Alla eventuale anomalia delle offerte non è consentito porre riparo mediante l’interpretazione creativa della Commissione di gara, perché in tal modo si perviene inevitabilmente all’aggiudicazione secondo criteri non preventivamente conosciuti dalle concorrenti : lo strumento della verifica dell’anomalia, se impiegato con il dovuto scrupolo, consente di escludere dalla gara le offerte insufficienti, indipendentemente dall’entità del ribasso; l’elemento della colpa emerge nettamente dalla singolare atipicità della scelta della Commissione, che ha proceduto alla valutazione delle offerte in base ad in intervento ermeneutico frutto di una consapevole forzatura delle regole del disciplinare..
In tema di responsabilità di una Stazione appaltante per non aver rispettato i principi della par condicio, merita di essere riportato il seguente passaggio tratto dalla decisione numero 5592 del 23 ottobre 2007 emessa dal Consiglio di Stato
< Va poi respinta, perché non si attaglia alla fattispecie in esame, la tesi sostenuta dal Comune appellato, secondo cui l’Amministrazione disporrebbe comunque della facoltà di imporre dei massimi di ribasso per tutte le voci di compenso.
La facoltà in questione, seppure può essere giustificata dalla finalità di evitare l’azzeramento di compensi non suscettibili di totale soppressione, avrebbe dovuto essere esercitata dalla stazione appaltante introducendo apposite disposizioni nel bando o nel disciplinare, ma non certo dalla Commissione in sede di gara, essendo la stessa tenuta alla fedele applicazione della lex specialis.
Né pare riscuotere maggior credito la tesi, appena adombrata dall’appellata, della ambiguità del disciplinare, dalla quale si vorrebbe far derivare il potere della Commissione, in nome del favor partecipationis, di procedere ad una interpretazione creativa per evitare l’inammissibilità di alcune offerte.
Si è già osservato che il disciplinare esprimeva in termini non equivoci il tipo di offerta e di ribasso richiesto alle partecipanti. Il favor partecipationis, inoltre, non può essere perseguito sacrificando il concorrente principio della par condicio.>
Attenzione perché, in tema di quantificazione del danno da ricoscere alla ricorrente, il Supremo Giudice amministrativo ci insegna che:
< La completa esecuzione del servizio appalto preclude l’ipotesi della condanna al risarcimento in forma specifica.>
quale è stata la richiesta?
< Ai fini del risarcimento per equivalente l’appellante domanda il ristoro:
a) del mancato utile nella misura del 10% del valore dell’appalto;
b) delle spese generali nella misura del 5% del valore dell’appalto;
c) di un ulteriore 5% per danno c.d. curriculare; d
) della rivalutazione monetaria e degli interessi legali.>
cosa ne pensa il giudice?
Prima di tutto risulta utile partire dalla seguente considerazione:
<Osserva il Collegio che, per costante giurisprudenza, il conseguimento del risarcimento commisurato all’utile di impresa presuppone la certezza che l’istante, ove la valutazione delle offerte fosse stata compiuta in conformità alle disposizioni del disciplinare, avrebbe ottenuto l’aggiudicazione>
infatti nella particolare fattispecie:
<E’ la stessa appellante a rappresentare che la aggiudicazione a proprio favore si sarebbe realizzata solo a seguito di esito sfavorevole della verifica dell’anomalia dell’offerta dell’impresa avversaria, un esito giudicato dall’interessata pressoché sicuro, ma del quale non è stato possibile acquisire alcuna certezza>
e allora?
< Per conseguenza non sussiste il presupposto per l’attribuzione del risarcimento nella misura dell’intero profitto previsto, che generalmente la giurisprudenza computa nel 10% dell’offerta presentata.
Collegato a tale presupposto e, quindi, del pari non sussistente, è il pregiudizio lamentato per danno c.d. curriculare, che è configurabile solo in presenza di pieno diritto all’aggiudicazione.
