A che punto è l’applicazione del nuovo art.18 dello Statuto dei lavoratori

Scarica PDF Stampa
Ci proponiamo ,con questo breve saggio, di fare il punto sull’applicazione del nuovo art. 18 dello Statuto dei lavoratori ( oggi denominato Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo)

sotto due aspetti (a) quello della interpretazione dell’enunciato più controverso della nuova norma, ossia della “insussistenza del fatto” , ma anche (b) sotto il profilo dell’applicazione effettiva dello stesso nuovo  art. 18.

Aspetto della interpretazione della norma

E’ noto che l’introduzione di questa nuova categoria dell’ “insussistenza del fatto” e della “manifesta insussistenza del fatto” ha dato luogo a diverse interpretazioni vuoi da parte della dottrina vuoi da parte della giurisprudenza.

Senza volersi addentrare nei meandri di  un  dibattito che talora è stato influenzato anche  da ragioni ideologiche,vogliamo seguire de plano le linee indicate dalla Suprema Corte.

Dobbiamo ovviamente ,in primis,tenere distinto  il modello introdotto dalla legge n.92 del 2012 dal modello disegnato dal decreto legislativo n.23 del 2015.

Modello introdotto dalla legge n.92/2012.

Quanto al primo modello ,dobbiamo tenere presente  che ci troviamo di fronte ad una fattispecie di licenziamento illegittimo che dovrà essere inquadrato dal giudicante alla luce della normativa prevista.

Dall’analisi delle varie situazioni che si possono verificare si potrebbe delineare una scala di comportamenti addebitati dal datore al lavoratore per giustificare il recesso  o per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa.

(1) Fatto (comportamento) che costituisce una mancanza priva del carattere di illiceità,di per sé stessa o per l’esistenza di esimenti/discriminanti che ne elidono l’antigiuridicità: esso viene a configurare l’insussistenza del fatto.La mancata contestazione dell’addebito comporterebbe anch’esso l’insussistenza del fatto.

Si richiamano:

  • Cassazione 10/07/2015, n. 14489,  Pres.Stile,Rel.De Marinis:<inconfigurabilità nella specie di un effettivo rifiuto della prestazione e dunque,dell’insussistenza del fatto/ insubordinazione oggetto della contestazione.>
  • Cassazione 13/10/2015, n.20540, Pres.Roselli;Rel Roselli:< la lettera di contestazione dell’illecito disciplinare del 7 novembre 2011, era basata su quattro punti: 1) la doglianza, formulata dalla Jacob presso il superiore diretto dell’amministratore delegato della società, di generici comportamenti scorretti di quest’ultimo, definito come “paranoico” e privo di “legame con la realtà”, nonché l’imputazione allo stesso superiore di non correttezza e non rispetto dei valori aziendali e morali; 2) la mancata risposta al direttore finanziario , che la sollecitava ad esaminare la sua posizione, e la pretesa di discutere direttamente con l’amministratore delegato; 3) la segnalazione ad un dirigente della società dell’intenzione dell’amministratore delegato di passare alle dipendenze di altra società, fatto appreso mediante accesso diretto e non autorizzato alle informazioni personali del medesimo, 4) il rifiuto di restituzione del telefono portatile aziendale>.La Cassazione concludeva<quanto alla tutela reintegratoria, non è plausibile che il Legislatore, parlando di “insussistenza del fatto contestato”, abbia voluto negarla nel caso di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, ossia non suscettibile di alcuna sanzione.>
  • Cassazione 01/09/2015,n. 17987, Pres.Roselli;Rel.Roselli: patto di prova nullo.
  • Cassazione 220/09/2016, n.18418, Pres. Bronzini;Rel Balestrieri :< il secondo motivo è per altro verso infondato, dovendosi chiarire che la sentenza impugnata risulta in linea con quanto recentemente affermato da questa Corte in materia (Cass. 13.10.2015 n. 20540), e cioè che l’insussistenza del fatto contestato, di cui all’art. 18 st.lav., come modificato dall’art. 1, comma 42, della l. n. 92 del 2012, comprende l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, sicché in tale ipotesi si applica la tutela reintegratoria, senza che rilevi la diversa questione della proporzionalità tra sanzione espulsiva e fatto di modesta illiceità.…………… In altre parole la completa irrilevanza giuridica del fatto (pur accertato) equivale alla sua insussistenza materiale e dà perciò luogo alla reintegrazione ai sensi dell’art.18, quarto comma, cit..In sostanza l’assenza di illiceità di un fatto materiale pur sussistente, deve  essere ricondotto all’ipotesi, che prevede la reintegra nel posto di lavoro, dell’insussistenza del fatto contestato, mentre la minore o maggiore gravità (o lievità) del fatto contestato e ritenuto sussistente, implicando un giudizio di proporzionalità, non consente l’applicazione della tutela cd. reale.>

Se volessimo , da parte nostra ,trovare un minimo comune denominatore a questi   fatti “ privi di illiceità”  potremmo definirli  come ”fatti che non incidono sulla esatta esecuzione della prestazione” ( art.1218 c.c.)

