Le prestazioni intellettuali nei contratti pubblici e l’equo compenso

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“I servizi di natura intellettuale sono, dunque, quelli che, da un lato, richiedono lo svolgimento di prestazioni professionali, svolte in via eminentemente personale, costituenti ideazione di soluzioni o elaborazione di pareri, prevalenti nel contesto della prestazione erogata rispetto alle attività materiali e all’organizzazione di mezzi e risorse (a prescindere dal luogo in cui tali prestazioni devono essere svolte), dall’altro non si sostanziano nella esecuzione di attività ripetitive e di meri compiti standardizzati, che non richiedono cioè l’elaborazione di soluzioni personalizzate per ciascun utente del servizio.” (Consiglio di Stato, sez. V, 21.05.2024 n. 4502).
Questa definizione fornita dal Consiglio ci permette di avere un’idea della figura che svolge una prestazione intellettuale all’interno dell’infrastruttura degli appalti: una figura emblematica e spesso centrale nell’affidamento.
Le prestazioni intellettuali rappresentano un elemento cruciale all’interno dei contratti pubblici, poiché costituiscono una componente essenziale per l’erogazione di servizi che richiedono competenze professionali, know-how tecnico e abilità specifiche. Con l’espressione “prestazioni intellettuali“, come afferma la Corte, sono prestazioni svolte in via personale, che creano soluzioni o pareri personalizzate per ciascun utente, forniti solitamente da professionisti come ingegneri, architetti, avvocati, consulenti e altri specialisti in determinati settori.
Nel contesto dei contratti pubblici, tali prestazioni assumono un’importanza strategica, in quanto supportano la pubblica amministrazione nella pianificazione, sviluppo e gestione di progetti di interesse collettivo, avvalendosi di competenze esterne altamente qualificate. La stipulazione di questi contratti richiede una particolare attenzione alle normative vigenti, al fine di garantire il rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza e parità di trattamento sanciti dalle legislazioni europea e nazionale.
Questo studio intende approfondire l’inquadramento giuridico, le problematiche operative e le dinamiche economiche legate alle prestazioni intellettuali nei contratti pubblici, esaminando anche aspetti quali la responsabilità e la qualità dei servizi erogati. Per approfondire il tema, consigliamo il volume Il lavoro pubblico, che garantisce la approfondita disamina di tutti i temi del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, dalla contrattualizzazione alle novità “in tempo reale” della pandemia e del Governo Draghi.

Indice

1. Definizione di prestazioni intellettuali nei contratti pubblici


“Con riguardo alla interpretazione di tale locuzione, premesso che il Codice dei contratti pubblici non contiene una definizione di servizi di natura intellettuale, il Collegio rileva che la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di evidenziare che: “in coerenza alla ratio dell’art. 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici ciò che differenzia la natura intellettuale di un’attività è l’impossibilità di una sua standardizzazione e, dunque, l’impossibilità di calcolarne il costo orario” e che non può essere qualificato come appalto di servizi di natura intellettuale quello che “ricomprende anche e soprattutto attività prettamente manuali” o che “non richiedono un patrimonio di cognizioni specialistiche per la risoluzione di problematiche non standardizzate” (cfr. C.d.S., Sez. III, sent. n. 1974 del 2020); di conseguenza, per servizi di natura intellettuale si devono intendere quelli che richiedono lo svolgimento di prestazioni professionali, svolte in via eminentemente personale, costituenti ideazione di soluzioni o elaborazione di pareri, prevalenti nel contesto della prestazione erogata rispetto alle attività materiali e all’organizzazione di mezzi e risorse; al contrario va esclusa la natura intellettuale del servizio avente ad oggetto l’esecuzione di attività ripetitive che non richiedono l’elaborazione di soluzioni personalizzate, diverse, caso per caso, per ciascun utente del servizio, ma l’esecuzione di meri compiti standardizzati (C.d.S., Sez. V, n. 1291 del 2021; n. 4806 del 2020).” (C. Stato 22.10.2021, n. 7094)
Come abbiamo potuto appurare nel richiamo alla sentenza di cui sopra e studiando il vigente Codice dei contratti pubblici, il D. Lgs. 36/2023, il testo normativo non contiene una definizione di servizi di natura intellettuale, la giurisprudenza ha evidenziato che:

  • ciò che differenzia la natura intellettuale di un’attività è l’impossibilità di una sua standardizzazione e, dunque, l’impossibilità di calcolarne il costo orario;
  • non può essere qualificato come appalto di servizi di natura intellettuale quello che ricomprende anche e soprattutto attività prettamente manuali o che non richiedono un patrimonio di cognizioni specialistiche per la risoluzione di problematiche non standardizzate.

Quindi, per servizi di natura intellettuale si devono intendere quelli che richiedono lo svolgimento di prestazioni professionali, svolte in via eminentemente personale, costituenti nella formazione di soluzioni tecniche o elaborazione di pareri.
Le prestazioni intellettuali si differenziano dalle altre tipologie di prestazioni contrattuali soprattutto per la loro natura immateriale e per il ruolo centrale che rivestono le competenze professionali. A differenza delle prestazioni che implicano la fornitura di beni fisici o la realizzazione di opere pubbliche, le prestazioni intellettuali consistono nell’offerta di servizi fondati su conoscenze tecniche o scientifiche.
Tra gli esempi più comuni di prestazioni intellettuali rientrano i servizi di consulenza legale, la progettazione architettonica, gli studi di fattibilità tecnica ed economica, oltre alle attività di ricerca e sviluppo. In tutti questi ambiti, la prestazione si basa principalmente sull’attività cognitiva del professionista, che mette a disposizione il proprio know-how e le proprie competenze per rispondere alle esigenze del committente, il quale, nei contratti pubblici, è rappresentato dalla pubblica amministrazione. Per approfondire il tema, consigliamo il volume Il lavoro pubblico, che garantisce la approfondita disamina di tutti i temi del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, dalla contrattualizzazione alle novità “in tempo reale” della pandemia e del Governo Draghi.

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Il lavoro pubblico

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A cura di Alessandro Boscati | Maggioli Editore 2021

2. Il divieto delle prestazioni gratuite


L’articolo 8 del D.Lgs. n. 36/2023 stabilisce un principio fondamentale: il divieto di prestazioni gratuite negli appalti pubblici delle prestazioni d’opera intellettuale. Questa disposizione mira a tutelare la qualità delle prestazioni fornite e a garantire una concorrenza equa tra gli operatori economici.
Il divieto sancisce che, negli appalti pubblici, non è consentito offrire prestazioni a titolo gratuito o con compensi simbolici, salvo eccezioni previste dalla legge. Questo principio nasce dall’esigenza di evitare che, durante le gare d’appalto, vengano proposte offerte con riduzioni di costo significative per la pubblica amministrazione che, però, potrebbero influire negativamente sulla qualità dei beni o dei servizi forniti. Un approccio basato esclusivamente sul ribasso economico rischia, infatti, di svalutare il lavoro e i servizi, compromettendo la qualità delle opere pubbliche. 
Dal punto di vista economico, le prestazioni gratuite possono costituire una risorsa significativa per gli enti pubblici, specialmente in periodi di difficoltà finanziarie. Sponsorizzazioni e donazioni di beni o servizi permettono di realizzare iniziative che, altrimenti, potrebbero non essere finanziate attraverso i fondi pubblici.
Tuttavia, esiste il rischio che la gratuità influisca negativamente sulla qualità delle prestazioni offerte. Gli operatori economici, infatti, potrebbero non avere lo stesso incentivo a garantire standard elevati per servizi o beni forniti senza compenso. Inoltre, il ricorso eccessivo a prestazioni gratuite potrebbe, nel lungo termine, indebolire la capacità degli enti pubblici di negoziare contratti vantaggiosi, generando una dipendenza dal settore privato.
Le prestazioni gratuite nei contratti pubblici rappresentano quindi sia un’opportunità che una sfida. Se regolamentate in modo adeguato e trasparente, possono contribuire alla realizzazione di progetti di interesse pubblico. Tuttavia, è fondamentale assicurarsi che tali pratiche non compromettano i principi di trasparenza, concorrenza e qualità. Gli enti pubblici devono adottare procedure rigorose e garantire un attento monitoraggio di ogni prestazione gratuita, evitando distorsioni del mercato e assicurando il massimo vantaggio per la collettività.
Il divieto di prestazioni gratuite ha anche come obiettivo la tutela del lavoro: impedire la svalutazione del lavoro e delle prestazioni professionali, proteggendo i diritti dei lavoratori coinvolti nei progetti pubblici.
In definitiva, l’articolo 8 del D.Lgs. n. 36/2023 consolida i principi di equità, trasparenza e qualità negli appalti pubblici, vietando le prestazioni gratuite per tutelare la concorrenza e assicurare l’efficacia dei servizi e delle opere realizzate per la pubblica amministrazione.

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3. L’equo compenso


L’art. 1 della L. 49/2023 definisce per equo compenso “la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti rispettivamente:
a) per gli avvocati, dal decreto del Ministro della giustizia emanato ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247;
b) per i professionisti iscritti agli ordini e collegi, dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27;
c) per i professionisti di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 2013, n. 4, dal decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e, successivamente, con cadenza biennale, sentite le associazioni iscritte nell’elenco di cui al comma 7 dell’articolo 2 della medesima legge n. 4 del 2013.”
L’equo compenso viene calcolato sulla base dei parametri stabiliti da decreti ministeriali per le diverse categorie professionali. Questi parametri servono a determinare la remunerazione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale.
L’equo compenso negli appalti rappresenta una garanzia per evitare che professionisti e imprese vengano penalizzati da una concorrenza sleale o da compensi non proporzionati al lavoro svolto. Tuttavia, la sua piena attuazione richiede un equilibrio tra competitività e sostenibilità economica, oltre a un sistema efficace di controlli e sanzioni.
Come possiamo vedere qui di seguito, la normativa prevista dal Codice dei contratti pubblici sull’equo compenso è in contrasto con L. 49/2023, entrata in vigore successivamente al d. lgs. 36/2023:
“La quaestio iuris rimessa all’esame del Collegio attiene ai rapporti tra la normativa sull’equo compenso di cui alla L. 49/2023 e le procedure di gara dirette all’affidamento di servizi di ingegneria e architettura.
Su tale questione, come è noto, all’indomani dell’entrata in vigore della L. 21 aprile 2023, n. 49 sono andati profilandosi nelle prime prassi applicative due contrapposti orientamenti interpretativi, sostenendosi, da un parte, l’assenza di antinomia tra la legge n. 49/2023 e la disciplina dei contratti pubblici, con conseguente piena operatività delle previsioni dettate dalla prima anche nel campo dell’evidenza pubblica; e affermandosi, in senso opposto, dall’altra parte, l’incompatibilità tra i due sistemi normativi, con esclusione dell’applicazione delle regole del c.d. ‘equo compenso’ alle procedure di gara regolate dal codice dei contratti pubblici.
In sintesi, a fondamento della prima tesi (riconducibile a TAR Veneto, sez. III, 3 aprile 2024, n. 632 e TAR Lazio, sez. V ter, 30 aprile 2024, n. 8580), è stata valorizzata, anzitutto, la previsione contenuta nell’art. 8 del d.lgs. n. 36/2023, là dove, oltre a sancirsi il divieto, salvo casi eccezionali, di prestazioni d’opera intellettuale a titolo gratuito, è stato imposto, in via generale, alla pubblica amministrazione di “garantire comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso”. (TAR Calabria N. 483/2024)
 
Il Tribunale ha:

  • escluso che un ribasso dell’importo a base di gara oltre le soglie previste dal D.M. possa compromettere le finalità di tutela dei professionisti stabilite dalla L. 49/2023. Tale legge si applica ai rapporti professionali che riguardano prestazioni d’opera intellettuale, come previsto dall’art. 2230 del Codice civile, e in generale a quei rapporti contrattuali in cui il committente riveste una posizione dominante, richiedendo quindi il ripristino dell’equilibrio sinallagmatico;
  • stabilito che, sebbene l’equo compenso sia previsto anche per i rapporti con la pubblica amministrazione, ciò non implica automaticamente la sua applicazione nelle contrattazioni soggette alle regole dell’evidenza pubblica. Al contrario, i contratti pubblici che riguardano la prestazione di servizi di ingegneria e architettura sono generalmente considerati appalti secondo l’art. 1655 del Codice civile.

