Premessa
La legislazione in materia di farmaci ha subito nel corso degli ultimi anni svariate modifiche, per larga parte restrittive e denotate da una sostanziale estensione delle condotte astrattamente sussumibili nell’ambito della tutela penalistica della salute pubblica.
Eppure ancora più di recente sono emerse prospettive di maggiore salvaguardia e controllo, finalizzate ad una concreta riduzione del ricorso alla sanzione criminale.
Il codice penale infatti, con l’articolo 443 punisce in maniera assai gravosa (reclusione da sei mesi a tre anni, oltre alla multa), chiunque detiene per il commercio, pone in commercio o somministra medicinali guasti o imperfetti.
Nell’esegesi dottrinale più tradizionale, si è sempre inteso quale medicinale guasto o imperfetto quello che, per i motivi più vari – che possono spaziare dalla scadenza del prodotto al suo deterioramento per cause naturali, dal difettoso dosaggio dei componenti dei medicinali, seppure genuini nella loro essenza, alla preparazione non secondo le regole e i precetti della tecnica farmaceutica – risulti essere privo di efficacia terapeutica, ovvero ne presenti una minore di quella propria.
Si è altresì considerato imperfetto il medicinale non preparato secondo le prescrizioni scientifiche e nel quale non si siano verificate tutte le condizioni per evitare, nei limiti del possibile, ogni pericolo nel suo uso, ovvero per renderlo idoneo al suo scopo.
Sulla scorta di tali orientamenti la più recente giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, si è orientata in maniera sempre più decisa nel ritenere imperfetto anche il medicinale, sic et sempliciter, con termine di validità scaduto.
Non pare revocabile in dubbio, pertanto, che la vendita di medicinali privi di efficacia per essere scaduto il termine di validità, può integrare gli estremi del reato in parola, rappresentando un pericolo, presunto dal legislatore, per la salute pubblica.
La vicenda
La giurisprudenza di legittimità (Cassazione penale, sez.I, 5 agosto 2019, n.35627, in commento), si è occupata in tempi recentissimi del caso relativo ad una cliente di una nota farmacia che, dopo avere acquistato alcuni medicinali ed essere ritornata alla propria abitazione, si rendeva conto che gli stessi risultavano scaduti e per tale motivo era tornata nella farmacia per segnalare la circostanza, senza peraltro ottenere sufficienti rassicurazioni, tanto da vedersi costretta successivamente a sporgere querela nei confronti del titolare della farmacia.
L’Autorità Giudiziaria aveva in conseguenza disposto una perquisizione nei locali dell’esercizio commerciale, in esito alla quale venivano rinvenuti diversi farmaci scaduti, molti dei quali omeopatici, mentre svariate confezioni di medicinale, seppure non scadute di validità, risultavano conservate con trascuratezza ed in maniera non conforme ai doveri professionali, con evidente e concreto rischio di compromissione degli stessi e, di riflesso, per la salute pubblica.
Il titolare della farmacia veniva sottoposto a procedimento penale ed in seguito condannato, in entrambi i gradi di merito, per il reato di cui all’art.443 c.p., per avere detenuto per il commercio farmaci, anche omeopatici, scaduti di validità.
L’imputato ricorreva per Cassazione avverso la decisione della Corte di secondo grado, tramite il proprio legale.
La decisione
Con un principale motivo di ricorso, veniva contestata la sussistenza e integrazione della fattispecie di cui all’art.443 c.p., atteso che gran parte dei medicinali in sequestro erano in realtà di tipo omeopatico, pertanto privi di concreta efficacia terapeutica e non rientranti nell’elenco dei farmaci sussunti dalla fattispecie delittuosa in contestazione.
Nel confermare la sentenza di condanna, in rigetto del ricorso, la Suprema Corte ha per il vero inteso preliminarmente precisare che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, anche il medicinale omeopatico deve trovare piena cittadinanza nel catalogo dei medicinali come definiti ampiamente dall’art.1, comma 1, lett.a) del D.Lgs.n.219 del 2006, modificato dal D.Lgs. n.274 del 2007, intendendosi per tali “ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane, nonché ogni altra sostanza o associazione di sostanze che possa essere utilizzata sull’uomo o somministrata all’uomo, allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica”.
Secondo la Corte quindi, deve ritenersi “palesemente errato restringere il concetto di medicinale ai soli preparati che svolgono una funzione terapeutica validata, tanto che lo stesso Decreto legislativo sopra citato – in attuazione della Direttiva Europea n.2001/83/CE e successive modifiche, relativa ai medicinali per uso umano – ricomprende nel suo ambito anche i prodotti omeopatici, sottoponendoli a procedure di registrazione, in taluni casi semplificata, etichettatura, rispetto di standard di sicurezza e, di regola, alla farmaco-vigilanza”.
Il precipitato che si ricava dalla decisione della Corte di legittimità, porta dunque a ritenere come anche il medicinale omeopatico scaduto di validità, debba giocoforza intendersi quale “medicinale imperfetto”, così come indicato all’art.443 del codice penale, non potendosi ricavare alcuna differenziazione così come invece lamentato dal ricorrente.
La decisione in commento non ha poi dimenticato di affrontare il tema dell’elemento soggettivo del reato contestato, evidenziando che occorre il dolo generico, consistente nella “consapevole detenzione per il commercio di medicinali scaduti o imperfetti”.
Nella vicenda sottoposta all’attenzione dei giudici di legittimità anche tale valutazione ha finito per assumere peso decisivo, atteso l’elevato numero di medicinali scaduti di validità sottoposti a sequestro, tali quindi da potere esprimere senza margini di dubbio una “disorganizzazione non meramente colposa, ma riconducibile ad un atteggiamento di indifferenza, che rendeva prevedibile e probabile la commercializzazione di farmaci scaduti, sconfinando, sotto il profilo dell’accettazione del rischio, nel dolo eventuale”.
L’elevato numero dei medicinali scaduti di validità e, quindi, imperfetti secondo la definizione fornita dalla Corte, nonché la trascuratezza e la cattiva organizzazione nel metodo di conservazione degli stessi, comunque non conforme ai doveri professionali, hanno dunque rappresentato la cartina al tornasole per potere ritenere, con sufficiente grado di certezza, pienamente integrato anche l’elemento soggettivo del reato in parola, quantomento sotto il profilo dell’accettazione del rischio a titolo di dolo eventuale[1].
Peraltro, si tenga presente che a mente dell’articolo 452 del codice penale, quando alcuno dei fatti di cui all’art.443 c.p, sia commesso solamente con colpa, si applica una riduzione della pena edittale da un terzo fino ad un sesto.
Prospettive di tutela
A ben vedere, la normativa sulla gestione dei farmaci scaduti trova una peculiare e differente regolamentazione anche in sede amministrativa, come disposto dall’articolo 123 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie (Tuls).
Recentemente invero, la Legge n.3 del 2018 – c.d. Legge Lorenzin – ha modificato il testo originario dell’art.123 del R.D. 27 luglio1934 (Tuls), introducendovi il terzo comma, che disciplina una rinnovata fattispecie di illecito amministrativo, il quale recita testualmente: “La detenzione di medicinali scaduti, guasti o imperfetti nella farmacia [ovviamente anche quelli omeopatici] è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1500 a euro 3000, se risulta che, per la modesta quantità di farmaci, le modalità di conservazione e l’ammontare complessivo delle riserve, si può concretamente escludere la loro destinazione al commercio”.
Si tratta in buona sostanza di una forma di depenalizzazione della fattispecie di detenzione di farmaci guasti, scaduti o imperfetti di cui all’art.443 del codice penale, laddove se ne possa concretamente escludere, alla luce della presenza di tutti gli indici portati dal nuovo terzo comma dell’art.123 Tuls, la destinazione degli stessi per il commercio.
Secondo parte della dottrina[2], potrebbe trattarsi di una speciale forma di esclusione della punibilità o della rilevanza penale, per particolare tenuità del fatto ex art.131-bis c.p., anche in considerazione della fattispecie prevista all’art.452, ultimo comma del codice penale, che stabilisce appunto una forte riduzione di pena per i fatti, tra gli altri, di cui all’art.443 stesso codice, commessi per mera colpa.
Di fatto, tale rinnovata disposizione amministrativa ha comunque convinto la quinta sezione del Tribunale di Roma, con sentenza emessa in data 22 marzo 2018, nel ritenere esente da responsabilità penale la condotta di un farmacista che, per mera negligenza, aveva lasciato alcune confezioni di farmaci scaduti all’interno di un armadio contenente altri farmaci, poi commercializzati.
