La fattispecie di cui all’art. 1228 c.c.
Le differenze con la fattispecie di cui all’art. 2049 c.c.
L’onere della prova in capo alla struttura
Considerazioni finali
La responsabilità della struttura sanitaria è una responsabilità definita dalla giurisprudenza di legittimità a “doppio binario”, giacché essa origina da due fatti distinti.
Secondo i recenti approdi della Suprema Corte, infatti, la responsabilità della struttura deriva, da un alto, dall’inadempimento di quegli obblighi che presiedono per legge all’erogazione del servizio sanitario (i quali, ad esempio, danno luogo a responsabilità per infezioni nosocomiali, per difetto di organizzazione e per carenze tecniche o per mancata sorveglianza); dall’altro, la responsabilità origina dall’attività illecita, che trova occasione nell’erogazione del servizio sanitario, imputabile a coloro della cui attività il nosocomio si avvale, ex art. 1228 c.c.
Collocata in questa prospettiva, dunque, la responsabilità della struttura assume un’importanza notevole e maggiore rispetto al passato, poiché talvolta era rimasta un po’ sullo sfondo rispetto a quella, che sembrava più centrale, della responsabilità del medico in quanto tale.
Volume consigliato
Profili di responsabilità della struttura sanitaria
La riflessione su cui pone enfasi l’orientamento della Corte muove dalla considerazione che l’operato del medico assume oggi connotati diversi rispetto al passato, giacché la sua opera non può più essere considerata svincolata e “isolata” dal contesto dei servizi resi dalla struttura.
In effetti, come riconosciuto dai giudici di legittimità, la condotta del medico si colloca nel più ampio complesso delle scelte organizzative, di politica sanitaria e di razionalizzazione dei servizi, propri della struttura medesima e di cui il medico ne è “parte integrante”.
In quest’ottica, se la struttura sanitaria si avvale della collaborazione del sanitario, la stessa sarà chiamata a rispondere dei pregiudizi che questi ha cagionato.
Secondo il recente orientamento della Corte, la responsabilità della struttura trova fondamento non nella colpa “in eligendo” degli ausiliari o “in vigilando” circa il loro operato, ma nel rischio che è intrinseco all’utilizzazione dei terzi “realizzandosi, e non potendo obliterarsi, l’avvalimento dell’attività altrui per l’adempimento della propria obbligazione, comportante l’assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino” (Cass. n. 24688/2020, Cass., n. 12833/2014 e Cass. n. 28987/2019).
Il fatto, quindi, di avvalersi di un’attività altrui (del medico) per adempiere una propria obbligazione, comporta di per sé, per la struttura, l’assunzione del rischio per i danni eventualmente cagionati da questi al creditore (paziente-danneggiato).
La fattispecie di cui all’art. 1228 c.c.
La fattispecie di responsabilità che viene in considerazione è quella della “responsabilità diretta per fatto proprio” ex art. 1228 c.c., secondo cui l’attività dell’ausiliario si incardina nel “programma” obbligatorio originario che è diretto a realizzare e per la cui realizzazione il debitore contrattuale si avvale necessariamente dell’incaricato, essendogli preclusa, data la natura di Ente/struttura, ogni possibilità di adempimento diretto.
Come noto, l’art. 1228 c.c., fonda l’imputazione al debitore degli illeciti commessi dai suoi ausiliari sulla libertà del titolare dell’obbligazione di decidere come provvedere all’adempimento, accettando il rischio connesso alle modalità prescelte, secondo la struttura di responsabilità da rischio d’impresa (cuius commoda eius et incommoda).
Su queste premesse, anche la recente riforma legislativa di cui alla L. n. 24/ del 2017, nel richiamare espressamente l’art. 1228 c.c., costituisce indice ermeneutico di indirizzo fondamentale nella cornice della materia della responsabilità medica per ricostruire i profili di responsabilità della struttura, conformemente all’indirizzo giurisprudenziale prevalente.
Le differenze con la fattispecie di cui all’art. 2049 c.c.
Così inquadrata, la responsabilità della struttura, si differenzia dalla fattispecie di cui all’art. 2049 cc. dove non vi è un obbligo preesistente, che postula il coinvolgimento dell’ausiliario quale strumento di esecuzione della prestazione.
Nella fattispecie di cui all’art. 2049 c.c, infatti, la condotta pregiudizievole, non si traduce propriamente nella mancata o inesatta esecuzione in un contenuto obbligatorio del committente verso un creditore, quanto piuttosto nello svolgimento di mansioni dannose per un terzo privo di una pregressa relazione qualificata con il debitore.
Per questo motivo la fattispecie in commento richiede la preposizione e l’occasionalità necessaria (Cass., Sez. U., n. 13246/2019) per la configurazione di una responsabilità del “dominus”, così che, in simile ipotesi tra i due soggetti, il padrone ed il commesso che rispondono per titoli distinti, uno solo di essi è l’autore del danno.
Viceversa, nella ricostruzione contrattuale di cui all’art. 1228 c.c. si verifica, invece, un’ipotesi di concorso nella produzione del fatto dannoso e la conseguente ripartizione dell’onere risarcitorio secondo i criteri fissati dall’art. 2055 c.c.
In questa cornice, e riprendendo le premesse poc’anzi poste in tema di responsabilità medica, il medico, operando nel contesto dei servizi resi dalla struttura presso cui svolge l’attività, con la sua condotta è parte integrante della prestazione a cui è tenuta la struttura.
Conseguentemente, laddove la struttura si sia avvalsa della sua “collaborazione” (utilità) per adempiere l’obbligazione di cura, è tenuta a rispondere, in solido, dei pregiudizi da costui eventualmente cagionati (danno), con ripartizione dell’onere risarcitorio secondo i criteri fissati dall’art. 2055 c.c. in parti uguali, salvo prova contraria.
L’onere della prova in capo alla struttura
Sulla base delle considerazioni che precedono, è logico intuire che per superare la presunzione di corresponsabilità tra medico e struttura, non basta la mera affermazione che l’inadempimento sia ascrivibile alla condotta del medico.
In punto di prova, infatti, la struttura, per vincere la presunzione di responsabilità di pari contribuzione al danno, di cui all’art. 2055 c.c., sarà tenuta a provare la diversa misura delle colpe e la diversa derivazione causale del sinistro.
Ciò altro non vuol dire che dimostrare un’evidente frattura tra la (grave e straordinaria) “malpractice” del medico e la (fisiologica) attività economica dell’impresa, che si traduce in ultima analisi in una vera e propria dimostrazione dell’interruzione del nesso causale tra condotta del debitore e il danno lamentato dal paziente.
Quest’onere probatorio va tenuto fermo anche in relazione ai rapporti interni tra i condebitori solidali al fine di verificare se la presunzione pro quota paritaria possa dirsi superata, talché “in assenza di prova da parte della struttura sanitaria adempiente, in ordine all’assorbente responsabilità del medico intesa come grave, ma anche straordinaria, soggettivamente imprevedibile e oggettivamente improbabile malpractice medica, ne deriva quindi la corretta applicazione del principio presuntivo di cui è espressione l’art. 1298 co. 2 c.c” (Cass. N. 2897/2019)
Simili conclusioni sono state ulteriormente avvalorate dalle più recenti pronunce di legittimità che hanno definitivamente chiarito come l’accertamento del fatto di inadempimento imputato al sanitario non fa venire meno i presupposti né della responsabilità della struttura ai sensi dell’art. 1228 c.c. (posto che l’illecito dell’ausiliario è requisito costitutivo della responsabilità del debitore), né della responsabilità della stessa struttura ai sensi dell’art. 1218 c.c., “spettando alla struttura l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento, onere che va tenuto fermo anche in relazione ai rapporti interni tra condebitori solidali proprio al fine di verificare se la presunzione pro quota paritaria possa dirsi superata” (Cass. n. 28987/2020);
Considerazioni finali
Quanto sin qui esaminato, ci porta a sostenere l’impredicabilità di un diritto di rivalsa integrale della struttura nei confronti del medico.
Diversamente opinando, infatti, l’assunzione del rischio d’impresa per la struttura si sostanzierebbe, in definitiva nel solo rischio di insolvibilità del medico così convenuto dalla stessa.
In altre parole, quindi, l’ospedale non può trasferire interamente sui propri “ausiliari” il rischio della propria attività d’impresa e, salvo rare eccezioni, in cui la struttura riesca a dimostrare l’interruzione del nesso causale tra la condotta del medico e il danno lamentato dal paziente (difficilmente predicabili nella casistica concreta) la responsabilità tra struttura ed esercente la professione sanitaria sarà, dunque, sempre ripartita in misura paritaria.
Volume consigliato
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento