Protezione del patrimonio culturale durante un conflitto: mito o realtà?

Un approfondimento riguardante l’attuale tematica della protezione del patrimonio culturale durante un conflitto.

Indice

1. La protezione del patrimonio culturale in tempo di guerra

Nel primo articolo che ho scritto per Diritto.it ho parlato dell’evoluzione del diritto internazionale dei beni culturali con particolare riguardo all’uso dell’espressione “patrimonio culturale” e ho citato la Convenzione dell’Aia del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato. Con questo articolo intendo soffermarmi sulla protezione del patrimonio culturale durante un conflitto: su questo argomento la Convenzione dell’Aia è un trattato fondamentale [1].
Siamo al confine tra due materie: da una parte il diritto internazionale dei conflitti armati (international armed conflict law o international humanitarian law), dall’altra il diritto internazionale del patrimonio culturale (international cultural heritage law). Queste due materie hanno un legame risalente nel tempo. In questa sede non provvedo a fornire una panoramica dei punti di contatto tra questi due rami del diritto internazionale. Ciò che rileva nel discorso della protezione del patrimonio culturale durante un conflitto è che con la diffusa distruzione di beni culturali durante la Prima guerra mondiale la comunità internazionale ha riconosciuto il bisogno di una protezione dettagliata del patrimonio culturale in caso di conflitto armato. Oggi il sistema è basato sulla Convenzione dell’Aia del 1954 e Protocolli I e II e sui Protocolli del 1977 alle Convenzioni di Ginevra.
Il diritto dei conflitti armati è una materia complessa e che si basa sui seguenti punti: si applica ai combattimenti; ha lo scopo di ridurre il più possibile le sofferenze, le perdite ed i danni causati dalla guerra; impone degli obblighi alle persone – principalmente membri delle forze armate – negli Stati coinvolti; è una materia che non è concepita per ostacolare l’efficienza militare.
Prima di passare all’analisi normativa ci tengo a sottolineare due punti.
Per prima cosa mi pare corretto menzionare brevemente che, quando si parla di protezione del patrimonio culturale durante un conflitto, bisogna considerare sia il patrimonio materiale che il patrimonio immateriale. È semplice fare riferimento alla protezione materiale del patrimonio culturale ed appare normalissimo quindi farsi domande come “come proteggo una chiesa antica dai bombardamenti?” oppure “come è possibile proteggere o quanto meno arginare i danni ad un castello che si trova vicino ad obiettivi militari?”. Meno diffusa è la considerazione che anche il patrimonio culturale immateriale debba essere tutelato durante un conflitto. Eppure i conflitti sono individuati e considerati come una possibile causa della sparizione di tradizioni ed espressioni culturali: nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale che Necessitano di Urgente Tutela dell’UNESCO ci sono pratiche e tradizioni in pericolo a causa dei conflitti come quelli in Ucraina [2] e in Siria [3].
Poi devo specificare un altro punto: la protezione del patrimonio culturale deve avvenire tanto in tempo di pace quanto di conflitto in corso. La Convenzione dell’Aia del 1954 prevede all’articolo 3 che gli Stati debbano preparare in tempo di pace misure che considerano appropriate per la salvaguardia del patrimonio che, situato all’interno del proprio territorio, possa subire gli effetti prevedibili di un conflitto armato. Perciò funziona – o almeno dovrebbe funzionare – un generale principio di prevenzione del danno per proteggere il patrimonio culturale. In tempo di pace, la Convenzione UNESCO del 1972 per la Protezione del Patrimonio Culturale e Naturale dell’Umanità assicura la protezione dei tanti siti UNESCO mentre la Convenzione UNESCO del 2003 per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale è lo strumento per la protezione in tempo di pace del patrimonio culturale immateriale.
Date queste premesse, è il momento di approfondire le disposizioni del diritto internazionale con specifico riferimento alla protezione del patrimonio culturale durante un conflitto.

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2. Cosa prevede il diritto internazionale?