Secondo il Tribunale romano infatti, le confezioni dei farmaci scaduti presentavano scarso valore commerciale ed erano in quantità minima rispetto ai farmaci non scaduti, per cui risultava del tutto evidente che una simile condotta potesse rientrare a pieno titolo nel rinnovato illecito amministrativo di cui all’art.123 Tuls, peraltro nemmeno applicabile al caso in esame, essendo entrato in vigore successivamente alla commissione del fatto, alla luce del principio di legalità degli illeciti amministrativi ex art.1 Legge 689/81 (sulla falsa riga dell’art.2 del codice penale), secondo cui nessuno può essere sottoposto a sazioni amministrative non previste alla data di commissione del fatto.
Sul piano strettamente legislativo quindi, il non troppo arduo compito dell’interprete per potersi districare dalle maglie della gravosa disciplina penalistica, seppure nella sola forma colposa di cui all’art.452 c.p., con tutte le conseguenze sanzionatorie del caso, consiste nella preminente individuazione della condotta concreta, al fine di potere valutare in essa l’eventuale sussistenza di tutte le condizioni richieste dall’art.123 Tuls per l’applicazione della sola sanzione amministrativa pecuniaria.
Nell’esegesi della giurisprudenza invece, esistono alcuni significativi precedenti (tra le ultime Cass.civ.n.30377/2019), dove si è sostenuto che il semplice sopraggiungere della data di scadenza non appare come elemento necessariamente sussumibile nella nozione di farmaco guasto o imperfetto, potendo il principio attivo dello stesso non essere ancora inefficace, specie se a breve distanza dalla scadenza, tenuto conto della massima comune di esperienza per cui un medicinale conserva comunque la propria efficacia terapeutica, anche dopo qualche tempo dalla data di scadenza indicata sulla confezione.
Si reputa quindi consigliabile in seconda battuta verificare, anche mediante accertamento tecnico, se il medicinale scaduto sia effettivamente alterato e, per tale motivo, ritenuto anche solo potenzialmente pericoloso per la salute, altrimenti non si potrebbe configurare l’ipotesi delittuosa di cui all’art.443, ovvero dell’art.452 u.c. c.p., salva la remota possibilità di realizzazione del delitto nella forma tentata, sempre che si possa dimostrare l’idoneità degli atti e la inequivoca direzione degli stessi ai fini di una successiva commercializzazione.
In via di tutela preventiva inoltre, la più recente dottrina specialistica[3], in una prospettiva condivisibile, ha proposto la realizzazione nei locali della farmacia di idonei vani o box chiusi a chiave, appositamente destinati alla conservazione dei prodotti “non conformi” e quindi non più commercializzabili, fino alla materiale distruzione degli stessi (come già previsto per gli stupefacenti), andando così ad escludere in radice anche la possibile integrazione della sola fattispecie amministrativa.
In deroga alle relative disposizioni sanzionatorie, la quantità dei medicinali o l’ammontare del rapporto con le riserve non dovrebbero perciò avere più rilievo, mentre la sanzione amministrativa potrebbe trovare concreta applicabilità solamente per i medicinali non conformi, purché in misura limitata, conservati al di fuori dei predetti vani o box, ovvero scaduti da non più di un certo periodo di tempo.
In ogni caso, anche dal punto di vista penalistico tale situazione potrebbe trovare una soluzione definitiva a partire dal 2025, allorché tutti i farmaci con obbligo di ricetta dispensabili all’interno dell’Unione Europea, saranno soggetti al nuovo sistema di tracciatura basato sull’apposizione di un codice idenitificativo univoco a barre (Datamatrix 2D), che consentirà la verifica di autenticità da parte del nuovo EMVS, il sistema europeo di verifica dei medicinali, istituito nel 2016 in attuazione della direttiva anticontraffazione 62/2011 UE e del relativo Regolamento delegato che, in ambito interno (così come in Belgio e in Grecia), ne ha disposto la proroga dell’entrata in vigore al 2025, in quanto paesi dotati di un preesistente sistema, il cosiddetto bollino autoadesivo.
Di palmare evidenza che, succesivamente a tale nuovo sistema di verifica, la detenzione per la vendita nella forma colposa di medicinali non conformi dovrà considerarsi quale reato impossibile, atteso che il sistema gestionale della farmacia potrà preventivamente escludere il farmaco dalla commercializzione, essendo oltrepassato il periodo di validità.
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Note
[1]Dir.Pen.Processo, n.12/2019, S.Corbetta e AA.VV.
[2]Giurisp.penale 2018, M. Miglio, a cura di.
[3]Farmacista 33, M.Cini, Presidente Associazione scientifica farmaci scaduti.
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