Indice
- Cenni sul reato di invasione di terreni e di edifici
- Il decreto legge n.162 del 31 ottobre 2022
- Conclusioni
1. Cenni sul reato di invasione di terreni e di edifici
Per cercare di comprendere meglio il provvedimento normativo è opportuno soffermarsi brevemente sul reato di invasione di terreni e di edifici che presenta delle analogie con la nuova normativa.
Il reato di invasione di terreni o edifici è previsto dall’art. 633 c.p., secondo cui “Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032.
Si applica la pena della reclusione da due a quattro anni e della multa da euro 206 a euro 2.064 e si procede d’ufficio se il fatto è commesso da più di cinque persone o se il fatto è commesso da persona palesemente armata.
Se il fatto è commesso da due o più persone, la pena per i promotori o gli organizzatori è aumentata”.
Si tratta di un reato comune, che dunque può essere commesso anche dal proprietario nei confronti del conduttore o altro soggetto che abbia il possesso dell’immobile, in quanto tale fattispecie richiede che l’agente non abbia il possesso o la disponibilità del bene.
L’invasione non deve, però, necessariamente avvenire attraverso il ricorso alla violenza fisica, ma deve sempre essere arbitraria ovvero posta in essere senza titolo autorizzativo.
La disposizione in esame è quindi diretta a tutelare l’inviolabilità e l’integrità della proprietà immobiliare, specificatamente intesa come diritto d’uso e godimento di tali beni.[1]
Il delitto può essere commesso da chiunque, anche dal proprietario stesso, in pendenza di un rapporto di locazione.
L’elemento materiale non è l’occupazione, ma l’invasione del terreno o dell’edificio, ovvero l’introduzione arbitraria nel terreno altrui, e se è esatto sostenere che la permanenza non deve essere momentanea, non è necessario che essa si protragga per lungo tempo, purché sia rivolta all’occupazione o abbia come scopo altre utilità.
Inoltre, la nozione di invasione non si riferisce ad un aspetto violento della condotta, che può anche mancare, ma al comportamento di colui che si introduce arbitrariamente.
La condotta, però, non è scriminata ex articolo 54 c.p., qualora lo stato di necessità non metta seriamente in pericolo la vita o altro diritto fondamentale dell’occupante abusivo. La mera esigenza abitativa non è pertanto causa di esclusione della punibilità.
Si tratta, quindi, di un reato permanente in quanto lo stato antigiuridico duraturo, realizzatosi in seguito alla sua consumazione, viene mantenuto attraverso un’ininterrotta condotta dell’agente, il quale può farlo cessare in qualsiasi momento con un atto della sua volontà.
È ammesso il tentativo qualora, ad esempio, non appena sia avvenuta l’introduzione, il colpevole venga espulso dall’immobile, senza che si sia potuta verificare una limitazione nella sfera giuridica del soggetto passivo, delle facoltà inerenti all’esercizio della proprietà o del possesso.
Per quanto concerne l’elemento psicologico del reato, ai fini dell’integrazione del delitto in esame, è necessario che sussista, in capo all’agente, il dolo specifico, quale coscienza e volontà di invadere un immobile altrui con il fine specifico di occuparlo o di trarne, comunque, un profitto.
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2. Il decreto legge n.162 del 31 ottobre 2022
Il provvedimento interrompe la cattiva prassi di pubblicare nella Gazzetta Ufficiale i decreti legge a distanza di molti giorni dalla loro adozione, come avvenuto di frequente negli ultimi anni. Infatti il decreto è stato pubblicato il giorno stesso della sua approvazione.
Il testo del decreto, all’articolo 5, inserisce nel corpo del codice penale, dopo l’articolo 434, l’art. 434-bis rubricato “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”, così modificando le norme relative all’invasione di terreni o edifici, pubblici o privati, con la previsione della reclusione da 3 a 6 anni e della multa da 1.000 a 10.000 euro, se il fatto è commesso da più di 50 persone allo scopo di organizzare un raduno dal quale possa derivare un pericolo per l’ordine pubblico o la pubblica incolumità o la salute pubblica.