Il fulcro della protezione del patrimonio culturale durante un conflitto è nel sistema della Convenzione dell’Aia del 1954.
La Convenzione dell’Aia del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato è un trattato che prevede la protezione del patrimonio culturale e che è parte del diritto internazionale umanitario. La Convenzione conta inoltre due protocolli, quello dello stesso anno e quello del 1999 [4].
Il trattato in questione, che trova origine da precedenti strumenti internazionali elaborati prima della Seconda guerra mondiale [5], prevede all’articolo 1 la definizione di bene culturale. Un bene culturale è un “bene mobile o immobile di grande importanza al patrimonio culturale di qualsiasi persona”. La Convenzione subito dopo individua a mo’ di esempio monumenti d’architettura, artistici o storici, sia religiosi che secolari; siti archeologici, opere d’arte, manoscritti, libri e altri oggetti di interesse; collezioni e importanti collezioni di libri o archivi; ma anche edifici come musei, librerie, depositi di archivi nonché depositi creati per dare rifugio al patrimonio culturale mobile in caso di conflitto armato.
La protezione del patrimonio include la salvaguardia ed il rispetto dei beni culturali: l’articolo 2 è laconico [6]. Salvaguardia che, come ho accennato nel paragrafo precedente con l’articolo 3, deve essere portata in pratica anche in tempo di pace. In ciò consiste la protezione basata sul principio della prevenzione: è prima di un conflitto che debbano essere prese misure per la protezione del patrimonio.
In base all’articolo 4, gli Stati parte devono rispettare tanto i beni culturali presenti nel loro territorio quanto quelli presenti nel territorio di altri Stati. Gli Stati devono astenersi dall’utilizzare i beni e le loro immediate vicinanze o le attrezzature utilizzate per la loro protezione per scopi che potrebbero esporli a distruzione o danneggiamento in caso di conflitto armato. In più gli Stati devono astenersi da qualsiasi atto di ostilità diretto contro tali beni. Tuttavia il comma 2 prevede una deroga in caso di necessità militare. Il comma 3 prevede che gli Stati debbano impegnarsi per vietare, prevenire e far cessare il furto, il saccheggio ed il vandalismo contro i beni culturali. In più, gli Stati si astengono dal requisire i beni culturali mobili sul territorio di un altro Stato contraente. In base al comma 4, non è ammesso alcun atto di rappresaglia contro i beni culturali. Il comma 5 prevede che l’obbligo del comma 3 non possa venire meno in nessun caso.
In base all’articolo 7 gli Stati si impegnano a introdurre, in tempo di pace, nei loro regolamenti o istruzioni militari, le disposizioni che possano garantire l’osservanza della presente Convenzione e a promuovere nei membri delle loro forze armate uno spirito di rispetto per la cultura e i beni culturali di tutti i popoli [7].
La Convenzione dell’Aia del 1954 prevede inoltre l’identificazione di beni culturali attraverso l’uso dello stemma a forma di scudo bianco e blu [8]. La protezione può essere di tipo generale o speciale. Con riferimento alla prima, gli Stati devono prepararsi in tempo di pace a salvaguardare i propri beni culturali dagli effetti prevedibili di un conflitto armato. Devono inoltre astenersi dall’utilizzare i propri e gli altrui beni culturali per qualsiasi scopo che possa esporli a danni o distruzione e non dirigere alcun atto di ostilità contro di essi. L’unica eccezione a questo obbligo è rappresentata dai casi in cui la “necessità militare” richieda imperativamente tale rinuncia. Con riferimento alla seconda, in base all’articolo 8 la protezione speciale può essere concessa a un numero limitato di rifugi per ospitare beni culturali mobili e centri contenenti beni culturali immobili “di grandissima importanza”. Le condizioni per ottenere tale protezione sono che il bene deve essere situato lontano da grandi centri industriali o da qualsiasi obiettivo militare importante e che non deve essere utilizzato per scopi militari. I beni vengono quindi iscritti nel Registro internazionale dei Beni Culturali sotto Protezione Speciale. Gli Stati non devono utilizzare tale proprietà o i suoi dintorni per scopi militari e devono astenersi da qualsiasi atto di ostilità diretto contro di essa. L’unica eccezione all’immunità è rappresentata da circostanze di “inevitabile necessità militare” per tutto il tempo in cui tale necessità persiste.
È rilevante sottolineare l’articolo 28. In base a questa disposizione gli Stati parte devono adottare tutte le misure necessarie per imporre sanzioni e perseguire le persone che violano le disposizioni. Tuttavia, questa disposizione richiede solo che tali azioni siano intraprese nell’ambito della “giurisdizione penale ordinaria” di uno Stato. Le violazioni non sono crimini di guerra internazionali e pertanto la Convenzione non prevede alcun meccanismo per avviare azioni penali in un foro giudiziario internazionale come la Corte Internazionale di Giustizia.
Oltre alla Convenzione dell’Aia del 1954 il diritto internazionale prevede altri trattati come il Primo ed il Secondo Protocollo del 1977 alla Convenzione di Ginevra del 1949. Il Primo Protocollo si applica ai conflitti internazionali, il Secondo a quelli non-internazionali. Anche in questi testi le disposizioni prevedono che non si possono usare i beni culturali per operazioni militari e che non possono costituire bersaglio intenzionale (articolo 53 del Primo Protocollo e 16 del Secondo Protocollo).
Procediamo con la trattazione del tema approfondendo la questioni rilevanti di cui si discute ancora oggi.

3. Questioni aperte

Prendiamo come punto di riferimento l’anno della Convenzione dell’Aia e pensiamo a quali eventi e a quanti conflitti sono avvenuti in 70 anni: si contano situazioni drammatiche e contesti difficili con conseguenze che sono visibili e sentite ancora oggi [9]. Vietnam, Iraq, l’area dell’Ex-Jugoslavia, l’Afghanistan, il Mali, la Cambogia, il Sudan, lo Yemen. Cosa ne è stato della tutela del patrimonio culturale in questi Stati?
L’assedio di Dubrovnik nel 1991 e gli attacchi alla città vecchia durante la guerra di indipendenza croata, la distruzione dei Buddha della Valle di Bamiyan nel 2001, le distruzioni ed i danneggiamenti tra il 2014 ed il 2015 del patrimonio culturale a Mosul in Iraq hanno suscitato grande sgomento nella comunità internazionale. Dall’altra parte si contano progetti e interventi importanti come le ricostruzioni del ponte di Mostar e dei templi e dei mausolei di Timbuctu oppure la realizzazione dell’imponente progetto “Revive the Spirit of Mosul” dell’UNESCO che ha posto particolare attenzione alla città irachena uscita martoriata anche dai più recenti attacchi dell’ISIS [10]. Oggi organizzazioni internazionali e realtà operanti nel settore della conservazione e del restauro, organizzazioni, fondazioni culturali e Stati, soggetti privati e politiche pubbliche hanno sviluppato e realizzato progetti di vario tipo per la tutela del patrimonio culturale [11]. Eppure quando un conflitto è in corso c’è grande preoccupazione per il patrimonio culturale.
Se durante un conflitto avvengono attacchi diretti o non intenzionali al patrimonio culturale allora ci si deve chiedere se il diritto internazionale sia composto da regole efficaci che prevengono e impediscono attacchi di qualsiasi natura contro il patrimonio culturale. Di seguito alcune questioni aperte:
·       in quali circostanze i belligeranti possono danneggiare intenzionalmente o prevedibilmente siti di proprietà culturale durante un conflitto?
·       come deve essere valutata la protezione dei beni culturali rispetto ad altre priorità nelle zone di conflitto?
·       in che modo le autorità competenti dovrebbero considerare e trattare i siti danneggiati di beni culturali dopo un conflitto?
·       la tutela offerta dal diritto internazionale è limitata o funziona?
Rispondere a queste domande non è facile. Provo a identificare alcuni punti salienti.
Parto dai conflitti e dalla conduzione di operazioni militari: i conflitti contemporanei sono molto diversi da quelli del passato. Oggi per esempio gli Stati sono sempre meno soggetti direttamente coinvolti sul campo e gli attori non-statali dopo la Seconda guerra mondiale hanno assunto un ruolo più attivo; l’uso della tecnologia ha ampliato il raggio di ciò che può essere considerato un atto ostile (pensiamo ad un attacco cibernetico) contro uno Stato così come gli strumenti usati in guerra (pensiamo ai droni o ai sistemi antimissilistici più recenti); la diffusione del concetto di cyber warfare; le diverse tecniche di guerra e molto altro.
Un altro punto: com’è inteso il patrimonio culturale quando è in corso un conflitto. Se nel passato la distruzione del patrimonio culturale veniva considerata un danno collaterale [12], oggi c’è invece una maggiore consapevolezza di cosa esso rappresenti: non solo un simbolo del nemico ma identità vera e propria. Così la cultura diventa un obiettivo, una parte integrante della strategia di guerra. Non è un caso se è solo negli ultimi trent’anni che gli attacchi al patrimonio culturale sono cambiati: il Tribunale Penale Internazionale per l’Ex Jugoslavia è stato chiamato a decidere su parecchi casi riguardanti la distruzione intenzionale del patrimonio culturale come crimine di guerra [13].
