Nell’ambito dell’autotutela amministrativa, al fine di ottenere – ove possibile – un esito conservativo e non caducatorio del provvedimento sottoposto a riesame, la p.a. ha a disposizione una serie di soluzioni che consentano l’eliminazione dei vizi sussistenti: la convalida (l’unica legislativamente disciplinata, ai sensi dell’art. 21-nonies, co. 2 l. 7 agosto 1990 n. 241), la ratifica, la sanatoria, la conversione, la riforma, la rettifica.
Il riesame con esito confermativo, viceversa, si conclude con l’affermazione della piena validità della precedente determinazione assunta dalla p.a.; e la distinzione essenziale tra le due ipotesi risiede nella nuova ponderazione degli interessi coinvolti effettuata per giungere al provvedimento di conferma.
Nel caso in oggetto, infatti, l’amministrazione che – a seguito di istanza privata – avvii il riesame del provvedimento e ritenga di concluderlo con conferma, emana un atto nuovo; ciò perché il provvedimento confermativo, pur ribadendo l’esito dell’anteriore procedimento, riflette il nuovo regolamento di interessi venutosi a formare a riscontro delle osservazioni elaborate dal privato istante.
In quanto atto nuovo e sostitutivo di quello riesaminato, esso è autonomamente impugnabile. Inoltre, nella prassi si usa denominarlo provvedimento “propriamente” confermativo per distinguerlo da quello “meramente” confermativo.
Il secondo non consegue a un rinnovato esame dell’assetto degli interessi, piuttosto è il risultato del rifiuto della pubblica amministrazione di rimettere in discussione la propria determinazione. In sostanza, la p.a. conclude per la legittimità e opportunità del provvedimento senza riaprire il relativo procedimento.
Quanto detto impone di sostenere che il provvedimento meramente confermativo non è definibile precisamente come atto amministrativo. Nonostante presenti un contenuto identico a quello del provvedimento precedentemente emanato, esso non è altro che espressione della scelta della p.a. di non avviare un nuovo iter istruttorio che tenga conto delle indicazioni del privato interessato; è conferma non tanto del risultato finale del procedimento, quanto del procedimento nella sua interezza, senza alcun ulteriore apporto.
Non trattandosi di un nuovo atto amministrativo, deve altresì concludersi per la sua non autonoma impugnabilità. Il privato leso, per far valere le proprie ragioni, dovrebbe sempre impugnare il provvedimento originario, che non risulta affatto sostituito.
Le considerazioni esposte presentano un rimarchevole rilievo anche in tema di giudizio cautelare (disciplinato agli artt. 55 e ss. c.p.a.), soprattutto se si ha riguardo al differente esito prodotto, da un lato, dalle misure cautelari sostitutive e, dall’altro, da quelle sospensivo-propulsive.
Nella specie, quando il giudice cautelare dispone una misura sostitutiva, stabilisce provvisoriamente l’attribuzione del bene della vita al privato ricorrente, subentrando alla pubblica amministrazione e così impedendone la riedizione del potere. Difatti, stanti l’effetto conformativo delle pronunce cautelari e la possibilità di ricorrere al giudice dell’ottemperanza in caso di mancata esecuzione (art. 59 c.p.a.), la p.a. deve solo limitarsi a soddisfare l’aspettativa privata conseguente alla pronuncia in oggetto.
La non autonomia della determinazione pubblica, unitamente alla sua provvisorietà in attesa della decisione definitiva di merito, fanno sì che non sussista cessazione della materia del contendere. Data la necessaria osservanza del principio di separazione tra i poteri fondamentali dello Stato, però, sarebbe sempre opportuno sostenere che questa tipologia di misure può utilizzarsi solo se si tratta di attività pubblica vincolata, senza esercizio di discrezionalità.
Al contrario, in caso di misure del secondo tipo indicato, le conseguenze sono di due ordini: il giudice sospende l’esecuzione del provvedimento sfavorevole per il ricorrente e, aspetto di maggior rilievo, rinvia all’amministrazione per un riesame della propria determinazione (cosiddetta tecnica del remand); ciò comporta che la p.a. ha il dovere di rieditare il proprio potere, in questi casi anche discrezionale.
Si tratta di un potere condizionato dal contenuto della disposizione giudiziale, che impone la rivalutazione degli interessi coinvolti tenendo conto delle considerazioni ivi espresse; ma comunque può continuare a manifestarsi liberamente in quegli spazi non oggetto di esame del giudice.
Ciò premesso, ha costituito disputa in dottrina e giurisprudenza la possibilità della consumazione del potere di provvedere della p.a. al momento dell’esecuzione della misura propulsiva. Invero, vi è da distinguere innanzitutto il caso del riesame del provvedimento effettuato “in occasione” della misura da quello del riesame effettuato “in esecuzione” di essa.
Nella prima ipotesi, la p.a. agisce evidentemente in autotutela, riconoscendo in maniera spontanea ed esplicita (alla luce di quanto espresso nella statuizione del giudice) un proprio errore valutativo e sostituendo il provvedimento gravato con uno nuovo e contrario, favorevole al privato. Questo si traduce nella consumazione del potere con la soddisfazione delle pretese dell’interessato, ergo nella cessazione della materia del contendere e conseguente estinzione del giudizio cui la cautela accede.
Nella seconda ipotesi, invece, l’amministrazione non agisce spontaneamente, bensì esegue soltanto il decisum cautelare. Ma è pur vero che, in questa sede, potrebbe assumere due diverse tipologie di determinazione.
In primo luogo, il riesame condotto secondo le indicazioni del giudice può portare al riconoscimento del bene della vita per il ricorrente. Oppure si può pervenire alla conferma del provvedimento, attraverso un’integrazione della motivazione che segua l’analisi di elementi prima non valutati.
Il primo caso presenta dei punti di contatto notevoli con l’ipotesi di riesame “in occasione” del dictum cautelare. A ben vedere, l’unico obbligo conformativo della pronuncia giudiziale sta nel riesaminare l’assetto di interessi, senza precisi vincoli circa l’esito finale; e qualora la p.a. modificasse la precedente determinazione, starebbe ad ogni modo riconoscendo un proprio errore valutativo.
Qui si inserisce il problema interpretativo, che consiste nel determinare se riconoscere prevalenza al carattere provvisorio delle ordinanze cautelari, che impedirebbe sempre la consumazione del potere (l’eventuale effetto caducante del giudicato di merito, per l’appunto, si estenderebbe a tutti gli atti adottati per la loro esecuzione), o al fatto sostanziale della decisione della p.a.
Sulla base della seconda teoria, la pubblica amministrazione opererebbe implicitamente in autotutela; dovrebbe, quindi, ritenersi il provvedimento impugnato come sostituito in via altrettanto implicita, stabilendo la consumazione del potere di provvedere, la cessazione della materia del contendere e l’autonoma impugnabilità del provvedimento favorevole.
Il secondo caso è soggetto alla medesima problematica. O si afferma che il potere non può mai consumarsi, data la provvisorietà intrinseca della determinazione, o si opta per il riconoscimento della natura novativa del provvedimento confermativo, quindi della consumazione del relativo potere.
La recente giurisprudenza è parsa voler consolidare il secondo orientamento, ma con un necessario distinguo fra atti propriamente e meramente confermativi.
È stato infatti sottolineato che, nel momento in cui si dà rilievo alla sostanza della determinazione della p.a. più che al suo carattere provvisorio, solo al provvedimento propriamente confermativo può attribuirsi la consumazione del potere.
Questo perché è l’unico realmente nuovo tra i due provvedimenti in parola, in ragione della riapertura dell’istruttoria che precede la sua emanazione, dunque l’unico cui corrispondano un’effettiva riedizione del potere e il carattere di autonoma impugnabilità (come enucleato supra).
Invece, il provvedimento meramente confermativo non rappresenta una riedizione del potere, non può comportare il venir meno della materia del contendere e non può essere impugnato autonomamente. Deve escludersi sempre, qui, la possibilità che si consumi il potere di provvedere.
Il ricorrente, anzi, potrebbe agire in ottemperanza contro la p.a. per la mancata esecuzione dell’ordinanza cautelare: con un atto meramente confermativo, invero, l’amministrazione rifiuterebbe di conformarsi al dictum giudiziale propulsivo, secondo cui dovrebbe esercitare nuovamente il potere di provvedere.
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