Il principio “più probabile che non” con pluralità di causa

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La suprema Corte chiarisce come deve comportarsi il giudice del merito in presenza di una pluralità di causa che giustificano l’evento, ribadendo che va fatta una scrematura tra quelle che sono connotate da un minore grado di probabilità e preferendo, tra le ultime due rimaste, quella che si caratterizza per la percentuale più alta.
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Indice

1. La sentenza


Con la sentenza numero 10978 del 26/04/2023 (Presidente Dispirito – relatore Cricenti) la Suprema Corte, III sezione, affronta il tema del nesso di causa in presenza di una pluralità di causa e quello dell’onere della prova in materia di responsabilità da cose in custodia.

2. La vicenda sostanziale e processuale


Tizio perdeva la vita in seguito ad un incidente della strada, e i suoi eredi agivano in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni parentali, affermando quanto segue. La dinamica del sinistro si atteggiava, sostanzialmente, nei seguenti termini. Tizio procedeva ad un sorpasso, dal quale rientrava dopo essersi avveduto che nel senso di marcia opposto sopraggiungeva un autoarticolato, a causa della frenata, tuttavia, Tizio rovinava al suolo e finiva contro il paraurti del mezzo pesante, perdendo la vita.
Secondo la tesi degli attori, a determinare il sinistro avevano concorso due fattori causali. Una anomalia del giunto del manto stradale, e un veicolo non identificato che, seguendo l’autoarticolato aveva contribuito alla accelerazione dello stesso, tamponandolo e non consentendogli, così, di frenare in tempo per evitare l’urto con Tizio che sopraggiungeva nel senso di marcia opposto.
In primo grado, così, gli attori convenivano in giudizio sia l’Anas, quale Ente proprietario del manto stradale che l’assicuratore che garantiva le vittime della strada dei veicoli ignoti, nel caso di specie la compagnia assicurativa Reale Mutua.
Gli attori, così, cumulavano una domanda ex. art. 2051 cc in danno dell’Anas e una ex. art. 2054 cc in danno dell’assicuratore che rappresentava il Fondo di Garanzia Vittime della strada.
In primo grado veniva riconosciuta una corresponsabilità di Tizio nella misura del 60% e dell’Anas per il restante 40%, mentre non veniva ritenuta provata l’esistenza e il contributo causale del veicolo rimasto ignoto. Gli eredi di Tizio impugnavano la sentenza, sia in ordine al quantum risarcitorio che in relazione alla percentuale di corresponsabilità, mentre l’Anas formulava appello incidentale affermando l’assenza di sua responsabilità. Si abbandonava, quindi, la domanda ex. art. 2054 cc.
La Corte d’Appello accoglieva l’impugnazione incidentale e affermava che la responsabilità del sinistro era ascrivibile al solo Tizio.

3. L’esito in Cassazione


La sentenza veniva impugnata per cassazione dagli eredi di Tizio, sulla scorta di due motivi, poi esaminati congiuntamente dalla Corte.
Con il primo motivo si censurava l’erronea applicazione dell’art. 2051 e dell’art. 2697 cc da parte della Corte d’appello. La motivazione della Corte di merito, infatti, argomentava nel senso che la responsabilità del custode non poteva dirsi provata perché non vi era certezza o alta probabilità che il manto stradale avesse concorso all’evento.
Con il secondo rilievo, invece, si evidenziava come vi fosse stata una errata applicazione dell’art. 2627 e ss cc, in tema di valutazione indiziaria. In particolare, la Corte aveva, secondo parte ricorrente erroneamente ritenuto provata l’assenza di responsabilità dell’Anas sulla scorta di mere suggestioni e non di indizi che si potevano ritenere rientranti nell’alveo di quelli gravi, precisi e concordanti.
I motivi venivano esaminati congiuntamente ed accolti con la seguente motivazione.
La Corte premette che il nesso di causa civilistico è governato, come noto, dal principio del più probabile che non. In ragione di detto assunto, quindi, una tesi è provata se ha maggiori probabilità della tesi secondaria.
Nel nostro caso, vi sono un concorso di cause e, segnatamente, la condotta di Tizio e le condizioni del manto stradale. In questo caso, il principio si atteggia nei seguenti termini.
“qualora l’evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile a una pluralità di cause, si devono applicare i criteri della “probabilità prevalente” e del “più probabile che non”; pertanto, il giudice di merito è tenuto, dapprima, a eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili (senza che rilevi il numero delle possibili ipotesi alternative concretamente identificabili, attesa l’impredicabilità di un’aritmetica dei valori probatori), poi ad analizzare le rimanenti ipotesi ritenute più probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la veste di probabilità prevalente”, cosi come già statuito in precedenza da Cass.25885/2022.
Ciò comporta che la somma delle probabilità delle due ultime ipotesi rimaste in campo possa non essere pari al 100%, e che la decisione deve premiare la causa più probabile delle altre.
La Corte chiarisce, altresì, che il principio regola il nesso di causa e il grado di inferenza degli indizi (in base agli indizi quale causa sia più probabile) e non la rilevanza degli indizi che devono comunque essere gravi, precisi e concordanti.
In ragione di tanto, il Giudice di merito deve porre a base della decisione fatti che siano gravi, precisi e concordanti, e non meramente ipotetici o supposti come probabili, e da quei fatti deve indurre ipotesi ricostruttive del nesso di causa escludendo quelle meno probabili, e scegliendo, tra quelle rimaste, l’ipotesi che spiega il fatto con maggiore probabilità, sulla base degli indizi raccolti.
Nel caso che occupa, la Corte territoriale ha errato nell’omettere di considerare che gli indizi che dovevano portare alla propensione per una ipotesi dovevano essere comunque gravi, precisi e concordanti. In particolare, veniva sposata l’ipotesi della incidenza causale prevalente della condotta di Tizio sulla scorta di una valutazione meramente ipotetica fatta dal CTU, che affermava, appunto ipoteticamente, che la velocità del de cuius era superiore al limite consentito.
Il ricorso veniva, quindi, accolto e la causa rimessa alla Corte d’appello per la decisione che dovrà attenersi ai principi esposti.

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Michele Allamprese

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