- Excursus storico in materia di “Accesso”; 2. T.A.R. Emilia Romagna sez. I n. 197/2018: i limiti di applicabilità dell’accesso generalizzato alla materia degli appalti; 3. T.A.R. Puglia sez. III n. 234/2018: le c.d. “istanze massive” e il dialogo cooperativo; 4. T.A.R. Veneto sez. I n. 171/2018: istanze di accesso di carattere “esplorativo”; 5. T.A.R. Lazio sez. Terza quater n. 2994/2018: accesso civico mediante report; 6. Corte Costituzionale n. 20/2019: illegittimità degli obblighi di pubblicazione dei dati patrimoniali dei dirigenti ex art 14 co 1 bis del d.lgs. n. 33/2013
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Excursus storico in materia di “Accesso”
Il d. lgs n.97 del 2016 è stato il punto culminante di un processo evolutivo, iniziato con la legge 7 agosto 1990, n.241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), in virtù del quale si è affermato il principio di trasparenza amministrativa, atto a prevenire i fenomeni corruttivi.
È invalsa, peraltro, la necessità di coniugare l’esigenza di trasparenza con la cura della tutela dei dati personali.
Con la legge 7 agosto 1990, n.241 è stato introdotto il c.d. diritto di accesso agli atti, disciplinato agli artt. 22 e ss., grazie al quale diventano conoscibili gli atti relativi al procedimento, al provvedimento e ai documenti amministrativi; conseguentemente, si è assistito all’eliminazione progressiva dello schermo del segreto amministrativo, al fine di consentire la più ampia conoscenza delle informazioni in possesso della P.A.
Giusta i principi costituzionali sanciti agli artt. 95 e 97 Cost., posti a tutela dell’amministrazione, il diritto di accesso ai documenti, posseduti dalla P.A., è stato introdotto per tutelare gli interessati avverso atti e provvedimenti amministrativi incidenti sulla propria sfera soggettiva.
Il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n.15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni) all’art 11 comma 1 offre una nozione di trasparenza “intesa come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche(…)”; sicché oggetto di tale forma di trasparenza sono le informazioni relative all’organizzazione amministrativa, all’impiego delle risorse pubbliche e, segnatamente, alle retribuzioni dei dirigenti e di coloro che rivestono incarichi di indirizzo politico- amministrativo.
Tale modello viene altresì ripreso nella legge 6 novembre 2012, n.190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione) e la trasparenza diviene principio atto a limitare i fenomeni corruttivi. Precisamente, si è posto il problema di coniugare l’esigenza di trasparenza, sviluppata nell’accessibilità totale, con la tutela di riservatezza delle persone: difatti, ai sensi dell’art 1 comma 15, la pubblicazione delle informazioni deve avvenire nel rispetto della materia di protezione dei dati personali.
Indi, giusta delega contenuta nel comma 35, il Governo ha adottato decreto legislativo 14 marzo 2013 n.33 recante il “Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni per il riordino della disciplina afferente gli obblighi di pubblicità”.
Obiettivo principale di tale normativa è quello di contemperare gli obblighi di pubblicità e di trasparenza dei dati e delle informazioni nonché di tutela, al fine di evitare il contrasto con i principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza.
Giova sottolineare che l’accessibilità totale alle informazioni relative all’organizzazione e all’attività delle pubbliche amministrazioni, collegata alla protezione dei dati personali, mira dunque a favorire il controllo diffuso sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.
L’art 5 del suindicato decreto disciplina due modalità di accesso. Precisamente, al comma primo si delinea la fattispecie del c.d. accesso civico, con cui si sancisce l’obbligo di pubblicità dei dati posseduti dalla P.A. nonché “il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione.
Il secondo comma dell’art 5, invece, prevede il c.d. accesso civico generalizzato, in forza del quale “chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei li limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’articolo 5- bis”.
Orbene, si è sviluppato un modello di trasparenza secondo cui i soggetti interessati accedono alle informazioni attraverso procedure che prevedono la richiesta di accesso e il susseguente accoglimento dell’istanza, da parte dell’amministrazione, oppure il diniego da parte della stessa.
Infine, va precisato che il legislatore, con il d. lgs n. 97 del 2016, ha modificato l’art 1 comma 1 del d.lgs. 33 del 2013: la parte relativa alle “informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni” è stata sostituita con “dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni”.
La novella, peraltro, estende gli scopi perseguiti con il principio di trasparenza, prevedendo altresì la tutela dei diritti dei cittadini e la promozione della partecipazione degli interessati all’attività amministrativa.
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Sulla scorta di quanto stabilito dal suindicato decreto, le pubbliche amministrazioni devono dotarsi, nei propri siti istituzionali, di un’apposita sezione denominata “Amministrazione trasparente” e ivi inserire documenti, informazioni e dati oggetto di obbligo di pubblicazione.
A tale obbligo corrisponde il diritto del quisque de populo di accedere direttamente ai siti, senza previa autenticazione o identificazione alcuna.
Invero, si evidenziano criticità soprattutto con riferimento all’accesso generalizzato ex art 5 d.lgs 33/2013, posto che il rispetto della trasparenza non deve sfociare nell’abuso di diffusione di dati e informazioni.
Tanto premesso, appare opportuno mettere in risalto come la normativa de qua abbia semplificato le disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, obblighi di pubblicazione e trasparenza; oltretutto introducendo l’accesso civico generalizzato sul modello del Freedom of Information Act (Foia).
Tale istituto permette a “chiunque” di accedere ai documenti e ai dati detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, fermi i limiti ex art 5 bis d.lgs n.33/2013.
A tal proposito, l’A.N.AC. ha adottato, ai sensi dell’art 5 co 2 del d.lgs n. 33/2013, le “Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico”.
Così come concepito, quindi, l’accesso alla stregua dei sistemi FOIA, va applicato tenendo conto della tutela dell’interesse a conoscere; conseguentemente, qualora non sia specificato un diverso titolo giuridico della domanda, la stessa dovrebbe intendersi quale richiesta di accesso generalizzato.
Corollario di tale approccio è che le amministrazioni non possono pretendere dal richiedente l’adempimento di formalità o oneri procedurali, ponendoli come condizioni di ammissibilità della domanda di accesso.
Inoltre, per ciascuna domanda di accesso generalizzato, l’amministrazione deve verificare l’esistenza di controinteressati e procedere alla comunicazione della ricezione della domanda per permettere a questi ultimi di opporsi.
Al contrario, non si procede a tale verifica quando la richiesta di accesso civico ha per oggetto dati la cui pubblicazione è prevista dalla legge come obbligatoria.
Infine, va evidenziato che dal punto di vista letterale, l’art 5 bis comma 3 del d.lgs 33/2013 stabilisce l’esclusione del diritto di accesso civico generalizzato, nei casi in cui questo è subordinato dalla disciplina vigente, al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti.
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T.A.R. Emilia Romagna sez. I n 197: i limiti di applicabilità dell’accesso generalizzato alla materia degli appalti
Per quanto concerne il diritto di accesso civico generalizzato, il T.A.R. Emilia Romagna, sez. I si è espresso circa i limiti all’applicabilità di tale accesso alla materia degli appalti.
Nel caso de quo, il Consorzio Parts e services ricorreva contro Asl 102 – Parma nei confronti del Consorzio Automanutentori Parmensi per l’annullamento del diniego di accesso civico generalizzato, richiesto in relazione agli atti concernenti l’affidamento del servizio di manutenzione e riparazione di tutti gli automezzi in dotazione all’Azienda U.SL. di Parma per il periodo dall’ 1.1.2013 al 31.12.2015; nonché per l’accertamento del diritto di accesso e per la condanna dell’amministrazione resistente all’esibizione dei documenti richiesti.
Il Tribunale amministrativo ha ritenuto illegittima la richiesta di accesso generalizzato, di tale operatore del settore – peraltro escluso dalla procedura di gara -, avente ad oggetto gli atti di una gara pubblica e quelli afferenti l’esecuzione del contratto.
