Il principio dell’equilibrio di bilancio in costituzione: la riforma dell’art. 81 e le sue interpretazioni

Con legge costituzionale n.1 del 2012, quasi all’unanimità, le Camere hanno approvato una riforma dell’art. 81 e anche di altri articoli ( 97, 117 e 119 della Costituzione) che hanno trasformato l’obbligo di equilibrio di bilancio da vincolo esterno in una norma di rango costituzionale, con cui le politiche fiscali devono fare i conti. Se infatti nel luglio del 2012 il Parlamento avrebbe ratificato il Trattato (intergovernativo) per la stabilità, il coordinamento e la governance dell’Unione Economica e Monetaria noto come Fiscal Compact, già il 20 aprile 2012 era stata promulgata la legge costituzionale ( il cui iter parlamentare aveva avuto inizio alla Camera dei Deputati il 23 marzo del 2011) che introduceva il principio dell’equilibrio di bilancio nella Carta costituzionale. (1)

Invero, da parte della dottrina prevalente si ritiene già indirettamente costituzionalizzato il principio dell’equilibrio di bilancio ai sensi degli artt. 11 e 117 della Costituzione. Più precisamente si afferma da un lato l’assenza di doverosità giuridica alla revisione costituzionale, dall’altro il carattere già operativo delle norme europee di bilancio in virtù del primato del diritto dell’Unione sul diritto interno oltre che la loro indiretta costituzionalizzazione in base ai menzionati artt. 11 e 117 primo comma della Carta. Anche il Fiscal Compact risulta indirettamente costituzionalizzato ai sensi dell’art. 117 Cost. in quanto accordo internazionale recepito con legge di esecuzione. Pertanto la legge costituzionale n. 1 del 2012 avrebbe soltanto un effetto confermativo di tale operatività.

In realtà vi erano state sollecitazioni in questo senso con il Patto Euro Plus (2) del marzo 2011 e con la lettera inviata il 5 agosto 2011 dal Presidente della BCE Jean-Claude Trichet e da Mario Draghi, allora Governatore della Banca d’Italia, al Presidente del Consiglio in carica. Tuttavia solo con i provvedimenti dell’Unione Europea di riforma della governance economica, in seguito alla crisi finanziaria iniziata nel 2008, contenuti nel Six Pack del 2011 e con il Fiscal Compact erano subentrati dei veri e propri obblighi giuridici di adeguamento del nostro diritto interno al fine di “assicurare il rispetto delle regole di bilancio con strumenti appositi” ma non necessariamente di natura costituzionale. La scelta della revisione costituzionale e della legge rinforzata di attuazione, quindi di un sistema misto di recezione, va individuata in motivazioni politiche miranti a rassicurare, in un contesto di grave crisi economica e finanziaria del nostro Paese, le istituzioni europee, gli altri Stati membri e i mercati. (3)

Diritto dell’Unione e diritto interno

È noto che proprio in virtù dell’art. 11 della Costituzione si è affermato in via giurisprudenziale il primato del diritto dell’Unione sul diritto interno. (4) L’art. 11 stabilisce che “l’Italia consente in condizioni di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni” .
In verità, in difformità rispetto alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, la Corte costituzionale ha riconosciuto in fasi successive il primato del diritto dell’Unione, cioè la prevalenza delle norme dell’Unione Europea sulle norme interne incompatibili.

In un primo tempo infatti (5) la Corte non ha ritenuto che l’art. 11 attribuisse un particolare valore alla legge esecutiva del Trattato CE rispetto alle altre leggi e, in virtù del principio della successione delle leggi nel tempo, ha dichiarato che il giudice italiano poteva applicare le norme dei Trattati e del diritto derivato (norme con il rango di legge ordinaria) solo se non fosse intervenuta una legge successiva interna confliggente.

In un secondo momento (6), la Corte, valorizzando maggiormente l’art. 11 ha affermato che tale norma non solo consente limitazioni di sovranità con legge ordinaria ma esige che il legislatore rispetti tale limitazione non ostacolando con leggi successive incompatibili la diretta applicabilità dei regolamenti emanati in base al TCE. Tuttavia, per la Consulta, tale vizio non implica un potere di disapplicazione da parte del giudice ordinario, restando sempre necessario il ricorso alla Corte Costituzionale ai sensi dell’art. 134 Costituzione.

Soltanto nel 1984 (7), la Corte Costituzionale ha affermato che il diritto dell’Unione apparteneva ad un ordinamento diverso da quello della Repubblica e che gli eventuali conflitti tra norme dell’Unione e norme nazionali di legge andavano risolti con il criterio della competenza delle istituzioni comunitarie ad emanare atti normativi in determinate materie ad esse di riservate. Rispetto a quest’ultime, ai fini dell’applicazione immediata delle norme dell’Unione e della disapplicazione delle eventuali leggi interne confliggenti, non occorreva sollevare la questione di costituzionalità ma era sufficiente che il giudice ordinario verificasse che le materie rientrassero tra quelle rispetto alle quali si era accettata la limitazione di sovranità ai sensi dell’art. 11.

La Corte riservava a sé stessa il controllo giurisdizionale solo nel caso in cui un atto dell’Unione non avesse rispettato i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale o i diritti inviolabili della persona. Si tratta della c.d. teoria dei controlimiti, ovvero del potere della Corte Costituzionale di annullare gli atti in contrasto con i suddetti principi e diritti. (8)

L’art. 117 della Costituzione al primo comma ( riformato nel 2001) stabilisce poi in modo esplicito il primato del diritto dell’Unione, affermando che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.

La lettera di Trichet e Draghi del 5 agosto 2011

Prima di entrare nel merito della costituzionalizzazione dell’equilibrio di bilancio con la modifica dell’art. 81 della Carta, sollecitato, ma non imposto obbligatoriamente né dai Trattati, né dal diritto derivato della UE, né da accordi internazionali, come il Fiscal Compact, ci si soffermerà brevemente non su un atto giuridico dell’Unione Europea ma sulla già citata lettera riservata, inviata il 5 agosto del 2011, da Trichet e da Draghi, al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, resa pubblica solo il 29 settembre 2011 dal “Corriere della Sera”. Nella lettera, strettamente confidenziale, venivano indicate o meglio sollecitate vivamente le misure anti speculative che il Governo avrebbe dovuto adottare con urgenza, tramite decreto legge, per rafforzare la reputazione della “firma sovrana” dell’Italia, ristabilendo la fiducia degli investitori nei titoli di Stato italiani e nel suo impegno per la sostenibilità del bilancio e per le c.d. riforme strutturali. Tra le misure da adottare, si faceva riferimento esplicito, tra altro: alla liberalizzazione dei servizi pubblici locali attraverso privatizzazioni su larga scala, alla riduzione dei costi del pubblico impiego, alla riforma del mercato del lavoro, delle pensioni, alla riforma del sistema di contrattazione collettiva, per permettere accordi a livello aziendale più corrispondenti alle esigenze specifiche delle imprese in termini di salario e condizioni di lavoro, in deroga ai contratti collettivi nazionali.

Molte delle misure sollecitate da Trichet e Draghi, tra cui anche una riforma costituzionale che rendesse più stringenti le regole di bilancio, sono state attuate dalla staffetta dei governi che si sono succeduti a partire dal Governo tecnico di Mario Monti sino al Governo Renzi: dalla riforma previdenziale, con notevole innalzamento dell’età per accedere al trattamento pensionistico, al blocco dei contratti del pubblico impiego; dai c.d. contratti di prossimità che permettono, in base alla legge n. 148/2011, una contrattazione a livello aziendale su determinate materie, in deroga sia alla legge che alla contrattazione collettiva nazionale, alla sostanziale abolizione della tutela dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori sino all’ introduzione del principio dell’equilibrio di bilancio in Costituzione.

L’art. 81 e le sue interpretazioni

Nei paragrafi precedenti si è sempre utilizzata l’espressione “equilibrio di bilancio” perché sebbene nel titolo della legge costituzionale si parli di pareggio, nell’articolato invece il riferimento è sempre al principio dell’equilibrio di bilancio, non quindi ad un pareggio contabile tra le spese e le entrate nei bilanci dello Stato e del complesso delle pubbliche amministrazioni. La regola dell’equilibrio del bilancio è estesa alle Regioni e agli enti locali. Si riporta il testo dell’art. 81 riformato e di alcuni articoli della legge attuativa rinforzata (9) n. 243/2012 della legge costituzionale al fine di una più compiuta comprensione del sistema misto di recezione:
 comma1: lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.
 comma 2: Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.
 comma 6: il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabilite con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale.
 Art. 3 della legge 243/2012 comma 2: L’equilibrio dei bilanci corrisponde all’obiettivo di medio termine.
 Art. 2 lettera e) della legge 243/2012 secondo cui si intende: per «obiettivo di medio termine» il valore del saldo strutturale individuato sulla base dei criteri stabiliti dall’ordinamento dell’Unione europea;
 Art. 2 lettera d) della legge 243/2012 secondo cui si intende: per «saldo strutturale» il saldo del conto consolidato corretto per gli effetti del ciclo economico al netto delle misure una tantum e temporanee e, comunque, definito in conformità all’ordinamento dell’Unione europea;
 Art. 6 della legge 243/2012: … scostamenti temporanei del saldo strutturale dall’obiettivo programmatico sono consentiti esclusivamente in caso di eventi eccezionali. 2. Ai fini della presente legge, per eventi eccezionali, da individuare in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, si intendono: a) periodi di grave recessione economica relativi anche all’area dell’euro o all’intera Unione europea; b) eventi straordinari, al di fuori del controllo dello Stato, ivi incluse le gravi crisi finanziarie nonché’ le gravi calamità naturali, con rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale del Paese. 3. Il Governo, qualora, al fine di fronteggiare gli eventi di cui al comma 2, ritenga indispensabile discostarsi temporaneamente dall’obiettivo programmatico, sentita la Commissione europea, presenta alle Camere, per le conseguenti deliberazioni parlamentari, una relazione con cui aggiorna gli obiettivi programmatici di finanza pubblica… La deliberazione con la quale ciascuna Camera autorizza lo scostamento e approva il piano di rientro è adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti.

In merito all’introduzione del principio dell’equilibrio di bilancio in Costituzione vi sono state interpretazioni e valutazioni diverse se non opposte, sia da parte del mondo politico che della dottrina. (10) Si evidenzia in particolare che nell’ambito della sinistra radicale e da quella parte della dottrina costituzionalista più attenta al rispetto dei principi della Carta che pongono al centro il valore e la dignità della persona, con i suoi diritti fondamentali anche di natura sociale si è levato un grido di allarme.

Provando a riassumere, sulla base dell’esame dei diversi contributi si individuano quattro linee interpretative. Un primo orientamento pone l’accento sugli ampi margini di flessibilità che la nuova disciplina di bilancio conserverebbe. Tale flessibilità permetterebbe ancora politiche fiscali anticicliche e non metterebbe a rischio la garanzia dei diritti fondamentali di prestazione.

Un secondo orientamento, ponendo ugualmente l’accento sulla flessibilità del nuovo art. 81 ritiene invece che la riforma non sia stata abbastanza coraggiosa e che all’equilibrio di bilancio sarebbe stato da preferire una normativa più rigorosa basata sul pareggio di bilancio.

Un terzo filone di pensiero, cui si è sopra già accennato, esprime il timore che l’art. 81 possa trasformarsi in un principio “tiranno” che possa prevalere in modo assoluto sugli altri principi costituzionali e quindi sulla tutela dei diritti legati al rispetto della dignità della persona.

Infine, secondo un ulteriore approccio interpretativo molto critico, si sarebbe passati dal principio duttile della disciplina di bilancio della Costituzione economica originaria ad una visione basata non più su vincoli di natura procedurale ma su rigide regole numeriche che sottraggono al legislatore la scelta delle politiche economiche, codificando l’approccio teorico neoclassico e vietando il ricorso alle politiche economiche keynesiane.

Priorità costituzionali e destinazione delle risorse

Da parte della dottrina che ha manifestato preoccupazione per la garanzia dei diritti sociali, è stato ribadito (11) il carattere sistematico della Carta costituzionale, composta “soprattutto da principi in collegamento tra loro” e che nel bilanciamento tra interessi diversi, la Costituzione indica chiaramente le priorità nell’allocazione delle risorse, imponendo di tutelare in prima istanza i diritti fondamentali della persona al lavoro, alla salute, all’istruzione, alla previdenza, all’ambiente. Solo successivamente al soddisfacimento dei bisogni legati a tali diritti fondamentali, il legislatore può attuare spese di natura facoltativa. Più precisamente si afferma che la Costituzione ha chiaramente distinto tra destinazioni di risorse costituzionalmente doverose, destinazioni consentite e destinazioni addirittura vietate. Si offre l’esempio illuminante dell’obbligo costituzionale per lo Stato di finanziare la scuola pubblica e si evidenzia la possibilità di devolvere fondi alla scuola privata solo dopo che tale obbligo sia stato adempiuto.

La bussola è quell’art. 3, comma 2 della Costituzione relativo all’uguaglianza sostanziale, in cui si assegna alla Repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”. Dell’art. 3 si evidenzia il suo specificarsi nell’art. 4, riguardante l’effettività del diritto al lavoro e il legame tra questo e il principio di solidarietà politica, economica, sociale, affermato nell’art. 2 , di cui il “lavoro è espressione primaria”. Si ribadisce con forza il nesso tra la garanzia dei diritti sociali e l’effettivo godimento dei diritti civili e politici e il buon funzionamento della democrazia, affermato sia dalla dottrina che dalla Corte costituzionale. (12)

Alla Corte, negli anni della crisi che hanno visto politiche di austerity con tagli alla sanità, alla scuola, alla previdenza, all’ambiente, ai beni culturali, si chiede di sottoporre le scelte del legislatore ad un controllo giurisdizionale “agganciando la destinazione delle risorse disponibili al riferimento sicuro delle priorità costituzionali”. La stessa Corte costituzionale ha affermato che in materia di diritti sociali, la discrezionalità del legislatore non ha carattere assoluto ma incontra il limite del rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie, limite che le disposizioni di legge non possono valicare se non rompendo la coerenza interna del sistema costituzionale, risultando in tal modo ingiustificate e illegittime poiché violano il principio di ragionevolezza. (13)

Di fronte ai limiti imposti dal nuovo art. 81 e alle contraddizioni dell’Unione Europea, tra la sua Carta dei diritti fondamentali (nel cui Preambolo si sanciscono a fondamento dell’Unione, i valori universali della dignità umana, dell’uguaglianza e della solidarietà) e le sue politiche di rigore, legate alla “sola dimensione economica” e piegate alla logica del mercato, la via da percorrere a tutela dei diritti sociali è quella di “un’interpretazione costituzionalmente orientata”. Quest’ultima espressione va intesa nel senso che tali limiti “non devono essere assolutizzati ma devono essere messi a confronto con l’intera Costituzione”, con il suo disegno complessivo, con i suoi valori fondanti, che ruotano intorno al valore centrale della persona e della sua dignità.(14)

Anche ammettendo che l’equilibrio di bilancio sia un “principio”, esso non può avere la prevalenza assoluta sugli altri principi costituzionali, diventare un principio “tiranno” rispetto alle altre situazioni giuridiche riconosciute e tutelate dalla Carta “che costituiscono nel loro insieme espressione della dignità della persona”. (15)

È quindi doveroso operare un bilanciamento tra principi concorrenti, “sacrificando ciascuno di essi nella misura minore possibile”, ricercando, da parte del legislatore e da parte della Corte Costituzionale in sede di controllo, un punto di equilibrio tra risorse limitate e diritti sociali, secondo criteri di proporzionalità e ragionevolezza. (16)

Una riforma poco coraggiosa

Alcuni Autori, muovendo da una visione dichiaratamente liberista, ancor prima della definitiva approvazione della legge costituzionale, hanno criticato la debolezza dell’originario art. 81 e auspicato regole di bilancio più rigorose, stigmatizzando la locuzione, ritenuta molto ambigua, di “equilibrio” di bilancio e il carattere ancora in larga misura flessibile delle norme. Secondo questa dottrina, poiché il vecchio art. 81 si era dimostrato un vincolo debole, incapace di arginare la crescita incontrollata della spesa pubblica e del debito, nel prosieguo dell’iter parlamentare, la locuzione di equilibrio di bilancio avrebbe dovuto essere sostituita con quella di pareggio. La prima, infatti, dimostrava l’intenzione del legislatore costituzionale di consentire una flessibilità nella gestione della finanza pubblica che altrimenti sarebbe stata preclusa. Si auspicava inoltre un diretto inserimento in Costituzione di un limite massimo alla spesa. (17)

Il principio costituzionale di duttilità

Sul versante opposto vi è chi, invece, ritenendo più convincente di altre l’ipotesi di una svista lessicale da parte del legislatore, ha manifestato apprezzamento per il fatto che, aldilà del titolo della legge costituzionale, effettivamente non si tratta di “pareggio”, cioè di una corrispondenza aritmetica perfetta tra entrate e uscite, bensì di “equilibrio” di bilancio.
Per individuare cosa si debba intendere con “equilibrio” di bilancio, occorre fare riferimento al principio “dell’interpretazione conforme a Costituzione”, principio che vale anche per le leggi di revisione costituzionale in quanto fonti ad essa gerarchicamente subordinate. Dalla Carta costituzionale emergerebbe indiscutibilmente il principio della “duttilità” della disciplina di bilancio, poiché i Costituenti avrebbero rifiutato di operare una scelta in favore di una specifica dottrina economica. (18) Tale principio di duttilità sarebbe il solo modo per evitare che regole troppo rigide di bilancio possano porsi in contrasto con altri principi costituzionali, quali in primo luogo la tutela dei diritti fondamentali.

Pur riconoscendo che la revisione costituzionale non era “dovuta”, come diffusamente ritenuto in dottrina, in quanto non imposta giuridicamente dagli accordi internazionali né dalla normativa UE in materia di bilancio, e che non possa definirsi “irrilevante” poiché pone ulteriori vincoli rispetto all’originario art. 81, si evidenzia che essa prevede un equilibrio di bilancio che tiene conto degli effetti del ciclo e consente l’indebitamento per mettere in campo politiche anticicliche a sostegno della domanda consentendo il ricorso ai mercati finanziari non solo al fine di fronteggiare eventi eccezionali. (19)
Si ammette tuttavia che la possibilità di attuare politiche anticicliche, benché giuridicamente consentita, sussista solo in astratto in quanto potrebbe essere ostacolata “fattualmente” sia dai vincoli europei sia in relazione alla mobilità internazionale dei capitali che può condizionare l’attuazione di politiche keynesiane di deficit spending, qualora il servizio del debito risulti troppo oneroso. (20)

Si ribadisce comunque che sebbene la nozione di equilibrio di bilancio non sia definita nella legge costituzionale ma a ciò provveda la legge rinforzata di attuazione n. 243/ 2012, poiché quest’ultima all’art. 3 definisce l’equilibrio, in conformità all’ordinamento dell’Unione Europea, come corrispondente all’obiettivo di medio termine, a sua volta coincidente con il saldo strutturale – art. 2 lett. d) ed e) – risulterebbe ulteriormente confermata la “flessibilità tendenziale” della nuova normativa che fa riferimento ad una nozione di saldo non nominale (introdotta con la prima riforma del Patto di Stabilità e Crescita) che tiene conto degli effetti del ciclo economico e da cui vanno scomputate le misure una tantum e quelle temporanee. (21)

Altra dottrina, insistendo ugualmente sul carattere “flessibile” dell’art. 81 riformato, sostiene che non si dovrebbe temere in alcun modo per la garanzia del contenuto essenziale dei diritti sociali. Al contrario, un maggiore controllo della spesa pubblica e dell’indebitamento svolgerebbe “una funzione costituzionale di garanzia dei diritti di cittadinanza inclusiva” permettendo la sostenibilità dello stato sociale anche in una prospettiva intergenerazionale. A conferma di quanto sopra si sottolinea che l’art. 5 della legge costituzionale prevede un meccanismo attraverso il quale lo Stato deve concorrere ad assicurare il finanziamento da parte delle autonomie territoriali dei “livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti i diritti civili e sociali.” (22)

Vincoli numerici vs vincoli procedurali

Rispetto alle interpretazioni che precedono, vi è chi afferma invece, con argomentazioni fortemente critiche, con riguardo in primo luogo alla distinzione terminologica tra “pareggio” ed “equilibrio” di bilancio, che anche concedendo che si tratti del più elastico principio di “equilibrio” di bilancio e non della più rigida norma di “pareggio”, l’equilibrio si esprime comunque in una regola “numerica”. Si sostiene che, sebbene con il rinvio della legge costituzionale alla legge di attuazione n. 243/2012 e con il rimando di quest’ultima ai criteri stabiliti dal diritto della UE (Trattato di Maastricht del 1992 e Patto di Stabilità e Crescita riformato nel 2011) si faccia riferimento al saldo strutturale e non a quello nominale, la politica fiscale risulta comunque assoggettata a norme rigide e non ad un principio flessibile. (23)

Infatti, mentre il “vecchio” art. 81 si limitava a porre un vincolo “procedurale” stabilendo che: “nessuna legge che comporti nuove o maggiori spese può essere approvata senza indicare i mezzi per farvi fronte”, il nuovo art. 81 stabilisce vincoli di natura sostanziale e numerica, tipici delle c.d. Balanced Budget Rules e si pone in assoluta discontinuità con il principio di duttilità del bilancio della Costituzione economica originaria. Con la nuova formulazione dell’art.81 e ancor prima, con la cessione della sovranità monetaria alla BCE, si sarebbe passati da un disegno costituzionale che riconosceva la possibilità di politiche macroeconomiche discrezionali anche keynesiane di deficit spending ad un assetto di regole ferree che le vieterebbero in linea di principio, consentendole solo in alcune circostanze ben determinate. (24)

Il metodo di calcolo del saldo strutturale della UE

Si mette in evidenza (25) che poiché il saldo strutturale deve tenere conto degli scostamenti del PIL effettivo dal PIL potenziale e delle conseguenti minori entrate, si pone la questione di non poco rilievo dell’affidabilità del metodo di calcolo del saldo strutturale stesso. Infatti il PIL potenziale non è una grandezza osservabile e misurabile oggettivamente al pari del PIL effettivo ma una variabile di difficile quantificazione, risultato di una “stima” che presenta elevati margini di incertezza e sul cui modello di calcolo non vi è unanimità nell’ambito della scienza economica. In altre parole, il problema consiste nel fatto che per poter correggere il saldo in base al ciclo e quindi poter adottare misure espansive anticicliche, occorre quantificare l’effetto negativo del ciclo stesso, ossia la gravità della situazione economica e a ciò si provvede tramite un modello di “stima” i cui errori possono portare a valutazioni non corrette e alla conseguente adozione di politiche economiche troppo restrittive e pro-cicliche.

Secondo il modello di stima, concordato a livello di Unione Europea, per calcolare gli effetti del ciclo occorre misurare il cosiddetto output gap, cioè la differenza tra il prodotto lordo effettivo e il prodotto potenziale: maggiore è la differenza tra PIL effettivo e PIL potenziale, maggiore è l’effetto negativo del ciclo, cioè la gravità della situazione economica, e maggiore la possibilità di correggere il saldo. Tuttavia, sussiste un forte rischio di “sottostima” del PIL potenziale, sottostima che si è verificata nei fatti come risulta dall’analisi di autorevoli economisti. Pertanto, se il PIL potenziale è sottostimato, la correzione del saldo non potrà assolutamente avere un effetto anticiclico ma al contrario sempre pro-ciclico. (26)

L’incidenza del NAWRU o tasso naturale di disoccupazione

A ciò si aggiunge il fatto che nella stima del prodotto potenziale, il metodo dell’Unione Europea tiene conto del cosiddetto tasso naturale o strutturale o di equilibrio di disoccupazione (nozione sviluppata dall’economista neoliberista e monetarista M. Friedman) che coincide con il tasso di disoccupazione compatibile con l’obiettivo della stabilità dei prezzi e che non può essere ridotto senza causare un’accelerazione dell’inflazione legata all’aumento dei salari, il c.d. Non-Accelerating Wage Rate of Unemployment o NAWRU. Ma anche sotto questo profilo si pone un problema, ossia il rischio di “sovrastimare” la disoccupazione naturale o strutturale (rispetto a quella ciclica), con il risultato che quanto più sarà sovrastimato il tasso di disoccupazione naturale, tanto più basso sarà il PIL potenziale e tanto minore la possibilità di correzione del saldo strutturale con politiche di deficit spending di tipo keynesiano. Nel caso dell’Italia il tasso di disoccupazione naturale o strutturale negli anni della crisi è stato sovrastimato dalla Commissione Europea sulla base dei dati relativi alla disoccupazione effettiva su cui la crisi stessa aveva inciso fortemente.

Il calo del PIL potenziale italiano sarebbe principalmente riconducibile ad un incremento di questa componente, che il modello utilizzato dall’Unione Europea stima essere aumentata da circa il 7% nel 2007 a quasi l’11% nel 2014. (27)
In estrema sintesi, secondo questa interpretazione, le nuove norme costituzionali e sovranazionali in materia di bilancio espungono gli strumenti keynesiani e codificano gli approcci della teoria economica neoclassica.

Art. 81 e vincoli sovranazionali

Viene posta, infine, da questa dottrina la questione cruciale relativa alla sussistenza o meno dell’obbligo di una interpretazione del nuovo art. 81 coerente con i vincoli sovranazionali ai sensi degli artt. 11 e 117 della Costituzione come ritenuto in modo prevalente. In caso affermativo la legge attuativa n. 243/2012 della legge costituzionale non avrebbe potuto discostarsi dai criteri e dai vincoli di bilancio derivanti dal diritto dell’Unione Europea e da altri obblighi internazionali in materia e quindi di fatto la nuova disciplina costituzionale dell’equilibrio di bilancio coinciderebbe con tale normativa sovranazionale con tutte le conseguenze restrittive dell’autonomia delle politiche fiscali nazionali.

Per superare tale interpretazione si teorizza che il nuovo art. 81 abbia codificato un significato dell’equilibrio di bilancio coerente con il complessivo dettato costituzionale e con i principi fondamentali che lo informano, in primo luogo con il principio lavorista che costituisce il fondamento per poter attribuire agli organi di governo la disponibilità di tutti gli strumenti di politica economica e quindi anche di quelli della politica economica keynesiana. Si riafferma che l’art. 4 della Costituzione costituisce una norma programmatica che pone alla Repubblica l’obiettivo del perseguimento della piena occupazione e che mira a garantire il diritto al lavoro tramite l’intervento dello Stato che deve favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, “stimolandola se scarsa”, “qualificandola se scadente”. Sono invece costituzionalmente vietate le politiche economiche dirette a creare equilibri di sottoccupazione. (28)

Qualora i vincoli sovranazionali impedissero un’interpretazione conforme al principio originario di duttilità costituzionale del nuovo art. 81 si potrebbe fare ricorso alla dottrina dei controlimiti. (29) Resterebbe aperta la questione se il controlimite o principio supremo violato dalle norme del diritto dell’UE e dalla legge rinforzata n. 243/2012 (secondo alcuni autori (30) anche dalla stessa legge costituzionale) rispetto alle quali la Corte Costituzionale dovrebbe pronunciarsi, sia la norma programmatica della piena occupazione di cui all’ art.4 o in alternativa la norma “competenziale” che permetterebbe agli organi di governo di scegliere discrezionalmente la politica economica più idonea, nelle circostanze date, a favorire il pieno impiego, contrastando con politiche espansive anche in disavanzo una fase negativa del ciclo economico. (31)

Stabilità monetaria vs occupazione

Altri, sottolineando analogamente la centralità del diritto al lavoro e l’obiettivo del pieno impiego nella Carta Costituzionale e il legame tra questi principi e quelli di libertà, uguaglianza e di attuazione della democrazia, sostengono l’inconciliabilità tra Costituzione e Trattati. (32) Secondo questa visione, nella normativa dell’Unione Europea, almeno a partire dal Trattato di Maastricht in poi, il mercato, lo Stato minimo, la lotta all’’inflazione (la cui causa è ravvisata nell’eccesso di moneta in circolazione e nell’alto costo del lavoro), la conseguente necessità dell’indipendenza della Banca centrale dai governi costituiscono i principi fondamentali sovraordinati a tutti gli altri. Infatti, aldilà delle enunciazioni dell’art. 3 del Trattato sull’Unione Europea le quali sembrano porre sullo stesso piano l’obiettivo dell’occupazione, del progresso sociale e quello della stabilità monetaria, quest’ultimo è di fatto gerarchicamente superiore ai primi, con la conseguenza che la lotta alla disoccupazione risulta secondaria, così come tutte le politiche espansive in deficit spending per contrastare gli effetti delle crisi economiche e stimolare la ripresa e l’occupazione. (33) Il nuovo art . 81 costituirebbe quindi un cuneo pericolosissimo inserito nella Costituzione che minerebbe l’esigibilità dei diritti sociali fondamentali da essa tutelati. (34)

Dopo aver delineato il quadro dei principali orientamenti interpretativi sulla introduzione dell’equilibrio di bilancio in Costituzione, si segnala che in questa prima fase della XVIII legislatura sono stati presentati due progetti di legge di modifica dell’art. 81 della Costituzione, di cui tuttavia, allo stato, non risultano disponibili i relativi testi:
C.806 – On. Roberto Speranza (LEU), Modifiche all’articolo 81 della Costituzione e all’articolo 5 della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, in materia di ricorso all’indebitamento, 28 giugno 2018: presentato alla Camera, da assegnare;
C.520 – On. Tiziana Ciprini (M5S), Modifiche agli articoli 81, 97 e 119 della Costituzione, concernenti l’eliminazione del principio del pareggio di bilancio,
17 aprile 2018: presentato alla Camera, da assegnare.

Si evidenzia che nel contratto di governo, tra Lega e M5S, successivo alla proposta di legge C. 520, al punto 20 – Riforme Costituzionali si afferma che “occorre prevedere una maggiore flessibilità dell’azione di governo in modo tale da poter far fronte efficacemente ai diversi cicli economici, prevedendo l’adeguamento della regola dell’equilibrio di bilancio, che rende oggettivamente impossibile un’efficace azione anticiclica dello Stato”.

Potrebbe interessarti anche:”Le interpretazioni giuspolitiche del pareggio di bilancio nel novellato art. 81 Cost.

