Il Tribunale di Milano, quale Giudice del Registro delle Imprese, con decreto emesso ai sensi dell’art. 2191 codice civile in data 28 Novembre 2018, ha ordinato la cancellazione dal Registro delle Imprese della iscrizione relativa alla cancellazione di una società a responsabilità limitata.
Invero, era accaduto che una creditrice di tale s.r.l. cancellata, aveva proposto ricorso – chiedendo, per l’appunto, la cancellazione dell’iscrizione di cancellazione nel Registro delle Imprese della s.r.l. debitrice – atteso che la relativa iscrizione di cancellazione era avvenuta senza che esistessero le condizioni richieste dalla legge.
La creditrice contestava la carenza del bilancio finale di liquidazione (il quale riportava tutte le voci attive, ivi compresi i crediti, a zero), in quanto dall’atto di cessione di azienda sociale, pure esso iscritto al Registro Imprese, risultava – di contro – che in favore della società debitrice erano state emesse, da parte acquirente, delle cambiali a saldo prezzo, scadenti negli anni a venire.
Il Giudice, richiamando, peraltro vari precedenti dello stesso Tribunale di Milano, ha accolto il ricorso di parte creditrice, affermando: “… sì che, in definitiva, il bilancio in discussione non pare riconducibile allo schema legale tipico di documento contabile che dia conto degli esiti liquidatori, come previsto dall’art. 2492 c.c., risultando in contrasto con dati di per sé ricavabili dallo stesso registro delle imprese e attestanti la permanenza – alla data di redazione del bilancio – di crediti ancora da riscuotere in capo alla SRL e dunque la necessità di ulteriori attività di liquidazione…”.
All’uopo, è stata pure richiamata Cassazione civile, sez. un., 09/04/2010, n. 8426, la quale, in motivazione ha statuito che l’effetto costitutivo dell’estinzione della società non comporta di per sé l’inapplicabilità dell’art. 2191 c. c..
Nel caso in esame il credito da recuperare era rilevabile per tabulas, risultando da separata iscrizione al Registro Imprese.
Ci si deve interrogare, allora, quali strumenti abbia il creditore per individuare i crediti della società debitrice che si trovi in stato di liquidazione e che non siano stati inseriti nel bilancio finale di liquidazione.
Ebbene, l’art. 492 7° comma c.p.c. dispone che:
[VII]. Se il debitore è un imprenditore commerciale l’ufficiale giudiziario, previa istanza del creditore procedente, con spese a carico di questi, invita il debitore a indicare il luogo ove sono tenute le scritture contabili e nomina un commercialista o un avvocato ovvero un notaio iscritto nell’elenco di cui all’articolo 179-ter delle disposizioni per l’attuazione del presente codice per il loro esame al fine dell’individuazione di cose e crediti pignorabili. Il professionista nominato può richiedere informazioni agli uffici finanziari sul luogo di tenuta nonché sulle modalità di conservazione, anche informatiche o telematiche, delle scritture contabili indicati nelle dichiarazioni fiscali del debitore e vi accede ovunque si trovi, richiedendo quando occorre l’assistenza dell’ufficiale giudiziario territorialmente competente. Il professionista trasmette apposita relazione con i risultati della verifica al creditore istante e all’ufficiale giudiziario che lo ha nominato, che provvede alla liquidazione delle spese e del compenso. Se dalla relazione risultano cose o crediti non oggetto della dichiarazione del debitore, le spese dell’accesso alle scritture contabili e della relazione sono liquidate con provvedimento che costituisce titolo esecutivo contro il debitore.
Tale disposizione, quindi – pur non risultando avere avuto diffusa applicazione, evidentemente per il timore del ceto creditorio di sostenere i costi del professionista all’uopo nominato (che, però, a ben vedere, non sono superiori ai costi di un eventuale professionista delegato nominato in sede di espropriazione immobiliare) – pur tuttavia costituisce un potente strumento di accertamento, per così dire “alla fonte” nella contabilità di parte debitrice.
Inutile, poi, rimarcare anche quali conseguenze possa avere tale accesso, allorquando la società debitrice abbia posto in essere delle condotte fraudolente nella tenuta della propria contabilità: invero, in tal caso il creditore – sulla base della relazione contabile – potrà assumere le relative iniziative, anche tramite il deposito di istanza di fallimento.
Senza dire, poi, che ai sensi del procedimento di cui al successivo art. 492 bis c.p.c., a seguito dell’accesso alle banche dati dell’Agenzia delle Entrate, è possibile individuare – oltre ai rapporti bancari, postali e finanziari – anche gli atti del registro, da cui risultano i rapporti di appalto, locazioni attive, etc.; del pari, tramite le dichiarazioni fiscali è possibile conoscere se la società debitrice sia titolare di crediti d’imposta.
