Tutte le aziende, siano esse di erogazione che di produzione di beni e servizi, devono operare conformandosi obbligatoriamente ai parametri dell’efficacia e dell’efficienza[1]: quelle private per poter competere sul mercato, mentre quelle pubbliche in osservanza al dettato dell’articolo 97 della Costituzione dove si stabilisce che i pubblici uffici devono svolgere i loro compiti in modo da assicurare l’imparzialità e il buon andamento.
In generale si può comunque sostenere che l’efficacia rappresenta il grado di soddisfazione dei destinatari dell’attività aziendale, mentre l’efficienza è data dal rapporto tra i benefici ottenenti e i costi sostenuti; tanto più è grande il risultato, tanto più l’azienda sarà stata efficiente.
Se ora si trasportano questi criteri nell’attività svolta dalla Camera di commercio, vista come azienda di erogazione di servizi, si può ragionevolmente osservare, in via preliminare, come l’output consista nei benefici dell’attività camerale che la collettività riceve, mentre gli inputs sono le risorse umane e finanziarie a disposizione dell’ente camerale per raggiungere i risultati che si prefigge.
I destinatari di tali servizi non sono i consumatori come nelle attività private, bensì la collettività locale, quindi non solo le singole aziende, ma l’intero tessuto sociale presente su quel territorio.
In questa dimensione economica del territorio, l’efficacia attiene al grado di soddisfazione della collettività economica locale, mentre l’efficienza si riferisce a quanto l’attività dell’ente riesce a dare alla collettività sotto forma di risultato netto, dato dalla differenza tra i benefici goduti dalla medesima e le risorse fornite all’ente per svolgere i suoi compiti.
Pertanto si può affermare come l’efficienza coincida con lo stato di benessere economico-sociale, il surplus che rimane alla collettività dopo aver sostenuto i costi per finanziare l’ente camerale.
In sintesi, quindi, si può affermare che sia per queste vie che la Camera di Commercio debba tendere sempre al benessere economico-sociale, sia attraverso l’efficacia, cioè incrementando il più possibile i benefici (per quantità e qualità) derivanti dalla propria attività, sia massimizzando la differenza tra benefici ottenuti e costi sostenuti.
Inoltre, poiché i costi in questione sono a carico della collettività, occorre tener presente la capacità della predetta collettività a pagarli; quindi si devono stanziare nel bilancio annuale di previsione risorse finanziarie in relazione al numero, alla dimensione e alla capacità reddituale dei soggetti passivi del tributo camerale.
Si viene così a creare un vincolo alla gestione dell’attività camerale di tipo economico e finanziario che permette di introdurre un altro importante parametro della gestione, attraverso cui si analizzano i costi sostenuti al fine di minimizzare il loro impatto sulla gestione: l’economicità[2].
Appare infatti ovvio che più è elevato il numero e/o la dimensione economica delle attività professionali presenti in una certa località, maggiori saranno le risorse che avrà a disposizione la locale Camera di Commercio.
Si possono così schematizzare gli obiettivi economici di fondo dell’Ente camerale:
q raggiungimento del beneficio (efficienza),
q massimizzazione del rapporto benefici / costi (efficacia),
q capacità di sostentamento del costo (vincolo di natura economico – finanziaria = economicità).
Va anche ribadito come il raggiungimento tendenziale di tutti e tre gli obiettivi sia effettuabile anche attraverso il conseguimento di uno solo di essi, senza rinunciare a priori al conseguimento degli altri due. Infatti le politiche di gestione camerale fissano obiettivi di massima che, con il vincolo delle risorse a disposizione sappiano coniugare un accettabile grado di soddisfazione per il raggiungimento anche non completo dei risultati (efficacia), ma riescano almeno a salvaguardare l’efficienza. In tal senso si può parlare di “risultato aggregato” che l’attività camerale deve conseguire, in quanto scaturisce dai tre parametri sopra evidenziati e analizzati.