NOTE

(1) Cfr. la proposta di legge costituzionale n. 4205, presentata dall’onorevole Cambursano ed altri il 23 marzo 2011, Modifica all’articolo 81 della Costituzione in materia di debito pubblico. La proposta, previo esame delle competenti commissioni, è stata esaminata in aula il 29 novembre 2011 ed approvata in prima deliberazione il 30 novembre 2011 in un Testo Unificato con altre proposte di leggi costituzionali. Nella Relazione delle Commissioni riunite I e V i relatori Bruno ( Forza Italia) e Giorgetti (Lega Nord) fanno esplicito riferimento agli obiettivi di Maastricht e del Patto di Stabilità e Crescita e alla lettera del 5 agosto 2011 di Trichet (Presidente della BCE) e Draghi (Governatore della Banca d’Italia) al Presidente del Consiglio che sollecitava una riforma costituzionale per rendere più stringenti le regole di bilancio.
(2) Gli obiettivi del Patto erano: stimolare la competitività, stimolare l’occupazione, concorrere ulteriormente alla sostenibilità delle finanze pubbliche, rafforzare la stabilità finanziaria. Il Patto, Allegato I alle Conclusioni del Consiglio Europeo del 24 -25 marzo 2011, prevede, tra l’altro, che “Gli Stati membri partecipanti si impegnano a recepire nella legislazione nazionale le regole di bilancio dell’UE fissate nel patto di stabilità e crescita. Gli Stati membri manterranno a facoltà di scegliere lo specifico strumento giuridico nazionale cui ricorrere ma faranno sì che abbia una natura vincolante e sostenibile sufficientemente forte (ad esempio costituzione o normativa quadro).” In http://europa.eu/rapid/press-release_DOC-11-3_it.htm . Circa la natura di soft law del Patto, cfr. L. DANIELE, Il diritto dell’Unione Europea, Milano, Giuffrè, 2014, pp. 44 e 47. Cfr. anche G. L. TOSATO, L’impatto della crisi sulle istituzioni dell’Unione, in Il Fiscal Compact, Roma, 2012, p. 17.
(3) G. L. TOSATO, La riforma costituzionale del 2012 alla luce della normativa dell’Unione: l’interazione fra i livelli europeo e interno – Seminario “Il principio dell’equilibrio di bilancio secondo la riforma costituzionale del 2012”, Roma 22 novembre 2013, p. 2. Dello stesso avviso F. GALLO, “Il principio costituzionale di equilibrio di bilancio e il tramonto dell’autonomia finanziaria degli enti territoriali. Relazione alla Commissione della Camera dei Deputati sul tema Federalismo fiscale e vincolo del pareggio di bilancio”, Roma, 30 ottobre 2014, in Rassegna tributaria – 2014.
(4) Per una ricostruzione del primato del diritto dell’Unione cfr. L. DANIELE, Diritto dell’unione Europea, cit. p. 294 e ss. .
(5) CORTE COSTITUZIONALE, sentenza n. 14 del 7 marzo 1964, Il Foro italiano, 1964, parte I, pag. 465 che al riguardo così si esprime: “Nessun dubbio che lo Stato debba fare onore agli impegni assunti e nessun dubbio che il trattato spieghi l’efficacia ad esso conferita dalla legge di esecuzione. Ma poiché deve rimanere saldo l’impero delle leggi posteriori a quest’ultima, secondo i principi della successione delle leggi nel tempo, ne consegue che ogni ipotesi di conflitto fra l’una e le altre non può dar luogo a questioni di costituzionalità”.
(6) CORTE COSTITUZIONALE, sentenza n. 232 del 30 ottobre 1975, Il Foro italiano, 1976, parte I, pag. 542; afferma la Corte che “esigenze fondamentali di eguaglianza e di certezza giuridica postulano che le norme comunitarie – non qualificabili come fonte di diritto internazionale, né di diritto straniero, né di diritto interno dei singoli Stati – debbano avere piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza la necessità di leggi di recezione e adattamento, come atti aventi forza e valore di legge in ogni Paese della Comunità, sì da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire applicazione uguale ed uniforme nei confronti di tutti i destinatari.”
(7) CORTE COSTITUZIONALE, sentenza 8 giugno 1984 n. 170, in Il Foro italiano, 1984, parte I, pag. 2063, la cui massima così recita: “Nelle materie riservate alla normazione delle Comunità europee il giudice ordinario deve applicare direttamente la norma comunitaria (nella specie, regolamento), la quale prevale sulla legge nazionale incompatibile, anteriore o successiva; ne’ può il giudice stesso denunciare alla Corte costituzionale, in riferimento all’art. 11 Cost., la detta incompatibilità. Pertanto è inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 d.P.R. 22 settembre 1978 n. 695, per la parte in cui impedisce di rispettare la normativa comunitaria in materia di prelievi agricoli.”
(8) La Corte ha rilevato che rimangono assoggettate al suo sindacato anche “quelle statuizioni della legge statale che si assumano costituzionalmente illegittime, in quanto dirette ad impedire o pregiudicare la perdurante osservanza del Trattato, in relazione al sistema o al nucleo essenziale dei suoi principi: situazione, questa, evidentemente diversa da quella che si verifica quando ricorre l’incompatibilità fra norme interne e singoli regolamenti comunitari.”
(9) E’ previsto dal comma 6 dell’art. 81 che la legge attuativa della riforma sia approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera.
(10) Cfr. M. ESPOSITO, Le interpretazioni giuspolitiche del pareggio di bilancio nel novellato art. 81 Cost., in Diritto & Diritti, https://www.diritto.it/3-le-interpretazioni-giuspolitiche-del-pareggio-bilancio-nel-novellato-art-81-cost/
(11) L. CARLASSARE, Priorità costituzionali e controllo sulla destinazione delle risorse, in Costituzionalismo.it, Fascicolo 1/2013, pag. 10 del documento PDF.
(12) L. CARLASSARE, Priorità costituzionali, cit, pag. 5 e pag. 8.
(13) L. CARLASSARE, Priorità costituzionali, cit, pag. 11 in cui l’A. afferma, richiamando la sentenza della Corte Cost. n. 80/2010 riguardante le misure necessarie alla tutela dei diritti delle persone disabili, che una scelta normativa del legislatore che non trova alcuna giustificazione nell’ordinamento contrastando con una priorità costituzionale (rendere effettivo il fondamentale diritto all’istruzione del disabile grave) è ingiustificata e pertanto illegittima collidendo con il principio di ragionevolezza.
(14) L. CARLASSARE, Diritti di prestazione e vincoli di bilancio, in Costituzionalismo.it, n. 3, 2015, pp. 136 e 138 e p. 146, in cui l’Autrice richiama S. RODOTÀ in The right to have rights in Europe , Seminario della Foundation for European Progressive Studies, Torino, 8 febbraio 2013.
(15) L. CARLASSARE, Diritti di prestazione, cit., p. 149 che richiama un passo della sentenza della Corte Cost. n.85/2013.
