Produzione in giudizio di documenti aziendali (Cass. n. 20163/2012)

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LA RIFORMA FORNERO COMMENTATA 

Maggioli Editore – Novità settembre 2012

 

Massima

Il lavoratore che produca, in una controversia di lavoro intentata nei confronti del datore di lavoro, copia di atti aziendali, che riguardino direttamente la sua posizione lavorativa, non viene meno ai suoi doveri di fedeltà, di cui art. 2105 c.c., tenuto conto che l’applicazione corretta della normativa processuale in materia è idonea a impedire una vera e propria divulgazione della documentazione aziendale e che, in ogni caso, al diritto di difesa in giudizio deve riconoscersi prevalenza rispetto alle eventuali esigenze di riservatezza dell’azienda; ne consegue la legittimità della produzione in giudizio dei detti atti trattandosi di prove lecite.

 


1. Questione

Il Tribunale accoglie il ricorso del lavoratore nei confronti della banca, la quale dichiara l’illegittimità del licenziamento intimato al ricorrente, fondato sulla contestazione di abusivo impossessamento di copia di corrispondenza riservata e di utilizzazione di tali copie per una denuncia penale presentata contro tali suoi colleghi e per giudizi da lui intrapresi contro la banca. Il Tribunale condannava altresì la suddetta società alla reintegra del dipendente e alla corresponsione delle retribuzioni intanto maturate.

La decisione viene confermata dalla Corte d’appello, che, con la sentenza in epigrafe, respingeva il gravame proposto dalla banca. Ciò trova la sua ratio, nel fatto che riguardo al possesso dei documenti non è stato provato alcun abusivo trafugamento, tanto che la stessa datrice di lavoro, nel corso del giudizio, ha insistito, piuttosto, sulla violazione del solo obbligo di fedeltà; è emerso, peraltro, che all’interno dell’ambiente di lavoro si è creato un clima di vessazioni, poste in essere nei confronti del lavoratore, in relazione alla sua attività di sindacalista, dal responsabile di gruppo, direttore della filiale e dal titolare dell’agenzia, i quali, se pure assolti in sede penale da comportamenti delittuosi a loro imputati, sono risultati responsabili di specifici comportamenti emulativi a carico del ricorrente, concordando, fra l’altro, addebiti inesistenti e formulando ingiuste valutazioni professionali negative, poi annullate in sede giudiziale; in definitiva, l’utilizzazione dei documenti aziendali da parte del dipendente è da considerare pienamente giustificata, in relazione alla condotta non corretta dei suoi superiori, alla quale egli ha reagito per far valere in giudizio i suoi diritti.

Propone ricorso in cassazione la banca, con quattro motivi, che è stato respinto.

 


2. Giusta causa di licenziamento e produzione dei documenti nel processo

La “quaestio iuris” in esame è se la produzione in giudizio di documentazione aziendale riservata costituisca giusta causa di licenziamento; sul punto, risulta decisa in modo non uniforme nelle pronunce di Cassazione.

Un primo orientamento è nel senso dell’illegittimità di una tale produzione, in quanto la violazione dell’obbligo della riservatezza comporta inevitabilmente la lesione dell’elemento fiduciario e può quindi integrare gli estremi della giusta causa (o giustificato motivo) di licenziamento (ex plurimis Cass. sentenza n. 2560 del 1993; Cass. sentenza n. 4328 del 1996; Cass. sentenza n. 6352 del 1998; Cass. sentenza n. 13188 del 2001). Un secondo orientamento ritiene che la “produzione in giudizio di fotocopie” di documenti aziendali riservati costituisca una ipotesi di gran lunga più lieve rispetto a quella di “sottrazione di documenti”, sicchè, nel quadro concreto delle circostanze di fatto, il licenziamento disciplinare può essere considerato illegittimo (Cass. sentenza n. 1144 del 2000; Cass. sentenza n. 4328 del 1996).

