La legge 257/92, in tema di eliminazione dell’amianto dalle costruzioni, è spesso oggetto di
interpretazioni equivoche e approssimate. E’ quello che emerge dalla sentenza del Tribunale di
Milano, Sez. IV, G.U. Saresella, 27/9/06 – non recentissima ma di grande interesse – resa in
una causa intentata dall’assegnatario di una unità immobiliare di edilizia convenzionata, nei
confronti della cooperativa. L’assegnatario avendo scoperto, dopo la vendita, la presenza di
amianto nella sua casa, ha invocato la disposizione di cui all’art. 1490 c.c., dettato in tema di
vizi della compravendita. Come è noto, in base a tale ultima norma, il venditore è tenuto a
garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è
destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore.
Il compratore decade però dal diritto della garanzia se non denuncia i vizi al venditore entro 8
giorni dalla scoperta, salvo il diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge. L’azione si
prescrive in ogni caso entro un anno dalla consegna, sempreché il compratore non sia
convenuto per l’esecuzione del contratto, perché in tal caso egli può sempre far valere la
garanzia purché il vizio della cosa sia stato denunciato entro 8 giorni dalla scoperta e prima del
decorso dell’anno dalla consegna (art. 1495 c.c.).
In tema di garanzia per i vizi della cosa compravenduta, pacifica giurisprudenza insegna (si
veda, tra le tante, Tribunale Bari, 21/4/2005) che “se, dopo la conclusione del contratto,
"insorge" un vizio prima inesistente, il compratore può proporre nei confronti del venditore
l’ordinaria azione contrattuale di risoluzione o di adempimento, svincolata dai termini di cui
all’art. 1495 c.c.; se invece il vizio "preesiste" alla conclusione del contratto, il compratore può
avvalersi solo della garanzia ex art. 1490 c.c. e dunque esercitare le specifiche azioni di cui
agli art. 1492 e 1494 c.c., nel rispetto dei termini stabiliti dall’art. 1495 c.c., ancorché il vizio si
sia manifestato, e cioè sia stato scoperto, dopo la conclusione del contratto”.
Ma è proprio vero che la pura e semplice presenza di amianto in un immobile abilita
l’acquirente all’azione di garanzia per vizi?
Il disposto di cui all’art. 1, comma 2, della legge 257/92, in tema di eliminazione dell’amianto,
non stabilisce – a pena di nullità – alcun divieto alla vendita di immobili contenenti amianto. La
richiamata disposizione si limita infatti a vietare l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la
commercializzazione e la produzione di amianto e di materiali contenenti amianto nonché lo
smaltimento di tale materiale, nel rispetto delle normative previste dalla decreto legislativo
22/97. E, dunque, la pura e semplice presenza di amianto in un manufatto non può costituire di
per sé né motivo di nullità, né vizio occulto della compravendita, a norma dell’art. 1490 c.c..
In tal senso si è espressa la richiamata pronuncia del Tribunale di Milano 27/9/2006, che ha
così motivato: “la presenza di amianto in sé non costituisce un vizio della cosa, tenuto presente
che la normativa non vieta la presenza di detto materiale in manufatti risalenti alla data di
entrata in vigore della legge 257/92 ma si limita ad imporne, ove ne ricorrano i presupposti
(cfr. i decreti legislativi 277/91 ed ora il decreto legislativo 257/2006), la valutazione del
rischio o comunque la gestione, al punto di evitarne l’offensività o di limitarla nei limiti
accettabili previsti dal legislatore”.
In particolare, nel sistema della Legge 277/1991, non sussiste un obbligo assoluto di rimuove
l’amianto, ma è previsto solo l’obbligo di renderlo innocuo,
anche mediante l’adozione di
soluzioni suggerite dalla tecnica e disponibili sul mercato.
Si tenga presente che il DM 6/9/1994 – che integra le disposizioni legislative della legge
257/92 – tiene distinti i materiali di amianto integri, non suscettibili di danneggiamento, per i
quali non è prevista la bonifica; i materiali integri, suscettibili di danneggiamento, per i quali è
previsto il monitoraggio e, infine, i materiali seriamente danneggiati, per i quali sono previste
operazioni di bonifica mediante rimozione, incapsulamento o sconfinamento dell’amianto.
Solamente nell’ultimo dei casi richiamati, la presenza di amianto in un prodotto può essere
considerato vizio della cosa venduta, posto che l’utilizzo della cosa può esporre l’acquirente,
in assenza di interventi, a pericoli evidenti per la salute e quindi rende inutilizzabile il
manufatto: può infatti definirsi vizio l’imperfezione materiale della cosa, che incide sulla sua
utilizzabilità, rendendola inidonea all’uso a cui è destinata o sul suo valore, diminuendolo in
modo apprezzabile.
Tra l’altro, nel caso esaminato dal Tribunale, la relazione tecnica di indagine ambientale
prodotta dallo stesso acquirente – relazione che richiamava esplicitamente il DM 6/9/94 –
aveva ritenuto che “in definitiva nonostante siano datate le lastre si presentano con un buono
stato di conservazione…sicché si può asserire che l’incremento di fibre…non sia significativo
e tale da costituire un valore incrementale superiore alla norma”. Con la conseguenza che, nel
caso in questione, non potevano sussistere i presupposti per prendere in considerazione un
intervento di bonifica mediante rimozione e che dunque non poteva ritenersi operante l’azione
di garanzia per i vizi della vendita, di cui all’art. 1490 c.c..
La pronuncia ci sembra del tutto condivisibile, ove si tengano presenti le linee portanti della
legge 257/92 e si tenga presente che la pura e semplice presenza di amianto non comporta, di
per sé – a norma dell’art. 1490 c.c. – né l’inutilizzabilità dell’immobile, né il deprezzamento di
valore dello stesso.
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