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Requisiti per la qualifica di PMI
Al fine di determinare preliminarmente l’ambito di applicazione della nuova disciplina nonché di comprendere l’incidenza del fenomeno derogatorio sul tessuto societario italiano è opportuno procedere all’analisi dei requisiti necessari affinché una Srl possa definirsi piccola media impresa.
Il primo requisito, infra riportato, non ha la sua fonte in alcun provvedimento di origine nazionale; lo stesso, infatti, è stato inizialmente introdotto dall’art. 2 comma 1 della Raccomandazione della Commissione Europea del 6 maggio 2003[2] e accolto nel nostro ordinamento, tramite espresso rinvio, con il Regolamento CONSOB di attuazione del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58[3].
“La categoria delle microimprese delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di EUR.”
Come può osservarsi, l’originaria definizione di questo requisito, cui ancora rinvia in alcuni articoli il suddetto Regolamento CONSOB, richiede essenzialmente due criteri, costituiti da un indice occupazionale[4] e, alternativamente, o da un limite al fatturato o da un limite di bilancio.
Successivamente, in ambito europeo, è stato introdotto, con l’art. 4 paragrafo 1 punto 13 della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 15 maggio 2014, n. 2014/65/UE, un secondo requisito[5], alternativo a quello originario, e consistente nella:
“…capitalizzazione di borsa media inferiore a 200 000 000 EUR sulla base delle quotazioni di fine anno dei tre precedenti anni civili.”
In un secondo tempo, i due requisiti alternativi di cui sopra sono stati ripresi, il primo con modifiche mentre il secondo con espresso rinvio, dall’art. 2, lettera F del Regolamento (UE) 2017/1129 con il seguente tenore letterale:
“«piccole e medie imprese» o PMI:
i)società che in base al loro più recente bilancio annuale o consolidato soddisfino almeno due dei tre criteri seguenti: numero medio di dipendenti nel corso dell’esercizio inferiore a 250, totale dello stato patrimoniale non superiore a 43 000 000 EUR e fatturato netto annuale non superiore a 50 000 000 EUR; oppure
ii)piccole e medie imprese quali definite all’articolo 4, paragrafo 1, punto 13, della direttiva 2014/65/UE”
Come risulta evidente dal testo da ultimo riportato, affinché il primo requisito alternativo possa ritenersi sussistente, differentemente da come riportato dall’art. 2 comma 1 della Raccomandazione della Commissione Europea del 6 maggio 2003, è necessaria la presenza contestuale di almeno due dei tre criteri proposti senza che ve ne sia uno predefinito.
Ad oggi pertanto, nonostante permanga ancora un rinvio del TUF all’unico requisito previsto dalla Raccomandazione CE come sopra citata, i criteri affinché una società possa definirsi PMI devono essere ricercati, seguendo la ratio estensiva della disciplina, nel dettato del Regolamento (UE) 2017/1129[6].
Dopo aver precisato i requisiti necessari affinché un’impresa possa definirsi PMI, anche alla luce della loro evoluzione storica, è utile osservare come nel tessuto imprenditoriale italiano la maggior parte delle imprese potrebbe vantarli e che questo dato è applicabile proporzionalmente alla tipologia societaria della Srl,[7] che, come infra indicato, è anche quella più avvantaggiata dal possedere tali requisiti.
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Principali innovazioni e orientamenti dottrinali
Possibilità di emissione di categorie di quote (art. 26 comma 2 D.L. 18 ottobre 2012, n. 179)
L’art. 26 comma 2 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179[8], dettato inizialmente in tema di Start-up innovativa costituita nella forma di Srl, prevede ora l’applicabilità delle deroghe in esso contenute anche alle Srl non innovative ma in possesso dei requisiti PMI.
Con l’innovazione del predetto articolo è concessa alle Srl PMI la creazione di più categorie di quote fornite di diritti differenti, siano essi di carattere partecipativo[9], amministrativo[10] o patrimoniale[11]
Preliminarmente può osservarsi come la disciplina codicistica della Srl non vieti mai espressamente la creazione di categorie di quote ma che tale divieto, assurto nel tempo a caposaldo della materia, è mutuato da interpretazioni dottrinali di principi di diritto afferenti a tale tipologia societaria e rinvenuti dagli interpreti nel paragrafo 11 della relazione al D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6[12] nonché in diversi articoli del Codice Civile[13].