Una variante del secondo orientamento è costituito dal più recente filone giurisprudenziale (in particolare Cass. sentenza n. 6420 del 2002 e sentenza n. 12528 del 2004), che ha riconosciuto la prevalenza del diritto alla difesa rispetto alle esigenze di segretezza di dati in possesso di enti privati o pubblici, tanto più che la stessa normativa (art. 12 della L. 675 del 1996 e successive modifiche ed integrazioni) in tema di tutela della riservatezza (c.d. privacy) non richiede il consenso dell’interessato nell’ipotesi in cui il trattamento sia necessario “per far valere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattali esclusivamente per tale finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento”.

Ciò esposto sullo stato della giurisprudenza, la giurisprudenza ritiene che dalla stessa possa trarsi la fondamentale distinzione tra produzione in giudizio di documenti aziendali riservati al fine di esercitare il diritto di difesa, di per sè da considerarsi lecita (al riguardo ampie ed esaurienti sono le argomentazioni svolte nelle ricordate sentenze n. 6420/2002 e n. 12528 del 2004), e impossessamento degli stessi documenti, le cui modalità vanno in concreto verificate.

 


3. Rassegna giurisprudenziale

La sottrazione da parte del dipendente di documenti aziendali riservati costituisce violazione dei doveri di lealtà e correttezza imposti dall’art. 2105 c.c. e può, quindi, integrare gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento; detta sottrazione costituisce ragione di licenziamento indipendentemente dall’intento del lavoratore di far uso meramente processuale di detti documenti (Pret. Vicenza, 02/06/1995).

Il lavoratore che produca, in una controversia di lavoro intentata nei confronti del datore di lavoro, copia di atti aziendali, che riguardino direttamente la sua posizione lavorativa, non viene meno ai suoi doveri di fedeltà, di cui all’art. 2105 c.c., tenuto conto che l’applicazione corretta della normativa processuale in materia è idonea a impedire una vera e propria divulgazione della documentazione aziendale e che, in ogni caso, al diritto di difesa in giudizio deve riconoscersi prevalenza rispetto alle eventuali esigenze di segretezza dell’azienda (Cass. civ., Sez. lavoro, 04/05/2002, n. 6420).

La disponibilità di documenti aziendali in relazione alla funzione che il lavoratore svolge in azienda non comporta né legittima il loro uso fuori dal contesto aziendale e per finalità diverse da quelle per le quali sono stati formati. Pertanto costituisce grave violazione dell’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c. – sanzionabile con licenziamento – l’utilizzazione di detti documenti per la difesa in giudizio, posto che la loro esibizione può essere richiesta al giudice che ha la possibilità di ordinare la produzione con le cautele richieste dalle esigenze di segretezza, evitando così l’esposizione del patrimonio aziendale al grave pregiudizio che può derivare dalla divulgazione di notizie riservate e destinate a restare tali (Trib. Milano, 15/05/2004).

Non integra violazione dell’obbligo di fedeltà, di cui all’art. 2105 c.c., la produzione in giudizio di copie di atti ai quali il dipendente abbia avuto accesso, giacché tale produzione, avendo ad oggetto copie – e non originali -, da un lato, non costituisce sottrazione di documenti in senso proprio e, dall’altro, essendo finalizzata all’esercizio del diritto di difesa, inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, ed esclusivamente a tale esercizio, con le modalità prescritte dal codice di rito, non comporta divulgazione del contenuto dei documenti ed assolve ad una esigenza prevalente su quella di riservatezza propria del datore di lavoro (Cass. civ., Sez. lavoro, 07/07/2004, n. 12528).

Il licenziamento intimato al lavoratore per violazione dell’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c. – avendo questi prodotto in giudizio fotocopie di documenti aziendali – è illegittimo, stante la prevalenza del diritto alla difesa rispetto alle esigenze di segretezza aziendali, così come sancito anche dalla normativa che tutela il diritto alla riservatezza (Cass. civ., Sez. lavoro, 07/12/2004, n. 22923).

 

 

Rocchina Staiano
Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.

Sentenza collegata

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Staiano Rocchina

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