SOMMARIO: 1. Premessa introduttiva; 2. Il silenzio inadempimento; 3. Rimedi contro il silenzio inadempimento.
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Premessa introduttiva
Innanzitutto occorre affermare che il tempo e il decorso di esso ha da sempre assunto un ruolo centrale in determinate branchie del diritto finendo pertanto ad incidere, in maniera sostanziale, sulle situazioni giuridiche soggettive.
Il fenomeno temporale ha un’enorme rilevanza nell’ambito del diritto penale, si pensi all’istituto della prescrizione che è in grado di produrre l’estinzione del reato, oppure si pensi al diritto civile, laddove l’effetto del decorso del tempo rileva ai fini dell’acquisto di un diritto di proprietà (ad esempio l’usucapione) o alla prescrizione in cui il fattore tempo coincide con la facoltà del soggetto giuridico di poter o meno esercitare un proprio diritto e se connesso all’inattività dello stesso, che omette di esecitarlo, fa sì che si concretizzi l’estinzione del diritto medesimo.
Nel diritto amministrativo il fattore tempo ha egualmente un ruolo chiave soprattutto per la regolazione dei rapporti tra pubblica amministrazione e utenti.
Il luogo, a giudizio di chi scrive, in cui il tempo materializza l’efficacia e l’efficienza della P.A. è il procedimento amministrativo. Nello specifico un ruolo di rilevante importanza è assunto dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990 il quale a livello generale scandisce le tempistiche per la relativa conclusione, affinché l’azione amministrativa sia circoscritta nel tempo in modo tale che sia assicurata certezza a tutti coloro che entrano in contatto con una pubblica amministrazione[1].
L’attenzione del legislatore al fattore tempo nel procedimento amministrativo, quale sinonimo di efficacia, si può notare anche dal disposto di cui all’articolo 2 bis della legge n. 241 del 1990, introdotto dall’art. 7, comma 1 della legge n. 69 del 2009, che disciplina le conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento, nonché dal comma 1 bis[2] aggiunto all’articolo ora citato, il quale sancisce oltre al diritto di risarcimento del danno da ritardo[3], relativo alla conclusione tardiva del procedimento (art. 2 bis), l’indenizzo[4].
Inoltre, ai sensi dell’art. 29, comma 2 bis della legge 241 del 1990 il fattore temporale nei procedimenti amministrativi è stato elevato a livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale di cui all’art. 117, secondo comma, lett. m) della Costituzione.
Su detto fattore il Consiglio di Stato con parere n. 929 del 2016 ha affermato che tale fattore assume un ruolo centrale nel diritto amministrativo moderno, e si connette ai principi fondamentali di rango costituzionale (quali l’efficienza e il buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost., che vanno declinati “in concreto” con una efficace scadenza temporale), ma anche sovranazionale (in particolare l’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che riconosce al cittadino un diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate dall’amministrazione pubblica, oltre che con imparzialità ed equità anche entro un ragionevole termine). Inoltre, il fattore tempo assume un “valore ordinamentale”…quale componente determinante per la vita e l’attività dei cittadini e delle imprese per i quali l’incertezza o la lunghezza dei tempi amministrativi può costituire un costo che incide sulla libertà di iniziativa privata ex art. 41 Cost.
Assume pertanto rilievo decisivo la “dimensione economica” del diritto amministrativo e, quindi, anche dell’intervento oggetto del presente parere, dimensione in cui questo Consiglio di Stato deve essere consapevole nell’esercizio delle proprie funzioni.
L’art. 2, in questione, enuclea anche come debba essere concluso il procedimento prevedendo che termini con l’adozione di un provvedimento espresso e se ricorrono determinate eventualità lo stesso può essere redatto in forma semplificata[5]. Sussiste, comunque, l’ipotesi, non residuale, che dinnanzi ad una istanza presentata dal privato la pubblica amministrazione possa pure rimanere inerte. In questi casi vi è il problema di verificare il significato da attribuire al comportamento “neutro” dell’amministrazione e di individuare, altresì, gli strumenti necessari affinché l’istante possa ottenere una risposta dalla P.A. procedente.
Il legislatore ha, pertanto, attribuito al silenzio un determinato significato che può essere di assenso, nel caso di accoglimento dell’istanza o di diniego, allorquando la domanda dell’utente sia rigettata. In siffatte fattispecie il comportamento della P.A. assume valore provvedimentale, mentre in altri casi l’inerzia dell’amministrazione non è catalogata nei termini ora espressi cosicché subentrerà il silenzio-inadempimento.
2. Il silenzio inadempimento
Collegandomi a questo ultimo periodo, come è noto il silenzio della pubblica amministrazione è un comportamento inerte che si manifesta a fronte di uno specifico obbligo di provvedere, di emanare un atto e di concludere il procedimento con l’adozione di un provvedimento espresso entro il termine stabilito. L’ordinamento distingue il silenzio in ipotesi legislativamente qualificate in senso positivo (silenzio assenso), in senso negativo (silenzio diniego e silenzio rigetto), in senso procedimentale (silenzio devolutivo) e ipotesi non giuridicamente qualificate (silenzio inadempimento). Nei casi in cui la legge non lo qualifica espressamente esso equivale ad un inadempimento.
Il silenzio inadempimento, quindi, si concretizza allorquando l’inerzia costituisce violazione ad un obbligo di provvedere a carico della P.A. ed usando le parole del Consiglio di Stato (sez. V, n. 5417 del 2019) il silenzio inadempimento riguarda le ipotesi in cui, di fronte alla formale richiesta di un provvedimento da parte del privato, costituente atto inziale di una procedura amministrativa normativamente prevista per l’emanazione di una determinazione autoritativa su istanza di parte, l’amministrazione, titolare della relativa competenza, omette di provvedere entro i termini stabiliti dalla legge; di conseguenza, l’omissione dell’adozione del provvedimento assume il valore di silenzio inadempimento (o rifiuto) solo nel caso in cui sussista un obbligo giuridico di provvedere, cioè di esercitare una pubblica funzione attribuita normativamente alla competenza dell’organo amministrativo destinatario della richiesta, attivando una procedura amministrativa in funzione dell’adozione di un atto tipizzato nella sfera autoritativa del diritto pubblico.
L’obbligo di provvedere di talché sussiste in primo luogo, nel momento in cui vi sia una norma che attribuisca espressamente al privato il potere di presentare una istanza, ma a ben vedere anche in assenza di una esplicita previsione normativa la giurisprudenza si è orientata a riconoscere l’esistenza di ulteriori ipotesi per le quali vige il citato obbligo. In tal senso, da ultimo, il T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, n. 2293 del 2019 ha affermato che l’obbligo di provvedere da parte della pubblica amministrazione (positivizzato in via generale dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990) sussiste ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza del privato ovvero debba essere iniziato d’ufficio, essendo il silenzio rifiuto un istituto riconducibile a inadempienza dell’amministrazione, in rapporto ad un sussistente obbligo di provvedere che, in ogni caso, deve corrispondere ad una situazione soggettiva protetta, qualificata come tale dall’ordinamento, rinvenibile anche al di là di una espressa disposizione normativa che preveda la facoltà del privato di presentare un’istanza, e, dunque, anche in tutte le fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l’adozione di un provvedimento ovvero tutte le volte in cui in relazione al dovere di correttezza e buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere, il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’amministrazione anche perché (TA.R. Campania, Napoli, n. 4786 del 2018) affinché possa sussistere il silenzio dell’amministrazione non è sufficiente che questa, compulsata da un privato che presenta una istanza, non concluda il procedimento entro il termine previsto…ma è necessario che essa contravvenga ad un preciso obbligo di provvedere sull’istanza del privato, che sussiste non solo nei casi previsti dalla legge, ma anche nelle ipotesi che discendono dai principi generali.
