I Giudici di Pace italiani non godono della stessa garanzia riservata dall’ordinamento ai Magistrati ordinari nel caso dovessero conoscere, durante un processo pendente innanzi ad essi, i fatti accaduti ad un collega Avvocato nell’esercizio della professione.
Regola codicistica vuole che nel caso un Magistrato ordinario dovesse conoscere i fatti di altro Magistrato si genera un’incompatibilità precisa ai sensi dell’art. 11 c.p.p.
Tale disposto normativo-processuale titolato “competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati” prevede che “i procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, che secondo questo capo sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni o le esercitava al momento del fatto, sono di competenza del giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d’appello determinato dalla legge”.
Trattasi di un’incompatibilità strutturale nativa.
Facendo un paragone di posizione e ruoli si potrebbe affermare che vi sia conflitto d’interesse (derivato) per il Giudice di Pace rispetto ai fatti processuali (ad esempio) derivanti dall’esercizio professionale di un Avvocato.
L’Avvocato, quale parte nel processo penale, potrebbe facilmente essere la persona offesa, l’imputato, la persona danneggiata dal reato.
In ragione di ciò, l’art. 10 della legge n. 374/1991 (norma istitutiva dei Giudici di Pace) sarebbe in netto contrasto con i principi processuali costituzionali perché seppure prescrive che al Giudice di Pace spetta osservare, quale magistrato onorario, i “doveri previsti per i magistrati ordinari”, d’altra parte nulla prevede in merito alle incompatibilità strutturali native e relative competenze che invece sono previste dall’art. 11 c.p.p. per i magistrati ordinari (in virtù del quale un giudice non può conoscere e giudicare i fatti di altro giudice della stessa Corte d’Appello).
In tale ottica si pensa quantomeno che vi sia l’illegittimità costituzionale dell’art. 10 della legge n. 374/1991 in combinato disposto con l’art. 11 c.p.p. poiché in violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost.
In assenza di una norma speciale precisa e specifica (in quanto nella legge n. 374/1991 non si riscontra) il Giudice di Pace potrebbe ad oggi solamente astenersi, ai sensi dell’art. 36, co. 1 lett. h), c.p.p., per evidenti e gravi ragioni di opportunità e convenienza.
A ben vedere, i Giudici di Pace hanno esclusivamente l’obbligo di rispettare i doveri e non le incompatibilità proprie del ruolo magistratuale e ciò si pone come una sostanziale e palese lacuna dell’ordinamento, mai colmata negli anni dal legislatore considerando che la legge istitutiva è del 1991 e la legge costituzionale che ha introdotto il principio del Giusto Processo è la n. 2 del 1999.
Sulla scorta di quanto innanzi, andrebbe affermato che un Avvocato in funzione di Giudice onorario non può conoscere, non deve conoscere e non potrebbe giudicare i fatti processuali derivanti dall’esercizio professionale di un altro avvocato.
Ne deriva che nel processo pendente innanzi a qualsivoglia Giudice di Pace si assisterebbe ad una palese violazione delle garanzie costituzionali previste:
– dall’art. 3 Cost. in quanto il cittadino sarebbe in una posizione di diseguaglianza con le altre parti processuali laddove una di esse dovesse risultare un Avvocato ed i fatti del processo derivanti dall’esercizio delle funzioni di quest’ultimo;
– dall’art. 24 Cost. in quanto il diritto di difesa potenzialmente fruibile dal cittadino sarebbe limitato dal fatto che la posizione processuale non è pienamente garantita a priori in virtù della diseguaglianza predetta in quanto il Giudice onorario proviene dallo stesso ordine professionale dell’Avvocato parte in causa;
– dall’art. 111 Cost. in quanto non si rispetterebbe alcun principio di Giusto Processo dal momento che il Giudice di Pace non risulterebbe terzo, imparziale e pienamente neutrale alla questione processuale derivante dall’esame dei fatti generati dall’esercizio della professione di Avvocato di una delle parti in causa.
La questione risulterebbe assolutamente rilevante (perché la norma che istituisce i Giudici di Pace inficerebbe direttamente i processi penali) e non manifestamente infondata poiché si avverte il forte dubbio in merito alla legittimità costituzionale della citata norma.
L’art. 10 della legge n. 374/1991 appare, quindi, carente di quelle previsioni di garanzia strutturali native e della previsione puntuale delle incompatibilità (in rapporto ai fatti che si devono giudicare) che devono permettere al giudice onorario de quo di svolgere la propria funzione magistratuale attuando il Giusto Processo; quest’ultimo deve essere caratterizzato da precostituita terzietà, neutralità ed imparzialità funzionali alla concreta attuazione dell’eguaglianza sostanziale delle parti in causa.
A maggior ragione, quanto innanzi assumerebbe pregio se si pensasse (facendo un paragone ideologico) al fatto che per i magistrati ordinari nel processo penale, ai fini dell’applicazione dell’incompatibilità strutturale ex art. 11 c.p.p., vale già di per sé il principio di appartenenza al medesimo organo costituzionale denominato “C.S.M.” e perciò non si comprende perché la medesima incompatibilità per appartenenza non debba essere applicata anche agli Avvocati in veste di Giudice di Pace.
Va precisato che, tra l’altro, il Giudice di Pace, anche se è una figura magistratuale, deriva pur sempre e direttamente da un ordine professionale di tipo forense, al di là del fatto che il singolo giudice non eserciti o non abbia interessi nel distretto di Corte d’Appello di riferimento.
Nel caso su trattato (cioè del Giudice di Pace che giudica i fatti penali derivanti dall’esercizio delle funzioni professionali del collega Avvocato) verrebbe meno il requisito della non colleganza che inficia l’imparzialità e l’indipendenza dell’Organo Giudicante oltreché in termini di formalità anche in termini di predisposizione sostanziale.
A cascata quindi si assisterebbe ad un concerto indebolimento dell’eguaglianza processuale delle parti ed anche allo scombussolamento dell’individuazione del giudice naturale precostituito per legge.
Tutto ciò, anche in un’ottica di una giurisdizione euro-unitaria, comporterebbe la violazione dell’art. 6 della Cedu in quanto un processo penale che non abbia le garanzie innanzi descritte viola il diritto della persona ad avere un equo processo innanzi ad un giudice indipendente ed imparziale.
Il caso normativo su esposto si pone come un vero e proprio problema costituzionale che potrebbe essere risolto solo con l’intervento della Corte Costituzionale, effettuando un vaglio di costituzionalità della norma di cui all’art. 10 della legge 374/1991 laddove quest’ultima non prevede che le stesse garanzie previste per i magistrati ordinari ex art. 11 c.p.p. debbano essere applicate anche per gli onorari Giudice di Pace, o direttamente del legislatore attivando una procedura legislativa (per l’appunto) che riformi dalla base il sistema di cui innanzi.
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