Nell’anno 2007 si sono ricordate importanti ricorrenze in materia scolastica e sociale (dal quarantennio della morte del “maestro scomodo” don Lorenzo Milani avvenuta nel giugno 1967 al decennio dell’autonomia scolastica introdotta dall’art.21 della legge delega 59/1997) e si sono spese tante parole sull’educazione riferendosi principalmente ai bambini. Tra gli eventi più recenti, una tre giorni svoltasi a Torino, nell’ottobre 2007, sulla proposta educativa di tre pensatori del ‘900 ed un’altra tre giorni ad Acireale, nel novembre 2007, sulla “media education”. In questi, come in tutti gli altri convegni sia laici che cattolici, è stato lanciato lo stesso monito: l’educazione sfida per gli adulti. Ma è possibile, in un mondo come il nostro, non solo richiamare gli adulti al loro ruolo di educatori ma ricondurli anche a quello di educandi?
E’ stata questa la mia attività pedagogico-didattica presso il Centro Territoriale Permanente per l’Educazione Degli Adulti (C.T.P.- E.D.A.) della mia città nell’anno scolastico 2006/07 occupandomi di ambiti diversi:
· corso di italiano L2 (seconda lingua) per stranieri presso la Casa Circondariale della città;
· corso di italiano L2 per stranieri residenti in città;
- percorsi di alfabetizzazione funzionale per corsisti italiani (casi di analfabetismo di ritorno, o semianalfabetismo o nuove forme di analfabetismo).
In tutti gli ambiti i principi ispiratori sono stati i seguenti:
Ascolto di tutti
Bisogni di ciascuno
Conoscenza di sé e degli altri e cognizioni (= codici)
Dignità e diritti e doveri di ognuno
Eccellenza di ogni persona
Formazione continua e permanente.
Fondamentale in ogni rapporto interpersonale è l’ascolto intendendolo in senso etimologico perché solo cogliendo la voce e non semplicemente le parole di una persona si possono superare le difficoltà dovute alla differenza di lingua, cultura, età o altro. Si mette così in atto la poliglottia in modo laico (inteso etimologicamente come “popolare”) di cui si parla negli Atti degli Apostoli.
Mi ha fornito altri principi ispiratori anche la lettura dell’O.M. 445/1997 istitutiva dei C.T.P. (si noti il decennale dell’istituzione dei C. T. P., dopo l’esperienza consolidata di corsi serali per lavoratori) in cui i vocaboli più ricorrenti in ordine decrescente sono:
1) culturale
2) sociale
3) professionale
4) promozione
5) percorso.
Mettendoli insieme si può dire che l’insegnamento-apprendimento è un percorso di promozione culturale, sociale, professionale a qualsiasi età e di qualsiasi età. Percorso che nel caso dell’adulto, che è un soggetto già completo (o presunto tale), lo porta ad essere qualcuno almeno un po’ diverso. Raffrontando la mia recente esperienza con quella precedente avente per destinatari bambini, posso dire che mentre con i bambini la scuola deve essere una formazione sociale che contribuisce allo svolgimento della personalità, con gli adulti la scuola può essere una formazione sociale che favorisce lo svolgimento della loro personalità, quello svolgimento che le situazioni di disagio (l’essere detenuto o straniero o indigente o altro) avevano ostacolato (come anche previsto negli articoli 2 e 3 della nostra Costituzione). Peraltro l’aggettivo più ricorrente nell’ordinanza summenzionata è “culturale”, quasi a voler rimarcare che l’insegnamento è una sorta di “procreazione culturale” (concetto che si può ricavare dall’art.9 comma 1 della Costituzione).
Per quanto concerne l’esperienza lavorativa nella Casa Circondariale, rispetto alla mia pregressa esperienza quadriennale di volontariato penitenziario, ho trovato una situazione completamente diversa sotto il profilo del numero degli ospiti e sotto il profilo dell’atteggiamento degli stessi nei confronti delle attività di rieducazione loro proposte. Infatti, in seguito alla concessione dell’indulto, nell’istituto penitenziario erano rimasti pochi detenuti che non avendo potuto beneficiare del suddetto provvedimento erano demoralizzati e, pertanto, demotivati all’impegno scolastico. Il corso si è rivelato particolarmente efficace per un corsista iracheno di nascita, ma “apolide” di fatto. Per lui, con soli 3 giorni di scuola in tutta la sua giovane vita e con trascorsi che l’avevano segnato fisicamente e psicologicamente, la scolarizzazione dall’apposizione della propria firma (perché, come ha ribadito il giornalista-scrittore Luca Goldoni in una sua rubrica, “solo imparando a scrivere il proprio nome inizia il difficile cammino verso la dignità”) all’uso del computer si è rivelata un vero percorso di personalizzazione, nel senso proprio di “emancipazione” della persona facendogli assaporare la vera libertà (tutto ciò in conformità a quanto previsto dalla legge sull’ordinamento penitenziario L.354/1975; in particolare si legga l’art.19 comma 2 che recita: “Particolare cura è dedicata alla formazione culturale e professionale dei detenuti di età inferiore ai venticinque anni).
Per quanto attiene il corso di L2 mi sono avvalsa della mia conoscenza del francese scolastico, dell’inglese “maccheronico” e della fonetica spagnola, di disegni alla lavagna, della gestualità e della mimica facciale per esplicare meglio (per esempio alcuni aggettivi qualificativi). Questa mia esperienza ha supportato quanto già pensavo prima (sulla scia del pensiero di Lombardo Radice che, già nel secolo scorso, vedeva in ogni docente, e non solo in quello di italiano, un insegnante di lingua), che sono rilevanti quelle nuove figure professionali quali mediatori culturali, facilitatori linguistici ed altri, però a scuola non sempre è possibile e/o necessaria quest’eccessiva “parcellizzazione” specialistica (come s’è fatto in campo medico e purtroppo, per certi versi, la mentalità “iatrica” è stata applicata pure nella scuola). Anche perché la scuola d’oggi, aperta altresì all’Europa, richiede all’insegnante la capacità di tutte le mediazioni professionali. Scuola che deve contribuire a perseguire e conseguire gli obiettivi derivanti dalla cosiddetta “strategia di Lisbona 2010”, ovvero il 23 e 24 marzo del 2000 il Consiglio dei Ministri europei riunito a Lisbona ha elaborato una strategia affinché l’Unione Europea possa, entro il 2010, “diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”. Tutti obiettivi – dalla conoscenza alla coesione – su cui bisogna prima “lavorare” con gli adulti, italiani e non, per poi coinvolgere le generazioni più giovani. A cominciare dalla tanto declamata educazione alla sostenibilità, concetto quest’ultimo comparso già negli anni ’70 sulla base di quello di solidarietà generazionale. Ebbene, come si può educare i giovani alla sostenibilità se gli adulti preparano loro un mondo non sostenibile?
Tornando al corso di L2, questo è stato fondamentalmente un confronto interculturale da cui sono emerse assonanze linguistiche (come per esempio le parole flotta, parlamento, funicolare pronunciate in maniera simile dall’Ucraina al Brasile) e affinità culturali (come i riti matrimoniali, il consumo del caffè) “[…] e allora tanto vale ricordarci che la parola identità ha la stessa radice semantica della parola identico: ciò che ci accomuna ai diversi venuti tra noi, sarà sempre più di quel che ci separa[…] (come ha dichiarato il giornalista Gad Lerner a Giavera del Montello, in provincia di Treviso, a giugno 2007 in occasione della manifestazione multietnica più grande d’Italia ). Assonanze linguistiche e affinità culturali che sono un esempio concreto della cosiddetta globalizzazione positiva.
Per un mese e mezzo durante le lezioni è stata compresente una tirocinante, il cui intervento, talvolta destabilizzante per l’equilibrio dell’atipico gruppo-classe, ha dimostrato ancora una volta che l’insegnamento, così come ogni relazione interpersonale, è un continuo tirocinio. Usando ancora una volta le parole di Gad Lerner: “[…] Lo sappiamo che il dialogo tra persone diverse per reddito, cultura, aspettative implica rinunce a una parte del sé, destabilizza […]”.
Ho adottato la didattica della classe aperta, intendendo per apertura la massima flessibilità, da quella mentale a quella oraria. Per esempio in classe ho accolto anche gli accompagnatori (amici, parenti, conoscenti) degli iscritti; ho lasciato la porta aperta per suscitare la curiosità degli altri utenti della scuola e per far prendere loro conoscenza e coscienza della presenza sempre più massiccia e varia di stranieri sul territorio. La porta è rimasta aperta anche per consentire l’ingresso della collaboratrice scolastica (per la consegna di materiale didattico o per altra ragione), che si è posta come altra interlocutrice dei corsisti stranieri. Classe aperta anche nel senso che i corsisti, proprio perché hanno trovato e provato l’accoglienza, si sono sentiti liberi di tornare anche dopo settimane o mesi di assenza per problemi vari, come una sorta di nuova “agorà” in cui esercitare nuovi diritti di una nuova cittadinanza, la cittadinanza planetaria (preludendo quasi al programma nazionale “Scuole aperte”, in favore degli alunni, dei loro genitori e, più in generale, della popolazione giovanile e degli adulti come indicato nella C.M. del 29 agosto 2007).
In definitiva ho cercato di attivare, nei loro confronti e tra di loro, un percorso relazionale e comunicativo seguendo questo pseudoacrostico:
Prudenza
Empatia
Rispetto
Saluto
Orientamento
Naturalezza
Attenzione
(da intendersi tutti, ed in modo particolare l’attenzione, in senso etimologico).
Quella valorizzazione della persona umana, e di ogni persona, che caratterizza la nostra legislazione scolastica (e non) e tutta la nostra cultura di cui tutti gli educatori (dai genitori agli educatori degli istituti penitenziari) devono essere i primi latori.
Molti degli atteggiamenti suindicati (in primis la naturalezza che si prova proprio se non ci si dimentica della persona che si ha di fronte) sono stati ricordati quali regole comportamentali cui attenersi anche nell’accoglienza estiva di bambini della Bielorussia o di altri Paesi dell’Est dal prof. Orlando Todarello, in un convegno su “Accoglienza e diversità”, durante il quale ha elencato una sorta di decalogo.
Oltre ai testi forniti dalla scuola, ho utilizzato materiale in mio possesso di cui, quando necessario, ho distribuito fotocopie ai corsisti per consentire loro di fare la traduzione nella loro lingua o altre annotazioni e per facilitare anche quell’individualizzazione dell’insegnamento-apprendimento introdotta dalla legge 517/1977, in cui si parlava di integrazione di alunni portatori di handicap e che oggi ben si addice a coloro che sono portatori di culture “altre” (che è preferibile ad “altre culture” come se la nostra cultura fosse al centro di un unico sistema di riferimento).
Per quanto riguarda l’alfabetizzazione funzionale di corsisti italiani (sulla quale si vedano le Linee guida della Direttiva 6 febbraio 2001, nel cui Allegato A si legge “L’alfabetizzazione funzionale degli adulti è, pertanto, uno strumento di intervento mirato sulle forme di esclusione sociale”) mi sono occupata dell’insegnamento dell’educazione civica intendendo quest’ultima non tanto come disciplina scolastica quanto come promozione di quella cittadinanza attiva (altrimenti detta responsabile e/o solidale o neocivismo) di cui tanto si parla e che affonda le sue radici nell’articolo 2 della nostra Costituzione. Ho scelto quest’indirizzo pure per consapevolizzare i corsisti beneficiari del cosiddetto reddito di cittadinanza solidale sul significato dello stesso. Ho animato la lettura della nostra Costituzione (tanto sostenuta dal Ministero P.I. anche in occasione del sessantennio della nostra Carta Costituzionale) altresì nell’alveo di un’educazione linguistica di adulti che, per l’uso prevalente del dialetto, l’ignoranza di neologismi, prestiti linguistici e gerghi e per un’atavica avversione per la lettura, possono essere considerati i “nuovi poveri” di oggi, secondo l’ottica di don Lorenzo Milani ( la cui "Lettera ad una professoressa" con la quale gli allievi del Priore di Barbiana ricordavano che il problema della scuola è costituito dai "ragazzi che perde", purtroppo resta ancora attuale nel nostro panorama socio-culturale), che propugnava di “dare la parola ai poveri”.