Dopo aver osservato la deroga prevista, in materia di Srl PMI, al divieto insito nella disciplina codicistica di creazione di categorie di quote, è possibile comprendere la ragione per la quale, nell’ammettere la creazione delle stesse, l’art. 26 comma 2 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 deroghi espressamente all’art 2468 C.C. secondo e terzo comma. È infatti evidente come lo strumento del diritto particolare, prima di tale innovazione legislativa, fosse l’unico strumento idoneo a “personalizzare” i diritti derivanti dalla titolarità della quota e come, in tale contesto, la possibilità di creare categorie di quote costituisca una deroga.
A questo punto è conveniente valutare se le categorie di quote possano coesistere con un istituto tipico della Srl codicistica, quale è il diritto particolare ex art. 2468 comma 3 C.C.[14]. Al riguardo la dottrina ha ritenuto che non vi sia conflitto tra istituti, in quanto questi sono diretti a esplicare i propri effetti su piani differenti: le categorie di quote operano infatti oggettivizzando una determinata percentuale del capitale sociale rappresentato da quote, rendendo insiti in esse determinati diritti e oneri comuni alla categoria; i diritti particolari attengono invece alla figura del socio e non determinano una standardizzazione delle quote ma, al contrario, operano personalizzando ancora di più le stesse.
Sebbene, come si è visto, non esista astrattamente un conflitto tra diritti particolari e categorie di quote non può negarsi come entrambi gli istituti possano, pur con le diverse modalità illustrate, attribuire i medesimi diritti o diritti tra loro incompatibili. Tale situazione difficilmente potrebbe sfociare in una conflittualità qualora le categorie di quote fossero preesistenti ai diritti particolari[15], stante la richiesta di voto unanime per l’introduzione/modifica di questi ultimi ex art. 2468 comma 4 C.C.[16]. Si potrebbe invece determinare violazione della parità di trattamento dei soci nel caso inverso: infatti, la previsione statutaria e l’emissione di categorie di quote sono soggette alle maggioranze previste per le modifiche statutarie e ciò porterebbe alla lesione del diritto particolare incompatibile senza che il suo titolare possa impedirlo. Per ovviare a tale rischio, la dottrina maggioritaria[17] ha ritenuto che in questi casi la delibera di emissione delle quote di categoria lesive di diritti particolari possa essere assunta, in assenza di deroghe statutarie all’art. 2468 comma 4 C.C, soltanto con il consenso di una maggioranza qualificata in senso qualitativo[18].
Dopo aver esaminato i diritti diversi che possono essere incorporati nelle categorie di quote, e che verranno ulteriormente approfonditi al paragrafo 2.3. del presente articolo, è opportuno analizzare i limiti giuridici cui gli stessi sono sottoposti. La dottrina[19], sulla scorta del dettato normativo, ravvisa quali limiti all’autonomia nella determinazione delle caratteristiche delle categorie di quote, unicamente quelli previsti dalla legge, sia per le società in generale sia con riferimento al tipo sociale della Srl. Seguendo questo orientamento, in maniera esemplificativa, potranno prevedersi categorie di quote in cui i diritti diversi incorporati siano di natura patrimoniale; questi diritti però non potranno essere in conflitto con la disciplina dettata dall’art. 2265 C.C.[20] in quanto quest’ultima norma ha carattere generale, passibile di trascendere la tipologia sociale. Allo stesso modo si violerebbe il limite, dettato per le Srl e di ordine speciale, previsto dall’art. 2473 C.C.[21] qualora una categoria di quote venisse disciplinata in modo da escludere una o più cause di recesso inderogabili[22].
Natura delle categorie di quote e contrasti dottrinali
Come si è avuto modo di osservare, l’art. 26 comma 2 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 ha ammesso la creazione di categorie di quote nell’ambito delle Srl aventi i requisiti PMI, tuttavia la dottrina si è interrogata sui riflessi giuridici di tale deroga e ne sono scaturite contrastanti posizioni che richiedono un’analisi più dettagliata.
Il Comitato Triveneto dei Notai, tra i primi a prendere posizione sul punto[23], sostiene che l’art. 26 comma 2 del suddetto provvedimento abbia ammesso la creazione di categorie di quote ma non abbia contestualmente posto una deroga al principio dell’unicità della quota, in quanto detto principio continuerà a operare all’interno di ogni singola categoria e così:
“Nelle S.r.l.-PMI appare dunque possibile suddividere le quote di partecipazione in categorie ma non anche suddividere queste ultime in unità predeterminate e vincolanti.”
In netto contrasto con la posizione sopra indicata, si è posto il successivo orientamento del Consiglio Notarile di Milano, il quale sostiene[24] che l’art 26 comma 2 del sopra indicato provvedimento non solo abbia ammesso la creazione di categorie di quote, ma abbia altresì derogato al principio di unicità della partecipazione. Da tale posizione deriva che le categorie di quote possano essere considerate come “standardizzate”, quindi predeterminate in numero e misura, oppure non standardizzate, quindi uniche per ogni categoria, secondo il seguente principio:
“…quand’anche si volesse attribuire all’art. 2468, comma 1, c.c. […] il significato di un divieto di suddivisione delle quote di s.r.l. in un numero predeterminato di partecipazioni standardizzate e di uguale misura, si dovrebbe comunque ritenere che è proprio questa regola ad essere derogata dall’art. 26, comma 2, d.l. 179/2012, che estende alle s.r.l. una “tecnica” di conformazione delle partecipazioni sociali tipica delle società azionarie.”
Alla luce dell’evidente contrasto di posizioni dottrinali non si può che auspicare un intervento del Consiglio Nazionale del Notariato o della Suprema Corte per porvi rimedio.
Categorie di quote con diritto di voto modificato (art. 26 comma 3 D.L. 18 ottobre 2012, n. 179)
L’art. 26 comma 3 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, riferendosi alle categorie di quote consentite dal secondo comma del medesimo articolo, prevede la possibilità di determinare i diritti, in questo caso partecipativi, delle categorie di quote anche in deroga al disposto dell’art. 2479 comma 5 C.C.[25]. Più precisamente, il comma esaminato, permette la creazione di categorie di quote prive del diritto di voto, con diritto di voto non proporzionale o con diritto di voto limitato a determinati argomenti o subordinato a condizioni non meramente potestative[26].
La deroga sopra menzionata non è nuova nell’ambito dell’interpretazione dottrinale della disciplina delle Srl: si possono annoverare infatti diversi contributi[27] che sostengono la tesi della derogabilità del quinto comma dell’art. 2479 C.C., sia attraverso la previsione statutaria di clausole generali e astratte[28], sia con il ricorso ai diritti particolari ex 2468 comma 3 C.C.[29].
Anche la deroga in esame, come quella esaminata al paragrafo precedente, denota un avvicinamento di posizioni della Srl PMI alla disciplina codicistica della Spa[30] e, in questo caso, la dottrina ha cercato di determinare se questo avvicinamento potesse altresì comportare l’applicabilità della disciplina della Spa, stante la lacuna legis nella disciplina delle Srl, limitatamente all’argomento in esame.
L’orientamento dottrinale decisamente prevalente[31] ha escluso che alle categorie di quote con diritto di voto modificato[32], nelle Srl PMI, fossero applicabili i limiti previsti in tema di Spa, agli articoli 2351 comma 2 e comma 4 C.C.[33] nonché 127 quinquies del TUF[34], in quanto nessuno dei detti limiti è richiamato o ripetuto nella normativa di riferimento. Oltre al dato testuale sopra esaminato, le posizioni dottrinali citate ricordano che i limiti previsti in materia per la Spa non erano stati richiamati nemmeno con riguardo ai diritti particolari, anch’essi potenzialmente idonei a determinare una situazione vietata in ambito di società per azioni, ma per i quali mai si è ritenuto che si potessero applicare i suddetti limiti.
Possibilità di offerta delle quote al pubblico (art. 26 comma 5 D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 e D. Lgs. 3 agosto 2017 n. 129)
Con l’art. 26 comma 5 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, il legislatore ha derogato a un secondo caposaldo della disciplina codicistica della Srl: si tratta, in particolare, del divieto previsto all’art. 2468 comma 1 C.C. e riguardante l’offerta al pubblico di prodotti finanziari. Detto divieto si inseriva tra i principi di stampo personalistico che avevano animato, con riguardo alla Srl, la riforma del diritto societario promossa con il D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6[35] e che miravano a creare uno stretto collegamento tra la figura del socio e la società, chiudendo la porta al mercato dei capitali.
Dopo aver esaminato la portata della deroga, è opportuno precisare che l’articolo in esame non si limita ad ammettere l’offerta al pubblico di prodotti finanziari ma ne prevede i limiti, rinviando alle leggi speciali, nonché ne amplia le modalità attuative, prevedendo che questa possa avvenire anche attraverso i portali per la raccolta di capitali, introdotti con l’art. 30 D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 per le start-up innovative.
Tale innovativa disciplina deve necessariamente essere analizzata unitamente alle disposizioni introdotte nel TUF dall’art. 4 comma 3 D. Lgs. 3 agosto 2017 n. 129, in quanto ne costituiscono modalità attuativa. Il suddetto decreto infatti ha profondamente modificato il testo dell’art 100 ter del TUF, come infra indicato.
In primo luogo, a seguito di tale modifica, il comma 1 nell’art. 100 ter del TUF viene riformato in modo da conciliarsi con la possibilità offerta alle Srl PMI[36], dall’art. 26 comma 5 D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, di offrire i propri prodotti finanziari a mezzo di portali per la raccolta di capitali, possibilità ribadita anche nel TUF, con una formulazione testuale molto simile, dall’art. 100 ter comma 1 bis, introdotto con il medesimo Decreto Legislativo.
Successivamente, con l’art. 1 comma 238 della L. 30 dicembre 2018 n. 145, è stato inserito all’art. 100 ter del TUF un nuovo comma 1 ter, il quale interviene limitando la sottoscrizione di prodotti finanziari quali obbligazioni e titoli di debito, probabilmente per il rischio economico insito negli stessi, agli investitori professionali e alle speciali categorie di investitori determinate dalla CONSOB.
Il D. Lgs. 3 agosto 2017 n. 129 interviene altresì, con la modalità della sostituzione, sul comma 2 dell’art. 100 ter del TUF, adeguandolo con la previsione dell’applicabilità dello stesso non più solo alla start-up innovativa, alla PMI innovativa o all’impresa sociale, bensì più genericamente alla piccola e media impresa e all’impresa sociale.
Una seconda importante novità, introdotta dal D. Lgs. 3 agosto 2017 n. 129, riguarda il comma 2 bis dell’art. 100 ter del TUF: infatti, con la modifica di questo comma, il D. Lgs. determina un ampliamento decisivo dell’art. 2470 C.C.[37], ammettendo che le partecipazioni della Srl PMI possano, alternativamente alle modalità tradizionali, circolare in regime di dematerializzazione secondo le modalità e nei limiti previsti dallo stesso comma.
Con l’introduzione di tale modalità alternativa diviene pertanto possibile affidare a intermediari abilitati[38] la gestione della circolazione e della sottoscrizione delle partecipazioni sociali, che avverrà mediante annotazione delle operazioni su appositi registri. Si precisa che questa modalità di circolazione delle partecipazioni deve essere coordinata con la legittimazione all’esercizio dei diritti sociali da parte dei soci, consentita, ai sensi dell’art. 100 ter comma 2 bis numero 3 del TUF, con la produzione da parte del socio di un certificato rilasciato dall’intermediario, attestante l’effettiva titolarità delle quote e non idoneo al trasferimento delle stesse.
Si precisa infine come, in un’ottica di coordinamento della nuova modalità di circolazione dematerializzata delle quote, il D. Lgs. 3 agosto 2017 n. 129 abbia modificato il comma 2 quater dell’art. 100 ter del TUF, in modo da escludere la necessità del contratto in forma scritta per la sottoscrizione o per il trasferimento di strumenti finanziari ovvero di quote di capitale.
- Deroga al divieto di operazioni su partecipazioni proprie (art. 26 comma 6 D.L. 18 ottobre 2012, n. 179)
L’art. 26 comma 6 D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 deroga a un terzo caposaldo della disciplina codicistica della Srl che era rimasto ininterrottamente vigente fin dall’entrata in vigore del Codice Civile nel 1942, superando indenne la riforma societaria del 2003. Il suddetto articolo, infatti, deroga al divieto posto in carico alla società, a tutela dell’effettività del capitale sociale e contro il rischio di un suo annacquamento[39], di compiere operazioni sulle proprie partecipazioni e le ammette qualora:
“…l’operazione sia compiuta in attuazione di piani di incentivazione che prevedano l’assegnazione di quote di partecipazione a dipendenti, collaboratori o componenti dell’organo amministrativo, prestatori di opera e servizi anche professionali.”
La nuova disciplina delle Srl PMI sembra, anche in questo caso[40], avere delle affinità con la disciplina Spa. Si precisa infatti come sia il dettato normativo dell’art. 26 comma 6 del provvedimento esaminato presenti similitudini con quello dell’art. 2358 comma 8 C.C., sia la ratio sottesa alle diverse discipline debba essere ricondotta a un intento volto ad ampliare il novero dei possibili soci, aprendo, pertanto, la porta della compagine sociale a nuove categorie di soggetti e disponendo a tal fine norme di favore.
Dopo aver inquadrato sistematicamente il profilo innovativo della disposizione, è conveniente esaminare le posizioni contrastanti assunte dalla dottrina con riguardo ai limiti e alla portata della stessa.
I primi interpreti di questa norma[41], forti della similitudine della stessa con la disciplina Spa e consapevoli della sua dirompente portata innovativa, sostengono che tale norma non possa affrancarsi dalle tutele e dai limiti posti nella disciplina di quest’ultimo tipo societario, che devono quindi applicarsi per analogia. Questo primo orientamento però restringe la portata dell’art. 26 comma 6 ammettendo, quali uniche operazioni su quote proprie effettuabili, quelle dell’art. 2358 C.C. e, più precisamente, quelle di incentivazione finanziaria all’acquisto. Tale primo orientamento esclude pertanto che la società Srl PMI possa:
- sottoscrivere quote proprie, in analogia al divieto previsto all’art. 2357 quater comma 1 C.C. per le Spa;
- acquistare quote proprie, a prescindere dalla integrale liberazione o meno delle stesse;
mentre ritiene lecito che la società Srl PMI possa:
- accordare prestiti o fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di quote proprie ai soggetti indicati nella norma, in analogia all’art. 2358 comma 1 e comma 8 C.C., nei limiti degli utili e delle riserve distribuibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato, secondo quanto disposto dall’art. 2358 comma 6 C.C.[42].
A questa prima interpretazione ha fatto seguito quella del Comitato Triveneto dei Notai[43], la quale presenta sia punti di contatto sia posizioni conflittuali rispetto alla precedente. Anche questo orientamento sostiene che alle operazioni su quote proprie eseguite da una Srl PMI possano applicarsi, per analogia, le disposizioni dettate in materia di Spa, con riferimento alle azioni proprie. In particolare anche questo orientamento riconosce l’applicabilità dell’art. 2357 quater comma 1 C.C. e dell’art. 2358 commi 1, 6 e 8 C.C. ma opera un’interpretazione più ampia del dettato normativo dell’art. 26 comma 6 D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, tale da ricomprendere nelle operazioni consentite anche quelle dell’art. 2357 C.C[44], nei limiti degli utili e delle riserve distribuibili risultanti dal bilancio e solo qualora le quote siano state interamente liberate. Si precisa che, secondo questa teoria, alle quote acquistate ex 2357 C.C. sarà applicabile altresì l’art. 2357 ter comma 3 C.C, con conseguente obbligo per la società di iscrivere al passivo del bilancio una specifica voce di segno negativo.
L’ultima teoria elaborata, in termini storici, è quella del Consiglio Notarile di Milano[45]: questa, se per alcuni punti ricalca le posizioni del Comitato Triveneto dei Notai, per altri assume posizioni nettamente più liberali rispetto alle due teorie precedenti. Infatti, la posizione del Consiglio Notarile di Milano riconosce sia la possibilità alle Srl PMI di fornire garanzie a terzi per la sottoscrizione/acquisto[46] di quote proprie, sia la possibilità per le società di acquistare direttamente le proprie quote[47]. Questa teoria però si spinge oltre, fino ad ammettere che la Srl PMI possa sottoscrivere quote proprie[48], quale modalità di collocamento dell’inoptato, in aperto contrasto con il dettato normativo dell’art. 2357 quater comma 1 C.C., basando il proprio orientamento sia sull’ampia portata della deroga in favore delle Srl PMI sia sul fatto che, venuto meno il disposto dell’art. 2474 C.C., non vi sarebbe alcun divieto mutuabile dalla disciplina delle Spa. Infine, quest’ultima teoria prospetta altresì la possibilità di assegnazione, alla società Srl PMI, di quote proprie in caso di aumento gratuito del capitale e ciò sulla base del fatto che l’art. 2481 ter comma 2 C.C., il quale nella disciplina codicistica delle Srl prescrive la proporzionalità negli aumenti gratuiti, è ritenuto derogabile[49].
Perdita dei requisiti PMI e conseguenze (art. 31 comma 4 ultimo capoverso D.L. 18 ottobre 2012, n. 179)
Il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 non disciplina gli effetti della perdita dei requisiti PMI da parte della Srl che abbia già emesso categorie di quote; infatti lo stesso all’art. 31 comma 4 prevede che:
“…Per la start-up innovativa costituita in forma di società a responsabilità limitata, le clausole eventualmente inserite nell’atto costitutivo ai sensi dei commi 2, 3 e 7 dell’articolo 26, mantengono efficacia limitatamente alle quote di partecipazione già sottoscritte e agli strumenti finanziari partecipativi già emessi.”
Stante il dettato della norma, la dottrina[50] si è interrogata sulla possibilità di applicare la stessa disciplina alla Srl che perda i requisiti PMI ed è giunta alla conclusione che ciò sarebbe possibile applicando in maniera analogica l’articolo in commento, così evitando altresì che il venir meno del requisito PMI determini incertezze giuridiche.
- Considerazioni conclusive
Dopo aver esaminato le principali innovazioni nella disciplina delle Srl aventi i requisiti PMI, può osservarsi come le stesse intervengano quasi sempre in modo dirompente nella disciplina tradizionale. Se un tale effetto può essere accolto con favore, stante il mutamento del contesto economico dalla riforma societaria del 2003 ad oggi e gli innumerevoli interventi legislativi e dottrinali susseguitisi nel tempo per smussare le caratteristiche personalistiche di tale tipo sociale, non si può, d’altro canto, non esprimere un certo timore per la modalità scelta di intervento normativo. Si denota infatti come, attraverso la mera sostituzione di parole in un Decreto Legge, si sia arrivati ad estendere l’applicabilità di una disciplina speciale, originariamente prevista per un ridotto numero di società con determinate caratteristiche, alla quasi totalità delle Srl in Italia, le quali, a loro volta, già rappresentano una percentuale importante del panorama societario italiano. Concludendo, si può sottolineare come, ad oggi, la nuova disciplina delle Srl PMI sia carente quanto a organicità e certezza e come tali requisiti non siano ancora stati pienamente integrati nemmeno dalla dottrina la quale, il più delle volte, si è espressa in modo contrastante lasciando così l’operatore giuridico nell’incertezza.
Note
[1] Detto provvedimento interveniva modificando il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla Legge 17 dicembre 2012, n. 221, e così estendendo alle Srl con i requisiti PMI alcune deroghe alla disciplina codicistica originariamente predisposte in favore delle imprese innovative;
[2] Raccomandazione relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese (Racc. 2003/361/CE);
[3] D’ora in avanti riportato come TUF;
[4] A tal fine si ritiene possibile prendere in considerazione alternativamente o il numero medio dei dipendenti impiegati nel corso dell’esercizio sociale, come indicato nella nota integrativa al bilancio ex art. 2427 n.15 C.C., o il numero di dipendenti risultante da dichiarazione del consulente del lavoro, così Maltoni – Ruotolo- Boggiali, “La nuova disciplina delle (PMI) società a responsabilità limitata”, Studio n. 101-2018/I, approvato dalla Commissione Studi d’Impresa del Consiglio Nazionale del Notariato il 19 aprile 2018, 5;
[5] Si tratta di un criterio dettato dal legislatore comunitario per panorami societari aventi caratteristiche diverse da quello italiano, infatti, in Italia, prima dell’introduzione del D.lgs. 3 agosto 2017, n. 129, modificativo del TUF, tale criterio era inapplicabile e, anche ad oggi, deve ritenersi avere importanza residuale;
[6] Così Maltoni – Ruotolo- Boggiali, op. cit., 4; contra, Comitato Triveneto dei Notai, massima I.N.1, “Definizione di S.R.L.-PMI”, settembre 2018, in cui si ritiene che per la definizione di PMI, ai fini delle deroghe in materia societaria, debba farsi riferimento unicamente ai requisiti come prospettati dalla Raccomandazione della Commissione Europea del 6 maggio 2003 mentre i criteri prospettati dal Regolamento (UE) 2017/1129 sarebbero rilevanti soltanto con riferimento all’attività di crowdfunding;
[7] Istat, Rapporto annuale, 2016, nel quale viene indicata nel 95% la percentuale di Srl italiane aventi i requisiti PMI;
[8] Come modificato dall’art. 57 comma 1 del D.L. 24 aprile 2017, n. 50 attraverso la sostituzione delle parole “start up innovative” e “start up innovativa” con la parola “PMI”;
[9] Si intendono con tale termine categorie di quote privilegiate o penalizzate nell’esercizio dei diritti partecipativi derivanti dallo status socii, si vedano ad esempio le categorie di quote a voto non proporzionale, senza diritto di voto ecc.;
[10] Si intendono con tale termine categorie di quote cui è riservato o meno ad esempio il diritto di nominare uno o più componenti dell’organo di amministrazione o dell’organo di controllo ecc.;
[11] Si intendono con tale termine categorie di quote privilegiate o penalizzate ad esempio nella distribuzione degli utili, nell’assorbimento delle perdite, con rendimento correlato all’attività sociale ecc.;
[12] “…si è ritenuto coerente con le caratteristiche personali del tipo societario della società a responsabilità limitata da un lato non prevedere la possibilità di categorie di quote, che implicherebbe una loro oggettivizzazione e quindi una perdita del collegamento con la persona del socio…”;
[13] Cfr. gli artt. 2463 comma 2 n. 6 C.C; 2468 comma 2 C.C.; 2481 ter comma 2 C.C.; in cui il legislatore si riferisce sempre alla “quota/partecipazione” sottendendo all’unicità della stessa; cfr. altresì l’art. 2468 comma 1 C.C. nel quale è contenuto il divieto di suddivisione delle quote in azioni (parti omogenee e standardizzate) e che rappresenterebbe un corollario del divieto di creazione di categorie di quote;
[14] Con la locuzione “diritto particolare” si intende, come da definizione, un diritto attribuito a un singolo socio come soggetto e scisso dalla sua partecipazione sociale, detti diritti possono essere, ai sensi dell’art. 2468 comma 3 C.C., di natura amministrativa o patrimoniale ma la dottrina maggioritaria ritiene che tale elencazione sia indicativa e che vi possano rientrare diritti di altra natura come quelli partecipativi;
[15] Situazione attualmente ancora rara in quanto i diritti particolari sono stati introdotti in un momento storico antecedente rispetto a quello di introduzione delle categorie di quote;
[16] Si ricorda che l’unanimità prevista a livello codicistico con riguardo alle delibere in oggetto è derogabile statutariamente ex art 2468 comma 4 C.C. Si precisa altresì che qualora si optasse per la deroga statutaria in favore della maggioranza verrebbe meno anche il successivo profilo conflittuale riguardante l’introduzione di categorie di quote recanti diritti incompatibili con quelli particolari;
[17] Consiglio Notarile di Milano, massima n. 172, “Modalità e condizioni di emissione di categorie di quote di s.r.l. PMI (art. 26, comma 2, d.l. 179/2012)”, 27 novembre 2018; contra, Comitato Triveneto dei Notai, massima I.N.2, “Diritti diversi attribuibili alle categorie di quote nelle S.R.L.-PMI”, settembre 2018, secondo cui: “…non appare possibile creare categorie di quote il cui ambito operativo contrasti, anche solo potenzialmente, con quello dei particolari diritti.”
[18] La maggioranza sarà sempre quella determinata ai sensi dell’art. 2479 bis comma 3 C.C. per le modifiche statutarie ma dovrà comprendere, a livello qualitativo, anche il voto favorevole dei soggetti titolari di diritti particolari lesi dall’assunzione della delibera;
[19] Consiglio Notarile di Milano, massima n. 173, “Contenuto dei diritti diversi delle categorie di quote dii s.r.l. PMI (art. 26, commi 2 e 3, d.l. 179/2012)”, 27 novembre 2018;
[20] Si tratta del divieto del cd. “patto leonino”, attraverso il quale: “uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite”;
[21] L’articolo disciplina le cause di recesso nelle Srl e al comma 1 prevede una serie di cause inderogabili;
[22] Le esemplificazioni riportate sono tratte da: Consiglio Notarile di Milano, massima n. 173, op. cit.;
[23] Con la massima I.N.6, “Applicazione del principio dell’unicità della partecipazione in presenza di categorie di quote”, settembre 2018;
[24] Con la massima n. 171, “Nozione di categorie di quote di s.r.l. PMI (art. 26, comma 2, d.l. 179/2012)”, 27 novembre 2018;
[25] Riguardante il principio di proporzionalità tra partecipazione sociale e diritto di voto;
[26] Consiglio Notarile di Milano, massima n. 174, “Categorie di quote a voto ridotto o maggiorato nelle s.r.l. PMI (art. 26, comma 3 d.l. 179/2012)”, 27 novembre 2018, ritiene che tra categorie di quote con diritto di voto modificato debbano rientrare anche quelle a voto maggiorato o multiplo;
[27]Guglielmo-Silva, “I diritti particolari del socio – Ambito oggettivo di applicazione e fattispecie”, Studio n. 242/2011/I, approvato dalla Commissione Studi d’Impresa del Consiglio Nazionale del Notariato il 17 novembre 2011, 12 ss; Consiglio Notarile di Milano, massima n. 138, “Voto non proporzionale nelle s.r.l. (art. 2479, comma 5, c.c.)”, 13 maggio 2014; contra, Comitato Triveneto dei Notai, massima I.B.7, “Limiti al diritto di voto”, settembre 2004;
[28] Così il Consiglio Notarile di Milano, massima n. 138, op. cit., ad esempio riguardo alle clausole di tetto massimo, voto scalare, voto scaglionato, voto capitario ecc.;
[29] Così il Consiglio Notarile di Milano, massima n. 138, op. cit., ad esempio riguardo il voto plurimo, casting vote, voto determinante ecc.;
[30] La somiglianza tra le norme non è solo giuridica bensì anche testuale;
[31] Maltoni – Ruotolo- Boggiali, op. cit., 10-11; Comitato Triveneto dei Notai, massima I.N.3, “Assenza di limiti quantitativi nella creazione di categorie di quote a voto limitato nelle S.R.L.-PMI”, settembre 2018; Consiglio Notarile di Milano, massima n. 174, op. cit.;
[32] Da intendersi nel suo significato più ampio, come illustrato al paragrafo 2.3, primo capoverso, del presente articolo;
[33] Il limite di cui al comma 2 riguarda la percentuale di azioni soggetta a limitazione del voto che non può superare complessivamente la metà del capitale sociale mentre il limite di cui al comma 4 contingenta a tre i voti esercitabili con voto plurimo;
[34] Il limite è posto a due e riguarda il numero massimo di voti esercitabili per azione sempre in ambito di voto plurimo ma con riguardo alle società quotate;
[35] Come può agevolmente evincersi dalla relazione al D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6;
[36] Si precisa che in realtà la previsione testuale è ancora più ampia, così da ricomprendere: “piccole e medie imprese, […] imprese sociali e […] organismi di investimento collettivo del risparmio o altre società di capitali che investono prevalentemente in piccole e medie imprese”;
[37] L’articolo riguarda l’efficacia e la pubblicità del trasferimento delle partecipazioni e deve essere coordinato con la previsione dell’art. 36 comma 1 bis del D.L 25 giugno 2008 n. 112 riguardante la possibilità di sottoscrizione digitale dell’atto di trasferimento;
[38] I quali risulteranno intestatari delle quote al Registro Imprese in nome proprio e per conto terzi, salva la possibilità dei sottoscrittori di richiedere in ogni momento l’intestazione diretta della quota di loro pertinenza, come previsto dall’art. 100 ter comma 2 bis numero 4 del TUF;
[39] V., ex multis, Cass. Civ. Sez. I, 25 gennaio 2000 n. 796; Cass. Civ. Sez. I, 4 agosto 2009 n. 17936;
[40] Si ricordi infatti che tale avvicinamento di disciplina era stato già affrontato anche con riguardo agli argomenti dei paragrafi 2.1, 2.2 e 2.3 del presente capitolo;
[41] Maltoni – Ruotolo- Boggiali, op. cit., 11-12;
[42] Si precisa che, ai sensi dell’art. 2358 comma 6 C.C., dovrà altresì essere iscritta al passivo del bilancio una riserva di importo pari a quello a quello delle somme impiegate e delle garanzie fornite;
[43] Con la massima I.N.13, “Limiti all’acquisto di proprie partecipazioni”, settembre 2018;
[44] Si tratta delle operazioni di acquisto di quote proprie da parte della società;
[45] Con le massime n. 178, “Emissione e sottoscrizione di quote proprie da parte delle s.r.l. PMI (art. 26, comma 6 d.l. 179/2012)”, 27 novembre 2018; e n. 179, “Acquisto di quote proprie da parte di s.r.l. PMI (art. 26, comma 6 d.l. 179/2012)”, 27 novembre 2018;
[46] E quindi l’applicabilità alle Srl PMI della disciplina e dei limiti previsti dall’art. 2358 commi 1,6 e 8 C.C.;
[47] Con piena applicazione dei limiti e della disciplina prevista negli articoli 2357 C.C. e 2357 ter comma 3 C.C.;
[48] Consiglio Notarile di Milano, massima n. 178, op cit.;
[49] Comitato Triveneto dei Notai, massima I.G.31, “Aumento gratuito del capitale in misura non proporzionale”, settembre 2007; Consiglio Notarile di Milano, massima n. 159, “Deliberazioni di aumento gratuito non proporzionale nella s.r.l. (art. 2481 ter C.C.)”, 17 maggio 2016;
[50] Comitato Triveneto dei Notai, massima I.N.4, “Perdita da parte di S.R.L. dei requisiti di PMI e sorte delle categorie di quote esistenti”, settembre 2018;
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