E’ invece innegabile che l’offerta dell’appellante presentava concrete possibilità di successo, in ragione della collocazione al secondo posto in graduatoria ed al possibile accertamento dell’anomalia dell’offerta aggiudicataria.>
Di conseguenza:
< Ne consegue che va riconosciuto all’appellante il danno per perdita di chance.
La giurisprudenza afferma infatti che la chance è la concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene della vita, che costituisce un’entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, così che la sua perdita, ossia la perdita della possibilità consistente di conseguire il risultato utile del qual risulti provata la sussistenza, configura un danno concreto e attuale, e chi subisce un danno da perdita di chance può chiederne il ristoro o mediante la ripetizione dell’occasione perduta o per equivalente monetario>
Quali sono dunque i criteri per valutare matrimonialmente la perdita di chance?
Ai fini della liquidazione del danno da perdita di chance, va tenuto presente che lo stesso – non potendo essere provato nel suo preciso ammontare – deve avvenire in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., utilizzando la tecnica della determinazione dell’utile conseguibile, scontato percentualmente>
In conclusione quindi:
< Nell’attuale vertenza, ad avviso del Collegio, può essere riconosciuto per la perdita di chance un importo del 3% dell’offerta avanzata dall’appellante, maggiorato del 2% del medesimo importo, a titolo di spese generali sostenute per la partecipazione alla gara.
In conclusione il Comune di Andora va condannato al pagamento di un importo pari al 5% dell’importo dell’offerta, con rivalutazione monetaria dalla data dell’aggiudicazione, ed interessi legali sulla somma rivalutata dalla data della pubblicazione della presente decisione.>
A cura di *************
Riportiamo qui di seguito il testo della decisione numero 5592 del 23 ottobre 2007 emessa dal Consiglio di Stato
REPUBBLICA ITALIANA
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N.5592/07 Reg.Sent.
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
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Anno
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IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE
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N. 4417 Reg.Ric.
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Sezione Quinta
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Anno 2006
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ha pronunciato la seguente Reg.Rep.n.12/07
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 4417 del 2006, proposto dallo Studio Associato ALFA, in proprio e quale mandatario in a.t.i. con arch. ************** bis, arch. ********** ter e arch. ************ ter, dott. ************* quater e dott. ************** quinques, rappresentato e difeso dall’********************, elettivamente domiciliato presso il medesimo in Roma, via Bocca di ***** 78
contro
il Comune di Andora, rappresentato e difeso dall’avv. *****************, elettivamente domiciliato presso il medesimo in Roma, via M. Prestinari 13
e nei confronti
della ******à ********** quinques Engineering s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv.****************i e dall’avv. ******* Da monte, elettivamente domiciliata nello studio del primo in Roma, via Asiago 8
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria 13 gennaio 2006 n. 6, resa tra le parti.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Andora e della s.r.l. ********** quinques Engineering;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 4 maggio 2007 il consigliere *************, e uditi gli avvocati ***************, **************** e *****************;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe è stato respinto il ricorso proposto dallo Studio Associato ALFA, in proprio e quale mandatario in a.t.i. con arch. ************** bis, arch. ********** ter e arch. ************ ter, dott. ************* quater e dott. ************** quinques, per l’annullamento del verbale 9 giugno 2005 relativo alla settima seduta di gara per l’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura relativi al restauro dell’edificio ex scuola sito in Andora, sistemazione aree esterne; nonché dell’aggiudicazione provvisoria in favore dell’a.t.i. ********** quinques Engineering s.r.l..
Lo Studio Associato ************** ha proposto appello per la riforma della decisione previa sospensione dell’efficacia, chiedendo inoltre la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno.
Si sono costituiti in giudizio per resistere al gravame il Comune di Andora e l’a.t.i. ********** quinques Engineering s.r.l..
Con ordinanza 18 luglio 2006 n. 3626 la domanda cautelare è stata respinta.
Tutte le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive difese.
Alla pubblica udienza del 4 maggio 2007 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il giudizio verte sulla legittimità dell’affidamento di un servizio di ingegneria e architettura per il restauro di un edificio in Andora.
L’a.t.i. aggiudicataria, che ha resistito vittoriosamente al ricorso di primo grado, ha riproposto in appello due eccezioni di inammissibilità dell’originario gravame: l’una riferita alla pretesa acquiescenza che la ricorrente avrebbe prestato nei confronti del criterio interpretativo delle disposizioni sul ribasso, enunciato pubblicamente dalla Commissione di gara, su cui si tornerà più avanti; l’altra incentrata sul preteso difetto della qualificazione tecnica della ricorrente.
I primi giudici hanno disatteso tali eccezioni con motivazioni che meritano integrale adesione, e alle quali, quindi, per doverosa concisione, è lecito fare rinvio, posto che l’interessata non ha addotto argomenti diversi da quelli già avanzati in primo grado.
Come accennato, il merito della doglianza investe la decisione della Commissione di gara di fornire una “scansione interpretativa del criterio del massimo ribasso” (sentenza appellata), fissato dal disciplinare di gara, nel senso che “il partecipante che offra il ribasso del 100% ha offerto il massimo ribasso ammissibile ovvero il 20%, e così di seguito proporzionalmente” (verbale del 9 giugno 2005).
Va premesso che secondo il disciplinare di gara (art. 6.2.) ogni concorrente doveva indicare un ribasso percentuale unico per tutte le voci di corrispettivo indicate dall’art. 1, e quindi: sull’importo del rimborso spese, pari a Euro 96.497,85; sull’importo delle prestazioni accessorie, quantificate in Euro 129.827,08; ”sulla riduzione massima del 20%, di cui all’art. 4, comma 12 bis del d.l. 65/1989, convertito nella legge 155/1989 per le prestazioni rese a favore di amministrazioni ed enti pubblici …”.
Osserva quindi l’appellante che la Commissione, stabilendo che una offerta di ribasso del 100% dell’importo previsto a base d’asta per tutte le diverse voci di corrispettivo dovesse intendersi come riferita al 20% di detti importi, ha operato una modificazione del ribasso offerto da ciascuna impresa partecipante, in violazione della disposizione del disciplinare, che, mediante il richiamo all’art. 4, comma 12 bis del d.l. 65/1989, convertito nella legge 155/1989, ha imposto il 20% come massimo ribasso ammissibile per il solo importo riferito alle prestazioni professionali ordinarie e speciali remunerate in base a tariffa.
E’ così accaduto che le concorrenti che avevano offerto il ribasso del 100%, per un verso, hanno beneficiato di una rimodulazione dell’offerta in misura che ha evitato a loro carico il sospetto di anomalia; per altro verso hanno lucrato il massimo punteggio per la voce “ribasso” (20 punti) avendo offerto il massimo.
Quanto al primo aspetto, si fa rilevare che un ribasso del 100%, ossia conforme alla offerta effettivamente formulata, avrebbe significato l’azzeramento dell’intero compenso per rimborso spese e per prestazioni accessorie, residuando per l’aggiudicataria il solo corrispettivo delle prestazioni ordinarie e speciali, al netto del 20%, rendendo immancabile una verifica sfavorevole dell’anomalia dell’offerta.
Quanto al secondo aspetto, le imprese che hanno offerto ribassi ragionevoli, (l’appellante aveva indicato il 59,65%), hanno ottenuto per la stessa voce “ribasso” punteggi proporzionalmente inferiori al massimo (l’appellante 12 punti), sicché l’esito finale della gara ne sarebbe stato irrimediabilmente falsato, in quanto l’appellante, che pure aveva ottenuto il maggior punteggio per la qualità tecnica dell’offerta, è stata poi collocata al secondo posto con punti 84,8 rispetto alla aggiudicataria che ha conseguito punti 87,1.
Le censure svolte dall’appellante sono fondate.
Il disciplinare di gara, all’art. 6.2., stabiliva che le concorrenti dovevano indicare un ribasso percentuale unico, da applicarsi indistintamente su tutte le voci che componevano il compenso professionale complessivo, i cui valori base erano indicati nell’art. 1, e precisamente, sugli importi del rimborso spese, delle prestazioni accessorie, nonché sulla percentuale del 20%, riguardante il massimo ribasso ammesso per prestazioni ordinarie e speciali, a norma del d.l. n. 65 del 1989, convertito nella legge n. 155 del 1989.
La disposizione era assolutamente chiara nel senso che le concorrenti potevano indicare percentuali di ribasso di qualsiasi entità, e, sulla base del ribasso più favorevole, conseguire il punteggio riservato per tale voce (20 punti).
Il disciplinare, in altri termini, ammetteva la possibilità che per le voci liberamente ribassabili la concorrente offrisse un ribasso del 100%, così azzerando il compenso per il rimborso spese o per le prestazioni accessorie, o per entrambe le voci. Lo stesso disciplinare, peraltro, non mancava di apprestare il correttivo fisiologico all’eventualità che il compenso professionale, per effetto delle scelta predetta, venisse a risultare irrisorio o insufficiente, prevedendo formalmente dall’art. 9 dalla facoltà di sottoporre l’offerta alla verifica dell’anomalia a norma dell’art. 64, comma 6, del d.P.R. n. 554 del 1999.
Secondo la sentenza appellata, invece, la Commissione di gara ha inteso evitare “che gli offerenti spalmassero il ribasso sul rimborso spese e sulle spese accessorie cui non si applicavano i limiti tariffari, compromettendo la regolarità della gara.”. E si è assunta un “compito ermeneutico” stabilendo che se fossero stati offerti ribassi del 100% doveva intendersi che il concorrente aveva indicato il 20%, per tutte le voci di compenso.
La convinzione che non potessero ammettersi ribassi del 100%, risulta maturata, peraltro, sulla base di una travisata percezione della giurisprudenza di questa Sezione.
Alla decisione del Consiglio di Stato, Sezione V, 20 ottobre 2005 n. 5893, non può essere attribuito, come ritenuto dai primi giudici, il significato di legittimare il comportamento della commissione di gara che modifica le offerte delle concorrenti per porre riparo a possibili inconvenienti derivanti dalla lex specialis. La decisione ha censurato la sentenza di primo grado proprio nella parte in cui ha ritenuto inammissibili ribassi sul prezzo base elevati fino al 100%, nell’errata convinzione che taluni importi non potevano essere suscettibili di alcun ribasso.
La conclusione cui perviene il Collegio è sorretta dal costante orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato. Si segnala, per la stretta analogia dalla fattispecie, la decisione della Sez. VI 2 maggio 2006 n. 2445, con la quale si è affermato che non può essere ritenuta sussistente una violazione indiretta delle regole di gara sulla base della considerazione che il ribasso finirebbe per gravare sulle prestazioni principali in tal modo ribassate in misura superore al 20 %. E ciò perché, per un verso, le prestazioni accessorie non sono soggette a vincoli tariffari, come espressamente previsto dall’art. 50, comma 3, lett. b) del DPR n. 554/1999; e per latro verso, nell’ambito di una offerta complessiva, quale quella in esame, non deve necessariamente esservi un espresso corrispettivo per ogni singola prestazione, tenuto anche presente che l’effetto utile ricavabile dallo svolgimento di una serie di attività, quali quelle ricompresse nelle prestazioni accessorie, può derivare da una molteplicità di fattori ed è apprezzabile anche in termini di prestigio professionale; ciò conduce ad una valutazione della congruità dell’offerta nel suo complesso.
Nell’anzidetta decisione è stato anche ricordato, come già detto in precedenza, che l’ammissibilità di un ribasso del 100 % per le prestazioni accessorie è stata già riconosciuta dal Consiglio di Stato in analoga fattispecie in presenza di un bando di gara che non prevedeva alcun limite di ribasso per le prestazioni accessorie (Cons. Stato, V, n. 5983/2005, di cui si è già rilevato come fosse stata citata erroneamente in senso opposto dall’impresa appellata e dai primi giudici).
