Statuisce la norma in questione che “1. Le amministrazioni, al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, possono, nel triennio 2018-2020, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria, assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:
a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione o, in caso di amministrazioni comunali che esercitino funzioni in forma associata, anche presso le amministrazioni con servizi associati ;
b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione;
c) abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell’amministrazione di cui alla lettera a) che procede all’assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni.
La Circolare del 23 novembre 2017 n. 3/17
Il Ministero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, con la Circolare 23 novembre 2017 n. 3/17 nel fissare gli «Indirizzi operativi in materia di valorizzazione dell’esperienza professionale del personale con contratto di lavoro flessibile e superamento del precariato» ha precisato che «Gli anni utili da conteggiare ricomprendono tutti i rapporti di lavoro prestato direttamente con l’amministrazione, anche con diverse tipologie di contratto flessibile, ma devono riguardare attività svolte o riconducibili alla medesima area o categoria professionale» (punto 3.2., lett. c).
L’assegno di ricerca
Nel paragrafo dedicato agli enti di ricerca, con più specifico riguardo alle prestazioni svolte in base a contratti di assegno di ricerca, la Circolare specifica che «l’ampio riferimento alle varie tipologie di contratti di lavoro flessibile, di cui all’articolo 20, comma 2, può ricomprendere i contratti di collaborazione coordinata e continuativa e anche i contratti degli assegnisti di ricerca» (Circolare n. 3/2017, punto 3.2.7.).
Il contratto di assegno di ricerca in realtà configura una prestazione d’opera connotata da elementi di subordinazione, dalla continuità ed esclusività delle prestazioni e dall’impiego di mezzi ed attrezzature nella disponibilità del datore di lavoro nonché nella natura fissa della retribuzione, corrisposta oltretutto a cadenza determinate, solitamente mensili, implicante l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione del datore di lavoro e l’assoggettamento al potere direttivo di questi. Indici tutti in forza dei quali la giurisprudenza ha inteso individuare come presupposti che dissimulano una sostanziale subordinazione, in presenza di un rapporto asseritamente autonomo o di collaborazione. (cfr. Cassazione Civile Sez. Lav., 10 luglio 2015 n. 14434; Tribunale Milano, Sez. Lav., 31 maggio 2018 n. 1452).
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