Processo penale e presunzioni legali

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Le presunzioni legali sono una categoria di presunzioni, ossia ipotesi, in cui la legge risale, in via logico-deduttiva, da un fatto noto ad uno ignoto. Ex articolo 2728 cc “Le presunzioni legali dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite. Contro le presunzioni sul fondamento delle quali la legge dichiara nulli certi atti o non ammette l’azione in giudizio non può essere data prova contraria, salvo che questa sia consentita dalla legge stessa”. La Corte di Cassazione nella sentenza in questa sede considerata, entra nel merito della rilevanza processuale delle presunzioni tributarie ai fini di fondare una sentenza penale di condanna. Dalla disamina delle motivazioni e delle argomentazioni in sentenza tuttavia possiamo tratte dei principi utili al chiarimento del confine logico nell’utilizzo delle presunzioni oltre l’ambito penale e finanche in ambito amministrativo.

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Corte di Cassazione – Sez. III pen.– Sent. n. 44170 del 04-07-2023u003cbru003e

Indice

1. La sentenza


La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44170/2023, è intervenuta con riferimento alla rilevanza processuale delle presunzioni tributarie ai fini di fondare una sentenza penale di condanna.
Ha affermato con decisione che il diritto penale tributario resta pur sempre diritto penale e non fornisce alcuno strumento per la repressione delle violazioni tributarie, altrove disciplinate, pur a fronte del comune oggetto di tutela, come individuato dall’art. 52 della Costituzione. 
Non vi è spazio nel processo penale di cognizione per l’ingresso di presunzioni, tantomeno legali, ma solo di indizi, valorizzabili a fini di prova nei limiti e modi indicati dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. 
Chiarito che al legislatore penale non interessa il recupero del gettito fiscale, la sentenza in commento ha ricordato come il dolo specifico di evasione segna il punto di frattura più grave tra l’atteggiamento antidoveroso dell’autore del fatto illecito, e, nei reati in materia di dichiarazioni fiscali giustifica, rispetto agli omologhi illeciti amministrativi, la reazione punitiva dello Stato e ne spiega la rilevanza penale, che si giustifica solo in costanza della piena consapevolezza della illiceità del fine e del mezzo.
Cassando la sentenza con rinvio alla Corte di Appello competente la Corte censura in maniera esplicita le “motivazioni acritiche” rappresentate nella sentenza di appello cassata e cogliendo l’occasione per rimarcare il principio di non cittadinanza delle presunzioni legali a fondamento del diritto penale.

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2. La ricostruzione della Corte sulle presunzioni legali


Nella ricostruzione della Corte “… il Tribunale aveva ritenuto il superamento della soglia di punibilità di cui all’art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000, acriticamente recependo (senza dare, cioè, conto dei criteri di valutazione del dato probatorio) il ragionamento dell’Ente impositore, compendiato nell’avviso di accertamento richiamato dalla sentenza, che aveva calcolato il volume di affari in considerazione delle esistenze iniziali.”
Ed aggiunge che “In sede di appello l’imputato aveva contestato l’acritico recepimento, in sede penale, del ragionamento induttivo … Aveva lamentato, inoltre, la mancanza, nel fascicolo del dibattimento, del PVC della GdF dell’avviso di accertamento, richiamati dall’informativa di reato ma ad essa mai allegati … Dunque, il ragionamento induttivo si basava su dati contenuti in atti mai prodotti ed era connotato da profili di contraddittorietà.” Commentando sulla base di questi fatti che “Nel disattendere i rilievi difensivi, la Corte di appello si è limitata a dare atto della «documentazione acquisita al fascicolo del dibattimento (in particolare il rapporto dell’Agenzia delle Entrate e relativi allegati)»”
Nel ragionamento della Corte “prima ancora di stabilire se le presunzioni tributarie (semplici o gravi che siano) possano trovare ingresso nel processo penale e fondare una sentenza di condanna, è necessario che comunque il giudice dia conto dell’esistenza del fatto indiziante, in mancanza del quale è impossibile – già sul piano logico – sostenere l’esistenza dell’indizio stesso.  Nel caso di specie l’imputato si era giustamente doluto in appello della mancanza (fisica) degli atti posti a base del ragionamento induttivo (divenuto accusatorio in sede penale), ma i Giudici distrettuali hanno totalmente negletto tale censura, limitandosi a ribadire la correttezza dei risultati conseguiti dalla Guardia di Finanza in sede di accertamento fiscale.”

