SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. La struttura del corpus iuris del regime di ricerca e soccorso nel mare Mediterraneo. – 3. a) Elementi di diritto internazionale della navigazione. b) Libertà di navigazione al di là del mare territoriale. – 4. I poteri dello Stato costiero nella cornice delle operazioni SAR. – 5. I pilastri delle operazioni SAR mercé le istruzioni di soccorso, trasferimento e sbarco degli individuati salvati in mare.
1 – Introduzione
In questi ultimi anni, mai la comunità internazionale si è trovata ad assistere quasi impotente al fenomeno delle masse che si spostano dai loro Paesi d’origine verso quelli dove il tenore di vita sia più consono alle loro migliori aspettative, ma anche con alti rischi in cui, purtroppo, molte persone hanno perso la vita in mare, in particolar modo nel Mediterraneo per raggiungere le coste europee. Si parla di un fenomeno – che io considero un vero e proprio tsunami migratorio – che, già a partire dai primi anni del XXI secolo, ha interessato oltre cento milioni di individui. Chiaramente, su quest’ultimo aspetto si fa riferimento alle migrazioni regolari, se poi si aggiunge il numero del flusso migratorio che si trova nell’orbita dell’irregolarità, ci si rende conto che si è davanti a un fenomeno di portata indefinibile e di un quantum tale che può essere arduamente oggetto di definizione[1].
Dinanzi a quest’emorragia migratoria, si sono mosse, da pochi anni, le organizzazioni non governative – che indico da ora in poi con l’acronimo ONG –, che si distinguono da altri attori operanti nel contesto della vita sociale internazionale, composte da individui e non da Stati[2], le quali hanno avviato l’iniziativa di essere attori principali nella ricerca e salvataggio o soccorso a favore di persone che sono in pericolo di vita, mercé operazioni nell’area SAR, queste ultime consistenti nel funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso, nelle acque del Mediterraneo[3]. Una delle prime operazioni ha avuto luogo negli anni recenti 2014 e 2015, dove tre bastimenti ONG (la Migrant offshore aid station, la Sea-Watch e Médecins sans frontiére) intrapresero la decisione di avviare operazioni di ricerca e salvataggio di esseri umani in pericolo di vita nel mare Mediterraneo. È ben noto che l’attività da parte delle ONG di intervenire nella acque mediterranee, a partire dal 2017, ha registrato un consistente calo del loro intervento a causa delle forti pressioni delle autorità pubbliche, come, a titolo di esempio, l’Italia che ha adottato misure di restrizione nei riguardi delle navi ONG[4]. Ancora, delle imbarcazioni ONG espletano compiti di operazioni SAR totalmente e a pieno titolo, pattugliando nell’ambito di zone di ricerca e soccorso, che potrebbero essere all’origine delle chiamate di aiuto per focalizzare nell’immediato le piccole imbarcazioni che si trovano in difficoltà, facendo salire a bordo migranti che sono sul filo di perdere la vita, offrendo il primo ausilio, per, successivamente, farli sbarcare in un luogo che debba essere del tutto sicuro, c’est à dire il c.d. place of safety (PoS), nel senso che tale luogo debba essere un punto in cui la persona salvata non corra il rischio immediato di annegare e che non debba temere per la propria incolumità, per esempio perché potrebbe essere uccisa o torturata[5]. Solitamente, queste medie-piccole imbarcazioni delle ONG non fanno salire a bordo le persone che migrano, ma attendono navi di grande consistenza per imbarcarle e farle, dopo la traversata, sbarcare sulla terra ferma[6].