Per rimanere vicini alla materia del diritto internazionale vorrei sottolineare un’importante distinzione nei conflitti ai fini della protezione del patrimonio culturale: quella tra conflitti internazionali e conflitti interni. Se nel caso dei primi l’applicazione della Convenzione dell’Aia è interamente valida, nel caso dei conflitti interni è prevista l’applicazione dell’articolo 4 cioè l’applicazione della regola del rispetto dei beni culturali (non fare alcun uso di beni culturali e delle loro immediate vicinanze che possa causare distruzione o danno in tempo di guerra, prevenire e porre a fine a qualsiasi furto, saccheggio, appropriazione indebita e atto di vandalismo contro i beni culturali).
Aggiungo poi che c’è una lacuna delle regole del diritto internazionale: non esiste un trattato che prevede la protezione del patrimonio culturale immateriale in tempo di guerra. Tale vuoto normativo non è affatto facile da colmare: tutelare il patrimonio culturale immateriale significa proteggere le comunità, i soggetti ‘portatori’ di una tradizione, gli individui coinvolti, categorie non facilmente identificabili in un contesto di conflitto.
Per concludere questo paragrafo, vorrei individuare alcune criticità nella Convenzione dell’Aia del 1954. Ad esempio, nel trattato e nei Protocolli non c’è una definizione di necessità militare (military necessity) perciò l’interpretazione di questo concetto è lasciato agli Stati ed è complicato tutelare in questo modo il patrimonio culturale. Dato che gli attacchi ai siti del patrimonio culturale sono considerati legittimi e non costituiscono una violazione della Convenzione se esiste un’urgente necessità militare, allora la questione dell’interpretazione del concetto di necessità militare risulta estremamente importante. Poi la questione della protezione speciale: la stragrande maggioranza dei beni culturali non gode di questa protezione perché Per concludere questo paragrafo, vorrei individuare alcune criticità nella Convenzione dell’Aia del 1954. Ad esempio, nel trattato e nei Protocolli non c’è una definizione di necessità militare (military necessity) perciò l’interpretazione di questo concetto è lasciato agli Stati ed è complicato tutelare in questo modo il patrimonio culturale. Dato che gli attacchi ai siti del patrimonio culturale sono considerati legittimi e non costituiscono una violazione della Convenzione se esiste un’urgente necessità militare, allora la questione dell’interpretazione del concetto di necessità militare risulta estremamente importante. Poi la questione della protezione speciale: la stragrande maggioranza dei beni culturali non gode di questa protezione perché musei, gallerie ed edifici di grande importanza spesso si trovano nei centri città o vicino a grandi infrastrutture. Per finire, è assente una disposizione che preveda l’istituzione di un organo sovraordinato incaricato di attuare la Convenzione e che possa stabilire riunioni periodiche per discutere di nuove misure riguardanti la protezione del patrimonio culturale durante un conflitto [14]. Esiste però il Comitato per la Protezione dei Beni Culturali in Caso di Conflitto Armato del Secondo Protocollo del 1999.

