Provvedimento amministrativo tacito: tutela controinteressato

Obiettivo del presente articolo è quello di fornire al lettore una concisa esposizione circa le tutele apprestate dall’ordinamento italiano, a favore del terzo controinteressato che si vede leso un proprio interesse giuridicamente qualificato, da un provvedimento amministrativo tacito. In particolare, verrà posto l’accento sulla individuazione del termine iniziale, a decorrere dal quale il controinteressato può esperire le azioni legali avverso il silenzio assenso, stante il fatto che, spesso, il controinteressato non ha la diretta e tempestiva conoscenza della formazione del silenzio accoglimento.
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Indice

1. Il silenzio della Pubblica Amministrazione


L’art. 2 della legge n. 241/1990 (c.d. legge sul procedimento amministrativo) stabilisce che il procedimento amministrativo deve concludersi entro un lasso di tempo determinato, decorrente dalla presentazione dell’istanza da parte del privato, o dal momento in cui in capo alla Pubblica Amministrazione sussiste l’obbligo di avviare d’ufficio il procedimento amministrativo. Tale termine viene fissato, per ogni amministrazione statale, con uno o più D.P.C.M., su proposta del Ministero competente, previa intesa con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, e non deve essere superiore a 90 giorni, ovvero a 180 giorni se si tratta di procedimenti complessi. Tuttavia, è ammessa la conclusione del procedimento amministrativo in un termine superiore a 180 giorni, per quanto riguarda l’immigrazione e l’acquisto della cittadinanza italiana.
Qualora non venga stabilito un termine ad hoc, il procedimento amministrativo deve concludersi entro un termine residuale di 30 giorni.
Così stando le cose, occorre evidenziare che anche nel diritto amministrativo la decorrenza dei termini è rilevante, in quanto qualora il procedimento amministrativo non venga concluso nei termini appositamente stabiliti, accade che si viene a formare il silenzio della Pubblica Amministrazione, che può configurarsi come silenzio inadempimento, oppure, nei casi espressamente previsti dalla legge, come silenzio qualificato.
Attualmente, le statistiche rivelano che negli ultimi anni il numero di ricorsi proposti al TAR dai privati avverso il silenzio inadempimento è aumentato in maniera esponenziale. Per tanto, al fine di arginare il fenomeno della c.d. “amministrazione difensiva”, il legislatore è intervenuto durante la pandemia, allo scopo di ampliare il novero dei casi di silenzio qualificato, nonché di semplificare ulteriormente il procedimento amministrativo.


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2. La tutela processuale contro il silenzio della Pubblica Amministrazione