3. Il confine tra diritto penale tributario e diritto penale


Quanto alla possibilità di utilizzare le “presunzioni tributarie” nel processo penale, il Collegio osserva quanto segue.
“Il diritto penale tributario si caratterizza per la sua specialità che gli deriva dalla particolare materia che ne costituisce l’oggetto, ma resta pur sempre diritto penale, diritto cioè dei comportamenti ritenuti lesivi di beni giuridici o di valori ad essi preesistenti, non diritto degli atti o degli interessi regolati dalle norme tributarie e certamente non dell’obbligazione tributaria.
In quanto “diritto penale”, esso si caratterizza per la sua natura autonoma e costitutiva rispetto alle altre branche del diritto, essendo stata da tempo ripudiata, per l’incandescenza del suo oggetto (la libertà personale), la teoria della funzione meramente sanzionatoria di istituti di altri rami del diritto.
Il diritto penale tributario non fornisce l’armamentario necessario a reprimere la violazione degli obblighi tributari altrove disciplinati. Non v’è dubbio che il comune oggetto di tutela sia il dovere previsto dall’art. 53, Cost. quale specifica articolazione del più generale dovere di solidarietà di cui all’art. 2, Cost., ma tale tutela non viene penalmente perseguita in modo indiretto, sanzionando puramente e semplicemente gli obblighi tributari altrove disciplinati nell’an, nel quomodo e nel quando. Al legislatore penale tributario non sta a cuore il recupero in sé del gettito fiscale evaso, né il corretto adempimento dell’obbligazione tributaria, ma esclusivamente la decisione circa la natura illecita delle condotte e l’irrogazione delle relative sanzioni nel contesto dei principi fissati dall’art.27 della Costituzione.”

4. La funzione della pena


Ragionamento poi rafforzato dal più ampio argomento della funzione della pena. 
Nel ragionamento della Corte “la funzione della pena, l’inviolabilità della libertà personale che viene in gioco, la ineliminabile valorizzazione degli elementi soggettivi della condotta che innervano e danno sostanza alla natura esclusivamente personale della responsabilità penale e alla funzione rieducativa della pena, impongono una lettura “autonoma” delle norme penali tributarie, secondo i canoni interpretativi che l’inviolabilità del bene potenzialmente a rischio impongono (i soli “casi e modi previsti dalla legge”.- scilicet penale – entrata in vigore prima del fatto commesso)… Il disvalore espresso dalla condotta penalmente sanzionata, dunque, deve essere individuato esclusivamente all’interno della norma che la descrive che deve essere a sua volta applicata in conformità ai principi di stretta legalità, tassatività e determinatezza che governano l’interpretazione della legge penale, rifuggendo pertanto dalle sempre possibili suggestioni che il comune oggetto della materia trattata può comportare e che possono determinare il rischio sia di non ammesse interpretazioni analogiche che di scorciatoie probatorie volte ad attrarre nella fattispecie penale la pura e semplice constatazione dell’inadempimento dell’obbligo tributario che la norma stessa non ritiene sufficiente ai fini della punibilità dell’autore.”
E aggiunge e specifica che “la presenza nella fattispecie penale di elementi normativi altrove disciplinati non può rappresentare la falla attraverso la quale il travaso di istituti giuridici di altri rami del diritto possa geneticamente mutare la norma penale. Gli elementi normativi della fattispecie sono parte integrante di una norma che ha ad oggetto, come detto, i comportamenti e dunque la persona prima di tutto e persegue interessi diversi da quelli disciplinati dalla fonte di appartenenza.