Per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita. In ipotesi di condanna o applicazione della pena su richiesta delle parti, si prevede la confisca delle cose utilizzate per commettere il reato[2].
Il rischio di avere una condanna è dunque anche per chi partecipa all’evento. Nei loro confronti il giudice, al termine del processo, deve applicare una diminuzione di pena che può arrivare fino ad un terzo rispetto al massimo della pena prevista.[3]
Secondo il governo, si introduce una previsione normativa dotata di maggior efficacia deterrente sulla base di una logica di prevenzione cui già si ispirano altre sanzioni del nostro ordinamento giuridico.
Già presente in altri Paesi, la norma voluta per contrastare i raduni illegali, i cosiddetti rave party, offre nuovi e più efficaci strumenti grazie ai quali si potrà intervenire tempestivamente per porre un freno ad un fenomeno che risulta particolarmente dispendioso per lo Stato, e dunque per la collettività, poiché rende necessario l’impiego di ingenti risorse e il coinvolgimento di numerosi operatori delle Forze dell’ordine.
In buona sostanza, è stato introdotto un delitto che punisce i raduni illegali, per tali dovendosi intendere tutti quelli a cui partecipano più di 50 persone, occupando abusivamente terreni o edifici per organizzare eventi dai quali può derivare pericolo “per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”.[4]
A essere puniti sono tanto gli organizzatori quanto i semplici partecipanti: i primi con la reclusione da tre a sei anni (e con la multa da 1.000 a 10mila euro), i secondi con pena diminuita.
È inoltre prevista la confisca delle cose utilizzate per commettere e organizzare l’invasione arbitraria.
Tale reato ha destato immediatamente polemiche e sono tre le principali contestazioni principali che vengono eccepite:
- il delitto non parla espressamente di rave, con la conseguenza che potrebbero essere puniti anche i partecipanti di una manifestazione pacifica;
- il reato di invasione di terreni o edifici già esisteva;
- la pena è sproporzionata, col risultato aberrante di sanzionare molto più pesantemente chi organizza una festa rispetto a chi, ad esempio, si rende autore di una lesione personale.
Pertanto, poiché il nuovo delitto che sanziona i raduni illegali non specifica quali riunioni punisce, ci sarebbe il concreto pericolo che il reato pregiudichi chi, esercitando il proprio diritto costituzionale di manifestare il proprio pensiero, voglia mettere in atto delle forme di protesta organizzando un corteo o un sit-in.
Si ritiene, in linea di massima, che tale pericolo non sussista perché la norma ha un raggio di azione in buona parte definito.
Per converso, la norma potrebbe legittimamente essere applicata agli studenti che occupano abusivamente le scuole, poichè anche in questo caso, teoricamente, la manifestazione potrebbe sfociare in comportamenti pericolosi per l’ordine pubblico, oltre a determinare un’interruzione di pubblico servizio, con la conseguenza che la polizia sarebbe sempre legittimata a intervenire per ordinare lo sgombero.
Non si ritiene, invece, che il nuovo decreto possa consentire alla polizia di intervenire anche in presenza di cortei sindacali dei lavoratori, in quanto l’art. 39 della Costituzione sancisce espressamente che l’organizzazione sindacale è libera e fa quindi salva la possibilità di manifestare legittimamente.
In sostanza, quindi, il provvedimento non determina il pericolo di una repressione generalizzata della libertà di espressione del pensiero e di manifestazione pubblica in quanto la norma punisce solo i raduni abusivi da cui può derivare un pericolo effettivo per l’ordine pubblico, l’incolumità pubblica o la salute pubblica; tali non sarebbero i cortei, i sit-in e le altre forme di protesta pacifiche.
Lo stesso Viminale ha testualmente affermato che “La norma anti-rave illegali interessa una fattispecie tassativa che riguarda la condotta di invasione arbitraria di gruppi numerosi tali da configurare un pericolo per la salute e l’incolumità pubbliche”.
