Con l’ordinanza n. 27698 del 2024, la Sez. Lav. della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema del licenziamento disciplinare e la proporzionalità tra condotta e sanzione sottolinenando il vincolo delle previsioni contrattuali nella gestione del potere disciplinare.
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Indice
1. La vicenda
Il licenziamento era stato comminato ad un lavoratore, rappresentante sindacale, accusato di avere violato le regole aziendali accedendo al luogo di lavoro fuori turno e non ottemperando ad un ordine di allontanamento. La Corte d’Appello di Milano aveva escluso che la gravità della condotta fosse tale da giustificare un licenziamento, ritenendo sproporzionato il provvedimento adottato dal datore di lavoro. I giudici della Cassazione hanno confermato tale valutazione, ritenendo che il potere disciplinare del datore debba esercitarsi nel rispetto delle disposizioni contrattuali e del principio di proporzionalità.
2. La tutela reintegratoria attenuata e il principio di proporzionalità
Uno tra gli aspetti più rilevanti presi in considerazione dall’ordinanza riguarda l’applicazione della tutela reintegratoria, prevista dall’art. 18,co 4, dello Statuto dei Lavoratori. Questa forma di tutela opera tutte le volte in cui la condotta contestata, pur essendo antigiuridica, rientra tra quelle punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni contrattuali.
Nel caso di specie, il contratto collettivo del settore logistica-trasporti prevedeva che tali comportamenti, quali l’accesso fuori turno o il ritardo nell’uscita, fossero punibili con la multa o la sospensione. Il valore vincolante di queste previsioni, secondo i giudici di legittimità, impediscono al datore di lavoro di applicare sanzioni più gravi. La tutela reintegratoria attenuata, a differenza di quella piena, garantisce il diritto del lavoratore alla reintegra sul posto di lavoro ma limita il risarcimento al massimo di dodici mensilità della retribuzione globale di fatto.
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3. Giusta causa e giustificato motivo soggettivo
L’ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce ulteriormente la distinzione tra giusta causa e giustificato motivo soggettivo, due fattispecie spesso sovrapposte nei giudizi sui licenziamenti disciplinari. La giusta causa, come previsto dall’art. 2119 c.c., richiede una condotta di gravità tale da impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro. Il giustificato motivo soggettivo, invece, riguarda comportamenti meno gravi, ma comunque idonei a ledere la fiducia tra le parti, e consente al datore di recedere con preavviso.
Nel caso in esame, la Corte di Cassazione ha escluso che le condotte del lavoratore fossero riconducibili a una giusta causa o a un giustificato motivo soggettivo. L’accesso fuori turno era avvenuto in modo trasparente, con registrazione al tornello, e non aveva causato danni concreti né compromesso la sicurezza aziendale. Inoltre, il ritardo nell’uscita non era stato accompagnato da atti di violenza o di resistenza, rendendo sproporzionato il licenziamento.
In definitiva, i giudici sottolineano che, per giustificare un licenziamento, non è sufficiente dimostrare l’antigiuridicità della condotta: è necessario che questa presenti un livello di gravità compatibile con la sanzione espulsiva, valutata alla luce delle circostanze del caso concreto.
4. Clausole elastiche nei contratti collettivi
Un ulteriore elemento di interesse riguarda l’utilizzo delle clausole elastiche nella contrattazione collettiva. Queste clausole, redatte in termini generali, includono una vasta gamma di condotte non tipizzate e consentono di adattare le sanzioni alle specificità del caso concreto.
Nel contratto collettivo applicabile al caso di specie, le clausole elastiche prevedevano sanzioni conservative per comportamenti di gravità analoga a quelli elencati. La Cassazione ha confermato che il giudice ha il compito di interpretare queste clausole, valutando se la condotta contestata rientri nell’ambito di applicazione delle sanzioni previste.
La Corte di cassazione ha tuttavia precisato che l’utilizzo delle clausole elastiche non può legittimare decisioni arbitrarie: Il giudice è chiamato ad attenersi al principio di proporzionalità e garantire che le clausole siano applicate in modo coerente con il sistema disciplinare delineato dal contratto collettivo.
5. Conclusioni
L’ordinanza n. 27698/2024 della Sez. Lav. della Cassazione rafforza il controllo sulla proporzionalità delle sanzioni disciplinari e sulla conformità alle disposizioni contrattuali. La pronuncia conferma che il licenziamento disciplinare, quale espressione del potere organizzativo del datore di lavoro, è subordinato a limiti stringenti dettati dalla contrattazione collettiva e dai principi di diritto.
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