Credito fiscale per rimborso iva
Sotto quest’ultimo profilo, è interessante, poi, quanto statuito da Cass. Civ. Sez. V, n. 9192 del 05 Maggio 2016:
“ … Va premesso che il credito d’imposta non sorge al momento della sua esposizione nella dichiarazione annuale, poiché, la fonte degli obblighi tributari, a norma dell’art.1 del decreto IVA, è costituita unicamente dal coinvolgimento del contribuente in una delle operazioni imponibili considerate da tale disposizione. Ne consegue che la sussistenza di detto credito in capo al contribuente non può essere negata solo perché esso non sia stato indicato nella dichiarazione annuale o nel bilancio di esercizio o bilancio finale di liquidazione, in quanto anteriormente ceduto a terzi (Cass. 10808/2012). Ne deriva che il credito di una società posta in liquidazione, relativo al rimborso dell’imposta richiesto a norma dell’art. 30 del decreto IVA all’atto della dichiarazione fiscale dell’ultimo anno di attività, non è condizionato dall’esposizione del credito stesso nel bilancio finale della società, anche se assente per essere stato quel credito ceduto. Infatti l’efficacia probatoria dei libri sociali, derivante dalla normativa pubblicistica, attiene ai rapporti di debito e credito inerenti all’esercizio dell’impresa, mentre la contabilità IVA, pur non avendo alcuna efficacia probatoria in tali rapporti, documenta comunque il debito fiscale, rendendone possibile il controllo da parte dell’amministrazione finanziaria (Cass. 13345/2012). Dunque, il fisco, in presenza dei detti adempimenti IVA, non può sottrarsi al rimborso, con effetto liberatorio, nei confronti della società cedente, alla luce dell’art. 1264 cod. civ., in mancanza di notifica al debitore ceduto della cessione del credito relativo al rimborso, e quindi anche di accettazione della cessione. E neppure può sottrarvisi in assenza della notifica formale della cessione di cui all’art. 69 del r.d. n. 2240 del 1923, che pone una regola estranea al caso in esame, risiedendo la ratio della disposizione nella tutela della P.A. in relazione alla cessione di crediti relativi a corrispettivi non definiti o incerti (Cass. 3530/2006). Né vigeva l’obbligo di includere il credito nel bilancio finale di liquidazione, previsto dall’art. 5 del d.m. 26 febbraio 1992 ai fini del rimborso dei crediti d’imposta in favore delle società cancellate dal registro delle imprese, che non si applica mancando il requisito della cancellazione e non essendo stato convertito il dl. 1° febbraio 1992, n. 47, di cui il citato d.m. costituisce attuazione. Nè può trovare applicazione la clausola di salvezza prevista dall’art. 1, comma 2, della legge 24 marzo 1993, n. 75, la quale va riferita esclusivamente agli atti di natura amministrativa, e non anche a quelli normativi, adottati in base al decreto-legge non convertito, nonché agli effetti già prodottisi durante il periodo di vigenza dello stesso, e non anche a situazioni non ancora verificatesi in detto periodo. (Cass. 27951/2009, Rv. 611314; conf. C. cost. 244/1997 e 429/1997) … “.
Ne deriva come sussista – potremmo dire … ex lege – una categoria di crediti (che, statisticamente, sono di importo non indifferente) che possono sfuggire all’appostazione nel bilancio finale di liquidazione, senza che ciò osti alla riscossione del credito d’imposta.
Ebbene, sul punto, soccorre l’elaborazione giurisprudenziale della legge n. 241/90 e sue modifiche e integrazioni, come risulta dalla seguente massima:
Il creditore ha un interesse giuridicamente rilevante, ai fini dell’individuazione dei beni su cui esercitare l’azione esecutiva, ad ottenere copia delle dichiarazioni dei redditi del debitore, né alcunché può essere opposto dall’Agenzia delle entrate alla domanda di accesso, vietando la normativa vigente soltanto l’accesso agli atti e documenti allegati alle predette dichiarazioni.
T.A.R. Friuli-Venezia Giulia Trieste, sez. I, 04/08/2008, n. 413
E ciò sempre che non si sia riusciti a rilevare la sussistenza del credito d’imposta tramite l’esame delle dichiarazioni fiscali ottenute tramite il suindicato procedimento ai sensi dell’art. 492 bis c.p.c..
Sulla distinta ipotesi della cancellazione d’ufficio della società debitrice (e, quindi, senza deposito di bilancio finale di liquidazione)
Un’ultima osservazione va fatta.
Ai sensi dell’art. 2490 u. co. codice civile: “Qualora per oltre tre anni consecutivi non venga depositato il bilancio di cui al presente articolo, la società è cancellata d’ufficio dal registro delle imprese con gli effetti previsti dall’articolo 2495”.