Il silenzio inadempimento costituisce la lesione dell’obbligo di concludere in termini il procedimento amministrativo da parte della Pubblica Amministrazione, senza tuttavia far venire meno l’obbligo in capo a quest’ultima di adottare un provvedimento amministrativo, ancorché tardivamente.
Ne consegue che avverso il silenzio inadempimento, il privato leso può proporre cumulativamente o separatamente due azioni.
In primo luogo, ai sensi dell’art. 31, commi 1, 2 e 3 del codice del processo amministrativo, l’istante può proporre l’azione avverso il silenzio, entro un anno dalla scadenza del termine nel quale la Pubblica amministrazione avrebbe dovuto concludere il procedimento amministrativo con l’adozione di un provvedimento espresso, nell’esercizio di un potere vincolato e non anche discrezionale. In questo caso, il TAR competente decide in camere di consiglio circa la sussistenza o meno dell’obbligo della Pubblica Amministrazione di provvedere, con una sentenza in forma semplificata.
Tuttavia, se nelle more del giudizio la Pubblica Amministrazione adotta un provvedimento espresso, accade che al ricorrente è dato il potere di impugnare quest’ultimo con motivi aggiunti, con la conseguenza che la causa seguirà l’iter processuale previsto per l’impugnazione del provvedimento espresso.
In secondo luogo, ai sensi dell’art. 30 del codice del processo amministrativo, l’istante può altresì proporre un’azione di condanna contro la Pubblica Amministrazione, per il danno ingiusto sofferto a causa del silenzio inadempimento. L’azione deve essere proposta entro il termine decadenziale di 120 giorni dal giorno in cui il danno si è verificato, ovvero dal giorno in cui l’istante è venuto a conoscenza del provvedimento, se esso è fonte diretta di lesione della sfera giuridica del privato.
A questo proposito, si rileva che la giurisprudenza, e in particolare l’Ad. Pl. nella sentenza n. 7/2021, ha sancito che, nei casi di silenzio inadempimento, la responsabilità della Pubblica Amministrazione è qualificata come responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. Ne consegue che, in sede processuale, è a carico del ricorrente l’onere di dover dimostrare di aver sofferto un danno ingiusto, nonché il nesso eziologico tra il danno ingiusto sofferto e il silenzio inadempimento della Pubblica Amministrazione.
Ancora, la suddetta Ad. Pl. ha precisato anche che il danno ingiusto all’uopo richiesto dal paradigma dell’art. 2043 c.c. non è integrato dal mero ritardo/ inadempimento della Pubblica Amministrazione, ma esso deve consistere nella lesione dell’affidamento del privato istante circa la conclusione tempestiva del procedimento amministrativo.
A questo proposito, si evidenzia che l’art. 1, comma 2- bis della legge sul procedimento amministrativo sancisce che i rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadino sono improntati ai principi di correttezza e buona fede, implicando ciò che l’affidamento del privato circa il corretto esercizio del potere pubblicistico da parte della Pubblica Amministrazione costituisce un bene della vita.
Si rileva altresì che le sentenze di condanna emesse contro la Pubblica Amministrazione per silenzio inadempimento devono essere trasmesse alla Corte dei Conti, affinché quest’ultima proceda per responsabilità erariale indiretta del dipendente, dal quale è dipeso il silenzio inadempimento; nonché il silenzio inadempimento produce comunque l’obbligo della Pubblica Amministrazione di indennizzare il privato, a prescindere dal fatto se questi ha sofferto o meno un danno ingiusto.
Infine, si pone l’accento sul fatto che tanto l’azione contro il silenzio, quanto l’azione di condanna configurano ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Per quanto riguarda il silenzio qualificato, esso si articola in silenzio assenso (o accoglimento), che equivale a provvedimento tacito di accoglimento; nonché in silenzio diniego (o rigetto), che consiste in un provvedimento tacito di rigetto.
Orbene, l’ordinamento equipara i suddetti provvedimenti taciti a quelli espressi, con la conseguenza che avverso i primi sono ammessi gli stessi strumenti di tutela processuale previsti per i secondi.
Ne è conseguenza il fatto che avverso il silenzio qualificato è possibile esperire l’azione di annullamento, entro il termine decadenziale di 60 giorni, ovvero di 30 giorni in caso di rito speciale (ad es. il rigetto tacito dell’istanza di accesso agli atti amministrativi). In questi casi, il termine inizia a decorrere dal giorno in cui si forma il silenzio qualificato.

