, il primo sociale e giuridico (a), il secondo simbolico e strategico (b).
2007: punto d’arrivo e nuova partenza
Cronologicamente, l’iniziativa di dedicare un intero anno alla promozione delle pari opportunità per tutti rappresenta l’ultimo passo (per il momento!) di un impegno giuridico e sociale che affonda le proprie radici negli anni Settanta, ma che, per decenni, è rimasto circoscritto quasi esclusivamente alla tutela dalle disparità di genere e di nazionalità. Ciò era naturale, se si pensa che la Comunità Europea era nata come sodalizio economico, mentre la tutela dei diritti umani era ambito esclusivo del Consiglio d’Europa.
Tuttavia, molteplici forze, talvolta tra loro contrastanti, lavoravano, in modo impercettibile ma ineluttabile, per aprire nuovi orizzonti all’affermazione delle pari opportunità in Europa: la giurisprudenza della Corte di Giustizia (con sede a Lussemburgo) grazie all’interpretazione evolutiva e creativa; la preziosa opera della Corte Europea dei Diritti Umani (con sede a Strasburgo) nel dare forza propulsiva alle tutele contenute nella Carta Europea dei Diritti dell’Uomo, f
irmata a Roma il 4 novembre 1950; le pressioni di minoranze e gruppi “deboli”, nel rivendicare il riconoscimento delle proprie peculiari istanze e delle organizzazioni non governative nel ruolo di stakeholders delle Istituzioni; la preoccupazione politica per il calo demografico[5] coniugata con la determinazione a mantenere alta la competitività europea in un’economia globale e ad elaborare politiche antidumping.
Il formale riconoscimento di queste spinte eterogenee è stato consacrato nel Trattato di Amsterdam, col quale, all’art. 13, i quindici Stati Membri dell’epoca conferivano al Consiglio europeo, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, il potere di adottare “provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate su motivi di genere, razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, handicap, età o orientamento sessuale.
A soli diciotto mesi dall’entrata in vigore del Trattato, le proposte della Commissione europea, hanno portato all’adozione di due Direttive
[6] che in parte completano il contenuto delle disposizioni comunitarie antidiscriminatorie precedenti ed in parte innovano la tecnica legislativa comunitaria:
la Direttiva 2000/43, del 29 giugno del 2000, che attua il principio della parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, la cui tutela è estesa, oltre all’occupazione, agli ambiti della formazione, dell’istruzione, della sicurezza sociale, dell’assistenza sanitaria, dell’alloggio e dell’accesso ai servizi;
la Direttiva 2000/78, del 27 novembre 2000, che introduce delle norme quadro “per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”, indipendentemente da motivi di religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali.
Resta esclusa la tutela delle discriminazioni di genere, che forma oggetto di due successivi specifici interventi legislativi:
la Direttiva 2002/73, del 23 settembre 2002, che modifica la Direttiva 76/207/CEE del Consiglio relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro;
la Direttiva2004/113 del 13 dicembre 2004, che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura.
E’unanimemente condiviso che la norma antidiscriminatoria vigente sia tributaria della pluriennale esperienza, legislativa, giurisprudenziale e dottrinale, maturata dall’Unione Europea nella lotta alle discriminazioni di genere dagli anni Settanta in poi, assurta quasi a meta-modello per la normativa sui nuovi “fattori di rischio” di discriminazione, contemplati nelle Direttive del 2000, le quali, in una sorta di procedimento dialettico, arricchiscono, la nuova normativa in materia di parità di genere con le innovazioni da esse introdotte. Si parla, a tal proposito, anche di “
reflexive cross-fertilisation”
[7].
Per sottolineare la cesura metodologica operata nel panorama comunitario dalle Direttive del 2000 e del 2002, ci si riferisce ad esse con espressioni quali “Direttive di seconda generazione” o “art. 13 Directives”, oppure si parla dell’inizio di una “nuova generazione della normativa antidiscriminatoria”, demarcando simbolicamente il confine tra la storia della lotta alla “disuguaglianza” pre-Amsterdam e la lotta alle “disuguaglianze” post Amsterdam.
