Il probabile impatto dell’autonomia differenziata sul turismo

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Mentre in ambito comunitario il legislatore prova con qualsiasi strumento, normativo e giurisdizionale, ad armonizzare il diritto degli Stati Membri dell’UE per tutelare un mercato unico interno, in Italia si promuovono le differenze fra le Regioni senza valutare accuratamente gli effetti collaterali che una “normativa dei confini” possa avere sul mercato nazionale.

Indice

1. Unione europea ed armonizzazione del diritto degli Stati membri

Nel settore del Consumo, l’Unione Europeo ha avuto sempre la finalità di uniformare il diritto interno dell’UE attraverso l’armonizzazione delle normative interne degli Stati Membri, consapevole che un diritto uniforme avrebbe consentito con più facilità la realizzazione del mercato comune.
Il nome dello strumento adottato che con la sua radice nel linguaggio comune rimanda più immediatamente al mondo dell’arte, ed in particolare della musica, in considerazione della sua etimologia, che lo fa derivare dal greco nel quale aveva anche il significato di “unione” o “accordo”, sembra quanto mai appropriato a perseguire lo scopo che si voleva raggiungere in questo contesto giuridico.
Per la realizzazione di una maggiore coerenza del diritto contrattuale in ambito europeo, la Commissione UE, con la Comunicazione del 12 febbraio 2003, lanciò un «Piano d’Azione» volto ad ottenere una maggior coerenza nel diritto contrattuale europeo. Con tale documento, per la prima volta, afferma l’importanza di affiancare un quadro comune di riferimento ai tradizionali interventi normativi, in modo da creare un “Common Frame of Reference” (CFR), nel quale racchiudere princìpi, concetti e termini comuni nel campo del diritto contrattuale europeo. Lo scopo di questo progetto era quello di facilitare il coordinamento e la semplificazione dell’acquis communautaire, in modo da rendere più uniforme l’applicazione della normativa comunitaria in un’ottica di completamento e maggior integrazione del mercato unico, coniugando il diritto di derivazione comunitaria con quello nazionale (cfr. Gallo, Magri, Salvadori, L’armonizzazione del Diritto europeo: il ruolo delle corti, pagg. 94-95, Milano, 2017).
In ambito comunitario l’armonizzazione nel settore del Consumo è stata sempre molto spinta. In particolare, per il comparto Turismo, con l’ultima Direttiva Pacchetti n. 2015/2302 del 25 novembre 2015, è stata esplicitata chiaramente in un principio contenuto nel Considerando n. 5 che stabilisce: “A norma dell’articolo 26, paragrafo 2, e dell’articolo 49 TFUE, il mercato interno deve comportare uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci e dei servizi, nonché la libertà di stabilimento. Armonizzare i diritti e gli obblighi derivanti dai contratti relativi a pacchetti turistici e a servizi turistici collegati è necessario per promuovere, in tale settore, un effettivo mercato interno dei consumatori che raggiunga il giusto equilibrio tra un elevato livello di tutela per questi ultimi e la competitività delle imprese”. Tale principio ha trovato espressa vigenza nei primi quattro articoli della medesima Direttiva Pacchetti, inseriti nel Capo I intitolato, appunto, “Oggetto, ambito di applicazione, definizioni e livello di armonizzazione”. Già dai lavori preparatori e dalla relazione sulla Direttiva Pacchetti del 2015 era evidente che il livello di armonizzazione che si voleva perseguire era molto forte, con l’obiettivo non nascosto di creare normative interne agli Stati Membri molto uniformi in modo che un Consumatore italiano potesse avere il medesimo livello di protezione di un Consumatore greco, francese o tedesco, e viceversa.
Armonia, cooperazione ed uniformità del Diritto degli Stati Membri UE da decenni sono gli strumenti con cui  l’UE ha creato un sistema complesso per garantirne il funzionamento del mercato comune, sia direttamente con i regolamenti, sia indirettamente, con raccomandazioni, comunicazioni e risoluzioni, sia con l’intervento della Corte di Giustizia UE che, attraverso l’efficace strumento del rinvio pregiudiziale, con cui attua costantemente un’interpretazione uniforme ed una “politica giurisprudenziale” di armonizzazione delle normative interne a quella comunitaria.
In questo contesto, interventi normativi interni, lontani dall’armonia comunitaria, dei singoli Stati Membri UE non sono apprezzati e per quanto possibile contrastati.

2. La recente normativa italiana sull’autonomia differenziata

Dopo questa necessaria premessa, ci verrebbe da chiedere come a Bruxelles staranno giudicando la legge n. 86, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 28 giugno 2024, che definisce le norme per l’implementazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario, come previsto dall’articolo 116, comma 3, della Costituzione italiana, che in prospettiva fa presupporre un’amplificazione delle difficoltà già emerse per la disciplina di alcune materie a legislazione concorrente, ex art. 117 della Costituzione.
È vero che il settore di norme a tutela del Consumatore afferisce quasi esclusivamente al diritto privato, e quindi al livello di governo statale. mentre la legge sull’autonomia differenziata interessa il settore pubblicistico, e più in particolare le materie a legislazione concorrente, ma è altrettanto evidente che se il primo sistema normativo era funzionale ad un mercato europeo uniforme, allora, quest’ultimo non potrà non risentire degli effetti di tale nuova normativa.
Il primo particolare che balza agli occhi è che il termine “differenziata” è addirittura in antitesi, anche sotto il profilo meramente linguistico, con “armonia”, ma questo approfondimento non si vuole soffermare esclusivamente in ambito semantico.
Senza entrare troppo nel merito delle singole disposizioni normative, in sintesi, l’autonomia differenziata consentirà alle Regioni di gestire alcune specifiche materie in modo autonomo, come previsto dalla Costituzione all’art. 117. In sostanza, le Regioni avranno ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, legislativa e amministrativa su tutte le venti materie che sono oggi di “competenza concorrente” tra Stato e Regioni e su tre materie che, invece, oggi sono di competenza esclusiva dello Stato. Il Turismo è di competenza delle Regioni in quanto rientra fra le materie “residuali” o “innominate” di cui al comma 4 dell’art. 117 della Costituzione che, pertanto, riconosce loro la competenza esclusiva “ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”.
Da quanto sopra precisato e dalla competenza esclusiva delle Regioni anche in materie che hanno impatto diretto sul Turismo (tutela della salute, governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, valorizzazione degli eventi culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali) ne deriva che potenzialmente il Turismo sarà uno di quei settori che potrebbe avere forti impatti dall’applicazione della legislazione sull’autonomia differenziata.
Proviamo a spiegare il meccanismo che porterà alla “differenziazione” per cercare di ipotizzarne la portata. Se pensiamo alle future normative regionali rivolte direttamente alle imprese (quindi anche a quelle turistiche) si deve partire dal presupposto che la normativa concorrente deve svilupparsi nell’ambito di due limiti: la riserva di legge statale in materia civilistica (regime delle società)  e tributaria e la normativa comunitaria in materia di aiuti di stato, per cui le eventuali politiche di sostegno diretto alle imprese, in assenza di situazioni straordinarie che possono comportare una sospensione del regime, possono essere erogate solo nell’ambito del regime de minimis (sostegni finanziari nei limiti di trecentomila euro in tre anni fiscali che un’impresa può ricevere da istituzioni pubbliche, esentati dall’obbligo di notifica alla Commissione UE, senza che tali “aiuti” possano intaccare la concorrenza nel mercato interno alla UE).
Sotto il predetto profilo, quindi, non dovrebbe cambiare molto rispetto alla situazione attuale, nel senso che questo nuovo tipo di politica di differenziazione, nell’ambito dei vincoli formali di cui sopra, dipenderà più che altro dall’ammontare delle risorse disponibili per ogni Regione più che altro in termini di aiuti al comparto.
Al momento per le Regioni soprattutto meridionali il massimo dell’attenzione è sulla Sanità con residuali preoccupazioni “di sistema” che potrebbero riguardare tutti i settori. In quest’ultimo settore, per esempio, si prevede di chiedere l’inserimento di un divieto a CCDDII (contratti collettivi decentrati integrativi stipulati fra le Regioni ed il personale dipendente) diversi tra Regioni per limitare l’attrattività delle regioni più ricche che potrebbero offrire retribuzioni maggiori con tutte le conseguenze annesse e connesse in termini di attrattività del personale più qualificato. Non deve ritenersi però che questa preoccupazione non possa essere estesa ad altri settori.