A tal proposito, è pacifico ritenere che l’accesso agli atti delle procedure ad evidenza pubblica sia soggetto al rispetto di particolari condizioni e limiti, dovendosi all’uopo tener conto della disciplina contenuta nell’art 53 del d.lgs n.50 del 2016.
Il ricorrente chiedeva l’accertamento dell’illegittimità del diniego espresso alla richiesta di accesso e, pertanto, la condanna della controparte all’esibizione dei documenti relativi all’affidamento del servizio di manutenzione e riparazione degli automezzi appartenenti alla ricorrente.
Precisamente, i documenti riguardavano: la gara già espletata; il contratto stipulato con l’aggiudicataria e i documenti attestanti i singoli interventi, i preventivi dettagliati degli stessi, l’accettazione dei preventivi, i collaudi ed i pagamenti “con la relativa documentazione fiscale dettagliata”.
Il T.A.R. ha evidenziato che la richiesta di accesso del ricorrente non rientrava nel diritto di accesso civico “generalizzato” ai documenti, dati e informazioni non soggetti ad obbligo di pubblicazione (ai sensi dell’art. 5, comma 2 e ss. del D. Lgs. 33/2013), rappresentando che tale “documentazione (…), da un lato, subisce un forte e penetrante controllo pubblicistico da parte di soggetti istituzionalmente preposti alla specifica vigilanza di settore (ANAC) e, dall’altro, coinvolge interessi privati di natura economica e imprenditoriale di per sé sensibili (e quindi astrattamente riconducibili alla causa di esclusione di cui al comma 2 lett c), dell’art 5- bis del d.lgs. 33/2013”.
Inoltre soggiungeva che tali interessi, dopo l’aggiudicazione, fossero assimilabili a veri e propri diritti soggettivi.
Assumeva, altresì, il T.A.R., che tali atti, dati e informazioni andassero ricompresi nel concetto più generale di “atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici” di cui al comma 1, dell’art. 53 del d.lgs. n. 50/2016 che disciplina l’accesso agli atti afferenti alle procedure ad evidenza pubblica, finalizzate alla stipulazione di appalti o concessioni di servizi.
In particolare, l’art. 53 del Codice dei contratti pubblici riconduce la disciplina applicabile per tutti i documenti di gara e di esecuzione del contratto, richiesti dal ricorrente, nell’alveo di quella ordinaria in materia di accesso, salve le eccezioni contenute nello stesso testo normativo di riferimento.
Pertanto, si restringe il campo di applicazione del diritto di accesso agli atti, richiesti dal ricorrente, alle norme sul diritto di accesso ordinario di cui agli artt 22 ss L. n 241/1990.
Difatti, il primo comma dispone perentoriamente che:” (…) il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241”.
Il legislatore, dunque, vuole evitare che vi sia un accesso indiscriminato alla documentazione di gara e post- gara da parte di soggetti non qualificati.
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T.A.R. Puglia sez. III n. 234/2018: le c.d. “istanze massive” e il dialogo cooperativo
Il T.A.R. Puglia sez. III, con la sentenza n. 234, si è espresso sul diniego di accesso generalizzato, con precipuo riferimento al caso delle istanze massive.
Nella fattispecie, con la prima istanza era richiesta l’ostensione delle copie dei bilanci societari degli ultimi cinque anni; dei verbali del Consiglio di Amministrazione riguardanti gli incarichi assegnati; delle fatture di acquisti e vendite degli ultimi 5 anni con stampe di registri Iva acquisti, vendite, libro giornale, partitari, cedolini paga; dei contratti di lavoro del personale e dei collaboratori e dei contratti con le Agenzie interinali.
La successiva istanza, invece, era proposta a integrazione della prima.
Il T.A.R. ha evidenziato che l’istanza di accesso civico generalizzato, presentata dal ricorrente, non era generica, potendosi agevolmente identificare i dati, le informazioni o i documenti; tuttavia, essa afferiva a un numero massiccio di documenti.
Conseguentemente, il diniego opposto con riferimento alla tutela del buon andamento della P.A. non risultava infondato.
Oltretutto, il Collegio ha sottolineato la mancata attuazione del dialogo endoprocedimentale, necessario nell’azione amministrativa.
I Giudici, peraltro, hanno messo in evidenzia la differenza tra accesso civico semplice e generalizzato: il primo tipo comporterebbe il diritto di chiunque di richiedere dati , informazioni e documenti, di cui la P.A. ha omesso la pubblicazione; al contrario, l’accesso civico generalizzato consente di accedere ai dati ulteriori a quelli oggetto di pubblicazione, allo scopo di favorirne forme diffuse di controllo sul perseguimento di funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche; nonché di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico.
Ad ogni modo, dalla deliberazione ANAC n.1309 del 28 dicembre 2016 “Linee Guida recanti indicazioni operative della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art 5 co.2 del d.ls n.22 del 2013”, si rileva che non è ammissibile una richiesta meramente esplorativa e le istanze non devono essere generiche ma puntuali, almeno per quanto concerne la natura e l’oggetto.
Conseguentemente, nel caso di domanda per un numero irragionevole di documenti, tale da imporre un carico di lavoro paralizzante per la P.A., quest’ultima bilancia l’interesse all’accesso pubblico e il carico di lavoro che ne deriverebbe, al fine di salvaguardare il buon andamento, costituzionalmente garantito.
A tal proposito, la Circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 2/2017 al punto d) mette in risalto che in caso di “istanza massive” di dati, informazioni e documenti, “l’amministrazione, prima di decidere sulla domanda, dovrebbe contattare il richiedente e assisterlo nel tentativo di ridefinire l’oggetto della richiesta entro limiti compatibili con i principi di buon andamento e di proporzionalità”.
Tale circolare è finalizzata a promuovere la disciplina sull’accesso civico generalizzato; nonché è utile per il coordinamento delle iniziative di riordino della P.A. e dell’organizzazione dei relativi servizi.
Orbene, per quanto concerne il principio del dialogo cooperativo con i richiedenti, esso deve ritenersi un valore immanente alle previsioni della legge istitutiva del FOIA e della finalità di condivisione, con la collettività, delle informazioni in possesso della P.A.
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T.A.R. Veneto sez. I n. 171/2018: istanze di accesso di carattere “esplorativo”
Il T.A.R. Veneto sez. I, con sentenza n. 171/2018, si è pronunciato sotto il profilo della genericità e del carattere esplorativo delle richieste.
Nel caso di specie, il Collegio ha respinto il ricorso di un docente, il quale aveva promosso azione di accesso civico generalizzato a una serie di atti non meglio precisati negli estremi (ordini del giorno, verbali, delibere di vari organi collegiali ecc.), lamentando l’illegittima mancata pubblicazione degli stessi nella sezione “Amministrazione Trasparente “del sito dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia.
L’Amministrazione negava l’accesso, rilevando l’assenza di norme nel d.lgs 33/2013 e affini che prevedessero l’obbligo di pubblicazione di tali atti.
Il T.A.R., dunque, nel rigettare il ricorso, evidenziava che gli atti oggetto di richiesta di accesso non erano soggetti a pubblicazione e non rispondevano alle determinazioni indicate dal d.lgs n. 33 /2013; inoltre, sottolineava la differente ratio tra l’accesso civico ex art 5 e l’accesso agli atti di cui alla L 241/1990.
Indi precisava che: “l’accesso civico non può essere utilizzato per superare, in particolare in materia di interessi personali e dei principi della riservatezza, i limiti imposti dalla legge 241 del 1990”.
Tanto premesso, è pacifico ritenere che l’accesso civico risponda all’esigenza di garantire l’accessibilità dei dati e documenti delle P.A., per tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire il controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’uso delle risorse pubbliche; viceversa, l’accesso agli atti disciplinato dalla L 241/1990 è disposto per coloro che abbiano un interesse personale e diretto alla conoscenza degli atti in possesso di una P.A., al fine di tutelare la propria posizione soggettiva: tali atti, infatti, riguardano l’istruttoria procedimentale, i provvedimenti conclusivi della stessa, la cui conoscenza può essere utile per l’interessato, il quale deve peraltro motivare la propria richiesta.
A tal proposito, l’art 24 L 241/1990 prevede i casi di esclusione a tale accesso, tra cui vi è la tutela della riservatezza.
Nel caso oggetto di disamina, quindi, il Collegio rigettava il ricorso perché generico e avente carattere esplorativo, tenuto conto che la domanda non può estendersi agi atti per i quali non vi è obbligo di pubblicazione e che non rispondono alle determinazioni indicate dal d. lgs n.33 del 2013.
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T.A.R. Lazio sez. Terza quater n. 2994/2018: accesso civico mediante report
Il T.A.R. Lazio rigettava il ricorso contro il diniego di accesso ex art 5 comma 2 d. lgs 33/2013.
Il ricorrente aveva presentato istanza di accesso al fine di ottenere dati e documenti relativi all’importazione di latte e prodotti lattiero caseari da Paesi non facenti parte dell’UE ovvero oggetto di scambio intracomunitario, anche con l’accesso alla banca dati Uvac e Usmaf, eventualmente con oscuramento dei soli dati identificativi degli operatori stranieri; nonché per ottenere dati relativi alle operazioni afferenti al latte e ai prodotti lattiero caseari, realizzate dagli operatori del settore alimentare, con eventuale oscuramento degli operatori stranieri , richiedendo l’accesso alla banca dati del Ministero.
La Direzione Generale della Sanità animale e dei farmaci veterinari contestava la genericità dell’istanza, la mancata individuazione dei controinteressati e concludeva per l’ostensione di un report riassuntivo di tutte le informazioni in cui i nomi delle ditte fossero oscurati; con la seconda risposta, rappresentava che gli Usmaf sasn non erano coinvolte nei controlli sanitari del latte e dei prodotti lattiero caseari: esse effettuavano controlli sanitari sulle importazioni, da Paesi terzi, di alimenti di origine non animale e di materiali destinati a venire in contatto con alimenti.
Tanto premesso, il ricorrente riteneva che rifiutare l’accesso equivalesse ad affermare un diritto delle imprese a nascondere ai consumatori la provenienza dei prodotti.
Il T.A.R. riteneva irragionevoli le richieste ostensive, sulla scorta della differenziazione operata dalle Linee Guida ANAC tra accesso generalizzato e accesso civico, posto che l’accesso civico è circoscritto ai soli atti e documenti oggetto di pubblicazione ed è rimedio alla mancata osservanza degli obblighi di legge.
Quanto al rilievo relativo alla mancata tutela dei consumatori, il T.A.R. smentiva tale circostanza, riferendo che il D.M. 9 dicembre 2016 “Indicazione dell’origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattiero caseari, in attuazione del regolamento Ue 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori” elenca i casi di etichettatura obbligatori.
Orbene, è possibile individuare composizione, ingredienti e altri componenti, provenienza, sia come Paese comunitario sia extracomunitario, riferiti sia al momento della mungitura sia alla lavorazione.
Quanto alla conoscenza dei soggetti importatori di tali prodotti in Italia, il T.A.R. sottolineava che nessuna delle risposte offerte dall’amministrazione si poneva come diniego, tenuto conto della clausola finale, presente in entrambe le risposte della Direzione Generale della Sanità animale e dei farmaci veterinari, con cui si concedeva l’accesso civico mediante report di dati aggregati per Paese estero di spedizione e per provincia di destinazione in Italia.
Conseguentemente, anche se non vi sono riferimenti puntuali afferenti alle ditte individuali, come richiesto dal ricorrente, tuttavia è possibile circoscrivere la ricerca delle imprese per la tutela dei principi di eticità, con riguardo alla sicurezza alimentare, al diritto all’informazione e alla scelta consapevole del consumatore.
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Corte Costituzionale n. 20/2019: illegittimità degli obblighi di pubblicazione dei dati patrimoniali dei dirigenti ex art 14 co 1 bis del d.lgs. n 33/2013
La Corte costituzionale, con la recente sentenza n. 20/2019, si è pronunciata sugli obblighi di pubblicazione dei dati patrimoniali dei dirigenti, al fine di porre un freno all’obbligo di diffondere, in maniera indiscriminata, dati riferiti alla situazione economica.
Nella fattispecie, alcuni dirigenti del Garante per la protezione dei dati personali impugnavano innanzi al Tar Lazio alcuni provvedimenti con cui gli stessi erano invitati a comunicare i dati di cui all’art. 14 co. 1 lett. c e f del d.lgs 33/2013.
Dunque, i ricorrenti lamentavano “ il carattere limitativo della riservatezza individuale di un trattamento che non troverebbe rispondenza in alcun altro ordinamento nazionale e che si porrebbe n contrasto con il principio di proporzionalità di derivazione europea, poiché fondato sull’erronea assimilazione di condizioni non equiparabili fra loro ( dirigenti delle amministrazioni pubbliche e degli altri soggetti cui il decreto si applica e titolari di incarichi politici), prescindendo dall’effettivo rischio corruttivo insito nella funzione svolta”.
Di conseguenza, chiedevano l’annullamento degli atti, previa disapplicazione dell’art. 14 co. 1 bis ovvero, che fosse sollevata questione pregiudiziale dell’art 14 co. 1 bis in combinato disposto con il co.1 lett. c) e f) innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea o avanti alla Corte Costituzionale.
Andando a ritroso, quindi, con ordinanza collegiale n. 9828 del 19 settembre 2017, il T.A.R. Lazio aveva rimesso gli atti alla Corte Costituzionale, dichiarando rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art 14 co 1 bis del d.lgs 33/2013 nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblichino i dati di cui all’art 14 co 1 lett. c) e f) anche per i titolari di incarichi dirigenziali.
A tal proposito, il tribunale amministrativo adduceva il contrasto con gli artt. 117 co 1,3 ,2 e 13 Cost.
Il TAR, inoltre, con sentenza n. 84 del 5 gennaio 2018, si pronunciava nuovamente sulla questione relativa agli obblighi di pubblicazione dei dirigenti, sollecitato dal Garante per la protezione dei dati personali e sancendo la preclusione della pubblicazione anche del dato di cui al comma 1 ter dell’art 14 d.lgs n. 33/13.
Preliminarmente, occorre sottolineare che è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’art 14 nella parte in cui prevede che i titolari di incarichi dirigenziali, conferiti a qualsiasi titolo, ivi compresi quelli discrezionalmente attribuiti senza procedure pubbliche di selezione, debbano pubblicare la loro situazione patrimoniale.
Assume la Consulta che tale obbligo sia legittimo solo qualora riferito ad alcune categorie dirigenziali apicali, quali i Segretari generali o i direttori generali, in virtù dei ruoli svolti.
Talché l’obbligo di pubblicare i dati riferiti alla situazione patrimoniale di una pletora di soggetti si pone in contrasto con la disciplina prevista a tutela dei dati personali. Tale circostanza, peraltro, non si confà alla ratio della normativa prevista dal d.lgs n. 33/13, che ha come fine ultimo quello di far sì che la trasparenza sia volta alla prevenzione della corruzione.
Ciò posto, si rammenta che il regime di pubblicità contestato è quello che inizialmente era previsto solo per i componenti degli organi di indirizzo politico, ma che era stato esteso anche ai titolari di incarichi di amministrazione, di direzione e di governo e ai titolari di incarichi dirigenziali.
Per quanto concerne i titolari di incarichi politici, osserva la Corte che la ratio di tali obblighi:” si rinviene nell’esigenza di consentire ai cittadini di verificare se i componenti degli organi di rappresentanza politica e di governo a partire dal momento dell’assunzione della carica, beneficino di incrementi reddituali e patrimoniali, anche per il tramite del coniuge e dei parenti stretti”.
In sintesi, con la sentenza n. 20, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità del suindicato articolo; l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art 14 co. 1 ter per difetto di rilevanza; l’infondatezza della legittimità costituzionale dell’art 14 co 1 bis nella parte in cui fa riferimento alla pubblicazione dei dati ex art 14 co 1 lett c).
Quanto all’illegittimità e, dunque, all’ammissibilità di tale questione, la Corte ha fatto riferimento ai principi fondamentali europei e costituzionali, operando un bilanciamento tra i diritto di riservatezza che, seppur non espressamente previsto dalla Costituzione, trova addentellato negli artt. 2,14 e 15 Cost..
Tale diritto trova maggiore necessità di tutela nel mondo odierno informatizzato.
A tal proposito, infatti, la Consulta ha messo in risalto che: “(…) da un lato, i diritti personali possono essere posti in pericolo dalla indiscriminata circolazione delle informazioni e, dall’altro, proprio la più ampia circolazione dei dati può meglio consentire a ciascuno di informarsi e comunicare”.
Con la pronuncia de qua, la Corte ha rimarcato il necessario bilanciamento tra la trasparenza amministrativa, vista come diritto di conoscere, e la tutela della propria sfera di riservatezza.
Ciò posto, quindi, è possibile affermare che la pubblicazione dei dati patrimoniali della generalità dei dirigenti non amplia la sfera conoscitiva del cittadino, con riguardo all’attività amministrativa e, segnatamente, all’organizzazione, all’attività e alla spesa pubblica.
Va altresì evidenziata la necessità di dare concreta attuazione ai principi di proporzionalità e di pertinenza e non eccedenza, nonché di pubblicità e trasparenza dei dati e delle informazioni in possesso delle P.A. .
Tali esigenze di contemperamento sono complesse da realizzare soprattutto con riguardo alle istanze di accesso civico generalizzato.
Assume la Corte Costituzionale che per effettuare tali valutazioni, sia opportuno utilizzare un test di proporzionalità, al fine di valutare se:“la norma oggetto di scrutinio (…) sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva de diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi”.
Attraverso il test di proporzionalità, si è voluto verificare anche se le modalità tecniche di pubblicazione, relative all’indicizzazione delle dichiarazioni patrimoniali, siano in linea con l’art 5 del GDPR n. 2016/679/UE: tale norma prevede espressamente il rispetto dei principi di proporzionalità, pertinenza, non eccedenza e minimizzazione, i quali devono governare la riservatezza.
La scelta di indicizzare i dati presenti nella sezione “Amministrazione trasparente”, ex art 9 del d.lgs n. 33/2013, pone un problema di tutela dei dati personali e del rispetto dei principi in materia di trattamento.
In definitiva, giova evidenziare che la pubblicazione della situazione patrimoniale dei dirigenti pubblici, non può essere vista come garanzia di maggiore trasparenza, atteso che l’amministrazione è a conoscenza degli incarichi e del reclutamento degli stessi.
La Corte, dunque, ha voluto evidenziare come per alcuni soggetti di vertice dell’amministrazione, sia per il rapporto fiduciario che li lega all’organo politico, sia per i poteri attribuiti, è giusta la sottoposizione a un regime di trasparenza più ampio. Difatti, essa ha individuato i livelli dirigenziali che si ritengono interessati all’obbligo di pubblicazione ex art 14 co 1 lett f): precisamente, i Segretari generali e i titolari di incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali, come risulta dall’art 19 co 3 del d.lg. 165/2001. Il comma 4, invece, menziona coloro che svolgono funzione dirigenziale di livello generale.
Infine, la Consulta afferma nella sentenza de qua quanto segue: “L’attribuzione a tali dirigenti di compiti – propositivi, organizzativi, di gestione (di risorse umane e strumentali) e di spesa- di elevatissimo rilievo rende non irragionevole, allo stato, il mantenimento in capo ad essi proprio degli obblighi di trasparenza di cui si discute”.
Da ultimo, è stata dichiarata l’inammissibilità, per difetto di rilevanza, del rilievo di illegittimità riguardante l’art 14 comma 1 ter, nella parte in cui impone l’obbligo di pubblicazione degli “emolumenti complessivi” percepiti dai dirigenti a carico della finanza pubblica, posto che i provvedimenti impugnati nel giudizio principale non sono stati adottati in applicazione di tale disposizione.
Note bibliografiche
- Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art 5 co. 2 del d.lgs 33/2013
- Circolare n.2/ 2017 Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato
- “Manuale di diritto amministrativo” di F. Caringella
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