I progressi compiuti nella tutela antidiscriminatoria sono stati analizzati dalla stessa Commissione Europea nel 2004 all’interno del Libro VerdeUguaglianza e non discriminazione nell’Unione europea allargata”, corredato da un questionario con cui è stata sollecitata una consultazione pubblica per acquisire pareri sul prosieguo dell’impegno europeo a combattere la discriminazione e a promuovere la parità di trattamento. I risultati della consultazione, svoltasi prevalentemente on-line e durata dal 1° giugno al 31 agosto 2004, hanno costituito la base per la redazione della Comunicazione “
della Commissione al Consiglio, al Parlamento al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni “ Una strategia quadro per la non discriminazione e le pari opportunità per tutti”.
(a) 2007: terra di mezzo tra “Fortezza Europa” e dialogo interculturale
Per comprendere pienamente la portata del quadro giuridico esposto sinteticamente, non si può prescindere da un’ultima osservazione sistematica.
Tradizionalmente le Istituzioni comunitarie dedicano ciascun anno ad una diversa azione, ritenuta prioritaria.
Per citare degli esempi, il 2001 era stato intitolato “Anno europeo delle lingue”, il 2003 “Anno europeo per le persone disabili”, il “2005 Anno europeo della cittadinanza attraverso l’educazione”.
Il 2007, che coincide con il decimo anniversario dell’Anno europeo contro il razzismo, si pone quasi come un ponte tra due epoche, quale trait d’union tra il 2006 (Anno Europeo della mobilità dei lavoratori. Verso un mercato del lavoro europeo) ed il 2008, dedicato al dialogo tra le culture, tracciando un’orma decisiva, almeno idealmente, fuori dalla Fortezza Europa.
Se il 2006, infatti, era incentrato sulla mobilità dei lavoratori,
cittadini europei, all’interno del territorio dell’Unione, il 2007 mira a sensibilizzare e promuovere le pari opportunità “
per tutti”
[10] cittadini europei e tutti coloro che vivono nell’UE in modo temporaneo o permanente dovrebbero avere l’opportunità di partecipare al dialogo interculturale e realizzarsi pienamente in una società diversa, pluralista, solidale e dinamica, non soltanto in Europa, ma in tutto il mondo”. e prelude all’Anno europeo del dialogo interculturale, la cui
Decisione[11] istitutiva prevede, al terzo Considerando, che “
i cittadini europei e tutti coloro che vivono nell’UE in modo temporaneo o permanente dovrebbero avere l’opportunità di partecipare al dialogo interculturale e realizzarsi pienamente in una società diversa, pluralista, solidale e dinamica, non soltanto in Europa, ma in tutto il mondo
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Prendendo spunto da queste note introduttive, è sembrato utile iniziare l’anno 2007 inaugurando l’Osservatorio sulle Politiche antidiscriminatorie e sulle Pari Opportunità per tutti, con lo scopo di approfondire la norma antidiscriminatoria europea, le sue evoluzioni ed implicazioni ed il conseguente impatto sociale. L’intento è di analizzare ad ampio raggio questa disciplina, che sta acquisendo una crescente rilevanza nell’ambito della tutela dei diritti umani, da un lato inquadrandola nel più ampio contesto dei documenti internazionali in materia e della tradizione del Consiglio d’Europa, dall’altro dedicando spazio a i delicati profili attuativi della norma, tra cui, a titolo esemplificativo: le politiche che sorreggono la legislazione vigente, i processi di implementazione nei diversi Stati membri, la giurisprudenza in materia che sarà elaborata a livello nazionale e soprannazionale, la comparazione con la tutela anti-discriminatoria nei Paesi Terzi, il delicato problema delle discriminazioni multiple, la promozione del dialogo sociale, il multiculturalismo, la cittadinanza attiva.
L’auspicio è di creare un laboratorio caratterizzato da un approccio olistico, comparato e, per quanto possibile, di raffronto tra il dato giuridico ed il diritto vivente, arricchito dai contributi e dagli aggiornamenti di quanti abbiano il piacere di condividere le proprie conoscenze e riflessioni.
Barbara Giovanna Bello
[1] Proposta di Decisione 2005/690 del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa all’Anno europeo delle pari opportunità per tutti (2007) Verso una società giusta (presentata dalla Commissione).
[2] Decisione n. 771/2006/CE del Parlamento Europeo del Consiglio del 17 maggio 2006 che istituisce l’anno europeo delle pari opportunità per tutti (2007) — Verso una società giusta.
