Primi appunti circa la possibile confusione nell’applicazione delle normative sugli aiuti di stato discendente dal nuovo istituto dell’impresa culturale e creativa

Premessa

Per anni gli studiosi hanno tentato di tracciare confini definitori adeguati per le imprese culturali e creative (di seguito ICC).

Lo sforzo tassonomico ha preso in considerazione criteri tanto sul lato dell’offerta (“creatività individuale”, “lavori di tipo artigianale non di mercato o ”Subsidized Muses)”) quanto sul lato della domanda (“valore d’uso simbolico” per l’utente) ed infine criteri basati sul diritto d’autore. Tutti i tentativi si sono rivelati insufficienti[i].

Una prima classificazione delle attività delle ICC venne proposta  dall’Institute for Statistics dell’UNESCO. L’ultima classificazione è del 2009 ed individua in sette «classi» il core del settore. Tra esse la prima è “il patrimonio culturale e naturale”[ii].

Successivamente un accordo tra esperti a livello Europeo venne raggiunto nel 2012 in seno all’European Statistical System Network on Culture (ESSnet-Culture)[iii]: Per individuare le attività da introdurre tra le Imprese Culturali e Creative  il gruppo di esperti ha individuato dieci domini come specifici del settore, tra essi: “1) Heritage (Museums, Historical places, Archaeological sites, Intangible heritage); 2) Archives; 3) Libraries”[iv].

Succede talvolta che il processo di armonizzazione normativo tra i diversi sistemi ordinamentali dei vari Stati membri dell’Unione Europea, oltre a peccare della solita (e necessaria) genericità atecnica, si ponga in contraddizione rispetto all’ordinamento costituzionale degli Stati membri.

Questa volta l’accordo classificatorio di tipo statistico intrapreso dall’European Statistical System Network on Culture (ESSnet-Culture) pone, a nostro giudizio, dei problemi di compatibilità, oltre che con l’impianto costituzionale di tutela del patrimonio culturale previsto all’articolo 9 della Costituzione e con la collocazione come LEP degli obblighi di tutela di cui al DL 146/2015, anche con lo stesso incardinamento europeo degli Aiuti di Stato e con il regolamento sui regimi esenti.

Perimetro di analisi

In questo saggio tenteremo di sgombrare il settore da alcuni equivoci con riferimento in particolare a quest’ultimo aspetto, quello degli Aiuti di Stato, per tacer d’altro.

Ci accingiamo, pertanto, ad una actio finium regundorum tra istituti giuridici diversi nei loro rapporti di compatibilità con le norme sugli aiuti di Stato: non per questo osiamo illuderci che si possa sortire qualche effetto, se non quello, forse auspicabile, di una qualche minima comprensione dei temi.

Il comma 57 dell’articolo 1 della Legge di Bilancio 2018 (L.205/2017), nel normare un credito d’imposta per “attività di sviluppo, produzione e promozione di prodotti e servizi culturali e creativi” disciplina anche il nuovo istituto delle “imprese culturali e creative”. Il secondo periodo del comma fa riferimento a “prodotti culturali, intesi quali (…) beni, servizi ed opere dell’ingegno (…) inerenti agli archivi, alle biblioteche e ai musei nonché al patrimonio culturale[v]”.

Il successivo comma 58 prevede che con decreto del Ministro dei beni e delle attivita’ culturali e del turismo, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della  legge  23  agosto 1988, n. 400, entro novanta giorni dalla data di  entrata  in  vigore della legge[vi], sentite le competenti Commissioni parlamentari, che si pronunciano entro trenta  giorni  dalla  richiesta,  e  previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo  Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e  di  Bolzano,  tenendo conto delle necessità  di  coordinamento  con  le  disposizioni  del codice del Terzo settore, di cui  al  decreto  legislativo  3  luglio 2017, n. 117, è disciplinata, senza nuovi o maggiori  oneri  per  la finanza pubblica e nell’ambito delle  risorse  umane,  strumentali  e finanziarie disponibili a legislazione vigente, la procedura  per  il riconoscimento della qualifica di impresa culturale e creativa e  per la definizione di prodotti e servizi  culturali  e  creativi  e  sono previste adeguate forme di pubblicità.

Il presente saggio intende, infine, essere un piccolo alert al legislatore perché, nelle more dell’atteso succitato decreto interministeriale, sia meglio verificata la compatibilità dell’istituto della impresa culturale e creativa con la normativa europea e procedere alla correzione dell’articolato qui in commento.

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Prima analisi del tema

In dottrina si è osservato che la norma ha impropriamente unito gli aggettivi “culturale” e “creativo” al sostantivo “impresa” a mezzo di una congiunzione.

Nel seguito di questa analisi tenteremo di capire se detta unione di diverse concezioni semantiche e classificatorie sia stato un errore: anticipiamo solo che la classificazione normativa della creatività ha tali e diverse peculiarità, rispetto alla cultura, che, come vedremo tra breve, nell’accezione degli  spettacoli (cinema, spettacoli musicali e festival a carattere commerciale) piuttosto che dei prodotti culturali audiovisivi (si pensi alla gigantesca fruizione culturale via internet su YouTube o in streaming), esse possono determinare l’applicazione della normativa sugli Aiuti di Stato. Tale normativa non si applica, invece, su tutte le altre attività culturali, segnatamente aventi ad oggetto la valorizzazione del patrimonio culturale, su cui vige un regime di esenzione.

Esamineremo la fattispecie degli spettacoli nel successivo paragrafo, ora analizziamo la categoria dei “prodotti culturali”.

La categoria “prodotti culturali”, citata dal comma 57, viene normata nella normativa regolamentare europea di esenzione dall’applicazione della normativa sugli Aiuti di Stato.

L’articolo 54 comma 2 del Regolamento UE 651/14 recita “Gli aiuti (alle opere audiovisive) sostengono un prodotto culturale”.

In generale nel settore dei prodotti audiovisivi si prevede l’applicazione della normativa sugli aiuti di Stato, salvo alcuni casi disciplinati nel succitato art.54.

Le “imprese culturali”[vii] sono quelle che, invece, per legge esercitano le “attività culturali” di cui alla diversa categoria della “cultura e conservazione del patrimonio” disciplinata dall’art.53 dello stesso Regolamento UE 651/14 che riconosce al suo interno attività sia di tipo economico che di tipo non economico, sottoposte al regime degli aiuti di Stato le prime e non sottoposte le seconde.

Le attività delle imprese culturali sono inerenti anche agli “archivi, alle biblioteche e ai musei nonché al patrimonio culturale, in generale”, ovvero inerenti agli stessi beni oggetto della produzione di prodotti culturali, dell’impresa culturale e creativa di cui al comma 57.