3. Individuazione del termine iniziale di decorrenza per l’impugnazione del silenzio assenso


Tanto premesso, si rileva che, sul piano pratico, in merito al silenzio diniego, non vi sono dubbi circa l’individuazione del dies a quo per l’esercizio dell’azione di annullamento.  Infatti, come detto sopra, esso coincide con il momento in cui l’Amministrazione procedente omette di adottare un provvedimento espresso entro il termine previsto. Così, ad es., nel caso in cui l’Amministrazione non adotti alcun provvedimento sull’istanza formale di accesso ai documenti amministrativi, entro 30 giorni dalla presentazione dell’istanza stessa. In questo caso, l’istante ha diretta conoscenza della formazione del silenzio diniego, con la conseguenza che i termini decadenziali per l’azione di annullamento cominciano, appunto, a decorrere dalla formazione del provvedimento tacito di rigetto.
Più problematica è, invece, l’individuazione del dies a quo per l’esperimento dell’azione di annullamento avverso il silenzio assenso.
A tal fine, si evidenzia che l’interesse ad agire contro il silenzio accoglimento sussiste in capo al controinteressato, che è il soggetto che ha un interesse di eguale consistenza giuridica rispetto a quello vantato dall’interessato, ma, allo stesso tempo, risulta confliggente con quello di quest’ultimo.
Per tanto, il problema deriva dal fatto che il controinteressato non ha immediata conoscenza della formazione del silenzio assenso.
Il principio è che il termine iniziale di decorrenza per esperire l’azione di annullamento contro il silenzio assenso coincide con il momento in cui il provvedimento tacito di accoglimento entra nella sfera di conoscibilità del controinteressato.
Tuttavia, sussiste la necessità di stabilire un criterio oggettivo sull’individuazione del dies a quo per l’esercizio dell’azione di annullamento contro il silenzio assenso, al fine di evitare che il controinteressato possa sfruttare le maglie larghe del diritto, ed esercitare l’azione di annullamento oltre il termine decadenziale sancito dalla legge, fingendo di avere avuto la conoscenza della formazione del silenzio qualificato in un momento successivo a quello effettivo.
Tale problematica si configura spesso nell’ambito della formazione del silenzio accoglimento, che attribuisce all’istante il titolo abilitativo a costruire sul proprio fondo.
Infatti, si rileva che, come è stato sancito dalle Sez, Un. della Cass. nella storica sentenza n. 500/1999, ancorché il fondo di un soggetto venga qualificato edificabile dagli strumenti di pianificazione urbanistica adottati dal Comune, il proprietario del fondo edificabile non può esercitare direttamente lo ius edificandi, senza avere preventivamente ottenuto il permesso a costruire dal Comune stesso.
A tal fine, l’art. 20 del D.P.R. n. 380/2001 (meglio noto come testo unico dell’edilizia) dispone che il titolare del fondo deve avanzare istanza di rilascio del permesso a costruire, presso lo sportello unico dell’edilizia, istituito presso l’ufficio urbanistica.
Dalla presentazione dell’istanza decorre un termine di 60 giorni, entro il quale il responsabile del procedimento deve concludere l’iter procedimentale, trasmettendo al dirigente o funzionario deputati ad assumere il provvedimento finale il fascicolo con le risultanze istruttorie e, in allegato, una proposta di provvedimento.
Entro 30 giorni dalla ricezione dei predetti documenti, il dirigente deve adottare il provvedimento finale, in mancanza si forma il silenzio assenso e, in conseguenza di ciò, l’istante potrà chiedere alla stessa Amministrazione il rilascio (che viene effettuato entro 15 giorni dalla richiesta) di un’attestazione sulla formazione del silenzio assenso.
Si badi, il rilascio dell’attestazione non è impugnabile, in quanto costituisce un atto meramente confermativo e, in quanto tale, non è fonte di lesione dell’interesse del controinteressato.
Stando così le cose, occorre chiedersi qual è il momento a partire dal quale inizia a decorrere il termine utile, entro il quale il controinteressato – che qui è il proprietario del fondo confinate o vicino a quello sul quale è stato rilasciato permesso a costruire – può impugnare il silenzio assenso, atteso che egli non è a conoscenza del provvedimento tacito di accoglimento.
Secondo parte della dottrina, il momento a partire dal quale il controinteressato deve intraprendere l’azione di annullamento decorre dalla ultimazione della costruzione oggetto del permesso a costruire, rilasciato tacitamente. Infatti, solo ad opera compiuta, il controinteressato è edotto a comprendere che l’interessato ha ottenuto un titolo abilitativo.
Tuttavia, altra parte della dottrina rileva che il termine decadenziale per impugnare il silenzio assenso decorre dal momento in cui, prima di iniziare la costruzione, sul fondo viene piazzato un cartello, nel quale viene rappresentata l’opera finale da realizzare, in tutte le sue caratteristiche, in quanto con l’apposizione di tale cartello il controinteressato viene edotto a comprendere il tipo di opera per il quale è stato rilasciato titolo abilitativo all’interessato.   
Altra problematica che riguarda il fatto se si forma ugualmente il silenzio assenso, con riferimento ad un’istanza di rilascio del permesso a costruire incompleta (es. manca l’allegazione del progetto) o non conforme ai vincoli urbanistici.
Sul punto, l’indirizzo maggioritario della giurisprudenza sostiene che in tal caso il silenzio assenso non si forma, stante il fatto che un’istanza incompleta o contrastante con prescrizioni urbanistiche è contraria a norme imperative.
Tuttavia, secondo un indirizzo giurisprudenziale minoritario, sostenuto dalla Sez. III del Tar Toscana con la sent. n. 170/2020, l’istanza incompleta o contraria a prescrizioni urbanistiche non può impedire la formazione del silenzio assenso, in caso di mancata adozione di un provvedimento espresso, in quanto ciò contrasta con l’interpretazione letterale dell’art. 20 del testo unico dell’edilizia. A fortiori, questa giurisprudenza evidenzia che, nonostante il silenzio assenso, resta comunque in capo alla Pubblica Amministrazione il potere di autotutela, e quindi la possibilità di ricorrere all’annullamento d’ufficio ex art. 21- nonies legge sul procedimento amministrativo.

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Simone Laurenzano

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