5. Gli strumenti propri del giudice penale


Nel suo giudizio “il giudice penale deve utilizzare gli strumenti posti a sua disposizione dal codice di rito e, soprattutto, adottare il criterio di giudizio dell’a/ di là di ogni ragionevole dubbio che costituisce il corollario della presunzione di innocenza costituzionalmente imposto dall’art. 27, comma secondo, Cost.. Il giudice non può, di conseguenza, far ricorso alle presunzioni tributarie semplici che, comportando l’inversione dell’onere della prova, sovvertono alla radice il principio della presunzione di innocenza dell’imputato, nemmeno quando ricorrono i casi previsti dall’art. 39, comma 2, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 … Il giudice penale può utilizzare le informazioni e i dati acquisiti dagli uffici finanziari … ma non può avvalersi degli stessi criteri di giudizio per l’accertamento presuntivo dell’imposta dovuta giustificato, sul piano fiscale, dal comportamento non collaborativo del contribuente, né gli è preclusa la possibilità di acquisire e utilizzare, a fini di accertamento del reato, gli atti, i documenti, i libri e i registri non esibiti o non trasmessi dal contribuente che quest’ultimo può utilizzare in sede tributaria solo se dimostri di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici finanziari per cause a lui non imputabili … In conformità a quanto prevede l’art. 220, disp. att. cod. proc. pen., può utilizzare, a fini di ricostruzione del fatto, il processo verbale di accertamento o di constatazione (ma non le valutazioni e i giudizi in essi contenuti) e le giustificazioni e i chiarimenti sollecitati in sede precontenziosa al contribuente …purché tali atti siano stati redatti e assunti prima che emergano anche semplici dati indicativi di un fatto apprezzabile come reato.”
L’indagine che il giudice penale deve compiere deve essere volta all’accertamento autonomo e diretto degli elementi costitutivi del reato secondo i canoni propri del processo penale.
Nelle parole della Corte “…trattandosi di reati e, dunque, dell’esercizio della giurisdizione penale, la sussistenza del “reato tributario”, sotto ogni suo aspetto (oggettivo e soggettivo), deve essere autonomamente accertata dal giudice penale secondo le norme del codice di procedura penale (artt. 1 e 2, cod. proc. pen.), imponendosi il rispetto di tali norme anche in sede ispettiva, quando – come detto – emergano fatti apprezzabili come reato.”
Ne consegue che non v’è spazio nel processo penale di cognizione per l’ingresso di presunzioni (tantomeno legali) ma solo di indizi, valorizzabili a fini di prova nei limiti e modi indicati dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., valendo, per il processo penale, uno statuto probatorio suo proprio necessariamente strumentale al tendenziale accertamento della verità (i.e., della corrispondenza al vero) del fatto contestato nell’editto accusatorio.

6. Il confine tra illecito penale e illecito tributario


Nel tracciare quindi un confine specifico tra illecito penale e la dimensione dell’illecito tributario., la Corte specifica che “Il reato è illecito di modo; il dolo di evasione è volontà di evasione dell’imposta mediante le specifiche condotte tipizzate dal legislatore penale- tributario. Se per il legislatore penale tributario nemmeno l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, o le false rappresentazioni contabili e i mezzi fraudolenti per impedire l’accertamento delle imposte, sono sufficienti ad attribuire penale rilevanza alle condotte di cui agli artt. 2 e 3, d.lgs. n. 74 del 2000, essendo necessario il fine di evasione, a maggior ragione il “dolo di omissione” non solo non può essere ritenuto sufficiente a integrare, sul piano soggettivo, il reato di cui all’art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000, ma nemmeno può essere confuso con il dolo di evasione. La volontà omissiva prova la consapevolezza della sussistenza dell’obbligazione tributaria e del suo oggetto, e dunque di uno o alcuni degli elementi costitutivi della fattispecie, non prova il fine ulteriore della condotta…. Il dolo di evasione esprime l’autentico disvalore penale della condotta e restituisce alla fattispecie la sua funzione selettiva di condotte offensive ad un grado non ulteriormente tollerabile del medesimo bene tutelato anche a livello amministrativo. L’inviolabilità della libertà personale costituisce il metro di misura della rilevanza penale di condotte che potrebbero essere sanzionate in altro modo. Al legislatore penale non interessa il recupero del gettito fiscale ma della persona. Il dolo specifico di evasione, per la sua forte carica intenzionale, segna il punto di frattura più grave tra l’atteggiamento antidoveroso dell’autore del fatto illecito, l’ordinamento giudico ed il bene protetto, un punto di non ritorno che giustifica il sacrificio della inviolabilità della libertà personale in considerazione del livello di aggressione al bene e della funzione rieducativa della pena. È proprio questo scopo che nei reati in materia di dichiarazioni fiscali giustifica, rispetto agli omologhi illeciti amministrativi, la reazione punitiva dello Stato e ne spiega la rilevanza penale che si giustifica solo in costanza di condotte poste in essere nella deliberata ed esclusiva intenzione di sottrarsi al pagamento delle imposte nella piena consapevolezza della illiceità del fine e del mezzo.”
E chiudendo sul caso specifico “non si può ritenere sufficiente, ai fini della prova del dolo specifico, la mera consapevolezza dell’entità dell’imposta evasa; l’entità dell’imposta evasa costituisce solo uno degli elementi del fatto tipico, la cui consapevolezza potrebbe, al più, giustificare un addebito a titolo di dolo generico, non di certo di dolo specifico che richiede un quid pluris rispetto alla mera consapevolezza dell’oggetto dell’omissione. Tale dato può essere certamente valorizzato insieme con altri dai quali possa essere tratta la convinzione che l’omissione era finalizzata all’evasione dell’Imposta: il mancato pagamento postumo dell’imposta evasa, in tempi naturalmente ragionevoli e non, per esempio, a distanza di anni, può certamente essere preso in considerazione; così come può essere utilmente valutata la reiterazione dell’omissione per più anni di imposta o, come nel caso di specie, il disinteresse rispetto alle richieste e verifiche tributarie. In ultima analisi deve essere ripudiato un metodo di accertamento del dolo che si risolve nella (indiretta) affermazione del dolus in re ipsa… Il dubbio idoneo ad introdurre una ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti è soltanto quello «ragionevole», ovvero quello che trova conforto nella logica, sicché, in caso di prospettazioni alternative, occorre comunque individuare gli elementi di conferma dell’ipotesi ricostruttiva accolta, non potendo il dubbio fondarsi su un’ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile”.

7. Una visione estesa dei principi della sentenza ai procedimenti amministrativi


Vero che la Corte si esprime in materia penale – materia di cui più volte nella ampiamente citata sentenza si evidenzia la specificità, soprattutto mettendo in rilievo i valori di libertà costituzionalmente garantiti in maniera cristallina – ma appare, a chi scrive, che quanto evidentemente e fortemente cassato in questa sede (ovvero avvalersi si presunzioni), costituisca un ampiamente diffuso costume in sede amministrativa.
In alcuni casi sfociando la presunzione nella base per una interpretazione discrezionale analogica atecnica, cui viene offerto l’unico rimedio – spesso forzato – del ricorso al giudice amministrativo.
È questo il caso ad esempio del diniego sulla base della “interpretazione dell’attività in concreto dell’istante anche in presenza del codice ateco ammesso”, piuttosto dei casi in cui “l’appartenenza, o l’esclusione da una categoria” viene presunta, e nemmeno sulla base di un indizio di presunzione legale, ma sulla base di una interpretazione più che letterale, letteraria, quando non direttamente sulla base della “esperienza personale (non tecnica)” del soggetto valutatore.
Valorizzando il più ampio e generale principio della certezza del diritto – che certamente ha in sede penale maggiore e granitico rilievo – la sentenza in oggetto di commento ha più ampio respiro se consideriamo alcuni elementi, tra cui il richiamo alla necessità di una motivazione critica, e non semplicemente ripetitoria delle risultanze, la necessità di fornire un pieno accesso documentale (nel caso trattato mancavano tuti i documenti della GdF a fondamento della sentenza, ma quante volte le PA non forniscono un pieno accesso agli atti procedimentali, nemmeno in sede di costituzione presso i Tribunali Amministrativi?) la necessità di una valorizzazione dell’esclusione di ricostruzioni divergenti, la rilevanza secondaria e minore da dare alle “presunzioni” in sede motivazionale a fondamento della decisione, una più stretta aderenza tra scopo della norma (anche quella speciale) e valutazione della condotta, e in definitiva un maggiore rigore e rispetto dei principi generali (del diritto e della legge specifica considerata).
Nelle parole della Corte si deve rifuggire “il rischio sia di non ammesse interpretazioni analogiche che di scorciatoie probatorie volte ad attrarre nella fattispecie penale la pura e semplice constatazione”, esattamente come “la presenza nella fattispecie penale di elementi normativi altrove disciplinati non può rappresentare la falla attraverso la quale il travaso di istituti giuridici di altri rami del diritto possa geneticamente mutare la norma penale. Gli elementi normativi della fattispecie sono parte integrante di una norma che ha ad oggetto, come detto, i comportamenti e dunque la persona prima di tutto e persegue interessi diversi da quelli disciplinati dalla fonte di appartenenza.”
Questi punti – a parere di chi scrive – esulano dal caso e della materia trattata – e possono ampiamente assurgere a criteri e valori più ampi e generali in tutte le aree del diritto.

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Michele Di Salvo

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