Interessante pronuncia del massimo consesso della magistratura amministrativa, in tema di commissione di concorso
Anche se il thema decidendum del giudizio di appello, ai sensi dell’art. 104 del c.p.a., è circoscritto dalle censure ritualmente sollevate in primo grado nei limiti in cui sono criticamente e specificamente riproposte nei mezzi di gravame, la stessa norma fa salva la possibilità di produrre nuovi documenti e proporre motivi aggiunti, ove la conoscenza tardiva di fatti e documenti non sia imputabile a negligenza della parte che li fa valere tardivamente e per la prima volta in appello ( alla stregua del principio è stata ritenuta l’ammissibilità dei documenti nuovi depositati dall’appellante incidentale e dei motivi aggiunti, con cui erano stati rappresentati ulteriori vizi degli atti impugnati, essendo stato provato che solo successivamente alla proposizione del ricorso, dopo reiterate, infruttuose richieste di accesso agli atti, era stato consentito di prendere visione della relazione e degli atti della commissione di inchiesta nominata dal Consiglio Regionale per verificare la correttezza degli atti e della procedura concorsuale).
L’applicazione dell’art. 34, comma 3, del c.p.a. ( secondo cui “quando nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori)” è subordinata ad un’espressa richiesta dell’interessato.
Sotto un profilo prettamente sistematico, il passaggio dell’azione di annullamento a quella di mero accertamento determina una modificazione non degli effetti processuali della domanda originaria, bensì degli effetti sostanziali scaturenti dal giudicato. Essa, infatti, non introduce né un petitum diverso e più ampio, né una causa petendi fondata su fatti costitutivi differenti che non pone al giudice un nuovo tema d’indagine e neppure sposta i termini della controversia, ma si concretizza esclusivamente nella variazione in senso riduttivo del petitum originario, al fine di renderlo adeguato alle sopraggiunte necessità di soddisfacimento del bisogno di tutela
L’ampiezza dell’ambito di operatività dell’art. 34, comma 3, del c.p.a. ed il riferimento al ricorrente in senso generico implica che l’interesse all’accertamento dell’illegittimità possa essere fatta valere da qualunque parte del giudizio e, quindi, anche dall’appellante incidentale, non rilevando in contrario che l’appello incidentale sia concettualmente condizionato all’esito dell’appello principale.
In materia di procedure concorsuali la legislazione è univoca nel richiedere che le commissioni di concorso debbano essere composte esclusivamente con esperti di comprovata competenza. In tal senso è la disposizione dell’art. 8, comma 1 del d.lgs n. 29 del 1993 e dello stesso tenore, l’art. 3, comma 21 della L. n. 537 del 1993, in base al quale le commissioni di concorso devono essere composte da “tecnici esperti nelle materie di concorso”.
In concetto di “esperto”, al quale fanno riferimento diverse disposizioni ai fini delle composizioni delle commissioni di concorso, implica il possesso di un titolo di studio corrispondente alle materie oggetto delle prove concorsuali ed un’attività professionale che dimostri la competenza specifica dell’esaminatore nelle materie oggetto del concorso. E’, quindi, necessario che il laureato dimostri di avere acquisito mediante un’attività professionale accademica o di servizio una profonda conoscenza delle materie oggetto dio esame.
E’ illegittimamente composta una commissione di concorso per posti di dirigente ove risulti che nessuno dei suoi componenti sia laureato in legge o in lauree equipollenti, iscritto all’albo professionale o docente nelle materie sulle quali vertevano sia le prove scritte che orali del concorso ( le prove riguardavano, nella specie, la legislazione statale e regionale, il diritto amministrativo, costituzionale e regionale e la prova orale i reati contro la pubblica amministrazione).
E’ illegittimamente composta una commissione di concorso per posti di dirigente amministrativo ove risulti che un suo componente sia privo del requisito di “provata competenza professionale”( nella specie tale mancanza è stata desunta sia dalla contemporanea partecipazione per più di un esito negativo a concorsi di livello inferiore a quello per il quale era stata nominata commissario, sia dal curriculum professionale).
L’onere di astensione grava sul componente della commissione concorsuale che si trova in una situazione di incompatibilità; tuttavia, l’Amministrazione, nel caso in cui sia a conoscenza dell’esistenza di una tale situazione, ha l’obbligo di disporre la sostituzione del componente, al fine di evitare che gli atti del procedimento risultino viziati.
Sussiste una chiara situazione di incompatibilità, tale da imporre l’astensione, nel caso in cui risulti che un componente della commissione di concorso ( nella specie si trattava di un architetto) abbia partecipato in qualità di candidato nello stesso periodo ad un concorso per il quale era stato nominato presidente della commissione giudicatrice un ingegnere che invece partecipava quale candidato al concorso nel quale faceva parte della commissione l’architetto.
Questo intreccio di rapporti ha inciso sull’imparzialità che è un cardine dell’operato di ciascun membro delle commissioni giudicatrici, rendendo illegittima la procedura e viziati gli esiti, indipendentemente dalla necessità di prova degli effetti pregiudizievoli sui concorrenti prodotti dalla situazione di incompatibilità. Infatti, l’esistenza di una reciprocità di posizioni tra esaminando ed esaminatore altera inevitabilmente la serenità di giudizio, compromettendo la stessa procedura concorsuale.
Sono illegittime le modalità di svolgimento delle prove concorsuali orali, nel caso in cui risulti che tali prove si siano svolte a porte chiuse senza consentire a nessuno di assistervi e apponendo sulla porta della stanza un vistoso cartello con la dicitura “ non disturbare”. Tale comportamento infatti comporta una palese violazione dei principi validi per tutte le procedure concorsuali, anche per quelle degli enti locali e contenute nel d.p.r. n. 487 del 1994 come modificato dal d.p.r. n. 693 del 1996 ( le prove orali devono svolgersi in un’aula aperta al pubblico di capienza idonea ad assicurare la massima partecipazione), oltre naturalmente alla violazione del generale principio di trasparenza dell’azione amministrativa, normativamente fissato dalla l. n. 241 del 1990.
In conclusione è stata al riguardo richiamata la sentenza della Corte Costituzionale 4 giugno 1990, n. 228, la quale ha sancito che “ le commissioni di concorso possono ritenersi legittimamente composte solo quando i membri chiamati a farne parte in qualità di esperti rivestano effettivamente tale qualità nelle materie oggetto di esame pertanto per essi il possesso del titolo di studio di livello quanto meno pari a quello richiesto per l’ammissione al concorso deve essere corroborato dal possesso di ulteriori titoli ( di studio, di servizio o professionali) idonei a dimostrare la specifica competenza in concreto dell’esaminatore nelle materie delle prove concorsuali”.
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