[3]E’ degno di nota che abbiano aderito al Programma dell’Anno 2007 anche
Liechtenstein Norvegia ed Islanda.
[4] Unar è l’acronimo dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, costituito con il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, nell’ambito del Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunita’ della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in attuazione della Direttiva comunitaria 2000/43.
[5] Si legge nella Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato Economico delle Regioni “ Una strategia quadro per la non discriminazione e le pari opportunità per tutti”, COM(2005) -689: “L’efficace rimozione degli ostacoli all’occupazione, alla formazione e ad altre opportunità è di vitale importanza. L’Unione europea incontrerà, in effetti, notevoli difficoltà per raggiungere gli obiettivi lungimiranti che si è posta nel campo della crescita economica e della creazione di impiego se determinate categorie di persone vengono escluse dal lavoro e da prospettive migliori perché discriminate in base al sesso, ad un handicap, alla razza, all’età o a motivi d’altro genere. L’esigenza di lottare contro la discriminazione e di inserire nel mercato del lavoro le categorie svantaggiate viene accentuata dalla sfida demografica lanciata all’UE dalla diminuzione di oltre 20 milioni di persone della popolazione in età lavorativa nei prossimi 25 anni”.
[6] Le Direttive sono integrate da un Programma d’azione comunitario
(Decisione del Consiglio 2000/750/CE, del 27 novembre 2000), per combattere le discriminazioni nel periodo 2001-2006,che prevede misure di sostegno.
[7] Parmar S., Situating the EU human rights system in an international human rights context, PhD Thesis European University Institute, Firenze, 2003.
[8] Ispirandosi all’art.21 della carta di Nizza più che all’art. 13 del Trattato di Amsterdam, il Quinto Considerando della Direttiva 2003/109 enuncia: “Gli Stati membri dovrebbero attuare le disposizioni della presente Direttiva senza operare discriminazioni fondate su sesso, razza, colore della pelle, origine etnica sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione convinzioni personali, opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, appartenenza a una minoranza nazionale, censo, nascita, disabilità, età o orientamento sessuale”.
[9]L’art.21, rubricato “Non discriminazione”, proibisce ogni discriminazione “ fondata sul sesso, la pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o orientamento sessuale”.
[10] Sebbene la Decisioneche proclama il 2007 “Anno per le pari opportunità per tutti” si rivolga ancora talvolta ai “cittadini”, contiene un’importante apertura semantica già nell’intitolazione. L’art. 11, inoltre, apre l’anno europeo alla partecipazione
di Stati terzi a)con i quali l’Unione europea ha firmato un trattato di adesione; b) Paesi candidati che beneficiano di una strategia di preadesione, conformemente ai principi generali e alle condizioni generali per la partecipazione di questi paesi ai programmi comunitari stabiliti nel rispettivo accordo quadro e nelle rispettive decisioni dei consigli di associazione;
c) Stati EFTA che sono parti contraenti dell’accordo SEE, conformemente alle disposizioni di tale accordo;
d) i Paesi dei Balcani occidentali, conformemente alle condizioni che saranno stabilite, assieme a tali paesi, negli
accordi quadro, in materia di principi generali che disciplinano la loro partecipazione ai programmi comunitari;
e) i Paesi partner della politica europea di vicinato, conformemente ai principi generali e alle condizioni generali per la partecipazione di questi Paesi ai programmi.
[11]Decisione n. 1983/2006/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre
2006 relativa all’anno europeo del dialogo interculturale (2008).
[12]Il Motto europeo, in inglese “Unity in Diversity” è entrato in uso nel 2000 a seguito di una selezione spontanea, operata sul sito www.devise-europe.org, delle varie proposte inviate da studenti di tutti i Paesi membri, e, infine, accettato dal Presidente del Parlamento Europeo dell’epoca,Nicole Fontane. L’articolo I-8 del Trattato istitutivo di una Costituzione per l’Europa, che statuisce quali siano i simboli dell’Unione, cita per la prima volta ufficialmente il motto, mutandone la dizione in “Uniti nella Diversità”.
[13] Il logo del cinquantenario è stato selezionato mediante il concorso “Buon compleanno UE”, bandito il 6 luglio 2006, a cui hanno preso parte 1701
designer e studenti di
design di tutti gli Stati membri dell’UE. E’ risultato vincitore il logo proposto dal
giovane polacco Szymon Skrzypczak.
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