Questo risultato rappresenta, in definitiva, la migliore scelta di fondo su cui orientare, nel bilancio annuale di previsione, i meccanismi programmatori di ogni funzione della camera di commercio e poi, in sede di rendiconto, valutare la validità dell’azione svolta.
Sotto questi differenti profili, il legislatore ha introdotto, attraverso il D.P.R. 2 novembre 2005, n. 254, uno schema di bilancio preventivo in cui distribuire le funzioni per “aree funzionali” e un “budget direzionale”, dove fissare obiettivi per ogni centro di responsabilità e a capo di ogni centro viene nominato (tramite un rapporto contrattuale privatistico) un dirigente. Vengono poi stabiliti dei controlli di risultato in sede di rendicontazione gestionale, affidati a nuclei interni di valutazione[3].
Per completezza e maggiore comprensione di ciò che si viene sostenendo, si richiama l’art. 8 del D.P.R. citato, denominato “budget direzionale”.
- 1. entro il 31 dicembre la giunta, dopo l’approvazione del preventivo da parte del Consiglio, su proposta del Segretario generale, approva il budget direzionale di cui all’allegato B;
- 2. le aree organizzative corrispondono ai centri di responsabilità individuati all’interno delle funzioni istituzionali indicate nello schema di cui all’allegato A;
- 3. il segretario generale, sulla base del budget direzionale di cui al comma 1, assegna ai dirigenti, con formale provvedimento, la competenza in ordine all’utilizzo delle risorse in esso previste;
- 4. con il provvedimento di cui al comma 1, la Giunta, su indicazione dell’Organo di valutazione strategica, determina i parametri per la valutazione dei risultati da conseguire nello svolgimento dei progetti da realizzare, in attuazione dei programmi prefissati nella relazione previsionale e programmatica e dei servizi o attività assegnati alla competenza delle diverse aree organizzative.
Come in ogni attività è di particolare importanza, al fine della sua valutazione, il risultato finale di gestione che però in un ente pubblico, come la Camera di commercio, non è facilmente misurarabile in modo oggettivo, come è facile immaginare, in quanto quest’ultima, per espressa previsione normativa, non produce risulati misurabili monetariamente come le aziende private. Si pensi, ad esempio, all’attività di promozione del territorio, con costi che ricadono sul bilancio camerale ma con benefici sulle imprese locali in un settore come può essere quello del turismo. La non misurabilità finanziaria della complessa attività camerale ben si concilia con valutazioni che coinvolgono il concetto di “esternalità”, nel caso senza dubbio positive.
Inoltre, un qualunque beneficio che in prima analisi sembra facilmente quantificabile dal punto di vista analitico, può creare le condizioni che permetteranno alla collettività di avere benefici ancora maggiori nelle successive annualità, dando così luogo ad un effetto moltiplicatore del beneficio, tutto ciò a fronte di un processo economico-finanziario facilmente quantificabile sotto il profilo monetario.
Di conseguenza una valutazione oggettiva sulla gestione si ritiene che non possa correttamente prescindere da valutazioni soggettive, anche se con quest’affermazione non si vuole togliere nulla all’importanza che le attività si debbano principalmente valutare specificamente attraverso i parametri dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità, universalmente riconosciuti da dottrina e giurisprudenza. E con ciò si pensi, ad esempio, ai delicati problemi che comporta la valutazione del personale ad opera delle stesse camere di commercio.
L’ente camerale per poter espletare la sua attività ha bisogno di risorse che coprano quanto meno i costi sostenuti; infatti un flusso inferiore di fondi nel lungo periodo comporterebbe o una paralisi funzionale oppure maggiori apporti da parte della collettività (con l’aumento del tributo annuale e dei diritti di segreteria) e/o dello Stato (mediante trasferimenti).
Inoltre potrebbe accadere che l’ente camerale contragga prestiti per poter continuare a erogare i servizi, creando così un ulteriore disavanzo di gestione dovuto all’incidenza di eventuale interessi passivi (come lo Stato!).
Bisogna inoltre considerare che, a differenza delle imprese private, l’azienda camerale non ha necessariamente bisogno di un utile aziendale o di coprire eventuali costi figurativi per poter remunerare il capitale investito.
Si possono solo accantonare utili solo in via cautelativa per future maggiori spese o per avviare un programma di miglioramento dei servizi erogati, poiché in quanto azienda pubblica, non si possono ridistribuire utili.
Appare pertanto evidente che lo scopo dell’equilibrio economico è quindi il pareggio soprattutto nel lungo periodo, che però non deve essere “solo contabile”, potrebbe infatti essere ottenuto attraverso il ricorso all’indebitamento andando così a gravare di ulteriori costi gli esercizi futuri, ma di fatto, cioè “finanziario”.
Per quanto riguarda questo specifico argomento, per le Camere di commercio, è disciplinata all’art. 14, comma 1, del recente D.P.R. 254/05, dove si fa esplicito riferimento all’“assunzione di mutui, partecipazioni a consorzi, società e associazioni, acquisto e alienazioni di immobili”. Nella fattispecie l’art. 14 sancisce che “l’assunzione di mutui è disposta dalla giunta, previo parere del dirigente dell’area economico – finanziaria in merito alla sostenibilità finanziaria per l’esercizio di riferimento e per gli esercizi successivi”.
Inoltre, la presenza di un patrimonio aziendale, ossia di un saldo positivo tra attività e passività, rappresenta unicamente un “accantonamento” di risorse destinato prevalentemente a beni strumentali con utilità pluriennale.
Analogamente a quanto accade nelle imprese private, per poter meglio stimare il risultato dell’attività economica di ciascun esercizio, è necessario rielaborare tutti i dati, servendosi del principio della competenza economica, che sostanzialmente permette di imputare costi e ricavi secondo l’effettivo impiego della risorsa.
In questo modo si è superata la vecchia concezione tipica dei pregressi bilanci pubblici, in base alla quale si imputavano i dati utilizzando prima la competenza giuridico – monetaria e poi di quella giuridico – finanziaria.
Pertanto i dati grezzi relativi alla gestione finanziaria, monetaria ed economica devono essere rettificati tenendo conto della scritture di chiusura della moderna ragioneria come per esempio i ratei, i risconti e gli ammortamenti.
Altrettanto importante è, oltre all’equilibrio economico, quello monetario-finanziario, in quanto un eventuale deficit di liquidità (cash flow) a fronte di debiti in scadenza comporterebbe il ricorso all’indebitamento, con un aggravio sui costi di gestione (sempre pensando all’esempio negativo che dagli anni ‘70 proviene dalla gestione della spesa statale).
Tale situazione potrebbe verificarsi anche in presenza di un soddisfacente equilibrio economico; si pensi al caso in cui molti ricavi originerebbero dei crediti che, a seguito del fallimento del debitore diventassero inesigibili.
Solitamente si può concludere ed affermare con cauta ragionevolezza che in presenza di un equilibrio economico si determinano le condizioni per un’analoga situazione di equilibrio finanziario-monetario.
L’aspetto finanziario della gestione camerale deve essere tenuto sempre sotto controllo in quanto, soprattutto nelle aree più depresse del Paese, perché il pericolo deriva dal fatto che molte imprese non siano più in grado, per diverse ragioni, di versare la quota del “diritto annuale” dovuto.
L’equilibrio di breve periodo, che viene detto monetario in quanto riguarda la liquidità è più facile da conseguire; più problematico appare, invece, l’equilibrio finanziario, perché riguarda il lungo periodo e pertanto è più esposto a stime o valutazioni soggettive che influenzano negativamente i dati certi dell’analisi oggettiva[4].
Franco Gaboardi[5]
[1] Tecnicamente per efficienza s’intende il rapporto tra le risorse impiegate e i risultati ottenuti (RI/RO) (E1); per efficacia s’intende il rapporto che intercorre tra i risultati ottenuti e gli obiettivi attesi (RO/OA) (E2). Questi due parametri sono considerati dalla letteratura essenziali per costruire il risultato di gestione di qualsiasi azienda, sia privata che pubblica.
[2] Questo parametro identifica il costo inverso delle risorse in relazione ai mezzi impiegati. Esprimendolo in termini matematici si può rappresentare così: 1/CR (E3). Se poi si vuole avere il risultato complessivo della gestione dell’ente, ecco come può essere utile rappresentarlo nei termini di una derivata I, e cioè: RG: f (E1, E2, E3).
[3] A questi criteri si ispira, per esempio, il sistema di gestione dell’Università italiana.
[4] Sugli aspetti giuridico-amministrativi e contabili riguardanti le varie forme di responsabilità che coivolgono la pubblica amministrazione e i suoi dipendenti si vedano i lavori dei più autorevoli rappresentanti della dottrina e cioè: Ranelletti O., Principi di diritto amministrativo, Napoli, 1912; Romano S., Corso di diritto amministrativo, Padova, 1930; Zanobini G., Corso di diritto amministrativo, Milano, 1952; Benvenuti F., Appunti di diritto amministrativo, Padova, 1959; Alessi R., L’illecito e la responsabilità civile degli enti pubblici, Milano, 1972; Sandulli A. M., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1984; Barettoni Arleri A., Lezioni di contabilità di Stato, Roma, 1986; Giannini M.S., Diritto amministrativo, Milano, 1993; Galateria L. – Stipo M., Manuale di diritto amministrativo, Torino, 1993; Scotto I., Diritto Amministrativo, Milano, 1993; Greco G., La responsabilità civile dell’amministrazione e dei suoi agenti, in Diritto Amministrativo, a cura di L. Mazzarolli, G. Pericu, A. Romano, F. A. Roversi Monaco, F. G. Scoca, Bologna, 1998; Cassese S., Le basi del diritto amministrativo, Milano, 2000; Virga P., Diritto amministrativo, Milano, 2001; Caringella F., Il Diritto Amministrativo, Napoli, 2002; Mirabella M., La responsabilità nella pubblica amministrazione e la giurisdizione contabile, Milano, 2003; Chiti M. P., Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004; Galli R. – Galli D., Corso di Diritto Amministrativo, Padova, 2004; Rossi G., Diritto amministrativo, Milano, 2005; Sorace D., Diritto delle amministrazioni pubbliche, Bologna, 2005; Casetta E., Manuale di diritto amministrativo, Milano, ult. ediz.; Cerulli Irelli V., Lineamenti di diritto amministrativo, Torino, 2006; Piccozza E., Introduzione al diritto amministrativo, Padova, 2006; Lariccia S., Diritto amministrativo, Padova, 2006; Santoro P. e Santoro E., Nuovi strumenti contrattuali per la gestione e la valorizzazione del patrimonio pubblico, in Amministrazione e contabilità dello Stato e degli enti pubblici, Gennaio-Aprile, 2006; Corso G., Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2006; Cavallo Perin R. – Romano A. (a cura di), in Commentario Breve al testo unico n. 267 del 2000, in Breviaria Juris, Padova, 2006; Bassi F., Lezioni di diritto amministrativo, Milano, 2008; Mazzarolli L., Pericu G., Romano A., Roversi Monaco F. A., Scoca F. G., Diritto amministrativo, Bologna, ult. ediz.; Mirabella M., Di Stefano M., Altieri A., Corso di diritto amministrativo, a cura di M. Mirabella, Milano, 2009.
[5] E’ professore aggregato di diritto amministrativo e contabilità pubblica nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Torino e nella Sede di Città Studi di Biella.
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