Tuttavia sono stati individuati pure dei casi in cui l’obbligo di adottare un provvedimento non è configurabile, come ad esempio laddove il privato invochi l’emanazione, da parte della P.A., di un atto di riesame in autotutela di un precedente provvedimento autoritativo non impugnato. Sul punto il Consiglio di Stato (sez. III, n. 3507 del 2018) ha previsto che il potere di autotutela soggiace alla più ampia valutazione discrezionale dell’amministrazione competente e non si esercita in base ad un’istanza di parte avente al più portata meramente sollecitatoria e inidonea, come tale, ad imporre alcun obbligo giuridico di provvedere, con la conseguente inutilizzabilità del rimedio processuale previsto avverso il silenzio inadempimento, nonché quando all’amministrazione sia stata chiesta l’adozione di una attività materiale e non già di un provvedimento[6] ed in caso di omessa adozione di atti normativi infatti, (T.A.R. Lazio, Roma, sez. III n. 500 del 2019) il silenzio inadempimento non può essere utilizzato per costringere le amministrazioni intimate all’adozione di un decreto ministeriale, cui fa riferimento una disposizione normativa, costituendo esso un atto di natura normativa. Per pacifica giurisprudenza infatti, è esclusa, ai sensi dell’art. 7, comma 1, ultimo periodo del codice del processo amministrativo, la possibilità di sindacare con lo speciale rito del silenzio la mancata adozione, da parte degli organi titolari del relativo potere, di atti normativi (leggi, atti aventi forza di legge, regolamenti) venendo in rilievo ambiti nei quali l’amministrazione esprime scelte di natura politica.
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3. Rimedi contro il silenzio inadempimento
A fronte del silenzio inadempimento vi sono due rimedi e più precisamente agire in via amministrativa, dando attuazione al contenuto di cui all’art. 2 della legge n. 241 del 1990 e procedere in via giurisdizionale ai sensi del combinato disposto degli artt. 31 e 117 del d.lgs n. 104 del 2010 (codice del processo amministrativo).
Il comune denominatore per poter procedere è indissolubilmente legato alle tempistiche procedimentali.
Come già evidenziato in premessa e qui nel dettaglio, il termine per la conclusione del procedimento amministrativo è di regola trenta giorni sia per le amministrazioni statali che per gli enti locali a meno che non sia stabilito un diverso termine con legge o con diverso provvedimento (art. 2, comma 2 della legge n. 241 del 1990). Le amministrazioni statali possono individuare termini non superiori a novanta giorni per la conclusione del procedimento attraverso uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato, ai sensi dell’art. 17, comma 3 della legge n. 400 del 1988, su proposta dei ministeri competenti e di concerto con i ministeri della pubblica amministrazione, l’innovazione e per la semplificazione normativa. Allo stesso modo gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza (art. 2, comma 3). In presenza di determinati presupposti, sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della complessità del procedimento, per la conclusione del procedimento di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali il termine di novanta giorni può essere esteso fino ad un massimo di centottanta giorni mediate decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri adottato su proposta anche dei ministri della pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa, con esclusione, comunque, dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l’immigrazione (art. 2, comma 4).
Di sicuro interesse per la materia de qua è il comma 6 il quale prevede che i termini di conclusione del procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte[7] sancendo il comma 7 che salvo il disposto dell’art. 17 i termini possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, al fine che via sia l’acquisizione di informazioni o di certificati relativi a stati, fatti o qualità non attestanti in documenti già in possesso della P.A. e non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni.
Ai sensi dell’art. 9 bis, nella circostanza in cui subentri l’inerzia della P.A. attraverso il silenzio non qualificato e quindi inadempimento, l’istante si potrà rivolgere al soggetto cui è attribuito il potere sostitutivo in caso di inerzia da parte dell’amministrazione procedente. Infatti, l’organo di governo deve, nell’ambito delle figure apicali dell’amministrazione, individuare il soggetto in questione e nell’ipotesi in cui ciò non avvenga tale potere è di competenza del direttore generale, in mancanza di quest’ultimo è di competenza del dirigente preposto all’ufficio ed in ultima istanza al funzionario più elevato di livello all’interno dell’amministrazione. E’ bene affermare, altresì, che per ciascun procedimento deve essere riportato sul sito web dell’amministrazione in modo ben visibile nella home page chi sia il soggetto a cui è conferito il potere sostitutivo.
Decorso il termine per la conclusione del procedimento il privato può rivolgersi al “responsabile della tempistica” il quale entro un termine pari alla metà di quello previsto conclude il procedimento o procede con la nomina di un commissario.
