Principio di offensività in relazione al reato previsto dall’art. 73 co. 1 bis, lett. A) del D.P.R. del 9 ottobre 1990 n. 309.

Redazione 09/10/18
Il principio di offensività, ovvero di necessaria lesività, corollario del principio di legalità, considera come condotte penalmente rilevanti quelle idonee ad offendere, o a porre in uno stato di pericolo, un bene giuridico tutelato dall’ordinamento, non essendo concepibile un reato senza offesa.
Il principio non ha ricevuto uno specifico riconoscimento nella Costituzione, vista la difficoltà a codificare la vastità dei beni potenzialmente tutelabili, così da essere indirettamente ricavabile dall’art. 25 co. 2, in cui il fatto assume rilevanza penale quando viene esternalizzata una condotta materiale, lasciando impregiudicati i meri stati interiori; e dall’art. 27 co 1 e 2, per cui la condotta illecita deve porre in essere una lesione oggettiva, così da legittimare un intervento sanzionatorio.
La natura costituzionalmente orientata del principio di offensività ne avvalora la funzione vincolante nei confronti del legislatore e del giudice. Difatti, il legislatore non è legittimato a incriminare condotte inidonee a pregiudicare un bene di rango costituzionale, mentre il giudice sarà obbligato a valutare criticamente, oltre all’integrazione della tipicità, l’esistenza di un’offesa al bene tutelato.
Il bene giuridico si intende leso qualora subisca un’offesa, la quale può consistere in un danno, ovvero in una messa in pericolo ex artt. 40-43-49 c.p.

I reati di danno e di pericolo

I reati di danno, aventi ad oggetto un’effettiva lesione del bene, concretamente realizzatasi, divergono dalla categoria dei reati di pericolo in cui, viceversa, la lesione non si realizza, ma vi è la probabilità che si verifichi.
La distinzione evidenzia, nei reati di pericolo, la irrilevanza del danno. Pertanto, il nesso di cui all’art. 40 c.p. tra condotta ed evento, essendo ipotetico, non può essere accertato secondo il rapporto causale. Ne consegue che l’accertamento della pericolosità dell’evento non viene vagliata dal principio del b.a.r.d. di cui all’art. 533 c.p.p, ma in via del tutto probabilistica.
All’interno della medesima categoria dei reati di pericolo si è soliti operare una ulteriore distinzione, fondamentale, tra: i reati di pericolo concreto ed i reati di pericolo astratto. Nei primi, il giudice è chiamato a verificare la sussistenza del pericolo nella condotta o nell’evento, nella sua realizzazione storica; il giudice dovrà, quindi, accertare che il fatto storico presenti significative probabilità di lesione del bene giuridico tutelato. Nei reati di pericolo astratto è, invece, il legislatore ad essere chiamato ad individuare, sulla base delle conoscenze scientifiche, le tipologie tipicamente pericolose per il bene giuridico tutelato. In tale ipotesi, una volta accertata l’integrazione di tutti gli elementi essenziali descritti dalla norma, il giudice non dovrà operare alcun ulteriore verifica, in ordine all’effettiva pericolosità della condotta o dell’evento, rispetto al bene giuridicamente tutelato.

La disciplina penale in tema di stupefacenti

La disciplina penale in tema di stupefacenti, contenuta nel Testo Unico D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, adotta l’indice finalistico della destinazione della sostanza per determinare la rilevanza penale delle condotte di ricezione, acquisto e detenzione.
Anche all’esito delle modifiche apportate dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49 il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, sia nell’ipotesi di acquisto congiunto, che in quella di mandato all’acquisto collettivo ad uno dei consumatori, non è penalmente rilevante, ma integra l’illecito amministrativo sanzionato dall’art. 75 stesso D.P.R., a condizione che: l’acquirente sia uno degli assuntori; l’acquisto avvenga sin dall’inizio per conto degli altri componenti del gruppo; deve rilevarsi, sin dall’inizio, l’identità dei mandanti e la loro manifesta volontà di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo finanziariamente all’acquisto.

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