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Nell’ ambito del contenzioso previdenziale ed assistenziale , notevoli problematiche attengono all’ esecuzione delle sentenze ( sfavorevoli o parzialmente sfavorevoli ) contro l’ Inps.
Le sentenze di merito – ai fini della liquidazione – sono quelle che interessano gli uffici amministrativi, mentre, quelle di rito vanno, nella pratica, considerate come una sorta di sentenze favorevoli all’Ente. Quelle di merito decidono sulla esistenza della pretesa del ricorrente; la affermano o la negano. Se la affermano la sentenza è sfavorevole all’INPS, se la negano la sentenza è favorevole all’INPS. Esiste una terza ipotesi ed è la sentenza di merito mista, la affermano e la negano. Tizio può avere chiesto, ad esempio, inabilità ed accompagno se la sentenza dice “ accoglie la domanda per l’inabilità con decorrenza come da domanda e rigetta per l’accompagno” la si deve considerare una sentenza parzialmente favorevole o parzialmente sfavorevole ( è la stessa cosa ) all’INPS.
In sostanza, sono configurabili tre tipologie di sentenze di merito: favorevoli, sfavorevoli, parzialmente sfavorevoli ( o favorevoli ) all’ ente.
Mentre il giudicato ( formale e sostanziale ) – come è noto – coincide con l’ irrevocabilità del comando giudiziale con l’ applicazione del termine breve o di quello lungo ex art. 327 c.p.c. in relazione all’ intervenuta notifica o meno del titolo,l’esecutorietà della sentenza è l’ idoneità del titolo ad essere portato ad esecuzione forzata ( pignoramento presso terzi – ppt). Ciò significa che la sentenza di condanna che passa in giudicato diviene da provvisoriamente esecutiva a definitivamente esecutiva. Le sentenze emesse nei giudizi previdenziali ed assistenziali sono provvisoriamente esecutive ( artt. 431 cpc e 447 cpc ). Il codice di procedura civile non specifica quali sentenze siano provvisoriamente esecutive, ma è evidente che lo sono solo quelle di condanna non quelle dichiarative. Cioè, la sentenza di mero accertamento o dichiarativa del diritto non è provvisoriamente esecutiva, ossia non è azionabile con precetto e pignoramento: Questo non significa che non vada eseguita, ma soltanto che il PPT non si può fare: Dare esecuzione significa attuare il comando del Giudice, provvisoria esecuzione significa azionare in via esecutiva. E’ chiaro che la sentenza dichiarativa di invalidità civile intanto può essere eseguita ossia liquidata e pagata dall’INPS se oltre al requisito sanitario alla provvidenza civile (accertata in sentenza) sussistono anche gli altri requisiti di legge ( ad esempio: reddituale- incollocamento ). L’assistito ed il suo difensore andrebbero sempre informati per iscritto che la sentenza non può essere liquidata per mancanza del requisito X in quanto solo dichiarativa su motivo sanitario. Perché vanno informati? Perché se per ipotesi Tizio fa una causa successiva di esecuzione, l’Ente potrà essere messo in condizione di eccepire che la prima sentenza non poteva essere pagata per carenza dei requisiti di legge diversi da quello sanitario. Eccezione: talvolta può accadere che ci siano sentenza dichiarative non solo sul motivo sanitario ma anche su altri requisiti. In tal caso, se la sentenza copre tutti i requisiti di legge, andrebbe eseguita, se non li copre tutti no. Quindi, l’esecutorietà concerne le sentenze sfavorevoli di condanna, sia che esse siano di condanna al pagamento della provvidenza civile senza indicazione di somme , sia che esse indichino somme determinate nel loro ammontare. Perché si dice che le sentenze sono provvisoriamente esecutive? Perché esse non sono ancora irrevocabili. In sintesi, l’esecutorietà coincide con l’efficacia esecutiva anche prima ed a prescindere dal passaggio in giudicato. I dispositivi sono provvisoriamente esecutivi? Si, lo sono se di condanna ( con indicazione o senza indicazione dell’ importo ) al pagamento di una provvidenza civile. Non lo sono quelli solo dichiarativi. Il codice dice che all’esecuzione ( nei termini di azione esecutiva in danno dell’ Ente) si può procedere con la sola copia del dispositivo in pendenza del termine per il deposito della sentenza. La provvisoria esecuzione concerne sia le sentenze di primo grado che quelle di secondo grado. Può essere sospesa? Sì, ma è ipotesi rara perché i Giudici del Lavoro non la concedono quasi mai per le sentenze di condanna di invalidità civile. La sospensione, difatti, si può ottenere se si prova che l’INPS subisca un danno gravissimo, prova diabolica praticamente quasi impossibile da fornire.
La legge speciale prevede il termine di 120 giorni ( prima era 60 ed ancor prima 10 giorni che è il termine previsto dal codice ) che decorre dalla data di notifica del titolo giudiziale ( sentenza o dispositivo ). Il termine de quo non significa solo liquidazione della provvidenza, ma anche pagamento delle somme dovute ossia la somma al 120° giorno o deve essere già stata riscossa o deve essere riscuotibile, esigibile. Nei 120 giorni occorre, quindi, eseguire, liquidare e pagare; in caso contrario non si è provveduto nel termine di legge con tutte le conseguenze( anche e soprattutto erariali ) che da ciò ne consegue.
L’esecuzione è tempestiva se interviene entro tale termine, è tardiva se dopo. Se l’esecuzione è tardiva occorre adoperare delle cautele per evitare pagamenti indebiti. Fra le possibili cautele adottate dall’ Ente si annoverano il codice arretrati 8 ( liquidazione con blocco pagamenti arretrati ) e l’ acquisizione liberatorie assistito e difensore. Nulla esclude ovviamente che se l’Ufficio disponga di sentenza-precetto e pignoramento possa liquidare anche in assenza di liberatorie con l’avvertenza che non deve trattarsi di pignoramenti datati nel tempo, perché se così fosse le liberatorie servono per avere contezza che non ci siano PPT ulteriori per ratei successivi a quelli già pignorati. Per questo è doverosa la consultazione della procedura SISCO CV ( Banca-dati contenzioso ed esecuzioni passive in danno dell’ Istituto ) ( ad integrazione delle verifiche, non in loro sostituzione ).
Le sentenze di condanna vanno eseguite in due modi:
1) Se quantificano già l’importo è semplice basta attenersi a ciò che dice il dispositivo. Anche se l’importo ivi indicato non è corretto, sempre quello va pagato. L’Ufficio amministrativo non può modificare quello che ha statuito il Giudice sia se si tratti di contenzioso assistenziale che previdenziale. Al massimo, se la sentenza è ancora impugnabile, si effettuerà il pagamento con riserva di ripetizione all’esito di eventuale giudizio di appello o di legittimità. Cioè le contestazioni sugli importi si possono fare solo impugnando la sentenza mai in sede di esecuzione. Sarà onere dell’Ufficio Amministrativo fornire i conteggi corretti all’avvocato dell’INPS affinché possa appellare ( sempre che la sentenza non sia già passata in giudicato ). Ciò vale sia nel caso che il conteggio sia stato supinamente accettato dal Giudice ( ossia Tizio chiede 10 ed il Giudice gli accorda 10 ), sia che esso sia il risultato di una CTU contabile ( Tizio chiede 10, la CTU dice 8, il Giudice dice 8, se per l’INPS è 4 si può appellare documentando perché 4 e non 8 ). Se l’Ufficio chiede che l’avvocato appelli è buona norma che predisponga un parere motivato per appello ( nell’esempio indicando i motivi dell’erroneità del calcolo e gli importi ritenuti congrui ) che dovrà essere allegato come parte inscindibile del ricorso in appello. Se la sentenza quantifica la sorte ma non gli interessi il calcolo va fatto dai liquidatori attenendosi alla decorrenza stabilita dal Giudice ( se c’è scritto giorni 120 dalla domanda quella è la decorrenza ).
2) Se la sentenza non quantifica l’importo, l’INPS deve pagare sempre e comunque gli arretrati dovuti con la decorrenza stabilita dal Giudice. Se c’è l’indicazione “ dal …. al …. “ è semplice ( vedasi per gli assistiti deceduti ). Per le sentenze di condanna con indicazione della sola decorrenza iniziale si ritiene condivisibile la seguente tesi.
Premesso che una sentenza di condanna presuppone che il Giudice abbia accertato l’esistenza sia del requisito sanitario che degli altri requisiti di legge ( requisiti amministrativi ), la stessa va eseguita e pagata prendendo a riferimento la data del dispositivo e/o di deposito della sentenza in cancelleria per l’intero anno solare, ossia non si frazione l’anno solare.
In sintesi, le sentenze di Invalidità Civili sono:
1) Solo dichiarative – accertative del diritto – insuscettibili di esecuzione forzata salvo eventuali decreti ingiuntivi .Se la sentenza dichiarativa da eseguire è recente si può escludere esistenza giudizio di esecuzione – ma se non è recente occorre acquisire sempre liberatorie in punto assenza giudizi di quantificazione in corso o, comunque, dichiarazione di impegno di ricorrente e difensore a dare atto dell’avvenuto pagamento in corso di causa per ottenere la cessazione della materia del contendere. Ovviamente si paga se c’è causa in corso e se ancora non è intervenuta sentenza o, comunque, se sia ancora possibile produrre prova pagamento al Giudice ;
2) Dichiarative e di condanna o di sola condanna, necessita acquisire liberatorie , procedere alla verifica SISCO CO e CV ed alla acquisizione di copia del precetto e del PPT se disponibili presso l’ufficio legale o se allegati alle liberatorie.
Per sentenze “pregresse” od atti giudiziali “pregressi” si intendono tutti quelli relativi a cause incardinate ante passaggio del contenzioso all’INPS.
Per sentenze dichiarative vedasi anche circolare Ministero dell’Interno 20/04/1991 n.7/91 .
Sotto il profilo operativo, giova evidenziare quanto segue:
A – Sentenza dichiarativa.
1. Vale come attestazione di invalidità. Nella pratica operativa una sentenza dichiarativa equivale al modello A/SAN inviatoci dalla ASL. Pertanto, per eseguire tale sentenza, occorre verificare la sussistenza del requisito amministrativo. In presenza di carenza di requisiti amministrativi necessita acquisire un DO negativo ed inviare comunicazione scritta all’interessato indicando il motivo della mancata corresponsione della provvidenza economica.
B – Sentenza di condanna senza indicazione importi o mista.
1. Se concerne pensione od assegno, pagare per l’intero anno solare, perché il requisito amministrativo si intende accertato dal Giudice per l’annualità riferita alla data del dispositivo e del deposito in cancelleria se coincidenti o riferite alla stessa annualità, ovvero alla data del deposito se annualità dispositivo e deposito non coincidono ( Ad esempio: se dispositivo 23.12.2002 e deposito 10.01.2003, la statuizione di condanna copre tutto il 2003. Se, invece, dispositivo 23.12.2002 e deposito 23.12.2002, copre tutto il 2002 ).
2. Se concerne accompagno, si deve prestare attenzione alla data di deposito in cancelleria. Tale data è importante in presenza di ricoveri a carico del SSN. Si presuppone che il Giudice, stante la condanna, abbia già accertato in corso di causa la sussistenza di tale requisito. Perciò, i ricoveri vanno considerati solo dal mese successivo alla data del deposito in cancelleria del dispositivo ( ad esempio dispositivo del 23.12.2002 e deposito del 10.01.2003, si chiedono i ricoveri dal Febbraio 2003 ).
Le modalità operative sopraindicate devono intendersi riferite alla prassi attualmente seguita presso alcuni Uffici Invalidi Civili così come rivisitata in relazione alle complesse problematiche fattuali che si sono poste agli operatori del settore. Detta prassi si discosta parzialmente da un certo orientamento prefettizio- specie di talune aree metropolitane – che riteneva che i titoli giudiziali sfavorevoli non dovessero dar luogo al pagamento laddove si fosse accertato che per il periodo coperto dalle relative statuizioni di condanna non si integravano i requisiti amministrativi. Di converso, è giuridicamente corretto sostenere che una sentenza di condanna ( o titolo ad esso assimilato ) vada comunque eseguita in quanto il vaglio giudiziale su detti requisiti necessariamente deve ritenersi intervenuto ( e se non lo è comunque la pronunzia va eseguita, salvo ricorso ai rimedi impugnatori e/o alla richiesta di sospensiva della provvisoria esecuzione ). Ciò in analogia anche al contenzioso previdenziale ( ad es. se interviene una sentenza di condanna per assegno di invalidità INPS in favore di ricorrente che non abbia i prescritti requisiti contributivo-assicurativo “ Carenza Assoluta ovvero Carenza Relativa “, l’Istituto deve comunque eseguire il disposto giurisdizionale ). Come è noto, il giudicato copre dedotto e deducibile, quindi “nulla quaestio” sul punto. Per il periodo coperto dal dettato del Giudice occorre liquidare, fatte salve le ovvie cautele del caso ( vedi oltre per le clausole di salvaguardia). Tale prassi è condivisibile essendo fondata sul postulato che è la data di deposito in cancelleria ad attribuire ufficialità e sacralità alla sentenza.
Il titolo giudiziale – come è noto – è azionabile nel termine di anni 10. Se una sentenza dichiarativa è di 20 anni fa e Tizio non si è mai preoccupato di azionarla,
( ad esempio con giudizio di esecuzione ), non può più farlo. La sua ignavia viene penalizzata.
Se dalla esecuzione di una sentenza sfavorevole all’INPS al ricorrente può derivare danno e non beneficio, egli può sempre fare la rinunzia all’azione di giudicato. Ossia rinunzia ad azionare il titolo giudiziale ottenuto. E’ come se questo non fosse mai intervenuto e la situazione si serba immutata. Ovviamente se c’è rinunzia al giudicato, egli non deve avere riscosso somme con PPT od in via amministrativa. In ogni caso, affinché detta rinunzia sia ammissibile, gli importi già riscossi vanno integralmente e previamente ( ovvero contestualmente ) restituiti all’Ente.
Relativamente alla questione dell’ accertamento dello stato invalidante per conseguimento della provvidenza espressamente richiesta , occorre rilevare che, laddove sia intervenuta sentenza di accertamento dello stato invalidante per conseguire una certa provvidenza ( ad esempio l’accompagno ), l’interessato potrà avvalersi di detto riconoscimento per l’ottenimento di altra provvidenza ( ad esempio pensione di inabilità ) previa specifica istanza con decorrenza “ ex nunc ” e semprechè sussistano i relativi requisiti amministrativi.
Tuttavia, non vi è uniformità di vedute sulla problematica in esame. A stretto rigore, difatti, se una pronunzia giudiziale concerne solo quella determinata provvidenza, non si può di certo procedere all’erogazione di altra seppure connessa o presupposta ( vedi accompagno su sentenza riconosciuto in favore di soggetto non titolare di inabilità civile seppure in possesso dei requisiti anche amministrativi che ne legittimerebbero l’attribuzione ). Ciò non escluderebbe, peraltro, la possibilità di inoltro di richiesta dell’ulteriore provvidenza ( vedi circolare succitata ). Né, potrebbe escludersi l’applicazione del principio della “vis espansiva” del giudicato quantomeno laddove nell’atto introduttivo del giudizio fosse stata formulata espressa richiesta dell’ulteriore provvidenza e sempre che ( beninteso! ) i requisiti amministrativi sussistano per il periodo coperto dalla statuizione di condanna. Avvalendosi, ordunque, del concetto civilistico di forza espansiva del giudicato e di quello amministrativistico del giudicato implicito, si dovrebbe potere individuare soluzione adeguata a siffatta controversa questione.
Altrettanto dicasi per la “vexata quaestio” della tramutabilità dell’assegno civile in pensione civile qualora intervenga sentenza di condanna per accompagno civile in favore di chi è già titolare della prima provvidenza, ma non della seconda.
In sede di esecuzione con conseguente liquidazione e successivo pagamento di somme a seguito di titoli giudiziali sfavorevoli all’Ente, si segnala la necessità dell’inserzione in sede di informativa all’assistito e/o al suo difensore in punto corresponsione importi in via amministrativa di una apposita clausola di salvaguardia ( la quale, peraltro, è già in uso presso talune sedi ed è applicabile per qualsivoglia di prestazioni anche previdenziali, pensionistiche o temporanee che siano state giudizialmente riconosciute).
Detta clausola può essere del seguente tenore ( o similare ): “il pagamento dell’importo (o degli importi) sopraindicato deve intendersi subordinato ad espressa riserva di ripetizione all’esito dell’eventuale giudizio di appello (n.b.: se si sta eseguendo un titolo suscettibile di impugnativa in appello) e/o di legittimità e/o di accertata duplicazione di pagamento anche in via esecutiva e/o di indebita corresponsione a qualunque titolo determinatosi nei termini prescrizionali di legge”.
Ciò, a maggior ragione, se le liberatorie rese non siano integralmente satisfattive, se sussistano conflitti di giudicato od in ipotesi anomale assimilate.
Le clausole di salvaguardia, in sostanza, sono uno dei possibili meccanismi a tutela dell’ Erario finalizzato a tenere indenni gli enti pubblici previdenziali da pagamenti indebiti o duplicati.
Per il recupero dell’indebito si applica il termine prescrizionale decennale ordinario decorrente dalla data del pagamento che venga a risultare indebitamente effettuato
( rectius: da data riscossione somme ). Se un pagamento è duplicato in via amministrativa ed esecutiva, occorre avere riguardo alla data di pagamento ( e/o di riscossione ) della somma percetta per la seconda volta . Pertanto, hanno notevole importanza le reversali dei pagamenti in via esecutiva. Se il recupero dell’indebito non sortisce effetto in via amministrativa ( ovvero non è utilmente esperibile ) occorre avvalersi delle procedure recuperatorie esattive legali attualmente vigenti presso le sedi dell’istituto e, se del caso, anche di previe diffide stragiudiziali notificate a mezzo Ufficiale Giudiziario.
Il regime prescrizionale è, dunque, il seguente ( in termini estremamente semplificati ):
1) Anni 10 per il recupero degli indebiti da parte della P.A. incisa su contenzioso.
Recupero in via amministrativa e/o stragiudiziale con eventuale fase successiva di recupero coattivo legale .
Decorrenza: data pagamento e/o riscossione somme indebitamente percette;
2) Anni 5 per l’illecito erariale in caso di dolo o di colpa grave.
Decorrenza: da data verificazione del fatto od in caso di occultamento doloso del danno dalla sua scoperta in sede di responsabilità amministrativa per danno erariale ex art. 1 L. n° 20/94 e succ. modif. nonché Circolari Inps nn° 94/97 e 108/99.
Per quanto attiene i giudizi intentati dai deceduti, giova evidenziare quanto segue.In caso di interruzione del giudizio per decesso del ricorrente, se quest’ ultimo muore prima del deposito del ricorso, il ricorso è nullo, la sentenza è nulla.
Se, invece, il ricorrente muore dopo il deposito del ricorso, l’ atto in questione serba la sua validità, ma l’avvocato deve chiedere l’interruzione del giudizio; il giudizio viene riassunto dagli eredi. Può chiederlo anche l’INPS (lo fa rilevare). Se, tuttavia, il giudizio non viene interrotto e riassunto, la sentenza è valida in base al principio di ultrattività della procura (prorogatio = proroga dei poteri), ma mai il precetto od il PPT possono essere intestati al soggetto deceduto, bensì sempre agli eredi. E’ evidente che la difesa dell’ Ente dovrebbe interporre opposizione all’ esecuzione laddove riscontri che il creditore è deceduto o, quantomeno, attivarsi stragiudizialmente onde evitare che vengano assegnate somme dal G.E. a defunti e non ai loro eredi.
Nella patologia del contenzioso, specie quello assistenziale, non è ipotesi affatto sporadica quella che vede come asseriti ricorrenti soggetti deceduti ( ricorsi che sono inficiati peraltro da nullità assoluta per inesistenza della persona fisica ). Se intervenissero maggiori controlli in sede di verifica anagrafica sulle posizioni dei ricorrenti – anche mediante l’ esame dei tabulati pensionistici da cui è dato evincere il codice di eliminazione per morte se trattasi di soggetto già titolare di trattamenti pensionistici – si otterrebbero effetti deflattivi di siffatta tipologia di contenzioso che involge necessariamente profili penali ( falso materiale ed ideologico ).Chi ha sottoscritto il mandato alle liti post mortem ? Va giudizialmente accertato. E chi ne ha autenticato la sottoscrizione ? Il difensore .
E’ per l’ altrettanto circostanza notoria ( e malcostume italico ) che spesso i potenziali ricorrenti sottoscrivono il mandato alle liti senza neanche conoscere il Legale che tratterà la controversia o firmano fogli in bianco sui quali solo successivamente verrà apposto il mandato a margine ( talora all’ incasso ) e relativa autentica. Se la sottoscrizione è dunque autografa del soggetto poi deceduto, permangono comunque il falso ideologico se la sottoscrizione non è apposta innanzi all’ Avvocato, ma questi ha certificato che la stessa è stata apposta in sua presenza ; la nullità del ricorso se il decesso sia intervenuto ante deposito e l’ illecito disciplinare di competenza dei Consigli dell’ Ordine.
La quantificazione del fenomeno cause di soggetti deceduti, sia nel contenzioso previdenziale che in quello assistenziale, è fenomeno che andrebbe assoggettato a monitoraggio, a controlli sistematici ed a conseguente adozione dei provvedimenti del caso ( sia in sede civile che penale ).
Il contenzioso dei defunti potrebbe essere drasticamente e sensibilmente ridotto se le verifiche a monte fossero effettive e non spesso – come accade – disapplicate. In fase di apertura di una pratica legale è fondamentale che vengano segnalati od abbinati – se disponibili – i precedenti giudiziali identici, continenti o connessi sia a livello cartaceo che telematico come è parimenti estremamente importante che in fase istruttoria vengano inoltrate dal Reparto tutti documenti utili ad apprestare adeguata difesa all’ Ente convenuto.
Alla luce delle nuove disposizioni normative di cui alla legge n° 326/2003, anche in punto nuovo regime delle spese di giudizio, dovrebbe ritenersi che il Legislatore abbia inteso incidere sul contenzioso assistenziale tentando di arginare certi profili patologici che lo caratterizzano. Tuttavia, l’ effettività delle norme di incidere sul sistema va rapportata alle fattispecie concrete ed ai contesti operativi. Pertanto, la possibilità di ottenere risultati positivi dalla applicazione della legge succitata dipende anche dalle risorse umane disponibili e dalla formazione che si assicuri in una materia alquanto complessa qual’ è il contenzioso assistenziale che involge posizioni giuridiche soggettive di fasce deboli della società, ma, nel contempo, è incisa da fenomeni ad alta criticità con rilievo penale ed erariale.
E proprio per tutelare i veri disabili e combattere efficacemente il fenomeno dei falsi invalidi ( chè altrimenti la legislazione assistenziale in un sistema di welfare non avrebbe senso ), è doveroso che le anomalie vengano tenute sotto controllo e giammai ignorate con notevoli benefici effetti deflattivi sul contenzioso.
AVV. ROSA FRANCAVIGLIA
MAGISTRATO DELLA CORTE DEI CONTI
DOTT.SSA ELENA BRANDOLINI
MAGISTRATO DELLA CORTE DEI CONTI
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