Processo famiglia post Cartabia: legittimità costituzionale termine di 10 giorni

Lorena Papini 25/09/24
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L’ordinanza del Tribunale di Genova affronta un tema di grande rilevanza operativa per gli avvocati, specialmente in ambito di diritto di famiglia: la legittimità costituzionale del termine di 10 giorni previsto dall’art. 473 bis.17 c.p.c. per consentire all’attore di prendere posizione sulle difese del convenuto, modificare o precisare le domande, e formulare eventuali eccezioni o richieste di prova. Questa normativa, introdotta con il D.Lgs. 149/2022 nell’ambito della riforma del processo civile, è stata messa in discussione per la sua presunta violazione del diritto di difesa e del principio di uguaglianza tra le parti. Il giudice, rilevando come tale termine risulti eccessivamente compresso, ha ritenuto la questione di legittimità costituzionale non manifestamente infondata, sospendendo il giudizio e rimettendo la decisione alla Corte Costituzionale. Per approfondire i temi della procedura civile alla luce della riforma Cartabia, abbiamo organizzato il corso di formazione: Il processo civile a un anno dalla Riforma Cartabia

Tribunale di Genova sez. IV civ.- ordinanza del 04-09-2024

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Indice

1. La compressione del diritto di difesa con il termine di 10 giorni


Il cuore della questione riguarda il termine estremamente breve di 10 giorni entro il quale l’attore deve necessariamente prendere posizione sulle difese del convenuto e adeguare la propria strategia processuale. Questo termine è stato definito troppo ristretto per consentire un’adeguata preparazione della difesa, specialmente se si considera che, in alcuni casi, i giorni effettivamente disponibili possono ridursi ulteriormente a causa del tempo necessario per il caricamento e la notifica degli atti sul portale del processo telematico. In confronto, il convenuto ha a disposizione 30 giorni per predisporre la propria difesa in relazione alle domande dell’attore, creando uno squilibrio tra le parti che, secondo il giudice, non è conforme ai principi del giusto processo sanciti dall’art. 111 della Costituzione.
La questione diventa ancora più critica nei procedimenti di diritto di famiglia, dove spesso le controversie sono complesse e richiedono una gestione accurata delle prove e delle eccezioni. L’attore, nel tentativo di rispondere a domande riconvenzionali avanzate dal convenuto, si trova spesso in una situazione di difficoltà, dovendo predisporre in pochi giorni risposte esaustive, con il rischio di non riuscire a tutelare pienamente i propri diritti.

2. Il confronto con altri procedimenti


Nell’ordinanza viene inoltre evidenziato come, in altri procedimenti, i termini per le difese siano ben più estesi. Ad esempio, nel rito ordinario di cognizione, il convenuto ha 70 giorni per costituirsi e proporre eventuali domande riconvenzionali, mentre l’attore ha fino a 40 giorni per prendere posizione su di esse. Anche nel rito semplificato, l’attore dispone di 20 giorni per replicare alle difese del convenuto. Questa disparità mette in luce l’eccessiva ristrettezza del termine di 10 giorni previsto dall’art. 473 bis.17 c.p.c., che appare sproporzionato rispetto alla complessità delle questioni che possono emergere in sede di diritto di famiglia.
La giurisprudenza della Corte Costituzionale ha già avuto modo di affermare, in diverse sentenze, che i termini processuali che comprimono il diritto di difesa devono essere valutati con estrema attenzione, specialmente quando vi è un rischio concreto di compromissione della possibilità di esercitare in maniera efficace tale diritto. In questo contesto, l’ordinanza sottolinea come l’introduzione di un termine così breve nel processo familiare rischi di ledere i principi di parità tra le parti e di giusto processo.

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3. L’importanza di un intervento della Corte Costituzionale


La decisione del giudice di rimettere la questione alla Corte Costituzionale riflette la necessità di un intervento che chiarisca se il termine di 10 giorni possa effettivamente essere considerato conforme ai principi costituzionali. Il legislatore, con l’introduzione dell’art. 473 bis.17 c.p.c., ha voluto garantire una maggiore celerità nei processi di famiglia, ma è evidente che la celerità non può andare a scapito della qualità del processo e della tutela effettiva dei diritti delle parti.
Per gli avvocati che operano in ambito familiare, questa ordinanza rappresenta un importante spunto di riflessione. Da un lato, si pone il problema di come gestire al meglio i termini attualmente previsti dal codice per garantire un’efficace tutela dei propri assistiti. Dall’altro, si evidenzia la necessità di una possibile riforma del processo civile che possa rendere i termini più equilibrati e compatibili con il diritto di difesa. L’eventuale intervento della Corte Costituzionale potrebbe aprire la strada a una revisione della normativa che tenga conto delle effettive esigenze difensive in procedimenti così delicati come quelli familiari.

4. Conclusioni operative per gli avvocati


In attesa di una decisione della Corte Costituzionale, è fondamentale che gli avvocati prestino massima attenzione ai termini previsti dall’art. 473 bis.17 c.p.c. e adottino una strategia difensiva che tenga conto della ristrettezza dei tempi a disposizione. Sarà importante anticipare quanto più possibile la preparazione delle memorie e delle eccezioni, al fine di evitare di trovarsi in situazioni di emergenza.
Inoltre, in sede di udienza, gli avvocati potrebbero valutare l’opportunità di sollevare l’eccezione di incostituzionalità del termine qualora questo risulti effettivamente pregiudizievole per il diritto di difesa dei propri assistiti. Una corretta gestione del tempo e una puntuale organizzazione delle difese diventano quindi essenziali per non incorrere in decadenze che potrebbero compromettere l’esito del processo.

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