È ben evidente il fatto che tra queste organizzazioni internazionali private, che prestano soccorso ed assistenza a persone con difficoltà, e gli Stati costieri considerati non scorre una normale e coesa collaborazione. Non si sa se queste ONG godano la navigazione nella loro piena ed assoluta libertà nel mare territoriale degli Stati rivieraschi con l’obiettivo, certamente inquadrabile nella sfera del diritto d’umanità, di salvare e cercare imbarcazioni, a volte fatiscenti, con a bordo individui che migrano verso aree che garantiscano loro una maggiore sicurezza, che si trovino in serie pericolo. Gli Stati costieri, in questi ultimi tempi, hanno (avuto) dei comportamenti attraverso la messa in opera di determinati paletti alle navi delle ONG, operanti in mare. Si prenda a titolo di esempio quanto è accaduto nel 2017, dove la guardia costiera dello Stato libico cercò di respingere la nave Lifeline dell’ONG tedesca, che interveniva nel prestare soccorso a persone che si trovavano imbarcate su due gommoni fatiscenti e in procinto di affondare[7]. La nave ONG, battente bandiera olandese, veniva minacciata se non avesse provveduto a trasferire i migranti soccorsi dalla loro imbarcazione al bastimento della Guardia costiera libica; il tutto accadeva oltre il mare territoriale della Libia, vale a dire in mare aperto[8]. In modo analogo, si può focalizzare il documento di comportamento, redatto e reso pubblico dal Ministero degli Interni della Repubblica italiana, denominato «Codice di Condotta» cioè a dire delle linee guida rivolto alla navi ONG coinvolte nel salvataggio di migranti in mare, in cui è emerso l’intenzione delle autorità governative italiane di scongiurare le partenze via mare dai porti libici di persone dirette verso le coste italiane e transitanti mercé il mare Mediterraneo centrale[9], in base al quale viene richiesto direttamente a questi attori non statali di astenersi dall’entrare nel mare territoriale libico, tranne in casi molto gravi e di imminente pericolo. Inoltre, non è chiaro se queste ONG debbano attenersi scrupolosamente alle indicazioni – direi quasi vincolanti – degli Stati rivieraschi su se e come portare e condurre avanti le operazioni di ricerca e soccorso, per poi valutare il luogo, che sia ovviamente sicuro, dove fare sbarcare gli individui salvati dal pericolo di vita.
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2 – La struttura del corpus iuris del regime di ricerca e soccorso nel mare Mediterraneo
Esiste un duplice criterio che compone i fondamenti costitutivi della struttura giuridica dell’ambito della ricerca e soccorso nel contesto marittimo, c’est à dire il c.d. SAR. Il primo fondamento è inglobato all’interno della sfera della disposizione 98, paragrafo 1, della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare –in brevità denominiamo CNUDM o Convenzione di Montego Bay del 1982 – che concerne il vincolo di prestare soccorso, ossia l’obbligo di intervenire su quanti si trovino in mare in situazioni di pericolo, la quale enuncia che «ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri (…)[10]». Tale obbligo di salvaguardia della vita umana in mare costituisce un netto dovere da parte degli Stati, accompagnato dal principio di solidarietà marinara[11]. Questa norma, quindi, non prevede un obbligo di intervento diretto da parte dello Stato. Quest’ultimo deve garantire che le navi, battenti la propria bandiera, nel caso in cui si trovino in presenza di un’imbarcazione in pericolo, intervengono tempestivamente per prestare assistenza[12]. Il vincolo di offrire un posto che sia del tutto sicuro, in maniera concreta, al dovere di assistenza è senza alcun dubbio reputato un fondamento dello jus cogens, che, pertanto, obbliga pure quegli Stati che si sono astenuti nello stipulare, cioè a dire il non aver espresso il loro consenso ad essere giuridicamente vincolati dai trattati stessi[13], per poi ratificare, i trattati in questione.
Il secondo fondamento è enucleato nel 2 paragrafo del medesimo articolo de quo si sta trattando, in base al quale viene predisposto il compito che ciascuno Stato deve promuovere la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso con lo scopo ben preciso di tutelare la sicurezza marittima ed aerea e, quando le circostanze lo richiedano, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti mediante accordi regionali. Si può asserire che l’articolo 98 non può essere oggetto di deroga da parte degli Stati anche tramite accordi con altri Stati per la ragione che costituisce l’applicazione del principio fondamentale ed elementare della solidarietà[14], non solo, ma precisa anche che ogni Stato provvisto di litorale marittimo è tenuto a istituire e mantenere un servizio di ricerca e salvataggio, facendo ricorso, ove sia necessario, a memorandum d’intesa a livello regionale di reciproca assistenza, nel senso che le autorità dello Stato