Peraltro, c’è da dire che già prima dell’entrata in vigore del nuovo decreto legge, la legge stabiliva l’obbligo di chiedere il permesso per una manifestazione, quando questa deve svolgersi in un luogo pubblico.
La Costituzione all’art. 21 prevede, infatti, che tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente, senza portare armi con sé.
Tuttavia, quando le riunioni avvengono in luogo pubblico deve essere dato preavviso al questore territorialmente competente, con almeno tre giorni di anticipo rispetto all’evento, che può vietarle per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica (Art. 18 TULPS).
Quindi, poiché la legge ha previsto che, per organizzare una manifestazione in luogo pubblico, occorra dare il preavviso alle autorità, non vi sarebbe nessuna anomalia nel voler punire i raduni illegali organizzati su suolo pubblico o privato.
In realtà la formulazione della norma non specifica in concreto le fattispecie concrete in cui viene commesso il reato. È per questo motivo che alcuni autori ritengono che il nuovo reato sia privo di “tassatività”, nel senso che non sono indicati dettagliatamente gli estremi del fatto penalmente rilevante, e cioè quando un raduno diventa pericoloso per l’ordine pubblico, l’incolumità o la salute pubblica.
Anche il numero dei partecipanti necessario a far scattare il reato pone degli interrogativi. Nel caso in cui il numero iniziale di “partecipanti” era inizialmente inferiore a 50 ma poi, per progressive aggiunte, tale quorum viene raggiunto e superato, scatterebbe lo stesso il reato in capo all’organizzatore, il quale aveva previsto molte meno persone? A risponderne penalmente, poi, sarebbero anche i partecipanti?
La norma, infatti, non chiarisce se l’organizzazione del raduno debba prevedere sin dall’inizio almeno 51 partecipanti (la legge parla di “un numero di persone superiore a 50”) per costituire reato oppure se tale soglia possa essere raggiunta anche progressivamente e integrare comunque l’illecito.
Un’altra censura al nuovo decreto riguarda l’esistenza di un delitto del tutto simile a quello appena introdotto e cioè quella invasione di terreni o di edifici di cui si è fatto cenno sopra.
In effetti, questo delitto presenta delle analogie a quello dei raduni illegali, sia perché punisce l’invasione di terreni o edifici, pubblici o privati, sia perché prevede pene più severe quando il fatto è commesso da più persone (almeno sei).
Tuttavia, si ritiene che la nuova fattispecie sia sostanzialmente diversa dalla precedente per tre ragioni:
- il nuovo delitto tutela l’ordine pubblico, l’incolumità o la sanità pubblica, cioè le condizioni di tranquillità e di benessere della società, tant’è vero che è stato inserito all’interno dei delitti contro l’ordine pubblico. Il precedente reato di invasione di terreni e di edifici, invece, come visto, tutela la proprietà e il patrimonio;
- il nuovo reato, proprio perché protegge l’ordine pubblico, stabilisce pene più severe, evitando così che la competenza sia devoluta al giudice di pace (come avviene invece per il reato di invasione di terreni ed edifici, quando non ricorre l’ipotesi aggravata);
- il nuovo reato che sanziona i raduni illegali è procedibile d’ufficio, al contrario di quello di invasione di terreni o edifici, che è procedibile a querela di parte (salvo il ricorrere delle ipotesi aggravate).
Inoltre, il nuovo reato prevede, come già detto, una sanzione rilevante: da 3 a 6 anni per gli organizzatori e promotori, mentre è diminuita per i partecipanti.
Ovviamente, le pene previste per i rave party si aggiungerebbero a quelle, eventuali, stabilite per altri reati che possono essere commessi all’interno del raduno stesso, come, ad esempio, lo spaccio di droga.
La scelta di prevedere pene così elevate per gli organizzatori di rave party e altri raduni illegali ha anche un’altra conseguenza: quella di consentire alla polizia di effettuare intercettazioni. Proprio per questo motivo la stessa maggioranza di governo ha deciso, in sede di conversione del decreto, di ridurre la pena massima a cinque anni di reclusione.
Infine, sempre il decreto in esame ha previsto la possibilità di applicare misure di prevenzione personali (come la sorveglianza speciale) per gli indiziati dell’invasione per raduni pericolosi.