“In tale ottica andrebbero precipuamente lette le disposizioni di seguito richiamate: l’art. 8, comma 2, il quale prevede che la pubblica amministrazione garantisce l’applicazione del principio dell’equo compenso; l’articolo 41, comma 15, che fissa la modalità per l’individuazione dei corrispettivi da porre a base di gara facendo riferimento alle tabelle contenute nell’allegato I.13; l’art. 108, comma 2, là dove individua, quale criterio di aggiudicazione per i servizi tecnici di importo pari o superiore a 140.000,00 euro quello del miglior rapporto qualità-prezzo, garantendo un’adeguata valutazione dell’elemento qualitativo. Nella stessa direzione andrebbe letta la previsione relativa all’applicazione di specifici meccanismi volti a scongiurare la presentazione di offerte eccessivamente basse e, quindi, non sostenibili (la disciplina sull’anomalia dell’offerta, la possibilità di prevedere un’appropriata ponderazione tra punteggio qualitativo ed economico, la possibilità di utilizzare formule per il punteggio economico che disincentivino eccessivi ribassi).”
[…]
“Ed infatti, il regime dell’equo compenso non derogherebbe, bensì integrerebbe “il sistema dei contratti pubblici, senza frustrarne la sostanza proconcorrenziale di derivazione euro-unitaria (artt. 49, 56, 101 TFUE, 15 della dir. 2006/123/CE), e, quindi, senza elidere in radice la praticabilità del ribasso sui corrispettivi professionali, la cui determinazione non è da intendersi rigidamente vincolata a immodificabili parametri tabellari, ma la cui congruità (in termini di equilibrio sinallagmatico) rimane, in ogni caso, adeguatamente assicurata dal modulo procedimentale di verifica all’uopo codificato, quale, appunto, quello dell’anomalia dell’offerta con riferimento al ribasso praticato sul corrispettivo dei servizi di progettazione”. In altri termini, il Codice dei contratti pubblici, tramite il subprocedimento di verifica di anomalia delle offerte, appresterebbe “meccanismi idonei ad evitare che le prestazioni professionali siano rese a prezzi incongrui, consentendo, nel contempo, alle amministrazioni di affidare gli appalti a prezzi più competitivi”. (TAR Catania 483/2024)
La legge n. 49/2023, entrata in vigore il 20 maggio 2023, non ha espressamente derogato al Codice dei contratti pubblici, come richiesto dall’art. 227. Da questo si può dedurre che essa non si applichi al settore degli appalti pubblici, un elemento testuale significativo.
Inoltre, il Codice dei contratti pubblici persegue già gli obiettivi della legge n. 49/2023 all’art. 8 del D. Lgs. 36/2023, pur rispettando il diritto europeo e i principi generali da esso stabiliti, adeguandosi alle specifiche dinamiche delle gare pubbliche.
Riguardo a questo aspetto, è stato evidenziato che l’imposizione di tariffe minime non soggette a ribasso potrebbe entrare in conflitto con il diritto dell’Unione Europea, che richiede la tutela della concorrenza. Come chiarito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 4 luglio 2019 (causa C-377/2017), le tariffe minime e massime per i compensi professionali sono vietate perché incompatibili con le normative UE, a meno che non sussistano ragioni di interesse pubblico, come la protezione dei consumatori, la qualità dei servizi e la trasparenza dei prezzi.
In conclusione, il legislatore ha volute porre rimedio ad una concorrenza sleale e per nulla equa garantendo l’interesse pubblico ponendo il divieto delle prestazioni gratuite e tutelando l’equo compenso per le prestazioni d’opera intellettuale, tutelando non solo la concorrenza, ma proteggendo anche un elemento fondamentale per il nostro ordinamento: il diritto al lavoro, come sancito dall’art. 1 della nostra Costituzione.

Samuele Raimondi

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