Procedimento disciplinare e tutela del contraddittorio (Cass. 7282/2014)

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Lavoro –  Libero professionista – dentista – sanzione disciplinare – Sospensione – pubblicità ingannevole

 

Massima

 

La tutela del contraddittorio nei confronti del libero professionista che venga sottoposto a procedimento disciplinare richiede una contestazione dell’addebito mosso e la comunicazione di una colpa che gli consenta di poter approntare una adeguata difesa.

Senza correre, quindi, il rischio di essere giudicato per fatti differenti da quelli che gli vengano ascritti oppure diversamente qualificabili sotto il profilo della condotta professionale ai fini disciplinari.

 

Procedimento disciplinare e tutela del contraddittorio

 

Premessa

 

Nella decisione del 27 marzo 2014 n. 7282 i giudici di legittimità, nella sezione lavoro hanno precisato che per quanto concerne la contestazione degli addebiti del professionista (1) che sia sottoposto a procedimento disciplinare, non è necessaria una completa, minuziosa e dettagliata esposizione dei fatti posti a base ed integranti l’illecito.

E’ sufficiente, all’uopo, che l’incolpato, con la lettura della incolpazione, sia posto in grado di approntare la propria difesa in modo pieno ed efficace.

Nella fattispecie concreta la Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie aveva il ricorso proposto dal dentista,  avverso la delibera dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri con cui era stata irrogata al ricorrente la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio professionale per la durata di un mese, “per comportamento non conforme al disposto degli artt. 55 e 56 del codice deontologico e relative linee guida”, in relazione al volantino pubblicitario, recapitato col sistema porta a porta ed in relazione all’annuncio pubblicitario “……..” apparso sul Giornale.

La commissione disciplinare aveva ritenuto gli addebiti contestati ben circostanziati e rilevava che il c.d. decreto Bersani prevedeva l’applicazione (2) delle norme deontologiche a tutela del decoro e della dignità professionale come articolate nelle diverse linee guida in materia pubblicitaria.

Veniva, altresì rilevato che l’incolpato era recidivo, in virtù delle sanzioni disposte con le precedenti delibere (3), sempre in materia pubblicitaria.

La Commissione Centrale, in relazione ai motivi di ricorso posti dal professionista a fondamento della domanda di annullamento di detto provvedimento disciplinare, osservava:

a) il provvedimento disciplinare non è viziato ove, malgrado una certa genericità dell’atto di contestazione, l’incolpato abbia posto conoscere, nel corso del procedimento gli addebiti mossigli, ai sensi dell’art. 39 del regolamento, e sia stato, quindi, nelle condizioni di svolgere adeguatamente le proprie difese;

b) nella determinazione della sanzione l’Ordine aveva tenuto conto dei pregressi comportamenti già sanzionati e che non richiedevano di essere contestati ma “semplicemente valutati”dall’organo disciplinare;

c) non era configurabile l’illegittimità del provvedimento amministrativo di primo grado per eccesso di potere e per insussistenza di fatti di rilevanza disciplinare, posto che la legge c.d. Bersani, non prevedeva alcuna preventiva autorizzazione alla pubblicità sanitaria che, invece, doveva rispondere ai criteri di “veridicità e trasparenza”, previsti dall’art. 2 lett. b) della L. 4 agosto 2006 n. 248; nella specie, il messaggio pubblicitario, diverso da quello sottoposto alla preventiva autorizzazione dell’Ordine, era privo di tali requisiti.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione, ex artt. 68 D.P.R. n. 221/1950 e 111 Cost., il professionista  formulando tre motivi illustrati da memoria, ovvero:

1) violazione degli artt. 24 e 111 Cost.; 65 e 423 c.p.p.; 39 D.P.R. n. 221/1950, per essere stato violato il diritto di difesa e per difetto del requisito di specificità della contestazione disciplinare (4);

2) violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost. ; 99 c.p.-655 e 423 c.p.p., art. 39 D.P.R. n. 221 del 5.4.1950, posto che, con riferimento alla recidiva, occorreva applicare le norme del sistema processuale penale, con la conseguenza che la recidiva stessa, contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione Centrale e dalla Commissione di primo grado, doveva essere regolarmente contestata per consentire all’incolpato una compiuta difesa sul punto;

3) violazione dell’art. 2 lett.B) della L. n. 248/2006, laddove la Commissione Centrale aveva ravvisato la violazione del criterio di trasparenza della pubblicità posta in essere dal ricorrente in quanto difforme dalla preventiva autorizzazione dell’Ordine territoriale, così incorrendo in errore di diritto, posto che la legge cit. non prevede più detta preventiva autorizzazione.

 

 

Conclusioni

 

 

Il libero professionista, quindi, era stato sospeso per trenta giorni “accusato” di aver fatto pubblicità porta a porta; non si contestava la recidiva.

I giudici della Suprema Corte di Cassazione cassa la decisione rinviando alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie.

 

 

1)     Nella fattispecie concreta trattasi di un medico dentista

2)     da parte degli Ordini professionali

3)     Avvertimento e censura

4)     La Commissione Centrale, avendo riconosciuto la genericità della contestazione, avrebbe dovuto annullare il provvedimento sanzionatorio irrogato in primo grado, mentre aveva erroneamente ritenuto che la contestazione potesse essere precisata “nel corso del procedimento”, non tenendo conto che essa non indicava quale fosse la parte di annuncio pubblicitario disciplinarmente censurabile

Sentenza collegata

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Rinaldi Manuela

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