I “prodotti culturali” sono, invece, relativi solo ad attività di tipo economico e sono nominalmente ed esclusivamente relativi alle opere audiovisive.

E’ bene dire, inoltre, che le classificazioni relative a “spazi culturali e artistici, teatri, teatri lirici, sale da concerto, spettacolo dal vivo, cineteche, organizzazioni e istituzioni culturali e artistiche (art. 53 comma 2 punto a) e “eventi artistici o culturali, spettacoli, festival, mostre e altre attività culturali analoghe” (art. 53 comma 2 punto d) non sono “prodotti culturali”, bensì “attività culturali” di rilievo sociale (atteso l’inquadramento delle attività di valorizzazione all’interno dei livelli essenziali delle prestazioni a norma dell’articolo 01 del DL 146/2015).

Attività culturali sono, inoltre, precipuamente quelle rese dalle imprese concessionarie o affidatarie di un servizio ex-artt.115 e 117 del C.B.C.

Tanto premesso, in prima analisi si osserva, che il nuovo istituto dell’impresa culturale e creativa risulta essere una sovrapposizione tra leggi incardinate su diversi classificazioni statistiche europee nonché su diverse fonti ordinamentali del diritto europeo[viii].

Si è paventato in dottrina che l’unione delle due categorie di regimi di aiuto di tipo economico e non economico con la congiunzione “e” possa avere creato confusione.

Tale normativa potrebbe, infatti, portare incertezze al lavoro dei responsabili di procedimento tenuti all’iscrizione degli incentivi sul Registro Nazionale degli Aiuti di Stato, istituito ai sensi dell’art. 14 della legge 115/2015, che modifica l’art. 52 della legge 234/2012[ix].

Tali obblighi, soprattutto per le piccole amministrazioni, costituiscono un onere tutt’altro che irrilevante, “del tutto ingiustificato[x].

L’istituzione del Registro rappresenta uno degli impegni che l’Italia ha volontariamente assunto nei confronti della Commissione europea nell’accordo sottoscritto il 3 giugno 2016 dal sottosegretario Gozi e dalla Commissaria alla Concorrenza Vestager (Common understanding on strengthening the Institutional setup for State aid control in Italy).

Orbene, l’adempimento degli obblighi di interrogazione del Registro costituisce “condizione legale di efficacia dei provvedimenti che dispongono concessioni ed erogazioni degli aiuti”.

L’errore commesso dal funzionario, responsabile del procedimento, nella individuazione degli aiuti “ad attività economiche o attività incidenti sugli scambi intracomunitari” o il difetto di compilazione costituisce presupposto di responsabilità disciplinare dello stesso funzionario, oltre che, causa l’annullamento degli atti connessi, anche causa di eventuale rivalsa risarcitoria da parte dei privati eventualmente danneggiati dalla mancata erogazione degli incentivi annullati.

Medesima confusione si teme per gli operatori: un’impresa culturale che, per il ragionevole motivo di volere usufruire di un credito d’imposta pari al 30% dei costi per “attività di sviluppo, produzione e promozione di prodotti e servizi culturali e creativi” dovesse essere classificata come “impresa culturale e creativa” non potrà anche essere, causa la collocazione nell’ambito delle attività economiche sottoposte al regime degli aiuti di Stato, un’impresa del terzo settore. Ovvero non potrà beneficiare delle agevolazioni, previste dal Codice del Terzo Settore o dalla normativa per le Imprese Sociali, tanto di tipo fiscale quanto di tipo amministrativo (accreditamenti, co-progettazione, convenzioni, etc.) nel rapporto concessorio con le pubbliche amministrazioni per gestione indiretta di attività di valorizzazione ed altro[xi].

Breve sintesi dell’evoluzione normativa e del dibattito sugli aiuti di stato nel settore culturale di cui all’art. 53 del reg.ue 651/14

Prima di procedere alla qui propostaci specifica analisi di aporie e contrasti tra l’istituto dell’impresa culturale e creativa e la normativa sugli Aiuti di Stato, necessita preliminarmente dare una sintetica illustrazione della normativa con riferimento agli aiuti nel settore del patrimonio culturale poiché propedeutica alla comprensione della tematica oggetto di analisi.

Le norme cardine che regolano oggi la materia degli aiuti di Stato sono gli articoli 107-109 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).

Rientrano tra gli aiuti compatibili, ai sensi dell’art. 108, paragrafo 3.d del TFUE, le misure adottate dagli Stati membri per promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio culturale quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell’Unione in misura contraria all’interesse comune.

Con sentenza sul caso Leipzig-Halle del dicembre 2012, sul tema la Corte di Giustizia UE stabilì che i gestori di infrastrutture in PPP (partenariato pubblico privato) svolgono in linea di principio un’attività economica e che, pertanto, nel momento in cui ricevono fondi pubblici per costruire una nuova infrastruttura o ampliare infrastrutture esistenti, sono beneficiari di aiuti di Stato[xii].

La Commissione Europea poco dopo[xiii], segnalò la “possibile presenza di aiuti di Stato nei progetti infrastrutturali in PPP”…per musei e monumenti storici più grandi che godono di fama internazionale … ove non è possibile escludere un effetto sulla concorrenza e sugli scambi tra Stati Membri. La valutazione dipende dall’effettiva/potenziale capacità di attrarre visitatori stranieri[xiv].

Il legislatore europeo, a quel punto, è dovuto intervenire disciplinando il finanziamento pubblico delle infrastrutture e delle attività culturali nell’ambito del summenzionato Regolamento UE n. 651/2014 relativo ad alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato.

Seppure il regolamento autorizza la copertura della mancanza di copertura finanziaria (cosiddetto funding gap), con il finanziamento integrale delle attività culturali, dall’altro, ha stabilito per la prima volta l’applicabilità delle regole degli aiuti di Stato e della concorrenza al settore culturale.

Nel caso non si possa escludere l’aiuto, l’art.53 del Regolamento UE 651/2014, ha, comunque, previsto la non necessità delle notifica per alcuni investimenti, definiti “in regime di esenzione”. L’articolo ha previsto un elenco di situazioni il cui finanziamento può costituire aiuto di Stato in regime di esenzione tale da comprendere qualsiasi attività in campo culturale (musei, siti archeologici, monumenti, archivi, biblioteche, teatri, sale da concerti, spazi culturali e artistici, il patrimonio immateriale, compresi i costumi e l’artigianato del folclore tradizionale, attività di educazione culturale e artistica, programmi educativi e di sensibilizzazione del pubblico).