Ho improntato tanto la mia attività intramuraria quanto quella extramuraria, con italiani e stranieri, all’educazione alla legalità in tutti e tre gli aspetti di prevenzione primaria, secondaria e terziaria, privilegiando la prevenzione primaria data la diffusione di certi malcostumi, quali clientelismo, evasione fiscale, lavoro nero (solo per citarne alcuni). Quella legalità di cui è intrisa la cultura italiana quale figlia mediatrice delle più antiche culture mediterranee – greca, romana e cristiana – realizzando così l’educazione linguistica come connubio di lingua e cultura (secondo la pionieristica tesi di Lombardo Radice). Anche perché agli insegnanti non spetta solo promuovere la cultura ma anche salvaguardarla (secondo l’art.9 comma 2 della Costituzione).
Data l’importanza della formazione in servizio e dell’aggiornamento del personale che “rappresentano azione prioritaria e qualificante per il rinnovamento e lo sviluppo dell’educazione in età adulta, nel quadro dell’educazione per tutto l’arco della vita” (come previsto nell’articolo 8 dell’O.M. 445/1997 e a riprova del circolo virtuoso dell’educazione), all’inizio dell’anno scolastico ho consultato dei siti specifici (tra cui la sezione specifica dell’educazione degli adulti del sito di Indire, ora Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica). Successivamente ho frequentato un corso on-line sulla globalizzazione e solidarietà internazionale e tre corsi di formazione/aggiornamento presso una scuola-polo; ho partecipato a numerosi convegni svoltisi in città su tematiche attinenti l’attività didattica, tra cui uno sul libro “Pedagogie africane” (da notare l’uso didascalico del plurale) per conoscere altri aspetti della cultura africana (con cui il nostro Sud ha non poche comunanze), e mi sono dedicata a molta auto-formazione perché il lavoro scolastico deve essere ispirato soprattutto dal “volontarismo” (e talvolta dal volontariato).
Insegnando agli adulti ho avuto modo di sperimentare quanto diceva Seneca in una delle Lettere a Lucilio: “…vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, perché gli uomini mentre insegnano, imparano” (dal Libro I).
Con gli adulti, data la loro età e la variabilità della loro frequenza scolastica, ci si rende conto della vera dimensione dell’insegnamento che non è un rapporto di possesso (“la mia classe”, “i miei alunni”,…), ma un rapporto di professionalità (si veda il significato etimologico di professore) diretto a lasciare un segno (è questo, infatti, il significato etimologico di insegnare). Segno che può essere più o meno incisivo a seconda della nostra passione per il ”mestiere” (anche questo nel senso etimologico di “ministero”) che facciamo perché “l’amore e l’amicizia sono come l’eco: danno tanto quanto ricevono” (come mi hanno scritto dei corsisti). I discenti di qualsiasi età colgono quanto si abbia a cuore la loro persona e la loro dignità e in questo si rivela ancora una volta l’attualità dell’ “i care” di don Lorenzo Milani, che non a caso è stato usato dal Ministero P.I. come acronimo di un progetto che sta per “Imparare Comunicare Agire in una Rete Educativa”; si tratta di un Piano Nazionale di formazione e ricerca per il triennio 2007/2009, specificatamente rivolto ai ragazzi con disabilità (in occasione del trentennio della legge 517/1977 e del ventennio della sentenza n. 215 del giugno 1987 della Corte Costituzionale che ha esteso l’applicazione dell’art.2 della suddetta legge a tutte le scuole) “ma più in generale finalizzato a promuovere una effettiva dimensione inclusiva della scuola italiana” che deve essere una delle sfide della nostra scuola del presente e del futuro.
Con l’accessibilità e la multiculturalità (temi ai quali è stata prestata particolare attenzione nella manifestazione fieristica Docet 07 svoltasi a Roma) la scuola è veramente aperta a tutti (secondo il dettato dell’art.34, comma 1 della Costituzione) e contribuisce a dare un significato ad iniziative “calate dall’alto”, quali quella del 2007, anno europeo delle pari opportunità, e del 2008, anno europeo del dialogo interculturale, che altrimenti rischiano di rimanere degli sterili significanti. Infatti coniugando le locuzioni “pari opportunità” e “dialogo interculturale”, si può dire che la scuola deve essere luogo privilegiato che fornisce pari opportunità e favorisce il dialogo tra i sessi diversi, tra generazioni diverse, etnie diverse e culture diverse (da quella locale a quella straniera, da quella popolare a quella più erudita).
Dott.ssa Margherita Marzario
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