3. L’attesa dei LEP e le previsioni in merito all’impatto sul settore turistico

Il grosso della partita, comunque, si giocherà sui LEP, ovvero sui livelli essenziali delle prestazioni (che rimandano a livelli qualitativi nella fornitura di prestazioni essenziali) e obiettivi di servizio. Non è dato, per il momento, prevedere LEP in materia di turismo se il turismo non verrà considerato come una “prestazione essenziale” (ma potrebbero essere previsti, ad esempio, nell’ambito del turismo termale e curativo); certamente però potrebbero essere previsti LEP per i trasporti, che sono strumento di attuazione anche delle politiche turistiche.
Spostando la visuale nell’ottica delle imprese, il primo problema che potrebbero dover affrontare è un possibile incremento dei “costi amministrativi”, dei costi di consulenza ed anche una possibile perdita di competitività semplicemente per effetto della difficoltà di conformarsi alle possibili diverse normative territoriali. Tutti fattori non trascurabili che, al momento, non si sa dove e quanto potranno essere compensati da politiche locali finalizzare all’incremento della loro attrattività ed a politiche di sostegno al settore.
In un interessante approfondimento pubblicato – quando l’autonomia differenziata era ancora un disegno di legge – in data 14 marzo 2024, sul sito web “Agenda Digitale” https://www.agendadigitale.eu/smart-city/autonomia-differenziata-i-rischi-per-le-imprese-nellera-della-sostenibilita/ viene fatto un quadro degli effetti collaterali di tale normativa. Alcuni rischi potrebbero essere: una distribuzione delle risorse finanziarie diverse a seconda degli obiettivi delle singole Regioni e pertanto con l’effetto di un assist per le Regioni con attrattive turistiche maggiori e di fama assoluta a discapito di quelle meno dotate dalla natura e dall’arte, ma che potrebbero avere altrettanti validi progetti per valorizzare l’attrattiva turistica; di fronte ad una politica di trasporti pubblici e museale diversa fra le Regioni, il turista straniero potrebbe trovare standard qualitativi diversi spostandosi da un territorio ad un altro immediatamente confinante; le aziende turistiche dovranno adattarsi a normative regionali molto diverse ed avranno bisogno di avere una competenza più ampia con conseguente aumento dei costi di consulenza e dei tempi per programmare una politica commerciale nazionale per il turismo incoming; una Regione costiera potrebbe essere più favorevole per le aziende legate al turismo o alla pesca e pertanto le imprese potrebbero valutare attentamente dove stabilirsi per sfruttare al meglio tali vantaggi.
Sempre nel medesimo articolo si fa precisa che: “[…] Impatto sugli investimenti e sulla concorrenza: investitori e imprese potrebbero essere scoraggiati da un quadro normativo frammentato. La mancanza di coerenza potrebbe influenzare la competitività delle Regioni. Perdita di credibilità internazionale: l’UE è parte di accordi internazionali e ha impegni globali. Se le Regioni non rispettassero gli standard europei, potrebbe compromettere la credibilità dell’intera Unione”.
Insomma, come Cristoforo Colombo riuscì a scoprire l’America senza Galileo Galilei, si ha la netta impressione che la normativa nazionale poteva già consentire di esaltare alcune differenze senza che la corsa alla differenziazione venisse incentivata ed istituzionalizzata, provando a restare nel perimetro di un’armonizzazione europea che già non è facile per i singoli Stati e che potrebbe essere distonica e tutt’altro che armonica in ambito regionale.

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