Trattasi di ipotesi nient’affatto infrequente.
Ora, è importante segnalare come Cassazione civile, sez. I, 06/04/2018, n. 8582 abbia statuito che:
“I soci di società di capitali, cancellata d’ufficio dal registro delle imprese per omesso deposito del bilancio per oltre tre anni consecutivi, in pendenza di un giudizio coltivato dal liquidatore per il riconoscimento di un credito della società, hanno titolo per proseguire detto giudizio e diritto a farvi valere il credito del quale la società era titolare”.
E, in motivazione, leggesi quanto segue:
“ … Tuttavia, nella specie, va considerato, da un lato, che il liquidatore della società aveva coltivato l’azione giudiziaria volta a sentire accertare la pretesa creditoria vantata nei confronti della banca (ponendo dunque in essere proprio quella “attività ulteriore da parte del liquidatore” menzionata dalle Sezioni unite del 2013) e, dall’altro lato, che si verte in ipotesi non di cancellazione volontaria della società, ma di cancellazione d’ufficio, ai sensi dell’art. 2490 c.c., u.c., per mancata presentazione per oltre tre anni consecutivi del bilancio annuale, in fase di liquidazione. Non emergeva pertanto una inequivoca volontà abdicativa della società, non avendo la stessa posto in essere un comportamento inequivocabilmente inteso a rinunciare a quella azione, facendo così venir meno l’oggetto stesso di una trasmissione successoria ai soci (cfr. Cass: S.U. 6070 e 6072/2013; Cass. 16758/2010 e Cass. 23269/2016; Cass. 21517/2016, ove, in fattispecie simile alla presente, si è affermato che “la estinzione di una società determinata dall’avvenuta sua cancellazione dal registro delle imprese per omesso deposito del bilancio per oltre tre anni consecutivi, non determina il venir meno dell’interesse alla decisione di un giudizio risarcitorio, pendente, intrapreso dal suo liquidatore: ciò sia per la difficoltà di distinguere, in assenza del bilancio di liquidazione, tra i diritti in cui siano succeduti i soci, ove all’estinzione societaria non sia seguito il venir meno di tutti i rapporti giuridici facenti capo all’ente estinto, e quelli destinati all’estinzione; sia, soprattutto, perchè l’instaurazione e la prosecuzione di quel giudizio da parte del liquidatore non consentono di ritenere che la società avesse rinunciato alla pretesa ivi azionata”)”.
Ebbene, per quel che qui rileva, bisogna fare leva sul suindicato passo della motivazione, ove si evidenzia come, in tali casi, manchi il bilancio di liquidazione.
Ed, allora, come farà il creditore a venire a conoscenza della pendenza del giudizio attivo e, poi, della sentenza ?
A mio modo di vedere, l’art. 492 bis 2° comma c.p.c., allorquando fa riferimento “ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni”, potrebbe consentire al creditore di depositare telematicamente istanza di visibilità ai fascicoli dei giudizi civili in cui è parte la società debitrice (basterebbe impostare il sistema telematico con la semplice ricerca del codice fiscale), onde consentire di avere contezza dello stato di tali giudizi e, se del caso, spiegarvi intervento adesivo dipendente.
Invero, Cassazione civile, sez. I, 20/05/1993, n. 5736 ha statuito che: “L’intervento adesivo dipendente (art. 105, comma 2, c.p.c.) non richiede la titolarità di un diritto nei confronti delle parti originarie del processo, ma è consentito in presenza di un interesse giuridicamente tutelato ad un esito della controversia favorevole alla parte adiuvata. …”.
Ed, in motivazione, leggesi che: “ … Questa Corte che già con le decisioni 887-55, 1855-61, 2656-63 aveva individuato, nell’interesse meritevole di protezione giuridica, la legittimazione dell’intervento adesivo dipendente ha. successivamente, ribadito che l’interventore deve avere interesse a che la decisione “inter partes” non incida, nemmeno indirettamente, nella sua sfera giuridica, privandolo di qualcuna delle possibilità difensive che avrebbe potuto esercitare (cfr. Cass. 515-82; 5321-81; 2489-79; 62-70) e sottolineato, in particolare, (Cass. 4570-88) che non è richiesta la titolarità di un diritto nei confronti delle parti originarie del processo, essendo sufficiente, per tale tipo di intervento, un interesse giuridicamente rilevante ad un esito della controversia favorevole alla parte adiuvata. …”.
Se, quindi, non è richiesta la titolarità di un diritto nei confronti delle parti originarie del processo, a fortiori tale legittimazione all’intervento deve essere riconosciuta al creditore della società parte del giudizio.
Si auspica, quindi, di avere passato in rassegna una serie di rimedi utili alla tutela dei creditori.
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