“In tale occasione la V Sezione ha riformato una sentenza del Tar, che anche aveva ritenuto che un ribasso del 100 % sulle prestazioni accessorie finisse per gravare sulle prestazioni principali (in quel caso già previste nel limite massimo di ribasso del 20 %), evidenziando che aveva errato “il giudice di primo grado nel ragionare in termini di “intangibilità”, atteso che l’intangibilità doveva essere riferita all’offerta complessiva, al netto del ribasso percentuale unico da applicarsi solo sulle prestazioni minori”.
Infine, un ribasso del 100 % sulle prestazioni accessorie è espressamente ammesso anche dalla determinazione n. 30 del 13 novembre 2002 dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, in cui si esaminano i possibili criteri di aggiudicazione in caso di tale ribasso del 100 % nel presupposto della legittimità di una siffatta offerta.
Il caso ora in esame, invece, la Commissione, ignorando un orientamento giurisprudenziale consolidato, ha corretto arbitrariamente le prescrizioni del disciplinare, elaborando un proprio criterio, con l’effetto di stravolgere l’andamento della gara, posto che le offerte, evidentemente, sono state congegnate senza poter prevedere la “scansione interpretativa” applicata dalla Commissione.
Va quindi riaffermato che alla eventuale anomalia delle offerte non è consentito porre riparo mediante l’interpretazione creativa della Commissione di gara, perché in tal modo si perviene inevitabilmente all’aggiudicazione secondo criteri non preventivamente conosciuti dalle concorrenti. Lo strumento della verifica dell’anomalia, se impiegato con il dovuto scrupolo, consente di escludere dalla gara le offerte insufficienti, indipendentemente dall’entità del ribasso.
Va poi respinta, perché non si attaglia alla fattispecie in esame, la tesi sostenuta dal Comune appellato, secondo cui l’Amministrazione disporrebbe comunque della facoltà di imporre dei massimi di ribasso per tutte le voci di compenso.
La facoltà in questione, seppure può essere giustificata dalla finalità di evitare l’azzeramento di compensi non suscettibili di totale soppressione, avrebbe dovuto essere esercitata dalla stazione appaltante introducendo apposite disposizioni nel bando o nel disciplinare, ma non certo dalla Commissione in sede di gara, essendo la stessa tenuta alla fedele applicazione della lex specialis.
Né pare riscuotere maggior credito la tesi, appena adombrata dall’appellata, della ambiguità del disciplinare, dalla quale si vorrebbe far derivare il potere della Commissione, in nome del favor partecipationis, di procedere ad una interpretazione creativa per evitare l’inammissibilità di alcune offerte.
Si è già osservato che il disciplinare esprimeva in termini non equivoci il tipo di offerta e di ribasso richiesto alle partecipanti. Il favor partecipationis, inoltre, non può essere perseguito sacrificando il concorrente principio della par condicio.
A tale riguardo, la parte appellata allega che la parità di trattamento è stata garantita a tutte le partecipanti mediante l’applicazione generalizzata e uniforme della regola escogitata dalla Commissione. Ma il punto è un altro: la Commissione ha errato nel ritenere inammissibili ribassi pari al 100%, né aveva la facoltà di apportare alle prescrizioni del disciplinare modifiche che hanno inciso sull’esito della gara.
L’appello va dunque accolto.
Anche la domanda di risarcimento del danno è fondata.
Sulla sussistenza dei presupposti tipici della responsabilità per fatto illecito non pare necessario intrattenersi diffusamente, se non per precisare che l’elemento della colpa emerge nettamente dalla singolare atipicità della scelta della Commissione, che ha proceduto alla valutazione delle offerte in base ad in intervento ermeneutico frutto di una consapevole forzatura delle regole del disciplinare.
La completa esecuzione del servizio appalto preclude l’ipotesi della condanna al risarcimento in forma specifica.
Ai fini del risarcimento per equivalente l’appellante domanda il ristoro: a) del mancato utile nella misura del 10% del valore dell’appalto; b) delle spese generali nella misura del 5% del valore dell’appalto; c) di un ulteriore 5% per danno c.d. curriculare; d) della rivalutazione monetaria e degli interessi legali.
Osserva il Collegio che, per costante giurisprudenza, il conseguimento del risarcimento commisurato all’utile di impresa presuppone la certezza che l’istante, ove la valutazione delle offerte fosse stata compiuta in conformità alle disposizioni del disciplinare, avrebbe ottenuto l’aggiudicazione.
Ma la circostanza non ricorre nell’attuale fattispecie.
E’ la stessa appellante a rappresentare che la aggiudicazione a proprio favore si sarebbe realizzata solo a seguito di esito sfavorevole della verifica dell’anomalia dell’offerta dell’impresa avversaria, un esito giudicato dall’interessata pressoché sicuro, ma del quale non è stato possibile acquisire alcuna certezza.
Come si è esposto in precedenza il ribasso del 100% quanto alle prestazioni accessorie ed al rimborso spese non è contrario ai principi dell’ordinamento e non costituisce causa di ineluttabile anomalia dell’offerta, circostanza che, invece, deve essere accertata mediante apposito procedimento in contraddittorio con l’interessata.
La convinzione della Commissione, che i suddetti ribassi avrebbero determinato l’inammissibilità delle offerte, come si è visto, è derivata da una erronea ricostruzione del quadro normativo complessivo, e non può equivalere, quanto agli effetti connessi all’annullamento dell’aggiudicazione, all’accertamento di una compravata ragione di esclusione.
Per conseguenza non sussiste il presupposto per l’attribuzione del risarcimento nella misura dell’intero profitto previsto, che generalmente la giurisprudenza computa nel 10% dell’offerta presentata.
Collegato a tale presupposto e, quindi, del pari non sussistente, è il pregiudizio lamentato per danno c.d. curriculare, che è configurabile solo in presenza di pieno diritto all’aggiudicazione.
E’ invece innegabile che l’offerta dell’appellante presentava concrete possibilità di successo, in ragione della collocazione al secondo posto in graduatoria ed al possibile accertamento dell’anomalia dell’offerta aggiudicataria.
Ne consegue che va riconosciuto all’appellante il danno per perdita di chance.
La giurisprudenza afferma infatti che la chance è la concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene della vita, che costituisce un’entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, così che la sua perdita, ossia la perdita della possibilità consistente di conseguire il risultato utile del qual risulti provata la sussistenza, configura un danno concreto e attuale, e chi subisce un danno da perdita di chance può chiederne il ristoro o mediante la ripetizione dell’occasione perduta o per equivalente monetario (
Consiglio Stato , sez. VI, 25 luglio 2006 , n. 4634).
Ai fini della liquidazione del danno da perdita di chance, va tenuto presente che lo stesso – non potendo essere provato nel suo preciso ammontare – deve avvenire in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., utilizzando la tecnica della determinazione dell’utile conseguibile, scontato percentualmente (
Con. St., sez. VI, 25 luglio 2006 , n. 4634).
Nell’attuale vertenza, ad avviso del Collegio, può essere riconosciuto per la perdita di chance un importo del 3% dell’offerta avanzata dall’appellante, maggiorato del 2% del medesimo importo, a titolo di spese generali sostenute per la partecipazione alla gara.
In conclusione il Comune di Andora va condannato al pagamento di un importo pari al 5% dell’importo dell’offerta, con rivalutazione monetaria dalla data dell’aggiudicazione, ed interessi legali sulla somma rivalutata dalla data della pubblicazione della presente decisione.
La complessità della vicenda giustifica la compensazione tra le parti del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello in epigrafe, e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla i provvedimenti impugnati;
condanna il Comune di Andora al risarcimento del danno in favore dell’appellante, come in motivazione;
dispone la compensazione delle spese;
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 maggio 2007 con l’intervento dei magistrati:
************** Presidente
*************** Consigliere
******************** Consigliere
************ Consigliere
************* Consigliere est.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to ************* *******************
IL SEGRETARIO
F.to *************
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/10/2007
(Art. 55 L. 27/4/1982, n. 186)
IL DIRIGENTE
F.to **************
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