Descritto il rimedio amministrativo, come poc’anzi affermato, vi è pure quello giurisdizionale. La materia è trattata in due articoli e più precisamente nel 31 e nel 117 del c.p.a.[8]
Il ricorso avverso il presente silenzio non costituisce un’azione impugnatoria ma dichiarativa e di condanna ed è esperibile solo contro il silenzio in questione poiché, così come chiarito in giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 1469 del 2010),
oggetto del giudizio speciale introdotto dall’art. 21 bis della legge n. 1034 del 1971 è costitutito dall’inerzia dell’amministrazione, non diversamente qualificata dalla legge, a fronte dell’obbligo di rispondere ad un’istanza che sollecita l’esercizio di poteri procedimentali tipizzati. Conseguentemente, si esclude l’ammissibilità del ricorso al rito speciale in tutte le ipotesi di silenzio qualificato (silenzio assenso-silenzio diniego) nelle quali l’omissione è legalmente equiparata ad un provvedimento espresso…sebbene l’art. 2 della legge n. 205 del 2000 (che ha introdotto l’art. 21 bis cit.) non indichi testualmente avverso quale tipo di silenzio il ricorso sia proponibile, il nuovo rimedio processuale, funzionale ad una condanna dell’amministrazione a provvedere, non si attaglia all’ipotesi del silenzio significativo, in cui il problema dell’inerzia è risolto a monte dal legislatore con l’attribuzione di una valenza attizia, favorevole o contraria agli interessi del privato, contro la quale sono proponibili gli ordinari mezzi di impugnazione.
Orbene, il ricorso contro il silenzio, ai sensi dell’art. 117, è proposto senza previa diffida, con atto notificato all’amministrazione e ad almeno un controinteressato fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procediemnto. Scaduto il termine annuale, il privato, non può più impugnare il silenzio formatosi sulla sua prima istanza che ormai è consolidato, potrà, tuttavia sollecitare nuovamente l’esercizio del potere amministrativo con una nuova istanza. Se la P.A. continua a perseverare con inerzia anche sulla nuova istanza si formerà un altro silenzio rifiuto censurabile nuovamente davanti al G.A. entro un nuovo termine annuale.
E’ bene affermare inoltre che, il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione (art. 31, comma 3) .
A norma dell’art. 87, comma 2, lett. b) del c.p.a. il giudizio si svolge in camera di consiglio ed è deciso con sentenza in forma semplificata ed in caso di totale o parziale accoglimento il giudice ordina all’amministrazione di provvedere entro il termine non superiore, di regola, a trenta giorni.
Il giudice con la sentenza ha il potere di nominare un commissario ad acta. Ciò può avvenire pure seccessivamente su istanza della parte interessata se la P.A. sia inadempiente con contestuale conoscenza di tutte le questioni relative all’esatta adozione del provvediemnto richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario (commi 3, 4, art. 117)
In base al disposto del comma 5 dell’art. 117 del c.p.a. se durante il giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con l’oggetto del contendere, esso può essere impugnato con motivi aggiunti nei termini e con il rito previsto per il nuovo provvedimento e l’intero giudizio prosegue con tale rito, sicché vi sarà una conversione dal rito camerale a quello ordinario.
In giurisprudenza (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, n. 11509 del 2017) è stato puntualizzato che il rito speciale sul silenzio inadempimento, disciplinato dagli artt. 117 e 31 del c.p.a. ha per oggetto l’accertamento dell’illegittimità dell’inerzia serbata dall’amministrazione sull’istanza che le è stata presentata e sulla quale doveva invece provvedere. Pertanto, la condanna dell’amministrazione a provvedere ai sensi del citato art. 117 c.p.a. presuppone che al momento della pronuncia del giudice perduri l’inerzia e che, dunque, non sia venuto meno l’interesse del privato istante ad ottenere una pronuncia dichiarativa dell’illegittimità del silenzio serbato, con il conseguente ordine di provvedere: l’omessa attività dell’amministrazione costituisce, dunque, una condizione dell’azione che deve persistere fino al momento della decisione. Sotto tale angolazione si ritiene che in linea generale l’adozione di un provvedimento esplicito…in risposta all’istanza dell’interessato, rende il ricorso avverso il silenzio inammissibile per carenza originaria dell’interessato ad agire, se il provvedimento interviene prima della proposizione del ricorso. Ciò in quanto il privato ha ottenuto il risultato al quale mira il giudizio, ossia il superamento della situazione di inerzia procedimentale e di violazione/elusione dell’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso entro i termini all’uopo previsti. Il rito speciale del silenzio prevede che nel caso di provvedimento sopravvenuto nel corso del giudizio e ritenuto illegittimo dal soggetto interessato, sussiste quale tutela per quest’ultimo la possibilità di avanzare contro di esso specifica impugnazione con motivi aggiunti.