(16) L. CARLASSARE, Diritti di prestazione, cit, pp. 149 e 153. Sul punto cfr. anche E. FURNO, Pareggio di bilancio e diritti sociali: la ridefinizione dei confini nella recente giurisprudenza costituzionale in tema di diritto all’istruzione dei disabili, in NOMOS – Le attualità del diritto, Saggi, numero 1/2017, in particolare le pp. 16-22, il quale, argomentando sulla base della sentenza della Corte Cost. n. 275/2016 in tema di diritti all’istruzione dei disabili, ritiene che si possa affermare che “anche dopo la riforma dell’art. 81 occorre respingere la tesi secondo cui la Corte è tenuta ad applicare il principio dell’equilibrio di bilancio come una sorta di super-valore costituzionale capace cioè di prevalere in modo assoluto, ovvero senza adeguata e ragionevole ponderazione, sui diritti costituzionalmente garantiti”, almeno per quanto concerne “il loro nucleo incomprimibile anche a discapito della scarsità delle risorse “.
(17) cfr. N. D’AMICO, Oplà. Sulla stessa linea anche S. SILEONI, Pareggio di bilancio: prospettive per una maggiore credibilità della finanza pubblica che si esprimeva a favore di una revisione costituzionale, allora ancora agli esordi, che stabilisse un vincolo di pareggio di bilancio rigoroso, accompagnato da un limite sostanziale alla spesa pubblica e da meccanismi efficaci di controllo .
(18) M. LUCIANI, L’equilibrio di bilancio e i principi fondamentali: la prospettiva del controllo di costituzionalità in Relazione al Convegno “Il principio dell’equilibrio di bilancio secondo la Riforma costituzionale del 2012”- Corte Costituzionale, 22 novembre 2013, pag. 14 e ss.; M. LUCIANI, Costituzione, bilancio, diritti e doveri dei cittadini in ASTRID, Marzo 2013.
(19) M. LUCIANI, Costituzione, cit.; Idem, L’equilibrio di bilancio, cit., p. 12, che afferma che la vicenda riformatrice ha avuto il suo primo avvio fuori dal Parlamento con la lettera del 5 agosto 2011 di Trichet e Draghi, prima della formalizzazione di alcune iniziative legislative in materia. Invero, come già evidenziato da chi scrive, nel marzo del 2011 era stato presentata la p.d.l. cost. n 4205, Cambursano ed altri (Modifica all’articolo 81 della Costituzione, in materia di debito pubblico). Luciani sottolinea, come altri Autori, che né la lettera, né il Patto Euro Plus, né il Six Pack, né il Fiscal Compact implicavano un autentico dovere giuridico internazionale di revisione costituzionale come affermato anche dal Conseil Constitutionnel in Francia nella decisione n. 2012-653 del 9 agosto 2012 .
(20) L. LUCIANI, L’equilibrio di bilancio, cit., p. 18 che preferisce definire i vincoli europei come “limiti fattuali” piuttosto che giuridici in quanto attivabili in base a scelte politiche discrezionali da parte delle istituzioni europee e non in base ad automatismi giuridici.
(21) L. LUCIANI, L’equilibrio di bilancio, cit., p. 21.
(22) A. MORRONE, Pareggio di bilancio e Stato costituzionale, in Rivista AIC n. 1, 2014, in particolare pp. 8-9 e 11-12.
(23) O. CHESSA, Il pareggio di bilancio tra ideologie economiche, vincoli sistemici dell’unione monetaria e principi costituzionali supremi;
Idem, più compiutamente, La costituzione della moneta, Jovene editore, 2016, p. 396 e ss. L’Autore evidenzia tra l’altro che la legge attuativa non fa riferimento al saldo strutturale sulla base dei criteri del Fiscal Compact in quanto il trattato intergovernativo non fa parte dell’ordinamento dell’Unione Europea.
(24) O. CHESSA, La costituzione della moneta, cit., pag. 402.
(25) O. CHESSA; La costituzione della moneta, cit., pp.408-409.
(26) O. CHESSA, La costituzione, cit, p. 409; COTTARELLI, GIAMMUSSO, PORELLO, in Politica di bilancio ostaggio della stima del PIL potenziale, in lavoce.info 4/11/2014, secondo i quali il modello per determinare il PIL potenziale utilizzato nell’Unione Europea sottostima la capacità produttiva dell’economia “forzando all’adozione di politiche economiche troppo restrittive e procicliche”. Cfr. anche COTTARELLI, Il metodo conta: crescita potenziale e regole fiscali, in lavoce.info, 3/3/2015. Sul metodo di calcolo che ha finora sottostimato il PIL potenziale, si veda anche D. PESOLE, Con Bruxelles la carta della crescita “potenziale”, in IL SOLE 24 ORE, 14 settembre 2018.
(27) O. CHESSA; La costituzione della moneta, cit., p. 410; COTTARELLI E ALTRI, Politica di bilancio, cit., secondo i quali la stima della disoccupazione strutturale dell’Unione Europea “segue empiricamente gli andamenti del tasso di disoccupazione e da essa emerge una correlazione elevata tra disoccupazione effettiva e strutturale (il corsivo è mio). Vedi anche V. GIACCHÉ in Costituzione italiana contro Trattati europei – il conflitto inevitabile, Edizioni Imprimatur, 2015, pp.56-57, secondo il quale la metodologia usata nell’Unione Europea dà “eccessivo peso alle serie storiche più recenti tale per cui le stesse stime sembrano inseguire il dato della disoccupazione osservata anziché isolarne la componente di lungo periodo” ( il corsivo è mio) e comunque finiscono per sovrastimare la componente strutturale della disoccupazione. Per GIACCHÉ, questa metodologia di calcolo, che subordina l’obiettivo di ridurre la disoccupazione (e l’intervento pubblico rivolto a tale fine) all’obiettivo di contenere l’inflazione, sarebbe coerente con la gerarchia dei valori espressi nei Trattati europei, in cui la stabilità dei prezzi è sovraordinata all’obiettivo della piena occupazione. Sul punto diffusamente anche M. ESPOSITO, Pareggio ed equilibrio di bilancio, cit.. p. 20 e ss.
(28) O. CHESSA, La costituzione della moneta, cit., p. 418, che richiama l’autorevolezza della dottrina di Crisafulli e Mortati ( anche pag. 30 e ss).
(29) O. CHESSA; La costituzione della moneta, cit., p. 419 e ss.
(30) D. MONE, La costituzionalizzazione del pareggio di bilancio ed il potenziale vulnus alla teoria dei controlimiti, in Rivista AIC, n. 3/2014, p. 23 e ss., che afferma l’attualità della teoria dei controlimiti e solleva dubbi di costituzionalità sulla l. cost. n.1/2012 in relazione al carattere di grundnorm nel diritto comunitario del principio della stabilità dei prezzi.
(31) O. CHESSA; La costituzione della moneta, cit., p. 419 e ss.
(32) V. GIACCHÉ, in Costituzione italiana, cit, che muove da un approccio politico militante di aspra critica alle politiche dell’Unione Europea.
(33) V. GIACCHÉ, in Costituzione italiana, cit, pp. 23 -35.
(34) V. GIACCHÉ, in Costituzione italiana, cit, p. 50.

Dott.ssa Maria Cristina Paoletti

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento