Corte dei Conti – Giudizi di responsabilità amministrativa per danno erariale – Sezione Giurisdizionale Lombardia – Sentenza n. 533 del 12 ottobre 2006 – Illecito erariale in pendenza di procedimenti penali – Rapporti fra procedimento penale e contabile – Incarichi peritali – Spesa ingiustificata – Culpa in vigilando – Configurabilità – Colpa grave del magistrato – Sussistenza.
Con la sentenza n. 533/06, la Sezione Giurisdizionale Lombardia della Corte dei Conti ha ravvisato il requisito soggettivo della colpa grave nel comportamento di un G.I., sotto procedimento penale unitamente al C.T.U., per commissione dei delitti di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio (art. 319 e 319 ter c.p.), falsa perizia o interpretazione (art. 373 c.p.), ed abuso d’ufficio (art. 323 c.p.), per non avere debitamente controllato, sotto il profilo amministrativo-contabile, le perizie da lui disposte prima della relativa liquidazione stante l’abnormità e l’ingiustificabilità delle spese fatturate e liquidate al consulente.
La sentenza che si commenta offre lo spunto per una breve riflessione sulle fattispecie di danno erariale perpetrate da soggetti coinvolti nelle attività processuali e consente altresì di soffermarsi dalla prospettiva giuscontabile su alcuni istituti quali la sospensione per litispendenza e la prescrizione.
La nozione di illecito erariale prende le mosse dalla definizione di responsabilità amministrativa (nell’accezione di “responsabilità patrimoniale” recte “per danno patrimoniale”), così denominata poiché discendente dall’ordinamento amministrativo, che si intende quella preposta alla salvaguardia delle pubbliche finanze (“responsabilità finanziarie”) ossia che le gestioni finanziarie e patrimoniali dello Stato e degli enti pubblici non abbiano a subire lesioni o pregiudizi (Francaviglia, 2006).
Questa responsabilità si caratterizza, in concreto, attraverso un procedimento di accertamento contenzioso che si svolge davanti alla Corte dei Conti – giudice naturale precostituito per legge (ex art. 25 Cost.) nella materia della contabilità pubblica (ex art. 103, comma 2, Cost.) – la quale individua il quantum del danno pubblico arrecato e condanna il soggetto al relativo risarcimento in favore dell’Erario.
Occorre preliminarmente tener presente che la giurisprudenza contabile assimilava la responsabilità amministrativa alla stessa stregua della comune azione civilistica di risarcimento del danno, attribuendole la qualificazione di responsabilità contrattuale; alcuni concetti propri dell’illecito civile sono però applicabili all’illecito contabile con molta difficoltà, poiché devono adattarsi e conformarsi ad una responsabilità strutturata come contrattuale, cosicché l’inadempimento degli obblighi si traduce in un comportamento contrastante con gli obblighi di servizio e la nozione di ingiustizia diventa un attributo della condotta in quanto antigiuridica (Pelino Santoro, 2006).
Tuttavia, tale indirizzo è stato notevolmente rivisitato alla luce della riforma della giurisdizione della Corte dei Conti di cui alle leggi nn. 19 e 20 del 1994 e, soprattutto, in relazione a quanto previsto dalla L. n. 693/96, nonché dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale che con le sentenze nn. 371/98 e 453/98 ne ha affermato la natura non più unicamente risarcitoria, bensì e soprattutto sanzionatoria (Garri, 2000 – Mirabella, 2003 – Mele, 2004).
Da tali interventi discendono ulteriori profili contraddistinguenti quali: il carattere della personalità di detta responsabilità; la sua limitazione alle sole ipotesi di dolo o colpa grave; l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali; la limitazione della solidarietà alle ipotesi di dolo od illecito arricchimento; il regime prescrizionale quinquennale e non più decennale; la compensatio lucri cum damno ossia che nel giudizio di responsabilità deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione; l’imputazione della responsabilità amministrativa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole nelle deliberazioni di organi collegiali; la non estendibilità della responsabilità degli organi tecnici agli organi politici; l’irresponsabilità degli eredi con esclusione delle ipotesi di illecito arricchimento degli stessi.
Il convenuto, sostengono ancora i giudici, anche se organo magistratuale, nel conferire gli incarichi e nel sottoscrivere i relativi provvedimenti di liquidazione dei compensi, espleta in forma discrezionale un’attività di natura gestionale amministrativa e come tale idonea ad incidere sulle pubbliche finanze.
Giova ricordare che il personale di magistratura gode di un regime particolare sia in ordine alla responsabilità civile verso i terzi, sia riguardo la responsabilità amministrativa per i danni indiretti.
L’azione di rivalsa per i danni arrecati a terzi è infatti esperibile innanzi al giudice ordinario (art. 7, L. n. 117/1988) in deroga alla generale competenza della Corte dei Conti, mentre è azionabile innanzi alla Corte dei Conti l’azione di regresso in ipotesi di risarcimento per danni a terzi per fatti costituenti reato (art. 13, L. n. 117/1988) e per l’eventuale responsabilità per l’equa riparazione (art. 5, L. n. 89/2001).
La guarentigia della responsabilità amministrativa, tuttavia, copre solo la funzione giurisdizionale e non anche quella burocratico-amministrativa, che viene in evidenza nella preposizione alla struttura organizzativa o ad un centro di spesa.
L’indipendenza della funzione giudiziaria non è ostativa ex se alla possibilità che la legge disciplini casi e forme di responsabilità, sia pure in regime differenziato, essendo stato ammesso che i magistrati, per i danni conseguenti ad atti giudiziari quand’anche strumentali all’esercizio della funzione giurisdizionale, possano essere assoggettati alla giurisdizione della Corte dei Conti (Corte Cost., sent. n. 385/1996); entro tale ambito è stato peraltro espressamente previsto che i magistrati, unitamente ai funzionari amministrativi, siano responsabili delle liquidazioni e dei pagamenti per spese di giustizia e siano tenuti al risarcimento del danno subito dall’erario a causa di errori ed irregolarità, secondo la disciplina generale in tema di responsabilità amministrativa ex art. 172 D.P.R. 30 maggio 2002, n.115.
In concreto, i magistrati sono stati ritenuti responsabili in via amministrativa per l’illecito pagamento di indennità ai giudici popolari (Corte dei Conti, Sez. Emilia, sent. n. 521/03), per l’irregolare gestione dei campioni demaniali (Corte dei Conti, Sez. Lazio, sent. n. 2149/98) e per l’attività di presidente della commissione elettorale (Corte dei Conti, SS.RR. sent. n. 726/A del 1991); per il passato sono stati ritenuti responsabili anche per inosservanza di obblighi di vigilanza sui dipendenti addetti al servizio di cancelleria (Corte dei Conti, Sez. I, n. 57/71 – Sez. II, sent. n. 31/74), ma tale responsabilità è oggi difficilmente verificabile, sia per la diversa organizzazione degli uffici, sia per il maggior livello di colpa richiesto (Pelino – Santoro, op. cit.).
Parimenti, si è ritenuta sussistente la giurisdizione per il danno all’immagine conseguente a comportamento dei magistrati esorbitante dai propri compiti in carenza di potere e/o caratterizzati da rilievo penale (Corte dei Conti, Sez. Campania, ord. n. 207/03; Corte dei Conti, Sez. Piemonte, sent. n. 773/03).
I magistrati possono essere responsabili anche delle modalità di esercizio della funzione giurisdizionale se strumentalizzate ad un interesse economico personale, come, ad esempio, l’artificiosa disarticolazione di fattispecie omogenee da parte di un giudice di pace per lucrare maggiori compensi (Corte dei Conti, Sez. Abruzzo, sent. n. 503/04).
In relazione ai doveri derivanti dallo status di dipendenti pubblici sono stati ritenuti responsabili per l’uso illegittimo dell’autovettura di servizio (Corte dei Conti, Sez. Trentino, sent. n. 108/97), come pure per l’indebita percezione di indennità (Corte dei Conti, SS. RR., sent. 2 novembre 1993 n. 911/A).
Il giudice contabile è invece carente di giurisdizione per tutte le attività riconducibili alla funzione giudiziaria (Corte dei Conti, Sez. Sicilia, sent. n. 394/95).