Il comma 6 prende in considerazione l’evenienza in cui contestualmente all’azione avverso il silenzio è proposta l’azione di risarcimento danni per l’inosservanza dolosa o colposa del termine per provvedere. In tal caso il giudice può definire con il rito camerale l’azione avverso il silenzio e fissare l’udienza pubblica per la trattazione della richiesta di risarcimento che proseguirà con il rito ordinario.
In ultimo, nell’ipotesi di silenzio inadempimento subentra la tutela penale poiché l’art. 328, comma 2 del c.p. punisce la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato del pubblico servizio che, entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse, non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo.
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Note
[1] La mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativa-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente.
[2] Introdotto dal Decreto Fare, D.L. n. 69 del 2013 conv. in legge n. 98 del 2013.
[3] Per una completa ricostruzione, su tutte, Cons. St. sez. IV, n. 6740 del 2019.
[4] Scatterà per il ritardo nella ultimazione della pratica. La somma corrisposta o da corrispondere sarà detratta dal risarcimento ed equivale per ogni giorno di ritardo in trenta euro fino ad un massimo di duemila euro. Se tale somma non è liquidata potrà essere richiesta al G.A. tramite procedura semplificata. Restano esclusi da tale disciplina le ipotesi di silenzio qualificato (silenzio-assenso e silenzio-diniego) e dei concorsi pubblici. Come si evince dalla direttiva del 9 gennaio 2014 del ministero per la pubblica amministrazione e semplificazione, la norma in commento intende garantire l’effettività dei principi sanciti dalla legge n. 241 del 1990, e in particolare, tutelare i privati in conseguenza della violazione dei termini di conclusione dei procedimenti…La fattispecie dell’indennizzo da ritardo va nettamente distinta da quella prevista dall’art. 7, comma 1, lett. c) della legge n. 69 del 2009 (in materia di danno da ritardo) che, a sua volta, ha introdotto il comma 1 dell’art. 2 bis della legge n. 241…La fattispecie sopraricordata e, quindi il danno da ritardo, presuppone tuttavia l’avvenuta prova dell’esistenza stessa del danno, del comportamento colposo o doloso dell’amministrazione e, ancor più, della dimostrazione dell’esistenza di un nesso di casualità tra il danno lamentato e la condotta posta in essere dalla pubblica amministrazione. A parametri del tutto differenti va, al contrario ricondotta la fattispecie dell’indenizzo da ritardo introdotta con la disposizione in commento. Quest’ultima, infatti, prescide, dalla dimostrazione dell’esistenza di un danno e di tutti quei presupposti sopraricordati e contenuti nell’art. 2 bis, comma 1 della legge n. 241 del 1990.
[5] Ai sensi dell’art. 2, comma 1 della legge n. 241 del 1990 nel caso in cui via sia la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda.
[6] F. Caringella, Compendio Maior di diritto amministrativo, Roma, 2018, 390.
[7] Ai sensi dell’art. 18 bis, comma 1, della legge n. 241 dell’avvenuta presentazione di istanze, segnalazioni o comunicazioni è rilasciata immediatamente, anche in via telematica, una ricevuta, che attesta l’avvenuta presentazione dell’istanza, della segnalazione e della comunicazione e indica i termini entro i quali l’amministrazione è tenuta, ove previsto, a rispondere, ovvero entro i quali il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento dell’istanza.
[8] La conseguente tutela risarcitoria è disciplinata nell’art. 30, comma 4 del c.p.a.
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