L’articolo riguarda gli aiuti agli investimenti, compresi gli aiuti per la creazione o l’ammodernamento delle infrastrutture culturali, ed al funzionamento. La soglia di notifica prevista è per investimenti per la cultura e la conservazione del patrimonio € 100 milioni per progetto; per il funzionamento la soglia è di € 50 milioni, per impresa per anno (poi innalzati rispettivamente a 150 mln e 75 mln[xv]). Per contro, il 72° considerando del medesimo regolamento ha, tuttavia, ristretto il campo ammettendo che il finanziamento in campo culturale può “non comportare aiuti di Stato qualora non riguardi un’attività economica o quando non incida sugli scambi intracomunitari”.

Ovvero, se da una parte il regolamento all’articolo 53 fa diventare aiuti di Stato esenti da comunicazione, in pratica, tutte le attività culturali, il considerando 72 ne restringe il campo di applicazione alle sole attività economiche e a quelle distorsive degli scambi tra Stati[xvi].

Se, invece, si ritenesse che è il caso di parlare di attività economica o che incida sugli scambi intracomunitari, gli Stati Membri possono, se ritengono, invocare un SIEG, ovvero l’applicazione della normativa in materia di Servizi di Interesse Economico Generale. In tal caso si applicherebbero i principi della comunicazione SIEG[xvii], tratti dalla sentenza Altmark[xviii], de minimis[xix], Decisione 21/2012[xx]). In caso di notifica, la Commissione farà la valutazione della compatibilità con il mercato interno sulla base della Comunicazione SIEG e del summenzionato Articolo 107(3)(d) del TFUE.

Causa il dibattito pubblico derivato dalle incertezze applicative del detto Reg.UE 651/14, in Italia in particolare con la Comunicazione 262/16[xxi] la Commissione Europea è stata chiamata a declinare ed interpretare le specifiche previsioni del Regolamento UE 651/2014[xxii].

Al punto 197 par. b) della Comunicazione 262/2016, la Commissione interpreta l’ultima parte del succennato Considerando 72 scrivendo: “la Commissione ritiene che solo il finanziamento concesso a istituzioni ed eventi culturali di grande portata e rinomati che si svolgono in uno Stato membro e che sono ampiamente promossi al di fuori della regione d’origine rischia di incidere sugli scambi tra gli Stati membri”.

La Comunicazione restringe, dunque, ulteriormente il perimetro di applicazione della normativa sugli aiuti di Stato nel settore culturale ai soli eventi culturali e alle istituzioni che svolgono attività economiche per come reso chiaro dall’incipit dello stesso punto b) che si rivolge a ”cultural events and entities performing economic activities”[xxiii].

La Commissione al punto 34 della Comunicazione 262/2016, sviluppando il tema di cui al 72° Considerando, scrive che “talune attività concernenti la cultura, o la conservazione del patrimonio e della natura possono essere organizzate in modo non commerciale e, quindi, possono non presentare un carattere economico. Pertanto è possibile che il finanziamento pubblico di tali attività non costituisca aiuto di Stato”. Ed ancora “La Commissione ritiene che il finanziamento pubblico di attività legate alla cultura e alla conservazione del patrimonio[xxiv] accessibili al pubblico gratuitamente risponda a un obiettivo esclusivamente sociale e culturale che non riveste carattere economico[xxv]. Nella stessa ottica, il fatto che i visitatori di un’istituzione culturale o i partecipanti a un’attività culturale o di conservazione del patrimonio (compresa la conservazione della natura), accessibile al pubblico siano tenuti a versare un contributo in denaro che copra solo una frazione del costo effettivo non modifica il carattere non economico di tale attività, in quanto tale contributo non può essere considerato un’autentica remunerazione del servizio prestato”.

Ulteriormente la Commissione precisa alla nota 286 che, comunque, per le attività culturali o di conservazione del patrimonio che non hanno carattere economico, non è necessario valutare se l’eventuale finanziamento pubblico possa avere un’incidenza sugli scambi.

Finiamo l’esame del punto approfondendo l’esame delle attività definite “economiche” tout court.

Il punto 35 della Comunicazione 262/2016 afferma: “Dovrebbero invece essere considerate attività di carattere economico le attività culturali o di conservazione del patrimonio (compresa la conservazione della natura) (…) prevalentemente finanziate dai contributi dei visitatori o degli utenti o attraverso altri mezzi commerciali (ad esempio, cinema, spettacoli musicali e festival a carattere commerciale (…)”[xxvi].

Per come evidente i punti della Comunicazione 262/16 sopra esaminati si rivolgono esclusivamente ad attività e fanno un elenco, di tipo esemplificativo, di possibili attività economiche che comprende “cinema, spettacoli musicali e festival a carattere commerciale”[xxvii].

Il termine “attività culturali” potrebbe comprendere alcune delle attività di servizio al pubblico di cui all’art.117, comma 2 punto g) del D.Lgs 42/04 e smi, la cui gestione è effettuata con le attività di valorizzazione regolate dall’art.115 del D.Lgs 42/04[xxviii].

Ancora una volta è però la stessa Comunicazione a restringere il campo: il cpv 207 della Comunicazione 262/16 fa sì, anzi, che un eventuale finanziamento per servizi aggiuntivi al pubblico ex-art.117 C.b.c., accessorio appunto a beni culturali restaurati, non incida in alcun modo negli scambi tra stati. L’ultimo periodo del cpv 207 infatti recita: “Inoltre la Commissione ritiene che di norma il finanziamento pubblico concesso per servizi comunemente aggiuntivi a infrastrutture (come ristoranti, negozi o parcheggi a pagamento) che sono quasi esclusivamente utilizzate per attività non economiche non abbia, generalmente, alcuna incidenza sugli scambi tra Stati membri in quanto è improbabile che tali servizi attraggano clienti da altri Stati membri e che il loro finanziamento abbia un’incidenza più che marginale sugli investimenti o sullo stabilimento transfrontaliero[xxix]”.

Rimarrebbe fuori dal regime di esenzione o non applicazione solo una parte delle attività riassunte al punto g) del comma 2 dell’art. 117 C.B.C. (“organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, nonche’ di iniziative promozionali”), ovvero, appunto, le attività di “cinema, spettacoli musicali e festival a carattere commerciale”[xxx] di cui al punto d) del comma 2 dell’art. 153 del Regolamento[xxxi].

Tutti gli altri punti di attività a), b), c), e), e f) del comma 2 dell’art. 117 C.B.C.sono esenti dall’applicazione della normativa sugli aiuti di Stato[xxxii].

Contraddizioni ed aporie rivenienti dalla normativa sugli aiuti di stato

Grazie alla Comunicazione interpretativa n. 262/16, la Commissione Europea, dopo anni di incertezze, ha, pertanto, finalmente precisato che all’interno della stessa classificazione di cui all’articolo 53 del Regolamento 651/14 vi sono, le innanzi citate, attività culturali “dello spettacolo” che, poiché presentano caratteristiche di “attività di tipo economico” e poiché in grado di “distorcere gli scambi tra Stati membri”, sono oggetto di applicazione della normativa sugli aiuti di Stato.  Tutti gli altri settori di attività delle imprese culturali sono esenti da detta applicazione.

Come prima già cennato, dunque, osserviamo, che se tali e tanti problemi interpretativi si sono posti all’interno della classificazione delle attività culturali di cui all’articolo 53 del Reg.651, a fortiori problemi ben più gravi si porranno con riferimento alla nuova accezione normativa del comma 57 dell’articolo 1 della Legge di Bilancio 2018 (L.205/2017) relativa a “prodotti culturali, intesi quali (…) beni, servizi ed opere dell’ingegno (…) inerenti agli archivi, alle biblioteche e ai musei nonché al patrimonio culturale”, laddove si consideri che i prodotti culturali sono, come si diceva, classificati dal diverso articolo 54 del Regolamento (“Gli aiuti sostengono un prodotto culturale”) ove, salvo i casi ristretti elencati dallo stesso articolo, è pacifica l’applicazione della normativa sugli aiuti di Stato.

La previsione dell’articolo 54 è relativa a “sceneggiatura, sviluppo, produzione, distribuzione e promozione di opere audiovi­sive” intese quali prodotti culturali.

Il Regolamento stabilisce al proposito che al fine di “evitare errori palesi nella classificazione di un prodotto come prodotto culturale, ciascuno Stato membro stabilisce procedure efficaci, quali la selezione delle proposte da parte di una o più persone incaricate o la verifica rispetto a un elenco predefinito di criteri culturali”.

Ci sembra che, paradossalmente, il comma 57 dell’articolo 1 della Legge di Bilancio 2018 (L.205/2017)  più che chiarire la classificazione dei prodotti culturali abbia confuso le acque prevedendo prodotti culturali, di cui all’art.54,  negli stessi settori regolamentati dall’articolo 53 del Regolamento di esenzione.

La problematica dei prodotti audiovisivi è vasta. Merita fare ulteriore cenno però al fatto che l’esenzione dagli aiuti di Stato per i prodotti culturali audiovisivi vige se l’aiuto è limitato a precisi “obblighi di spesa a livello territoriale” nei termini quantitativi previsti al punto 4 dell’articolo 54 del Regolamento.

Inoltre, il punto 197 d) della Comunicazione 262/16 chiarisce che il finanziamento di prodotti culturali che, per motivi geografici e linguistici, non “hanno un pubblico limitato a livello locale” incide sugli scambi tra stati membri.

Ulteriormente osserviamo, dunque, che è pacifico che il doppio ostacolo della “spesa sul territorio dello Stato membro” che ha concesso l’aiuto e quello del “pubblico limitato a livello locale”, pongono di default i finanziamenti ai prodotti culturali relativi al patrimonio culturale pubblico Italiano oggetto di un flusso turistico di livello mondiale (58,3 milioni di turisti l’anno secondo dati 2020[xxxiii]) sotto le forche caudine dell’applicazione degli aiuti di Stato.

I grandi flussi turistici in Italia, pubblico per definizione non limitato a livello locale, ordinariamente vedono l’acquisto di enormi quantitativi di prodotti culturali audiovisivi (oggi estesi ovviamente anche alle produzioni digitali fruite via internet e sui social network) relativi al patrimonio culturale visitato.

Se si considera poi che la grandissima parte della fruizione dei contenuti ovvero dei prodotti culturali avviene in remoto, via internet, su Youtube,  o social media, ne riviene un consumo non certamente locale ma mondiale.

Non si può revocare in dubbio che agli aiuti ai prodotti culturali audiovisivi relativi al patrimonio culturale Italiano si applichi, dunque, la normativa sugli Aiuti di Stato.

E’ innegabile, però, che tali prodotti audiovisivi siano anche ancillari all’offerta del patrimonio culturale dei luoghi della cultura per come previsto dall’articolo 117 comma 2 del Codice dei Beni Culturali (servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi catalografici, audiovisivi e informatici, ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali).

In proposito, si ripete quanto detto sopra: l’ultimo periodo del cpv 207 prevede che di norma il finanziamento pubblico concesso per servizi comunemente aggiuntivi a infrastrutture che sono quasi esclusivamente utilizzate per attività non economiche (ovvero i servizi al pubblico disciplinati dall’art.117 del D.Lgs 42/04 sui luoghi della cultura di cui all’art. 101 del medesimo Codice Beni Culturali) “non ha, generalmente, alcuna incidenza sugli scambi tra Stati membri in quanto è improbabile che tali servizi attraggano clienti da altri Stati membri e che il loro finanziamento abbia un’incidenza più che marginale sugli investimenti o sullo stabilimento transfrontaliero”.

Causa la previsione normativa di cui al comma 57 della Legge di Bilancio 2018, la fattispecie di esenzione dalla legiferazione Unionale sugli aiuti di Stato, di cui all’articolo 53, relativa ai prodotti culturali audiovisivi venduti nei luoghi della cultura quali servizi aggiuntivi, entra in contrasto, dunque, con la parallela casistica sull’obbligo di applicazione della normativa sugli aiuti di Stato agli incentivi dati ai medesimi prodotti culturali audiovisivi.

Ne consegue, pertanto, una mancanza di certezza del diritto sull’applicazione o meno della legislazione europea sugli aiuti di Stato ai prodotti culturali audiovisivi aventi ad oggetto il patrimonio culturale (archivi, biblioteche e musei nonché in generale patrimonio culturale, per come recita il comma 57).

Tale incertezza potrebbe costituire un vulnus all’adempimento dei compiti, anche per le connesse responsabilità disciplinari gravanti sui funzionari, di cui alla compilazione del succitato Registro Nazionale Aiuti (RNA) ex-art.14 della legge 115/2015 sopraccennata.

In ultimo, si ricorda che all’interno della classificazione “prodotti audiovisivi” sono contemplate le attività (e gli interessi) delle corporations internazionali dell’editoria multimediale (cinematografica e televisiva), digitale e telematica, dei social networks, etc., nel settore dell’intrattenimento tramite offerte culturali (vere o presunte), offerte che sembra evidente non si concilino con il senso dei compiti rimessi alla Repubblica dall’articolo 9 della Costituzione in ordine alla promozione dello sviluppo della cultura della Nazione.

Facciamo, infine, un breve appunto sui problemi di compatibilità con la normativa sugli aiuti di Stato del diverso istituto delle “opere dell’ingegno”.

Le opere dell’ingegno potrebbero riguardare, in particolare l’inesplorato settore della riproduzione o utilizzo di elementi grafici distintivi del patrimonio culturale pubblico in marchi commerciali da parte di imprese private, ai sensi dell’articolo 107 del Codice e della Legge sulla proprietà industriale (decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30), il cui articolo 8 comma 3 dispone: “Se notori, possono essere registrati come marchio con il consenso dell’avente diritto (MiBACT) (…) i segni usati in campo artistico (…)[xxxiv]”.

Tali opere dell’ingegno, quali diritti di brevetto, licenze, know- how o altre forme di proprietà intellettuale ovvero “attivi immateriali”[xxxv], sono parte della normativa di esenzione sugli investimenti delle PMI (attivi materiali e/o immateriali ex-articolo 17 del Regolamento) e sono classificate in una diversa parte del Regolamento di esenzione ovvero negli aiuti a favore di ricerca, sviluppo e innovazione.

Anche nel caso delle opere dell’ingegno si ripropone il contrasto con la normativa sugli Aiuti di Stato in ragione della previsione dell’articolo 53 che si occupa degli investimenti immateriali in opere dell’ingegno quali “costi necessari per la tutela, la conservazione, il restauro e la riqualificazione del patrimonio culturale” (art. 53 comma 4, punto c).  Ritorna anche qui dunque il tema della contraddizione tra le previsioni di esenzione dell’articolo 53 con quelle diverse e di cui agli altri articoli del Regolamento interessati alla fattispecie della produzione di prodotti culturali.

Causa brevità e modestia di questi appunti si ci limita, però, solo a farne cenno[xxxvi]

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Note

[i]    Per una ricostruzione del dibattito sul tema e sulle conclusioni tassonomiche tra esperti a livello internazionale e nazionale si veda P.A.VALENTINO “L’impresa Culturale e Creativa verso una definizione condivisa” su Economia della cultura – a. XXIII, 2013, n. 3, pag. 273 e ss.

[ii]   UNESCO INSTITUTE FOR STATISTICS (2009), The 2009 UNESCO frameworkfor cultural statistics, http://unesdoc.unesco.org. I

[iii] ESSnet-CULTURE (European Statistical System Network on Culture) (2012), FinalReport, http:// ec.europa.eu/culture/our-policy-development/ documents/. L’European Statistical System network on Culture (ESSnet-Culture) è nato nel 2009 per armonizzare le statistiche culturali dei singoli Paesi su proposta dell’European Union Council of Culture Ministers, che, alla fine del 2007, aveva individuato nel miglioramento e nella comparabilità delle statistiche culturali una delle cinque aree prioritarie del Work Plan for Culture2008-2010. La rete di esperti è stata creata nell’ambito degli Open Method of Coordination (OMC), un meccanismo di cooperazione volontario tra gli stati membri dell’UE per trovare approcci comuni sulle tematiche che sono ancora di stretta pertinenza dei singoli Stati

[iv]  In un Indagine Civita attività dell’ICC, collocate nel cerchio dei “subsidized muses” e nel gruppo dei Beni culturali, comprendono: la gestione biblioteche e archivi; la gestione dei musei; la gestione di luoghi e monumenti storici e attrazioni simili, si veda P. VALENTINO, ibidem, pag. 183

[v]       La definizione data dal comma 57 è la seguente: “Sono  imprese  culturali  e  creative  le imprese o i soggetti che svolgono attività stabile  e  continuativa, con sede in Italia o in uno degli Stati membri dell’Unione europea  o in uno  degli  Stati  aderenti  all’Accordo  sullo  Spazio  economico europeo, purché siano soggetti passivi di  imposta  in  Italia,  che hanno  quale  oggetto  sociale,  in  via  esclusiva   o   prevalente, l’ideazione, la creazione, la produzione, lo sviluppo, la diffusione, la conservazione, la ricerca e la valorizzazione  o  la  gestione  di prodotti culturali, intesi quali beni, servizi e  opere  dell’ingegno inerenti alla letteratura, alla musica, alle  arti  figurative,  alle arti applicate, allo  spettacolo  dal  vivo,  alla  cinematografia  e all’audiovisivo, agli archivi, alle biblioteche e ai musei nonché al patrimonio culturale e ai processi di innovazione ad esso collegati”.

[vi]  Pubblicata sulla GU n.302 del 29-12-2017 – Suppl. Ordinario n. 62

[vii] Sulla strutturazione dell’impresa culturale si veda innanzitutto, G.BOSI, in “L’impresa culturale”, Il Mulino, Bologna 2017 e sui temi più generali di rapporto tra pubblico e privato si veda M.FIORILLO, in “Fra stato e mercato: spunti in tema di costituzione economica, costituzione culturale e cittadinanza” su A.I.C. Rivista N°: 2/2018, del 13/05/2018 e P.FORTE “Considerazioni sparse sull’impresa culturale”, Impresa Cultura. Creatività, Partecipazione, Competitività, XIII Rapporto Annuale Federculture, ROMA, Gangemi, pp. 17–28, 2017.

[viii] BRUNO A. “Aiuti di stato nella cultura” pubblicato il 17 dicembre 2018 su “www.diritto.it, ISSN 1127-8579 e A.BRUNO, P.R.DAVID, “La via partecipata e sociale alle politiche culturali e le imprese culturali e creative”, Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali Ravello -Territori della Cultura Rivista on Line Numero 34 anno 2018 pag. 124 e ss;

[ix]    Dopo il Reg. 651 si è aperto un acceso dibattito pubblico sull’applicabilità del regime degli aiuti di Stato al settore culturale. La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome è intervenuta più volte. Il 24 luglio 2013, con documento 13/079/CR8/C3/C6“Analisi e proposta delle Regioni e delle Province Autonome sull’applicazione delle regole in materia di aiuti di stato alla cultura” ha sostenuto che le regole del Trattato che disciplinano gli aiuti di Stato “non possano e non debbano essere applicate a quelle sfere dell’attività pubblica che vedono lo Stato svolgere la propria missione istituzionale quale è la garanzia e la promozione del patrimonio culturale e paesaggistico di un territorio –quello europeo –valorizzandone le potenzialità, che nella sua storia e nelle sue tradizioni può trovare occasioni di sviluppo e di competitività con il mondo esterno all’Unione“ e per tale via ritengono che “il sostegno pubblico finalizzato alla conservazione, valorizzazione e promozione del patrimonio culturale non configuri aiuto di Stato”. Nello stesso senso, Conferenza delle Regioni e delle Province autonome,18 febbraio 2015, documento 15/10/CR7bis/C3 e Conferenza delle Regioni e delle Province autonome,25 marzo 2015, documento 15/27/CR07bis/C3

[x]   Sul tema si vedano gli scritti di Baldi, autore che meritoriamente ha acceso la luce sul tema degli aiuti di Stato alla cultura: “Disciplina comunitaria degli aiuti di stato e politica culturale europea. Le incoerenza di un sistema fortemente burocratizzato” di C.E.BALDI in AEDON 2014, 3, “L’intervento pubblico in campo culturale. Il faticoso iter di linee guida condivise” di C.E.BALDI in AEDON 2018, 2, e il sopraccitato “Finanziamento della cultura e regole di concorrenza” C.E.BALDI in AEDON 2018, 3. La citazione è presa dall’ultimo saggio a pagina 3.

[xi]  BRUNO A. “Note a margine e de iure condendo – seconda parte :  cooperazione in forme sussidiarie e partecipate per  la valorizzazione del patrimonio culturale”, pubblicato il 20 maggio 2019, su “www.ildirittoamministrativo.it”, ISSN2039-693711, pag. 9

[xii] R.VUILLERMOZ Attuazione della normativa europea sugli aiuti di Stato – La sentenza Leipzig-Halle sugli aiuti alle infrastrutture aeroportuali Venezia 11 ottobre 2013. La Corte ha accertato la natura commerciale dell’infrastruttura da realizzare, atteso che la costruzione della nuova pista non poteva essere dissociata dalla gestione delle strutture aeroportuali, costituente una attività economica, e non era collegata, in quanto tale, all’esercizio di prerogative dei pubblici poteri. La Corte disponeva che qualsiasi infrastruttura destinata ad essere sfruttata a fini commerciali (trattavasi di un accordo per la realizzazione di una nuova pista tra organismi di diritto pubblico e la società DHL contemplante contributi, lettera di patronage, l’assicurazione alla DHL di operare ininterrottamente sulla suddetta pista e che almeno il 90% dei trasporti aerei da o per la DHL potessero essere effettuati in qualsiasi momento a partire da detta pista) costituisce di per sé una attività economica: di qui l’applicazione delle norme in materia di stato in relazione alle sue modalità di finanziamento. Aggiungiamo che dopo la sentenza Leipzig-Halle di primo grado, la Direzione generale per le politiche regionali (DG Regio) aveva sospeso la valutazione dei grandi progetti di investimento infrastrutturali cofinanziati dai Fondi Strutturali della programmazione 2007-2013 per consentire alla Direzione generale per la concorrenza (DG Comp) di compiere le verifiche di compatibilità con la disciplina degli aiuti di Stato applicabile in caso di infrastrutture destinate ad attività economiche. Per l’Italia si ricorda il caso del Grande Progetto inerente il Porto di Augusta, autorizzato come aiuto compatibile con Decisione CE del 19/12/2012

[xiii]   Documento Ares (2012)834142 – 01/08/2012

[xiv] BRUNO A. “Aiuti di stato nella cultura” pubblicato il 17 dicembre 2018 su “www.diritto.it, ISSN 1127-8579, pag. 1

[xv] Regolamento (UE) n. 1084/2017 (GUCE del 20/06/2017 serie L 156/1) che modifica il regolamento (UE) n. 651/2014

[xvi] BRUNO A. “Aiuti di stato…”, ibidem, pag. 5

[xvii] Comunicazione del 20 novembre 2007 sui servizi di interesse economico generale [COM(2007)725]

[xviii]  La Commissione nella recente Comunicazione del 20 novembre 2007 sui servizi di interesse economico generale  ha sviluppato le indicazioni elaborate dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (in particolare la fondamentale sentenza Altmark del 2003) e da una serie di altri documenti della Commissione. Per criteri Altmark s’intendono le condizioni indicate dalla sentenza della Corte di giustizia in base alle quali la compensazione per un servizio d’interesse economico generale non dovrebbe essere considerata aiuto di Stato. In breve: i) l’attività deve essere un servizio d’interesse economico generale e i suoi compiti ed obblighi chiaramente definiti; ii) i parametri sulla base dei quali viene calcolata la compensazione dei costi del servizio pubblico devono essere previamente definiti in modo obiettivo e trasparente; iii) la compensazione non può eccedere quanto necessario per coprire i costi del servizio nonché un margine di utile ragionevole per l’adempimento di tali obblighi (ossia nessuna sovracompensazione); e iv) la compensazione è determinata in base a una procedura di appalto pubblico oppure, se tale procedura non ha luogo, la compensazione dell’impresa incaricata dell’esecuzione degli obblighi di servizio pubblico deve essere terminata sulla base di un’analisi dei costi di un’impresa media gestita in modo efficiente.

[xix]   Regolamento UE 1407/2013

[xx] Decisione della Commissione, 2012/21/UEdel 20 dicembre 2011 , riguardante l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 106, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti di Stato sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico, concessi a determinate imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale [notificata con il numero C(2011) 9380]

[xxi] Nel linguaggio europeo la comunicazione 262/16 è definita NOA (nozione di aiuto di Stato) – C/2016/2946 in GUCE C262/1 del 19 luglio 2016

[xxii] Il Ministro On. Dario Franceschini sollecitò più volte la questione alla Commissaria europea alla concorrenza. Vedasi sul punto la Nota del 20 gennaio 2015 ed esito della Country visit del 3 e 4 aprile 2017. Per come noto, l’Ufficio Legislativo del MiBACT è stato individuato come referente dell’amministrazione per il dossier Aiuti di Stato ed ha tenuto il dialogo interistituzionale con il Dipartimento Politiche Comunitarie della Presidenza del Consiglio dei Ministri. In tal senso, si ricordano le note dell’Ufficio Legislativo MIBAC al Dipartimento per le Politiche Europee Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ufficio II –Coordinamento delle politiche dell’Unione Europea Servizio IV –Aiuti di Stato; Linee Guida del MIBAC, elaborate dall’Ufficio Legislativo, e sottoposto il 25 novembre 2015 al citato Dipartimento della Presidenza del Consiglio e successivamente diramate a tutte le Regioni e Province Autonome; Nota dell’Ufficio Legislativo MIBAC al Segretario Generale MIBAC Prot. 1938 del 22 gennaio 2016; Nota dell’Ufficio Legislativo MIBAC alla Rappresentanza permanente d’Italia a Bruxelles Prot. 31566 del 24 ottobre2017. Le succitate Linee Guida MIBAC sull’ambito di applicazione della disciplina degli aiuti di Stato agli interventi statali nel settore della cultura del 25/11/2015 prevedevano:  “Gli investimenti a favore delle infrastrutture culturali non costituiscono aiuti di Stato, neppure nel regime di esenzione o di compatibilità, in quanto attengono allo svolgimento di compiti istituzionali e di funzione pubblica dello Stato, che non costituiscono in nessun caso attività d’impresa né sono riconducibili ad uno specifico mercato, non rilevando gli effetti riflessi, indiretti ed indotti, che la buona conservazione o gestione possano generare. Non verranno perciò considerati aiuti di Stato, con la conseguenza che non verranno fornite comunicazioni alla Commissione europea, neppure con riferimento al regime di esenzione, relativamente agli investimenti ordinari e straordinari dello Stato in manutenzione e gestione degli istituti e luoghi della cultura pubblici per finalità di tutela e apertura alla pubblica fruizione, nonché, come è ovvio, tutte le spese correnti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (quali stipendi, altri costi del personale, utenze, etc.) dirette alla gestione di tali istituti e luoghi della cultura”.

[xxiii]“Nell’analisi della Commissione è da notare che non appaiono dubbi circa la potenziale incidenza sul commercio intracomunitario di aiuti ai musei per grandi eventi che sono capaci di attrarre un pubblico internazionale”, cfr, la nota 71 del testo Unioncamere Veneto Eurosportello Veneto “Manuale sugli aiuti di stato per le camere di commercio venete ed enti controllati”, di BELLATI, CEVESE, SANTORO, LA BARBERA, 2014

[xxiv] Con decisione su aiuto n. NN 43/2007 del 30 aprile 2008, la Commissione ha dichiarato compatibile col trattato un aiuto concesso dalla Repubblica Ceca ai musei pubblici che organizzano importanti mostre. Trattavasi di un fondo di garanzia creato dal Ministero della Cultura al fine di pagare eventuali danni agli oggetti di maggior valore esposti nelle mostre (a partire da circa 4.000 euro). Posto che, a detta dell’autorità ceca, i costi di assicurazione rappresentavano oltre il 50% del totale dei costi di organizzazione delle mostre, il fondo pubblico consentiva un notevole risparmio ai musei che organizzano eventi di grande rilievo. Secondo la Commissione la misura esaminata consentiva di preservare il patrimonio culturale nazionale senza alterare le condizioni degli scambi e della concorrenza in misura contraria all’interesse comune.  Inoltre la Commissione ha sottolineato positivamente che la garanzia riguardava solo oggetti di valore superiore a 4000 euro circa, per cui l’aiuto era mantenuto al livello minimo necessario.

[xxv] Nella sopraccitata decisione 20 dicembre 2006 su aiuto n. N 497/06, la Commissione ha precisato che l’aiuto in questione sarebbe stato compatibile, in quanto la beneficiaria avrebbe svolto nella sede teatrale prevalentemente attività culturale, come concerti e rappresentazioni teatrali. Ai sensi dell’art. 151(4) [ora 167 (4) TFUE] la Comunità deve tener conto degli aspetti culturali nell’azione che svolge a norma di altre disposizioni del trattato. Gli aiuti in esame non parevano condizionare gli scambi in misura contraria al comune interesse. L’incidenza sugli scambi non poteva che essere minima, l’importo si avvicinava alla nuova soglia de minimis, e l’aiuto spalmato sul numero di eventi avrebbe comportato una sovvenzione media di circa 5.000 euro, quindi non molto alta.

[xxvi] A.AMELOTTI, ibidem, pag. 43: “Attività finanziate prevalentemente (>50%) dai contributi dei visitatori/utenti o attraverso altri mezzi commerciali (quali ad es. cinema, esposizioni ed eventi musicali commerciali) – Attività che favoriscono esclusivamente alcune imprese e non il pubblico in generale (ad es. il restauro di un edificio storico utilizzato da un’impresa privata)”. L’ultimo caso relativo ad infrastrutture private per fini privati non interessa questo saggio relativo alle sole attività pubbliche di tutela, valorizzazione e fruizione dui beni culturali pubblici.

[xxvii] “In materia di aiuti alla cultura e conservazione del patrimonio, la Comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato del 19 maggio 2016 ha consentito di fare importanti passi avanti, grazie soprattutto alla pressione del ministero, aprendo la strada alla corretta collocazione – fuori dal mercato – della tutela e valorizzazione dei beni culturali pubblici. In particolare, gli interventi a favore della tutela, gestione e conservazione del patrimonio culturale non costituiscono aiuti di Stato nei casi in cui gli interventi rientrano nelle funzioni essenziali dello Stato o sono connessi a queste funzioni; quando gli interventi non sono prevalentemente finanziati da contributi dei visitatori o degli utilizzatori o da altri mezzi commerciali; quando gli interventi riguardano beni infungibili; quando l’utilizzo economico è puramente ancillare. Ma mentre si è riusciti ad aprire una breccia in tema di così dette “infrastrutture culturali”, non si è riusciti a togliere dal campo di applicazione degli aiuti di Stato le FLS. Lo spettacolo resta un’attività eminentemente economica di mercato, nella logica dell’Unione europea, e rimane, dunque, assoggettato al controllo in tema di aiuti di Stato, sia pur in forma semplificata”, tratto da P.CARPENTIERI “Diritto e spettacolo dal vivo Il diritto amministrativo dell’eccellenza musicale italiana: l’organizzazione e il finanziamento delle fondazioni lirico-musicali”, su Aedon numero 3, 2018, issn 1127-1345

[xxviii] G.SCIULLO “I percorsi della valorizzazione Novità sul partenariato pubblico-privato nella valorizzazione dei beni culturali” in Aedon n. 2, 2009

[xxix] Di nuovo la Comunicazione interpretativa restringe il campo puntualizzando che anche le stesse manifestazioni culturali e gli enti culturali svolgenti attività economiche non rischiano di sottrarre utenti o visitatori a offerte analoghe in altri Stati membri laddove il finanziamento concesso a istituzioni ed eventi culturali non sia di grande portata e per eventi rinomati che si svolgono in uno Stato membro e che sono ampiamente promossi al di fuori della regione d’origine. Cfr. le pronunce della Commissione relative agli aiuti di Stato – Repubblica ceca — Infrastruttura per il turismo (NUTS II regione sudorientale) (GU C 306 del 22.10.2013, pag. 4); SA.34891 (2012/N) N 630/2003, Cipro — Centro per le arti visive e la ricerca (GU C 1 del 4.1.2013, pag. 10); SA.36581 Grecia – Intervento a favore dei musei locali della Sardegna (GU C 275 dell’8.11.2005, pag. 3); SA.34466,— Costruzione del museo archeologico di Messara, Creta (GU C 353 del 3.12.2013, pag. 4); SA.35909 (2012/N) —— Polonia — Aiuti di Stato a Związek gmin fortecznych twierdzy Przemyśl (GU C 293 del 9.10.2013, pag. 1

[xxx] Baldi precisa, però, che “non è aiuto di Stato il finanziamento di eventi artistici o culturali, spettacoli, festival, mostre e altre attività analoghe che non abbiano un intento commerciale, ma rientrino nell’offerta di servizi che la pubblica autorità propone ai cittadini ed a tutte le persone che si trovano nel territorio di propria competenza, anche se provenienti da altri paesi. In definitiva, le attività il cui finanziamento può comportare la presenza di aiuti di Stato sono quelle esemplificate dalla Commissione nel documento citato: esposizioni commerciali, cinema, spettacoli musicali e festival a carattere commerciale; e, per quanto riguarda le infrastrutture, certi spazi che vengono finanziati prevalentemente con gli incassi da eventi a carattere squisitamente o prevalentemente commerciale”, di  C.E.BALDI “Finanziamento della cultura e regole di concorrenza. Nuove prospettive dal ripensamento della Commissione europea”  in AEDON 2018, 3, pag. 3. La Nota a piè pagina n.50 della Comunicazione precisa ancora che il finanziamento pubblico non rientra tra le norme in materia di aiuti di Stato per infrastrutture usate quasi esclusivamente per attività non economiche. La Commissione ritiene che non ha effetto sugli scambi il finanziamento pubblico concesso per servizi comunemente aggiuntivi a infrastrutture utilizzate per attività non economiche. Nello specifico – non ha incidenza alcuna sugli scambi il finanziamento pubblico concesso ai servizi forniti nell’ambito di attività culturali e di conservazione del patrimonio (per esempio – negozi, bar, guardaroba di un museo). Tanto a condizione che l’uso economico rimanga puramente accessorio, che l’attività sia direttamente connessa all’utilizzo dell’infrastruttura o necessaria o intrinsecamente legata al suo uso principale (non economico). Condizione soddisfatta se le attività economiche necessitano degli stessi fattori produttivi delle attività principali (non economiche), cfr, A.AMELOTTI, ibidem, pag. 46

[xxxi] Punto che recita: “eventi artistici o culturali, spettacoli, festival, mostre e altre attività culturali analoghe”

[xxxii] Come sono esenti dall’applicazione della normativa sugli aiuti di Stato tutte le procedure consentite dalla direttiva sugli appalti pubblici che in linea di principio sono sufficienti ad escludere la presenza di aiuti di Stato. Per consolidato acquis communautaire, si esclude un aiuto di Stato in caso di applicazione del principio dell’operatore di mercato (MEOP Market Economy Operator Principle) relativo tanto al proprietario/promotore quanto all’operatore quando il pubblico indice una gara d’appalto, ovvero una procedura di selezione concorrenziale. Il criterio del MEOP si fonda sul principio, contenuto oggi nell’art. 345 TFUE, secondo il quale i trattati europei hanno una posizione neutra rispetto al regime di proprietà e non pregiudicano in alcun modo il diritto degli Stati membri di agire come operatori economici. Da questo principio discende, infatti, che gli Stati medesimi possono possedere o dirigere imprese, possono acquistare azioni o altre partecipazioni in imprese pubbliche e private ed, in generale, procedere a negozi e contratti, esercitando, dunque, una propria autonomia negoziale, alla stessa stregua e allo stesso titolo degli operatori privati. Si veda P.E.HASSELGÅRD in “The use of Tender Procedures to Exclude State Aid: The Situation under the EU 2014 Public Procurement Directives” su European Procurement & Public Private Partnership Law Review Vol. 12, No. 1 (2017), pp. 16-28, ed ancora “The Art of Regulation: Competition in Europe – Wealth and Wariness” di C. KOENIG, B. VON WENDLAND Edward Elgar Publishing, 2017, pag. 45, 49-53 ed ancora “State Aid 2019 Economics in State Aid” di A. CLAICI e E.PAU Copenhagen Economics 08 August 2018. Da quest’ultimo saggio con riferimento agli appalti pubblici citiamo: “Another case is the sale or purchase of assets, goods or services through competitive, transparent, non-discriminatory and unconditional tenders. The Notice on the notion of aid confirms that, if public authorities buy goods or services through tenders that respect EU rules on public procurement, this is in principle sufficient to ensure that the transaction is free of state aid. Both pari passu and tenders, by their very nature, are transactions incorporating market forces that could constitute a reasonable guarantee that the public authority acts as a private operator”. Sul MEOP si veda tra gli altri, B. SLOCOCK in “The Market Economy Investor Principle”, Directorate-General Competition, unit A-3, Competition Policy Newspaper Number 2 — June 2002. Il principio espresso dalla Corte di Giustizia in più sentenze è il seguente: “The MEO criterion means that a transaction between a Member State and an undertaking does not grant an advantage to the undertaking when the Member State acts in an economically rational way and its actions can be compared with that of an economic operator under normal market conditions, such as an investor or credit”, si veda tra le altre pronunce,  EDF (case C-124/10), Frucona Košice (case C-73/11 P), SNCF Mobilités v Commission (case C-127/16), Commission v FIH Ehrversbank (case C-579/16 P), etc.. In dottrina italiana citiamo: “ll principio dell’operatore in un’economia di mercato nella prassi della Commissione europea e nella giurisprudenza della Corte di giustizia”, pag. 7, di S.FIORENTINO, dell’Avvocatura dello Stato, relazione al convegno Dipartimento per le Politiche Europee della Presidenza del Consiglio dei Ministri “Il principio dell’operatore in una economia di mercato – MEOP (Market Economy Operator Principle)” 24 settembre 2018

[xxxiii] Report statistico 2018 fornito dalla World Tour Organization (UNTWO)

[xxxiv] Sul tema A.L.TARASCO “Potenzialità redditive del patrimonio culturale e dinamiche organizzative” in in “Il patrimonio culturale modelli di gestione e finanza pubblica”, 2017, pag. 274

[xxxv] Articolo 2 punto 30) del Reg. 651/14

[xxxvi] A.L.TARASCO “Beni e attività culturali tra materialità ed immaterialità“ in “Il patrimonio culturale modelli di gestione e finanza pubblica”, 2017, pag. 19 e C. LAMBERTI, Ma esistono i beni culturali immateriali ? (in margine al Convegno di Assisi sui beni culturali immateriali), in Aedòn, 1/2014.

Prof. Avv. Bruno Aurelio

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