Nella funzione giurisdizionale, insindacabile dal giudice contabile, sono stati fatti rientrare anche gli atti di dissequestro di beni in deposito giudiziario (Corte dei Conti, Sez. Calabria, sent. n. 490/03), pronuncia questa appellata da parte della Procura Generale argomentando che la restituzione dei beni sequestrati è attività dovuta, scevra di margini di discrezionalità (art. 159 del D.P.R. n. 115/02) e correlata ad adempimenti aventi natura diversa dall’esercizio della funzione giurisdizionale, che implicano profili di spesa incidente direttamente sul bilancio erariale e che pertanto, non rientrano nella fattispecie di regresso ex L. 117/88; in sede di appello è stata sollevata questione di costituzionalità per l’art. 172 cit., relativamente alla responsabilità conseguente alla mancata o ritardata adozione di atti giudiziari di dissequestro dei beni (Corte dei Conti, Sez. I, ord. n. 13/05), trattandosi di atti strumentali alla funzione giudiziaria.
La predetta responsabilità del magistrato è stata altresì riconosciuta in ipotesi di illegittimo raddoppio dei compensi peritali per difetto di valutazione finale della complessità e dell’anormalità della prestazione peritale nonché per il rilascio sistematico della clausola di provvisoria esecuzione del provvedimento di liquidazione nel procedimento penale talora anche in mancanza di apposita richiesta, in assenza di espressa disposizione legislativa (Corte dei Conti, Sez. Lombardia, sent. n.553/06).
In analoga vicenda, i giudici contabili hanno censurato il fatto che il magistrato, alla luce dell’esperienza e della qualificazione professionale posseduta, a fronte di numerose fatture, tanto ravvicinate nel tempo quanto rilevanti per l’entità delle somme esposte, non si fosse posto prima facie il problema se le stesse apparissero rispondenti alle reali esigenze imposte dalla consulenza tecnica; il collegio, avendo riscontrato che le prestazioni in questione avrebbero potuto essere svolte con una spesa sensibilmente inferiore a quella sostenuta dalla PA, configurano la colpa grave del magistrato sulla base della mancata attuazione dei doverosi controlli che lo avrebbero messo in condizione di sindacare con cognizione di causa la legittimità delle richieste di liquidazione e dei provvedimenti di pagamento poi adottati (Corte dei Conti, Sez. Calabria, sent. n. 411/06).
Per quanto concerne gli aspetti strictu sensu processuali, sulla base della vigente normativa, si afferma la piena autonomia del giudizio contabile rispetto a quello penale; va pertanto escluso che l’accertamento del fatto dedotto nel giudizio erariale dipenda dalla decisione definitiva di quello acclarato in sede penale che si pone come vincolante per il primo.
La c.d. pregiudizialità da cognizione di reato che si estendeva anche alla materia contabile era infatti sancita dal vecchio art. 3 c.p.p, che prevedeva la sospensione del giudizio civile fino alla sentenza istruttoria di proscioglimento o alla sentenza irrevocabile o decreto penale irrevocabile, ma anche in costanza di tale regime, gran parte dei giudici contabili applicava l’istituto sospensorio in forma discrezionale sulla base del principio di autonomia dei giudizi.
L’art. 652 c.p.p. ha ridefinito il rapporto tra giudizio erariale e processo penale non più in termini di pregiudizialità necessaria ma di separatezza e la questione della sospensione del giudizio di responsabilità amministrativa è senz’altro riconducibile alla disciplina contenuta nell’art. 295 c.p.c.; pur tuttavia, ai sensi dell’art. 337, II comma, c.p.c., si ammette che al primo giudizio possa applicarsi la sospensione facoltativa se ritenuta utile per la individuazione dei fatti e la raccolta di prove.; la dottrina (ex plurimis Pelino-Santoro) ritiene che la sospensione si renda indispensabile soprattutto quando siano sub iudice il fatto materiale comune e la sussistenza dell’elemento psicologico del dolo specifico penalmente rilevante che eventualmente costituisca la base dell’azione di responsabilità intentata.
Per quanto concerne la prescrizione dell’azione erariale, ai sensi dell’art. 1, co. 2, della l. 14 gennaio 1994, n. 20, come sostituito dall’art. 3, d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, conv. in l. 20 dicembre 1996, n. 63, il termine di prescrizione deve essere computato “dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso” mentre rileva la “data della sua scoperta” in caso di “occultamento doloso del danno”.
Più precisamente, il “dies a quo” per il computo del decorso prescrizionale va individuato nel momento in cui diviene perfetta la fattispecie dannosa nei suoi elementi costitutivi dell’azione-omissione e dell’effetto lesivo di questa nella sua intera riconoscibilità; qualora, pertanto, l’effetto lesivo del patrimonio pubblico si verifichi in un momento successivo rispetto a quello del compimento dell’azione-omissione, è da questo secondo momento che inizia a decorrere la prescrizione (Corte dei Conti, Sez. Lazio, n. 2130/06).
La locuzione “fatto dannoso” interpreta il fatto quindi come comprensivo sia dell’evento dannoso e sia della esteriorizzazione o conoscibilità obiettiva dello stesso, in quanto la decorrenza della prescrizione va differita sino alla manifestazione dell’evento nella sfera del danneggiato, momento in cui si definisce la possibilità e l’interesse a far valere il diritto al risarcimento del danno (Corte dei Conti, Sezione I, 15 settembre 2005, n. 297; id., Sezione III, 14 febbraio 2005, n. 76); in particolare, la giurisprudenza ha precisato che la conoscenza del fatto coincide con la “oggettiva conoscibilità dei fatti da intendersi come possibilità giuridica della loro conoscenza e non nella concreta conoscenza degli stessi” (Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Regione Basilicata, 19 febbraio 2004, n. 42; id., Sezione I, 19 giugno 2003, n. 214/A), attribuendo rilievo, comunque, al momento in cui l’A.G.O. dispone il rinvio a giudizio penale per fatti coincidenti con gli illeciti contabili (Corte dei Conti, Sezione I, 13 ottobre 2004, n. 348/A).
Sul punto si rammenta che l’art. 129, co. 3, disp. att. c.p.p. così dispone: “Quando esercita l’azione penale per un reato che ha cagionato un danno per l’erario, il pubblico ministero informa il procuratore generale presso la Corte dei Conti, dando notizia della imputazione.”; la giurisprudenza prevalente considera irrilevante la comunicazione ex art. 129 disp.att.c.p.p. (Corte dei Conti, Sezione III, 10 giugno 2004, n. 311/A) ai fini del decorso della prescrizione; la circostanza del mancato ricevimento della prescritta comunicazione da parte della Procura regionale – o, in altra prospettiva, la violazione dello specifico obbligo da parte del P.M. penale – è un semplice dato di fatto, non idoneo ad interrompere il termine prescrizionale stabilito dalla legge a tutela dei diritti delle parti coinvolte nel processo contabile, diritti che non possono essere sacrificati a causa di disguidi interni alle istituzioni giudiziarie (Corte dei Conti, Sez. Lombardia, 12 dicembre 2005, n. 728; contra Corte dei Conti, Sez. Umbria, n. 418/2004).
Peraltro, si sottolinea che l’omogeneizzazione del termine di prescrizione ad anni cinque è stato previsto dall’art. 2, della l. 19 gennaio 1994, n. 20, che è norma successiva all’entrata in vigore del Codice di procedura penale varato nel 1988; la successione delle norme conferma l’intento del legislatore di assicurare alle Procure contabili la tempestiva conoscenza delle notizie di danno e di garantire, allo stesso tempo, l’autonomia dell’azione di responsabilità da quella penale, ormai pacifica dopo l’abrogazione della pregiudiziale penale.
Dall’acclarata autonomia dei due giudizi (penale ed erariale) discende altresì che per i giudici contabili i dati desumibili dal processo penale quali p. es. le dichiarazioni testimoniali, vengano in rilievo nel giudizio per responsabilità erariale non quali prove in senso tecnico, bensì quali elementi da valutare nel loro complesso e che in base all’art. 116 del c.p.c. concorrano alla formazione del libero convincimento del giudice, costituendo indizi gravi, precisi e concordanti, tali da integrare la presunzione semplice di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c. (Corte dei Conti, Sez. Lombardia, sent. n. 199/2003 e Sez. Terza di Appello, sent. n. 75/2005).
Infine, per completezza, si fa presente che ipotesi di responsabilità amministrativa sono ascrivibili altresì a carico di altri operatori della giustizia.
Per esempio, si è ravvisata la responsabilità amministrativa del personale di cancelleria per il mancato versamento di assegni ricevuti in pagamento di sanzioni pecuniarie e rimborso di spese di giustizia (Corte dei Conti, Sez. Puglia, sent. n. 533/2002), per gli ammanchi di somme di cui abbia avuto il maneggio (Corte dei Conti, Sez. Sicilia, sent. n. 10/1993), per l’appropriazione di depositi giudiziari (Conti, Sez. Puglia, sent. n. 13/2003), per il negligente o mancato recupero di crediti iscritti a campione penale (Corte dei Conti, Sez. Sicilia, sent. n. 19/1993) ma si è esclusa la colpa grave per il danno da prescrizione degli stessi crediti per inefficienze operative antecedenti all’assunzione della carica (Corte dei Conti, Sez. Lazio, sent. n. 2149/1998) nonché per intervenuta amnistia (Corte dei Conti, Sez. II, sent. n. 13/1996); di recente, un dirigente di cancelleria è stato ritenuto responsabile dei ritardi nella procedura di dissequestro di beni con conseguente pagamento di indebiti compensi per la protratta custodia (Corte dei Conti, Sez. Trentino, sent. n. 57/2005).
Gli ufficiali giudiziari sono stati riconosciuti responsabili dalla Corte per il mancato versamento di bolli e tasse (Corte dei Conti, Sez. Sicilia, sent. n. 10/1993) e dei superi dei diritti percepiti (Corte dei Conti, Sez. Puglia, sent. n. 350/2001) nonché per il danno all’immagine derivante dalla divulgazione di atti giudiziari di cui erano a conoscenza in occasione del loro servizio (Corte dei Conti, Sez. Umbria, sent. n. 628/1998) e per danni ad amministrazioni terze conseguenti ad irregolari notifiche di avvisi di accertamento tributario (Corte dei Conti, Sez. Toscana, sent. n. 1050/1999).
Il curatore fallimentare non è soggetto alla responsabilità amministrativa in quanto la sua attività non è svolta per conto dell’amministrazione ma in posizione neutrale tra gli opposti interessi del fallito e della massa dei creditori (Corte dei Conti, Sez. I, sent. n. 196/A del 2000); quest’ultima posizione non appare del tutto condivisibile, tenuto conto che spesso in tale tipo di procedure sono coinvolte attività patrimoniali di matrice pubblica e il curatore ancorché privato professionista si pone in rapporto di ausiliarietà con il giudice (Corte dei Conti, Sez. Lombardia, sent. n. 733/2005).
Con riferimento al C.T.U., i giudici milanesi nella pronuncia che si annota rilevano che la qualità professionale del convenuto (C.T.U.) è ancor più significativa ai fini del riconoscimento del rapporto di servizio tra il professionista e l’ente danneggiato poiché, con la nomina da parte del giudice istruttore ai sensi degli artt. 191 ss. c.p.c., il consulente tecnico diventa ausiliario del giudice e, come tale, ne condivide taluni obblighi: egli assume l’incarico, salvo astensione per giusti motivi o ricusazione su richiesta di parte (art. 63 c.p.c.), presta giuramento, dichiarando “di adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di fare conoscere al giudice la verità” (art. 193 c.p.c.) e soggiace al regime di responsabilità stabilito per i periti (art. 64 c.p.c.).
Tali considerazioni confortano la possibilità di intravedere ulteriori forme di responsabilità amministrativa a carico di altri soggetti qualificati quali amministratori giudiziari e via dicendo.
Appare chiaro quindi come la complessa macchina giudiziaria generi una serie di vicende per le quali vanno a profilarsi differenti gradi di responsabilità amministrativa a carico dei soggetti giuridici coinvolti e la cui molteplicità andrà col tempo ad arricchirsi in considerazione sia delle novità legislative intervenute in materia di riforma dell’ordinamento giudiziario – si veda ad esempio il D. Lgs. 240/2006 che attribuisce in via esclusiva la responsabilità della gestione delle risorse umane e materiali degli uffici giudiziari ai dirigenti amministrativi preposti – che delle attuali tendenze di carattere organizzativo volte ad aprire sempre più le dinamiche processuali ad operatori “esterni” – è di questi giorni argomento di discussione e trattativa con le parti sindacali la proposta dell’Amministrazione della giustizia di istituire l’ufficio del processo, da intendersi quale organo di staff del magistrato, che prevede anche il coinvolgimento dei praticanti avvocati quali tecnici di supporto al magistrato medesimo nell’esercizio delle attività giurisdizionali, come la predisposizione di provvedimenti o la ricerca di precedenti giurisprudenziali.
Giuseppe Crucitta
Funzionario Ministero Giustizia
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