[A tale fatto si applica  il comma 4 dell’art.18 ,c.d. tutela reintegratoria attenuata]

(2) Fatto (comportamento) che dà luogo a sanzioni conservative: un fatto che presenta i caratteri dell’illiceità ma di una gravità tale da non giustificare l’espulsione del lavoratore dall’azienda;tali fatti sono spesso tipizzati dai contratti collettivi o dai regolamenti aziendali o equivalenti secondo la valutazione del giudice.

[ A tale fatto, ove posto a base di un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo,, si applica il comma 4 dell’art.18, c.d. tutela reintegratoria attenuata]

 

(3) Fatto (comportamento) che rientra in un’area di inadempimenti che non possono considerarsi “gravi” e/o “notevoli”  sì da giustificare una espulsione del lavoratore  ma rappresentano infrazioni di maggior gravità rispetto a quelle mancanze che hanno come conseguenza le c.d. sanzioni conservative. Un orientamento giurisprudenziale ravvisa in questi fatti quegli inadempimenti di non scarsa importanza previsti dall’art.1455 c.c..rapportandosi , come parametro di riferimento per valutarne la gravità, appunto alle ipotesi in cui può essere applicata la sanzione disciplinare conservativa.(1)

[ A tale fatto si applica il comma 5 dell’art. 18 , c.d. tutela indennitaria forte ]

(4) Fatti che costituiscono grave e/o notevole inadempimento sì da configurare o un giustificato motivo soggettivo o una giusta causa di licenziamento che danno luogo a licenziamenti legittimi; spesso i contratti collettivi ne forniscono un elenco che peraltro non può considerarsi esaustivo.

Classificare la fattispecie di una controversia in una o nell’altra categoria è demandato al giudice che si pronuncia  con giudizio squisitamente  di merito ,che  è  insindacabile in sede di legittimità,se adeguatamente argomentato e privo di vizi logico-giuridici.

Occorrerà tuttavia che il giudice nel formulare il suo giudizio tenga conto, applicando il c.d. metodo interpretativo teleologico, che  l’obiettivo che il legislatore si è posto  nel caso è quello di considerare i casi di reintegrazione  quali casi marginali.

Può aiutare un esempio. Ove il datore contesti una grave insubordinazione ai superiori, per la quale è previsto il licenziamento senza preavviso dal c.c.n.l., e proceda ,dopo avere esperito la procedura prevista, al licenziamento del lavoratore e in sede giudiziale il giudice non ravvisi il fatto contestato, si pone il problema se applicare il quarto  o il quinto comma. La lettera  della legge può far sorgere dubbi non di poco conto.Si potrebbe trovare una soluzione ove si considerasse che nel caso del comma 5 si tratta della insussistenza di “quel fatto specifico” ( la grave insubordinazione), nel caso del comma 4 della “insussistenza del fatto generico”. A tal fine il giudicante  si troverà di fronte a delle alternative : (a) nel caso che si tratti di lieve insubordinazione- cui il contratto collettivo collega sanzioni conservative- dovrà  applicare il comma 4; (b)  un fatto diverso ma rilevante per la sua non scarsa importanza  sotto il profilo dell’inadempimento, dovrà applicare il comma 5 (c) un fatto privo di illiceità per la sua irrilevanza  ,dovrà applicare ancora il comma 4 ( insussistenza del fatto generico).

Passando a trattare la “manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo”  prevista dal comma 7 dell’art.18 ,a quel che ci risulta, si contrappongono due posizioni: (A) quella che interpreta il termine “manifesta insussistenza” come quella insussistenza del fatto che appare a prima vista (ictu oculi) ,alla quale ci pare aderire la Corte  Suprema.:vedi Cassazione 19 gennaio 2018 , n. 1373,Pres Di Cerbo,Rel. Amendola ( 2 ); (B) quella che intende manifesta come totale infondatezza,accertata dopo accurata istruttoria (3).

Modello introdotto dal decreto legislativo  n.23 2015

Diverso appare il modello introdotto dal decreto legislativo n.23/2015, c.d.contratto di lavoro  a tutele crescenti, applicabile ai lavoratori  assunti  dal il 7 marzo 2015.

In esso la reintegrazione nel posto di lavoro è prevista dall’art.3 comma 2 :” Esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’  indennita’ risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione.”

E’ esclusa quindi ogni forma di reintegrazione per insussistenza del fatto nelle ipotesi di giustificato motivo oggettivo.

L’interpretazione comunque del comma 2 predetto non si è dimostrata agevole.

Come si ricorderà si era aperto un dibattito se il termine insussistenza del fatto attenesse al “fatto materiale” o al “fatto giuridico” . Sembrava prevalere nella vigenza della legge n.92/2012  la tesi che si trattasse del “fatto giuridico” tesi che ci pare confermata dalle su riportate sentenze della Cassazione che fanno perno sulla “illiceità, che è concetto senz’altro giuridico.

La nuova norma sembra riaprire il dibattito. La dottrina sembra propendere per la tesi della prevalenza della insussistenza materiale (4), salvo poi meglio precisarne il significato.La suprema Corte non si è ancora pronunciata. Le sentenze di merito prendono posizioni diverse.

spetto della applicazione effettiva della norma

Sul punto dell’applicazione effettiva della norma rimandiamo a un interessante articolo apparso sul quotidiano La repubblica del 9 febbraio 2018 a firma Mario Patucchi.

Questo articolo ci mostra un quadro in cui le spinte per un ritorno al “vecchio” articolo 18 sono significative.A questo quadro appartengono contratti collettivi aziendali e  contratti individuali . Nel primo caso si tratta di una serie di aziende private e pubbliche che,disattendendo le direttive confindustriali, optano per un ritorno alla vecchia normativa, creando,a parer nostro, un clima aziendale migliore attraverso una più alta motivazione dei dipendenti.

L’articolo citato sottolinea che “sta di fatto che il contratto integrativo di Acea riapre il fronte dei sabotaggi della riforma renziana del lavoro , che negli ultimi due armi ha prodotto una sequela di intese “in deroga” tra sindacato e imprenditori. Almeno un centinaio. E in alcuni casi con l’avallo delle stesse organizzazioni territoriali di Confindustria.” . Aggiunge ,poi che “accordi integrativi che smontano il Jobs Act li abbiano siglati pure aziende metalmeccaniche di primo piano come le emiliane Lamborghini e la Ducati”.

Nel caso di accordi individuali la clausola dell’applicabilità del “vecchio” art.18 rappresenta un benefit concesso a lavoratori di elevata professionalità che l’azienda vuole accaparrarsi.

NOTE

(1) v. Tribunale di Bologna ,ord, 24 luglio 2013 ,Giud.Benassi

(2) Cass.  19 gennaio 2018 n.1373 < poiché il giudice “può” attribuire la cd. tutela reintegratoria attenuata, tra tutte le “ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi” del giustificato motivo oggettivo, esclusivamente nel caso in cui il “fatto posto a base del licenziamento” non solo non sussista, ma anche a condizione che detta “insussistenza” sia “manifesta”, non pare dubitabile che l’intenzione del legislatore, pur tradottasi in un incerto testo normativo, sia quella di riservare il ripristino del rapporto di lavoro ad ipotesi residuali che fungono da eccezione alla regola della tutela indennitaria in materia di licenziamento individuale per motivi economici.

Ciò detto nella specie non è in dubbio l’esistenza, al momento del licenziamento, dell’interdittiva prefettizia, afferente anche la posizione del lavoratore in controversia, potenzialmente idonea ad incidere sul regolare funzionamento dell’organizzazione del lavoro dell’impresa datrice ai sensi dell’art. 3 della l. n. 604 del 1966>. Di particolare interesse inoltre Cass.8 luglio 2016 n.14021 :< Poiché il giudice “può” attribuire la cd. tutela reintegratoria attenuata tra tutte le “ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi” del giustificato motivo oggettivo esclusivamente nel caso in cui il “fatto posto a base dei licenziamento” non solo non sussista, ma anche a condizione che detta “insussistenza” sia “manifesta”, non pare dubitabile che l’intenzione del legislatore, pur tradottasi in un incerto testo normativo, sia quella dì riservare il ripristino del rapporto di lavoro ad ipotesi residuali che fungono da eccezione alla regola della tutela indennitaria in materia di licenziamento individuale per motivi economici.Ciò posto il Collegio reputa che nella specie la Corte di Appello abbia erroneamente sussunto la fattispecie concreta di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ritenuto illegittimo per violazione dei criteri di correttezza e buona fede nella scelta del lavoratore, nell’alveo delle ipotesi residuali che per legge possono dare ingresso alla tutela reintegratoria.Infatti in tal caso non possono dirsi manifestamente insussistenti le “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione dei lavoro e al regolare funzionamento di essa”, di cui all’art. 3 della L. n. 604 del 1966, che hanno determinato la società a ridurre il personale sopprimendo un posto di lavoro tra gli autisti; anzi, posta come effettiva tale esigenza, poiché tuttavia essa riguardava posizioni lavorative omogenee e fungibili, la società non ha rispettato, nell’individuazione del ricorrente tra gli altri, il canone che le era imposto dall’art. 1175 c.c., per cui tale ipotesi è riconducibile non a quella peculiare che postula un connotato di particolare evidenza nell’insussistenza del fatto posto a fondamento del recesso, bensì a quella di portata generale per la quale è sufficiente che “non ricorrano gli estremi del predetto giustificato motivo” oggettivo”>.

(3) su questa posizione vedi Tribunale di Genova 1 gennaio 2018, n.1 Giudice Basilico  [ inedita]< Ad oggi manca ancora un indirizzo giurisprudenziale consolidato nell’interpretazione della terminologia legislativa, che si presta almeno ad una duplice lettura: da un lato, l’aggettivo “manifesta” potrebbe qualificare il fatto storico complessivamente addotto a ragione del licenziamento; in via alternativa esso potrebbe connotare il livello della prova raggiunta (o, meglio, mancante). In base a questa …. tesi, diritto alla reintegra nel posto di lavoro potrebbe darsi solo quando l’inesistenza del motivo oggettivo sia d’immediata percezione, tanto da apparire evidente.

E’ una soluzione che non convince. Il contesto storico ed il tenore della riforma rendono palese l’intento del legislatore di ridurre le ipotesi di annullamento del licenziamento a casi estremi, nei quali, come ha sintetizzato un autorevole commentatore, il datore di lavoro abbia “torto marcio”. Ma il torto può emergere anche dopo lunga ed articolata attività processuale. poiché non sempre l’inesistenza dei fatti addotti come ragioni aziendali di carattere tecnico, organizzativo o produttivo è ictu oculi evidente. Può darsi anzi l’eventualità che occorra un’indagine lunga e complicata per giungere ad accertare una radicale inesistenza delle ragioni datoriali> E quindi < E’ perciò più corretto ritenere che la carenza del motivo oggettivo sia manifesta quando la sua infondatezza risulti totale: o perché nessuna delle componenti essenziali della fattspecie ….. venga provata o perché la ragione oggettiva addotta si collochi al limite della pretestuosità.>

 

(4) Vedi in  Pessi e altri  JOBS ACT  E LICENZIAMENTO ,Giappichelli,2015,.Pisani , pag. 31  La nuova norma del decreto per la reintegra in relazione al licenziamento disciplinare ingiustificato: a) l’insussistenza del fatto materiale e l’esclusione della valutazione sulla proporzionalità della sanzione. Coerenza con il criterio di specificità della legge delega:

<Così chiariti i termini della questione in relazione alla norma contenuta nel comma 4 dell’art. 18 Stat. lav., si comprende meglio il (o la ragione del) tenore letterale della prima frase del comrna 2 dell’art. 3 del decreto in esame.È evidente, infatti, che il legislatore delegato, per sgombrare definitivamente il campo da quelle interpretazioni non rispettose del testo e della ratio del comma 4, ha in pratica recepito e cristallizzato in norma l’interpretazione del comma 4 dell’art. 18 Stat. lav. fornita dalla sentenza della Cassazione n. 23669/2014, sopra esaminata, specificando che il fatto insussistente deve essere quello “materiale”; e come se non bastasse, proprio per chi “non ci vuli sentire”, ha ulteriormente chiarito che “resta estranea ogni valutazione circa la proporzionalità del licenziamento”. Non si poteva essere più chiari di così.> e ancora <In senso positivo, non c’è dubbio che la norma contribuisca alla certezza del diritto, facendo definitiva chiarezza (ammesso che ce ne fosse stato bisogno) sull’esclusione della reintegrazione per ingiustificatezza del licenziamento dovuta ad un fatto esistente ma sproporzionato, che non raggiunga, cioè, la soglia del notevole inadempimento, che dà sempre e solo diritto all’indennità.

In senso negativo, perché permangono, accentuate, le incongruenze segnalate nel § 4, conseguenti nell’aver perseverato nel riferimento al “fatto” che deve essere insussistente, anziché all’inadempimento”. Con l’aggravante che l’interpretazione correttiva ivi proposta, di intendere “fatto” come “fatto-inadempimento”, qui diventa più ardua perché maggiormente manipolativa del tenore letterale della norma, avendo il legislatore “rincarato la dose”, specificando che si deve trattare proprio del fatto “materiale”, cioè naturalisticamente inteso.>

Avv. Viceconte Massimo

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento