Promozione di azioni temerarie: tentativo di estorsione?

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 25432 del 27 giugno 2024, ha chiarito che la promozione di azioni temerarie al fine di ottenere un ingiusto profitto può integrare il reato di estorsione.

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Corte di Cassazione – Sez. II Pen. – Sent. n. 25432 del 27/06/2024

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Indice

1. I fatti

Il Tribunale per il riesame delle misure cautelari personali di L’Aquila ha annullato l’ordinanza che aveva imposto agli indagati la misura del divieto di dimora in Abruzzo e in Molise.
Le accuse riguardano una tentata estorsione in concorso: nello specifico, gli indagati avevano ceduto al coimputato presunti crediti relativi a danni, in ipotesi, patiti nell’ambito di una procedura di esecuzione immobiliare a loro carico.
Questi aveva promosso sette giudizi civili dinanzi al Tribunale di Vasto per ottenere il risarcimento dei danni generati da ipotetiche condotte di ingiuria e diffamazione agite nel corso della procedura di esecuzione immobiliare e chiedeva ai convenuti (persone offese) somme da pagare in via extragiudiziale a titolo di risarcimento del danno.
Il Tribunale ha ritenuto che non vi fossero elementi per ritenere i gravi indizi di colpevolezza del reato di tentata estorsione in quanto gli indagati avevano adito le vie legali e la mediazione del giudice, al quale gli stessi avevano rimesso la valutazione della legittimità delle loro pretese.
Avverso tale ordinanza è stato proposto ricorso per Cassazione dal Pubblico ministero con il quale si censurava l’illegittimità della motivazione deducendo che l’attivazione dei procedimenti civili non sarebbe incompatibile con la sussistenza della “minaccia necessaria per integrare il reato di tentata estorsione“.
Si è dedotta, inoltre, l’attualità delle esigenze cautelari.
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2. Promozione di azioni temerarie ed estorsione: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nel dichiarare fondato il ricorso, riprende un principio di diritto secondo il quale “integra gli estremi del reato di estorsione la minaccia di prospettare azioni giudiziarie al fine di ottenere somme di denaro non dovute o manifestamente sproporzionate rispetto a quelle dovute, qualora l’agente ne sia consapevole, potendosi individuare il male ingiusto prospettato nella pretestuosità della richiesta“.
Infatti, la minaccia di adire le vie legali, pur avendo un’esteriore apparenza di legalità, può integrare l’elemento costitutivo dell’estorsione quando sia formulata non con l’intenzione di esercitare un diritto, ma con lo scopo di coartare l’altrui volontà e conseguire risultati non conformi a giustizia.
La Corte ritiene che “la promozione di azioni temerarie non configura di per sé un tentativo di estorsione. L’estorsione, sia in forma tentata che consumata, può ritenersi integrata solo qualora l’azione promossa costituisca il mezzo per ottenere un profitto ingiusto fuori dal giudizio, essendo funzionale a costringere il convenuto, fiaccandone le resistenze economiche e morali, a consegnare somme a titolo formalmente transattivo, ma invero, privo di qualunque giustificazione e, dunque, ingiusto“.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha chiarito che, nel caso in esame, il Tribunale si è limitato ad effettuare una valutazione astratta della problematica giuridica, senza tenere conto della possibile pretestuosità delle richieste avanzate dall’indagato, della esosità degli importi richiesti, del numero e della serialità delle azioni giudiziarie intraprese nei confronti di soggetti diversi.
La Suprema Corte ha, dunque, ritenuto che il Tribunale del riesame ha fatto malgoverno dei principi di diritto sopra enunciati, posto che ha ritenuto insussistente il tentativo di estorsione in ragione del concreto esperimento dell’azione giudiziaria senza considerare le peculiarità del caso specifico: plurime azioni intentate contro le medesime persone connotate da serialità, sproporzionate nelle richieste di risarcimento, potenzialmente strumentali ad ottenere un profitto ingiusto.
Per questi motivi, la Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata rinviando al Tribunale di L’Aquila per nuovo giudizio.

Riccardo Polito

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