3. Conclusioni
In conclusione si ritiene che il provvedimento legislativo, forse troppo frettolosamente adottato, sia stato determinato da circostanze oggettive, anche se l’indeterminatezza delle fattispecie previste potrebbe determinare un’applicazione estensiva delle norme, oltre le stesse intenzioni del legislatore (ad esempio, come già detto, lo sgombero di scuole occupate illegittimamente dagli studenti).
Ma soprattutto possono definirsi profili di illegittimità costituzionale. Infatti, nonostante nella premessa si afferma “la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del fenomeno dei raduni dai quali possa derivare un pericolo per l’ordine pubblico o la pubblica incolumità o la salute pubblica”, in realtà tale straordinaria necessità o urgenza non sussiste. Infatti, il fenomeno dei raduni illegali, pur essendo ricorrente, non assume una rilevanza tale da richiedere l’adozione di un decreto legge, e quindi si pone in contrasto con l’art. 77, II comma, della Costituzione.
Il decreto-legge[5], infatti, è un atto normativo di carattere provvisorio avente forza di legge, adottato in casi straordinari di necessità e urgenza dal Governo ai sensi dell’art.77 della Carta costituzionale, e regolato ai sensi dell’art. 15 della legge 23 agosto 1988, n. 400.[6]
E’ pur vero che il sindacato sulla necessità e l’urgenza[7] dell’atto è di natura prettamente politica; tuttavia è consolidata[8] la tradizione di una ricaduta giurisdizionale (con conseguente valutazione dell’atto, anche solo sotto il profilo formale)[9], per cui è accaduto che la Corte costituzionale[10] abbia dichiarato incostituzionale un comma di un decreto in materia di enti locali per mancanza dei requisiti di necessità e urgenza[11].
Inoltre, una declaratoria d’illegittimità costituzionale da parte della Consulta potrebbe produrre effetti anche sulla legge di conversione eventualmente approvata dal Parlamento o pubblicata in Gazzetta Ufficiale prima della pronuncia, rendendola nulla. [12]
Pertanto, sarebbe stato opportuno adottare il provvedimento con legge ordinaria, altrimenti si corre il rischio che il Presidente della Repubblica possa rinviarla alle Camere, ma soprattutto che la Corte Costituzionale possa dichiararla illegittima.
Si auspica, tuttavia, che almeno in sede di conversione, possano essere adottate tutte quelle cautele necessarie per rendere il provvedimento meno generico e si confida che la Magistratura possa applicarla con il consueto necessario equilibrio e nel rispetto dei principi costituzionali.
Note
- Invasione di terreni o edifici, in Brocardi.it, senza data.
- L. Biarella, Riforma del processo penale, rave party, ergastolo ostativo: il decreto-legge in Gazzetta, in Altalex del 2 novembre 2022.
- Rave party, rischia anche chi partecipa. L’allarme dei penalisti sulle intercettazioni, in Repubblica del 2 novembre 2022.
- M. Acquaviva, Decreto rave party: cosa prevede la legge, in La legge per tutti del 3 novembre 2022.
- Decreto, in Treccani Portale (XML), su Treccani.it. URL.
- S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, vol. IV DAH-DUU, p. 103.
- C. Tintori, L’urgenza legislativa e la prassi dei decreti-legge. Aggiornamenti Sociali 48, no. 3, marzo 1997, pp. 223-231.
- G. Sabini, La funzione legislativa e i decreti-legge. in Maglione & Strini, 1923.
- Consulta OnLine – Sentenza Corte cost. n° 171/2007, su giurcost.org.
- S Sentenza n° 171 del 2007.
- R. Romboli, Una sentenza «storica»: la dichiarazione di incostituzionalità di un decreto legge per evidente mancanza dei presupposti di necessità e di urgenza, in Foro It., 2007, 1986 ss.
- R. Bin, L’abuso del decreto-legge e del voto di fiducia sul maxi-emendamento, in lacostituzione.info, del 16 gennaio 2019.
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