4. I conflitti tra Russia e Ucraina e tra Israele e Hamas

Il conflitto tra Russia e Ucraina e tra Israele e Hamas sono un pericolo per tanti beni culturali, mobili e immobili.
In Ucraina si conta un notevole patrimonio culturale riconosciuto nelle Liste dell’UNESCO a livello internazionale e diffuso su tutto il territorio. La Cattedrale di Santa Sofia di Kiev con gli edifici connessi alla Cattedrale è forse il sito ucraino più identitario inserito nella Lista del Patrimonio dell’Umanità in Pericolo. Non solo però il simbolo per eccellenza di Kiev: in base proprio alle disposizioni della Convenzione dell’Aia del 1954 e Protocolli annessi, oggi si contano più di 20 siti a cui viene garantita la protezione rafforzata con tanto di scudo blu. Inoltre, secondo i dati dell’UNESCO [15], dall’inizio dell’offensiva del febbraio 2022 sono stati danneggiati 329 siti.
Anche nella Striscia di Gaza, nei territori palestinesi e in Israele c’è un ricco patrimonio culturale, sia materiale che immateriale [16]. L’UNESCO riconosce lo Stato della Palestina [17] dal 2011 e la Palestina ha ratificato varie convenzioni internazionali [18]. La Lista del Patrimonio dell’Umanità in Pericolo dell’UNESCO conta tre siti:
·       Hebron/la città vecchia di Al-Khalil dal 2017 sito iscritto su proposta dello Stato della Palestina
·       Il paesaggio culturale a sud di Gerusalemme, Battir dal 2014
·       La città vecchia di Gerusalemme e le sue mura, elemento proposto dalla Giordania e riconosciuto dal 1982.
Si contano anche in questo conflitto diversi danni al patrimonio culturale [19]. Sarà dovere delle parti coinvolte e non accertare le responsabilità (personale del singolo individuo, del comandante o dello Stato) derivanti dalle regole del diritto internazionale. Sia in Ucraina che nei territori di Israele e Palestina si dovrà procedere ad imponenti progetti di ricostruzione.
È difficile individuare la responsabilità degli attacchi al patrimonio culturale e può essere ancora più difficile determinare se gli attacchi avvenuti siano stati intenzionali o collaterali. Non ci sono dubbi però che il patrimonio culturale rimanga un obiettivo sensibile durante un conflitto e che la distruzione porti con sé un senso di sconfitta, una perdita sia per le parti direttamente coinvolte in un conflitto che per la comunità internazionale. Con questi nuovi conflitti e a fronte di cambiamenti recenti di varia natura bisogna plasmare una nuova protezione del patrimonio culturale prima, durante e dopo un conflitto.

Note

  1. [1]

    È un trattato importante e che si concentra sulla protezione dei beni culturali mobili e immobili durante una guerra o un conflitto. Questa distinzione è tutt’altro che secondaria. Per la precisione si parla di international armed conflict e non-international armed conflict: nel primo caso è quando c’è una guerra tra due o più Stati, il secondo è quando ci si riferisce ad una guerra civile.

  2. [2]

    È il caso del Borscht. Qui le informazioni: Culture of Ukrainian borscht cooking – intangible heritage – Culture Sector – UNESCO.

  3. [3]

    È il caso del Shadow Play. Qui le informazioni: Shadow play – intangible heritage – Culture Sector – UNESCO.

  4. [4]

    Protocollo alla Convenzione per la Protezione dei Beni Culturali in Caso di Conflitto Armato (14 maggio 1954) e Secondo Protocollo alla Convenzione dell’Aia del 1954 per la Protezione dei Beni Culturali in Caso di Conflitto Armato (26 marzo 1999).

  5. [5]

    Nel Preambolo della Convenzione del 1954 si fa preciso riferimento ai principi riguardanti la protezione dei beni culturali come stabiliti “dalle Convenzioni dell’Aia del 1899 e del 1907 e nel Patto di Washington del 15 aprile 1935”. Prima di tutto questo il famoso Codice Lieber: questo Codice rappresentò il primo tentativo moderno di codificare il diritto bellico. Fu elaborato durante la guerra civile americana dal professor Francis Lieber, immigrato tedesco negli Stati Uniti e professore alla Columbia Law School. Sebbene il Codice Lieber fosse vincolante solo per le forze militari degli Stati Uniti, esso corrispondeva in larga misura alle leggi e agli usi di guerra esistenti all’epoca. In particolare, gli articoli 35 e 36 del Codice Lieber mirano a proteggere i beni culturali.

  6. [6]

    Ai fini della presente Convenzione, la protezione dei beni culturali comprende la salvaguardia e il rispetto di tali beni”.

  7. [7]

    Un testo interessante è il manuale militare per la protezione dei beni culturali pubblicato dall’UNESCO del 2016.

  8. [8]

    Lo stemma è descritto con precisione nell’articolo 16 della Convenzione.

  9. [9]

    Per citarne alcune, pulizia etnica, distruzione, interventi militari (spesso con diversi obiettivi e risultati discutibili), presenza di diversi attori come gruppi paramilitari e organizzazioni terroristiche, beni culturali andati distrutti o perduti.

  10. [10]

    L’interessante studio realizzato dalla Rashid International per il Rapporteur Speciale delle Nazioni Unite nel campo dei diritti culturali ha realizzato uno studio sul patrimonio culturale in Iraq, sulla situazione del patrimonio culturale nell’area di Mosul e di Ninive e sulle distruzioni operate dall’ISIS nel biennio 2014-2016. Qui l’intero report: RASHID.pdf (ohchr.org).

  11. [11]

    L’ICCROM per esempio qualche anno fa ha pubblicato un interessante studio sulla conservazione in alcune aree del mondo a seguito di un conflitto: Cultural Heritage in Postwar Recovery (iccrom.org). L’UNESCO invece sta realizzando progetti in Libano, Iraq e Mali: World Heritage Centre – Post-Conflict and Post-Disaster Reconstruction and Recovery (unesco.org).

  12. [12]

    Si tratta di un danno accidentale e non intenzionale. Pensiamo per fare un esempio alle schegge che colpiscono di riflesso un bene culturale. Casi di danni collaterali al patrimonio culturale sono avvenuti a Ypres durante la Prima e a Dresda durante la Seconda guerra mondiale.

  13. [13]

    Per citare alcuni casi si possono leggere quelli contro Brđanin, Stakić, Mladić,Šainović et al. e Đorđević.

  14. [14]

    Esiste però il Comitato per la Protezione dei Beni Culturali in Caso di Conflitto Armato del Secondo Protocollo del 1999. Maggiori informazioni sul suo funzionamento – strettamente legato alle disposizioni del Secondo Protocollo – qui: Meetings of the Committee for the Protection of Cultural Property in the Event of Armed Conflict (unesco.org).

  15. [15]

    Damaged cultural sites in Ukraine verified by UNESCO | UNESCO (accesso al sito eseguito il 21 novembre 2023).

  16. [16]

    Si tratta per la Palestina dalla calligrafia arabica, delle pratiche, delle tradizioni e della conoscenza della palma da dattero, l’hikaye (una pratica narrativa diffusa dalle donne) e l’arte del ricamo tra pratiche, conoscenza e rituali. Israele invece – che conta nove siti nella Lista del Patrimonio dell’Umanità – non ha tradizioni e pratiche iscritte nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO.

  17. [17]

    Molti Stati però non riconoscono lo Stato della Palestina e la conseguenza è che non si possa parlare di un conflitto tra due Stati.

  18. [18]

    Per una visione più completa: État de Palestine – Convention | UNESCO.

  19. [19]

    Vedi: Concerns about safety of heritage sites raised amid Palestine-Israel conflict – Global Times; Historic Greek Orthodox church in Gaza hit by deadly missile strikes (theartnewspaper.com) e Gaza’s monuments become ruins | Jordan Times.

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Lorenzo Venezia

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