costiero, responsabili dei servizi operativi della zona SAR, nel caso siano informate dalle autorità di un altro Stato che vi sono individui in pericolo di vita nella zona di ricerca e soccorso di propria competenza, sono in dovere di intervenire senza considerare la nazionalità o la condizione giuridica di dette persone[15]. In questo ambito, vincoli, focalizzati dall’aspetto prettamente giuridico, sono statuiti dalla Convenzione di Amburgo del 1979 sulla ricerca e soccorso in mare, che ha come scopo quello di avere ogni area del mare che sia coperta e garantita da operazioni di salvataggio e soccorso, non solo, ma si fonda sul principio della cooperazione internazionale[16]. A tal fine gli oceani e i mari sono divisi in zone di ricerca e salvataggio regionale – indicato con l’acronimo SRR (search and rescue region)[17] – previo accordo fra le Parti alla Convenzione di Amburgo. Questi accordi devono essere posti a conoscenza mediante il loro invio all’Organizzazione Internazionale Marittima[18], che li rende pubblici come circolari SAR. Ai sensi della Convenzione di Amburgo del 1979, ciascuno Stato costiero è ritenuto responsabile della istituzione e del coordinamento di un servizio di salvataggio e di ricerca nella propria area regionale. Oltre a elementi di base come le risorse di ricerca e salvataggio – ad esempio bastimenti di soccorso ed attrezzature necessarie dell’unità di ricerca e soccorso – e i mezzi di comunicazione al fine di ricevere chiamate di aiuto e coordinare le operazioni di ricerca e salvataggio, un servizio SAR deve anche possedere l’elemento di base come il quadro giuridico che ponga in rilievo quali autorità sono responsabili per le operazioni di ricerca e salvataggio e quali norme debbano essere applicate al loro coordinamento e alla loro organizzazione[19]. Sebbene tali strumenti non siano de jure vincolanti, gli Stati devono applicare, per quanto possibile, le norme minime e le direttive pertinenti, determinate dall’organizzazione allo sviluppo dei servizi di ricerca e soccorso per garantire che venga fornita assistenza a qualsiasi persona in pericolo in mare[20].
Il nostro Paese, dopo aver ratificato sia la CNUDM nel gennaio del 1995, sia la Convenzione SAR nel luglio 1989, ha determinato un’area per la ricerca e il soccorso in mare e un Centro di coordinamento del soccorso marittimo, cui fa capo il complesso delle attività finalizzate specificatamente alla ricerca e al soccorso della vita umana che si trovi in pericolo in mare, c’est à dire che esso assicura l’organizzazione generale dei servizi marittimi di ricerca e salvataggio nell’ambito dell’intera regione di interesse italiano sul mare[21]. Sulla riga di una sempre crescente e continua presenza di bastimenti di queste organizzazioni non governative nelle acque del Mediterraneo e in questioni prettamente di carattere giuridico ad esso connesso, le autorità governative italiane correvano ai ripari mercé la redazione di un codice di condotta – di cui già si è accennato in precedenza – per le navi delle ONG impegnate nelle operazioni di salvataggio dei migranti in mare, con il preciso e netto scopo di assicurare che questi bastimenti di soggetti privati operino nell’ambito dei parametri che devono rispettare[22]. Tale codice è stato adottato nel luglio 2017, a Tallin, sotto la presidenza dell’Estonia, dove i Ministri della Giustizia e Affari Interni degli Stati membri dell’UE hanno accolto con favore l’iniziativa del governo italiano, manifestando il proprio sostegno affinché le imbarcazioni ONG impegnate nella ricerca e salvataggio agissero nel modus operandi in base a una gamma di regole presenti nel documento di condotta[23]. In esso viene sancito che ogni organizzazione non governativa debba accollarsi la responsabilità di adottare una forma di oneri, secondo due criteri: in primo luogo, gli adempimenti vengono classificati secondo i tipi di impegni che contengono, che includono la volontà forte di astenersi da determinati comportamenti, come pure l’onere a cooperare attivamente con le autorità statali e, in ultimo, il dovere di informare. In secondo luogo, tali comportamenti sono catalogati in base ai generi di preoccupazioni che possono dare origine.
Non si può però non sottolineare che possano sorgere dei contrasti e problemi di compatibilità di questi vincoli con le norme del diritto internazionale generale, soprattutto con la branca del diritto marittimo e del diritto internazionale dei diritti umani. Non solo, ma anche una ulteriore gamma di obblighi possa cagionare una serie di limiti sull’attuazione e l’efficacia del SAR, ponendo in tal modo a repentaglio la protezione della vita di persone che sono costrette ad attraversare il mare con alti rischi per la loro incolumità. Infine, va anche non trascurato il rischio che un agglomerato gruppo di obblighi potrebbe compromettere l’autonomia piena delle organizzazioni non governative.
Credo che sia anche fondamentale porre in risalto altri due parametri vincolanti molto importanti come quello concernente l’impegno da parte delle navi ONG a fare ingresso nel mare territoriale sottoposto alla sovranità libica, salvo in situazioni di grave e imminente pericolo che richiedano assistenza immediata e non ostacolare l’attività di soccorso e ricerca da parte della Guardia costiera libica[24]; mentre il secondo parametro riguarda il dovere di seguire le linee guida del Centro di coordinamento di soccorso marittimo, la cui istituzione – è importante evidenziarlo – è prescritta dall’articolo 2.3.1 dell’Annesso SAR, in base al quale le Parti creano, singolarmente o in concerto con altri Stati, centri di coordinamento di salvataggio, di cui hanno la responsabilità e costituisce, come recita l’articolo 1.3.5, l’efficiente organizzazione dei servizi di ricerca e di soccorso e di coordinare le operazioni sempre di ricerca e di salvataggio nell’area dove è necessario porre in atto tali interventi a favore di persone che sono in pericolo di vita[25].
Va in ogni modo fatto presente il fatto che non si è in presenza di una certezza che giri attorno alla natura giuridica e anche alle conseguenze nel caso in cui le organizzazioni non governative si rifiutino di adempiere alle disposizioni contenute nel codice di condotta. Il suo nocciolo giuridico naturale viene fatto derivare da una serie di fattori come quello del numero e il genere delle Parti o dei soggetti coinvolti che può essere unilaterale o bilaterale o multilaterale e via discorrendo; come pure quello inerente l’ordinamento giuridico che è stato adottato che può essere interno o internazionale. Nessuno di questi fattori è presente nel documento stesso, suddiviso in una gamma di punti, dal cui insieme è emerso l’intenzione del Governo italiano di ostacolare le partenze via mare dai porti della Libia di migranti diretti in Italia e comunque transitanti per le acque del Mediterraneo centrale, che possa portarlo allo status giuridico. Tale codice di condotta è stato redatto dal Ministero degli Interni, dopo che si era diffuso il sospetto che alcuni bastimenti delle ONG attivi nel mare del Mediterraneo centrale fossero responsabili di favorire l’immigrazione clandestina verso l’Italia e presentato alle ONG coinvolte alla firma[26]. Va, in aggiunta, posto in rilievo che questo codice non è un vero e proprio decreto legislativo, in quanto non necessita la firma di quelli potenzialmente vincolati dal documento di cui si sta trattando; non solo, ma non pare reputarsi una specie di patto o accordo firmatario tra gli organismi governativi italiani e le ONG, sebbene in esso va posto la solo firma delle organizzazioni non governative e non dell’esecutivo centrale italiano, per la ragione che vi sono all’interno del codice solamente impegni ai cui queste organizzazioni private devono attenersi senza ottener alcun beneficio. In concreto, si può definire questo codice come una mera dichiarazione unilaterale esposta mercé la firma degli organismi non governativi. Si può asserire che vi è stata la necessità di imporre alle stesse ONG, impegnate nel soccorrere i migrante in pericolo di vita in mare, la sottoscrizione di questo documento, articolato in 13 punti, ampiamente ricognitivo del diritto internazionale vigente, ma in cui l’enfasi è posta sul vincolo di evitare che si faccia ingresso nel mare territoriale dello Stato libico[27].
Ciò porta ad evidenziare il fatto se una dichiarazione unilaterale possa dare luogo alla produzione di risultati sul piano prettamente giuridico e se queste organizzazioni non governative debbano essere unilateralmente vincolate da determinati obblighi. Da ciò si desume come questo documento riguardante il codice di condotta porti a questioni aperte, contornate da qualche perplessità e dubbio, nel senso che si limiti a determinare che se vi fosse un rifiuto da parte di queste organizzazioni internazionali private di porre la firma sul documento e, quindi, il non accettare il vincolo di impegni intrapresi sempre vincolanti, allora gli organi governativi italiani adotterebbero misure dirette contro tali organizzazioni privatistiche che utilizzano bastimenti per salvare vite umane che si trovino in pericolo di vita in mare. Queste misure non hanno alcuna correlazione di quali possano essere le conseguenze nella cornice dell’ordinamento giuridico che possano scatenare mercé la firma di tale documento, sebbene tali misure possano essere intraprese anche nei confronti di quelle ONG che manifestino il diniego di apporre la firma. Questo documento, voluto dal governo italiano, rimane di ardua collocazione fra le fonti del diritto[28], nel senso che non possa qualificarsi come atto avente valore di legge, ma ha più una valenza di tipo morale e, aggiungerei, anche di carattere politico strategico nella tutela delle demarcazioni nazionali e dell’UE da parte del nostro Paese[29]. Il punto si fonda sul ragione che il comportamento unilaterale possa dare concretezza, nell’ambito della sfera giuridica, ad oneri di tipo vincolante che può essere incorniciato nel quadro del diritto internazionale, tanto da tenere presente che queste associazioni non governative non hanno una vera e propria personalità giuridica a livello internazionale, rispetto agli Stati, come pure alle Organizzazioni internazionali, che sono dotati/e di tale personalità in base al diritto internazionale e che sorgono de facto, permangono in esistenza de facto e vengono modificati o estinti de facto dal punto di vista dello stesso diritto internazionale[30] e, pertanto non creare obblighi vincolanti su di esse come problema che si pone nell’ambito sempre del diritto internazionale[31]. Le ONG, pertanto, non possono essere rilevanti per l’ordinamento internazionale e non riguardano la cooperazione che avviene fra Stati e Stati, fra Stati e Organizzazioni internazionali e, infine, fra le Organizzazioni internazionali stesse nel vita di relazione internazionale[32]. Il codice di condotta, pertanto, non è un documento atto a dover vincolare le ONG, associazioni private senza fini di lucro, create mediante atti di diritto interno come organizzazioni private nazionali, che assumono la nazionalità dello Stato in cui sono costituite[33], ai sensi del diritto internazionale. Può sorgere, tuttavia, l’ipotesi che si vengano a costruire obblighi tassativi in base all’ordinamento giuridico italiano per quelle ONG, quali forme associative non costituite a livello di Governi e che sono pure considerate attori importanti della vita di relazione internazionale pur non essendo ancora dotati di personalità giuridica[34], che l’avessero firmata. Quanto scritto poc’anzi, viene fatto dipendere dalla presenza dell’espressione di «dichiarazione unilaterale» dell’ordinamento italiano – pur sapendo che le stesse ONG appartengono alla categoria giuridica delle associazioni senza fini lucrativi e condividono la disciplina presente nel nostro codice civile[35] – e anche dei paletti, in base ai quali lo stesso ordinamento interno italiano possa renderlo come vincolante sul piano giuridico.
Qualcosa sulla Libia va tracciato brevemente, in cui si evidenzia il punto che tale Stato non ha ancora ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare del 1982, tuttavia essa ha aderito, nel 2005, alla Convenzione di Amburgo del 27 aprile 1979 sulla ricerca ed il salvataggio marittimo[36], annunciando l’istituzione di una zona di ricerca e soccorso marittimo e ha ingiunto a ogni nave straniera di non effettuare operazioni di salvataggio all’interno di essa, tranne espressa richiesta delle autorità del governo di riconciliazione nazionale[37]. Va menzionato anche la questione che la stessa Libia non ha ancora istituito in maniera ufficiale e definitiva il coordinamento generale dei servizi di soccorso marittimo (c.d. MRCC) e la regione di soccorso e ricerca (c.d. SRR). In base alle fonti, le autorità libiche hanno dichiarato il loro SRR e sottoposta la documentazione necessaria agli organi dell’Organizzazione Internazionale Marittima (OIM) nell’agosto 2017. D’altronde, la Dichiarazione ha subito un’impasse nel dicembre dello stesso anno, tanto da dover sottoporre un’altra agli organismi dell’OIM, la quale Libia dovrà attendere i tempi per l’approvazione e il suo pieno regime.
Gli Stati costieri confinanti di solito firmano accordi bilaterali in materia di cooperazione e coordinamento per quanto concerne la ricerca e il salvataggio, accordi che vengono depositati e resi pubblici nella banca dati dell’OIM. Questi accordi, che si distinguono in un momento diplomatico, si identificano con il raggiunto accordo di entrare in trattative che, nei rapporti internazionali bilaterali, viene a definirsi con il brocardo «pactum de contrahendo»[38], hanno la loro importanza per il mero fatto che servono ad assicurare la chiarezza circa le responsabilità del coordinamento degli incidenti che possono accadere nelle zone SAR e anche la ragione che il trasferimento di tale coordinamento avvenga senza dover subire ostacoli fra le autorità coinvolte.
La mancanza di un documento bilaterale, vale a dire proprio l’accordo, porterebbe nei meandri di lacune nella fornitura di strumenti che servono per attuare l’operazione SAR. Nell’area SAR libica, opera la Guardia costiera dello Stato libico, sotto il controllo del Governo d’accordo nazionale, che opera unicamente nella zona occidentale della costa libica, a causa della frammentazione di potere e controllo che vige in questo Paese, dopo la caduta del regime di Gheddafi a partire dalla fine del 2011 in poi da quando la Libia non conobbe più un momento di tregua[39]. Come è ben risaputo, la Libia per poter operare nella sua zona ha stipulato un Memorandum d’Intesa con il nostro Paese e l’UE[40]. Oltre a questo sostegno, l’Italia ha inviato proprie unità navali da guerra nelle acque territoriali dello Stato libico per affiancare la Guardia costiera libica. Sempre il nostro Paese ha, inoltre, in atto il suo IMRCC di Roma al fine di trasmettere informazioni relative al pericolo di incidenti che si verificano nella zona SRR libica ancora da definire.
3 – a) Elementi di diritto internazionale della navigazione
Il punto da affrontare in questo paragrafo concerne gli elementi attinenti al diritto internazionale di navigazione da parte dei bastimenti ONG nel contesto delle operazioni di ricerca e soccorso in mare. Credo che sia necessario avviarsi verso il nocciolo del problema, nel senso di dover focalizzare la questione se le navi ONG siano nella piena titolarità di poter navigare libere ovunque, in particolar modo nel contesto del mare territoriale sottoposto alla piena ed esclusiva potestà o sovranità delle autorità dello Stato costiero, per dare assistenza e soccorso alle persone che sono in pericolo di vita in mare, e, non solo, anche comprendere in che misura la Libia e l’Italia possono limitare l’ingresso delle navi ONG in teatri di pericolo presenti nel mare interno libico o nel mare aperto. Il diritto internazionale del mare, a questo riguardo, riconosce dei diritti fondamentali.
Il primo riguarda il diritto al «passaggio inoffensivo» che consiste nella possibilità giuridica delle navi estere di attraversare liberamente il mare territoriale di uno Stato, rispettandone l’ordinamento in ogni suo aspetto ed esigenza[41], nel senso che non può uno Stato costiero, tranne in particolari e eccezionali circostanze, impedire il passaggio, anche se nell’ambito del mare territoriale esercita poteri sovrani su questo lembo di acqua come avviene sulla terra ferma, a patto che tale passaggio sia del tutto inerme[42]. Quindi, la sovranità dello Stato costiero sulle acque marine, che costeggiano il territorio dello Stato, incontra dei imiti di questo passaggio che deve essere continuo e spedito. Lo stesso aggettivo «inoffensivo» va considerato quale comportamento che non deve arrecare alcun pregiudizio «alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero», come recita l’articolo 19, paragrafo 1, della CNUDM[43].
Il secondo diritto, altrettanto importante, tocca la libertà di navigazione nelle acque internazionali o in mare aperto di ogni nave, a prescindere la bandiera di appartenenza. Diritto su cui va precisato che l’alto mare o mare liberum ricomprende ogni porzione di acque marine del pianeta rispetto alla quale non si afferma né si irradia la sovranità territoriale di alcuno Stato membro della comunità internazionale[44]. Difatti, la caratteristica principale dell’Istituto giuridico dell’alto mare è quella inerente la libertà, la quale va chiarificata nella sua espressione come res communis omnium, nel senso di bene su cui nessuno Stato può avere l’esclusiva di appropriarsi, ma non assoluto, cioè di assenza di sovranità da parte di qualsiasi soggetto di diritto internazionale[45].
È da evidenziare il fatto che il diritto di fare ingresso nel mare territoriale di uno Stato costiero può anche esistere al di là del c.d. regime transitus innoxium ovvero passaggio innocente[46], inteso quale libero passaggio che gli Stati sono tenuti a consentire nel proprio mare territoriale alle navi mercantili e da guerra[47]. Difatti, la stessa Convenzione di Amburgo, del 1979, determina che «gli Stati costieri dovrebbero autorizzare – come enuncia il cap.3.1.2 – l’ingresso immediato nel mare territoriale di soccorso di altri Stati se il loro unico scopo è la ricerca e il salvataggio». Di solito, gli Stati costieri confinanti, nei loro accordi bilaterali concernente la ricerca e il soccorso, sottoscrivono una postilla di ammissione a tale fine. Talune di queste clausole d’ingresso richiedono che venga rilasciata una specifica autorizzazione, altri Stati danno l’assenso per l’immediato ingresso[48]. Le navi estere private come quelle delle ONG che sono utilizzate nelle operazioni di ricerca e salvataggio, non sono coperte da (questi) accordi bilaterali. Pertanto, dinanzi al vacuum di una netta norma, i diritti di navigazione delle ONG, nelle acque territoriali di uno Stato terzo, vengono disciplinati dall’Istituto del passaggio inoffensivo, ai sensi della CNUDM.
Nonostante l’ampia produzione normativa esistente in materia di codificazione, non sono le Convenzioni di per sé a stabilire il mare territoriale per la semplice ragione che l’estensione dello stesso è equiparato in quanto tale al territorio dello Stato. Il mare territoriale, dunque, designa lo spazio marittimo compreso tra il territorio e le acque interne, da una parte, e spazio su cui si esercita la sovranità dello Stato rivierasco, dall’altra. Difatti, le Convenzioni stesse sul mare – con riferimento alla IV Convenzione di Ginevra che tratta l’alto mare – territoriale non specificano l’estensione del mare stesso, ma determinano i criteri mediante i quali si può stabilire la sua estensione. La CNUDM è stata innovatrice in questo quadro, stabilendo che «ogni Stato ha il diritto di fissare la larghezza del proprio mare territoriale sino un limite massimo di 12 miglia marine (…)» dalla costa, principio che è da ritenersi ormai consolidato; qui, peraltro, viene posto in rilievo il fatto che si parla di limite massimo di 12 miglia marine, nel senso che se uno Stato decida di fissare un limite al di qua delle 12 m. m., può benissimo farlo nel pieno rispetto dei parametri determinati della CNUDM[49]. In sostanza, si può dire che tale limite serve proprio per far in modo che si rispetti questo margine di discrezionalità dello Stato[50], di cui l’Italia e la Libia ne beneficiano[51]. Vale anche menzionare un altro aspetto che concerne il c.d. «limite esterno», sancito dall’articolo 4 della CNUDM, che consente di rilevare la formazione di una regola generale, secondo la quale tale limite del mare territoriale non è altro che la linea di ciascun punto della quale si trova ad una distanza dal punto prossimo della linea di base uguale all’ampiezza del mare territoriale che non può superare le 12 m. m. a partire dalla linea-base[52].
Il mare territoriale, inoltre, può essere definito quale porzione del mare esterno adiacente alle coste dello Stato ed alle sue acque interne, nel senso che esso forma parte del territorio di uno Stato, all’interno del quale uno Stato costiero gode della piena sovranità[53].
Ciò è richiamato sia dall’articolo 2, paragrafo 1, della CNUDM, in base al quale si considera che «la sovranità dello Stato costiero si estende al di là del suo territorio e delle sue acque interne (…)», sia dall’articolo 25 della medesima Convenzione di Montego Bay che statuisce il diritto di protezione dello Stato rivierasco, il quale «può adottare le misure necessarie per impedire nel suo mare territoriale ogni passaggio che non sia offensivo». In tale maniera, lo Stato costiero può stabilire chi entra nel suo mare territoriale.
La Convenzione sul diritto internazionale del mare del 1982, in un agglomerato gruppo di disposizioni[54], disciplina il passaggio inoffensivo, in cui la sovranità dello Stato costiero, non più assoluta, viene rattenuta proprio dal diritto di passaggio inoffensivo, quale diritto riconosciuto da lungo tempo, c’est à dire una sorta di proiezione del diritto di navigazione in mare aperto, in cui tutte le navi possono transitare in ogni spazio marino, purché non cagionino disturbo alle comunità costiere[55]. Mercé questo Istituto, ciascuna nave straniera, compresa quella delle ONG, che batte bandiera di uno Stato estero, ha il diritto di entrare nelle acque territoriali di uno Stato costiero, a patto che si limiti a transitare in maniera inoffensiva, cioè a dire che la nave deve attraversarle sia che entri nella fascia di mare quale proiezione mobile della terra ferma di cui lo Stato terzo ha la piena sovranità (c.d. passaggio in entrata), sia che da quelle acque provenga e intenda raggiungere altre destinazioni (c.d. passaggio in uscita), sia, infine che si limita a transitare parallelamente alla costa, senza effettuare l’ingresso nelle acque interne (c.d. passaggio laterale)[56].
Vi sono due modi, alla luce di ciò, in cui lo Stato costiero possa circoscrivere o limitare il diritto di un’imbarcazione dell’organizzazione non governativa di navigare attraverso (le), verso (le) e dalle acque territoriali.
Il primo modo consiste nell’asserire che le navi non stanno transitando nel mare territoriale come primo luogo. È stato, infatti, posto in risalto che l’obiettivo stesso di delineare il passaggio in maniera separata dalla sua innocenza si fonda sul fornire la ragione del fatto che è quello di confermare l’autorità dello Stato costiero di poter espellere determinate navi che non sono impegnate nell’attraversamento innocuo della fascia di mare sottoposta alla giurisdizione e alla giurisdizione dello Stato costiero[57]. Una nave viene considerata transitante nel momento in cui è in procinto di attraversare il lembo del mare territoriale e che il suo passaggio deve essere prima di tutto celere e continuo, vale a dire che non è consentito a qualsiasi nave pubblica o privata che si trovi a transitare in una determinata fascia di mare su cui lo Stato costiero ha il prosieguo della propria giurisdizione dalla terra ferma sino alle 12 m. n., in mancanza dell’assenso dello Stato rivierasco, di sostare o di ancorarsi nel mare adiacente alle coste dello Stato costiero, tranne per esigenze di navigazione o per cause di forza maggiore o di pericolo (distress). Tale norma è enucleata nell’articolo 18, paragrafo 2, della CNUDM, la quale afferma che «il passaggio deve essere continuo e rapido.
Il passaggio consente tuttavia la fermata e l’ancoraggio, ma soltanto se questi costituiscono eventi ordinari di navigazione o sono resi necessari da forza maggiore o da condizioni di difficoltà oppure sono finalizzati a prestare soccorso a persone, navi o aeromobili in pericolo o in difficoltà»[58]. Sempre la CNUDM del 1982 aggiunge una ulteriore eccezione al divieto di sosta o ancoraggio nel tratto di mare soggetto alla sovranità dello Stato costiero, costituita dalla necessità di prestare soccorso a persone o navi in pericolo o che si trovino in grosse difficoltà. Va precisato che il diritto al transito nel mare territoriale di uno Stato terzo spetta al fine esclusivo del passaggio e che tale norma va interpretata nel senso di concedere la sosta senza necessità di autorizzazione per portare soccorso alle navi in difficoltà già legittimamente penetrate nelle acque territoriali[59].
Uno Stato costiero può reputare che l’accesso o la presenza di una nave appartenente alla ONG nel proprio mare territoriale non viene considerato un passaggio per la mera ragione che non è l’intenzione dell’equipaggio della nave marittima, quale complesso unitario e quale comunità di lavoro di bordo[60], di passare dal punto x al punto y, ma esclusivamente per mettere in atto le operazioni di salvataggio dei migranti.
Questo tema comporta la questione che per statuire se l’entrata o la presenza nel mare territoriale costituisce un transito, implica la valutazione dell’intenzione o scopo dietro il passaggio. Quest’ultimo, tuttavia, viene valutato nello stabilire il carattere inoffensivo del transito. Conseguentemente, il comportamento di navigazione, dal punto di vista oggettivo, osservabile è il solo criterio che si possa rilevare per la determinazione del movimento di navigazione come passaggio. Il secondo modo per limitare il diritto d’ingresso o di presenza di navi battenti bandiera di terzi Stati nel proprio mare territoriale è quello di sostenere che il loro transito non sia qualificabile come passaggio inoffensivo. L’articolo 19, paragrafo 1, infatti, all’espressione «passaggio inoffensivo» fornisce un significato molto chiaro, rilevando la definizione secondo cui «il passaggio è inoffensivo fintantoché non arreca pregiudizio, alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero», nel senso che tale inoffensività non concerne unicamente la sicurezza del territorio, ma pure il rispetto dell’ordinamento giuridico dello Stato costiero nel suo complesso[61]. Il compimento nelle acque territoriali di una nave battente bandiera straniera in transito, di atti pregiudizievoli agli interessi dello Stato costiero, che sono garantiti dal diritto internazionale, costituisce il criterio più immediato ed anche diretto di attribuzione del tipo di offensività al transito, criterio riscontrabile nell’articolo 19, paragrafo 2, che prevede un elenco delle attività da parte di navi straniere ritenute non innocenti, nel senso che la discrezionalità dello Stato costiero nello stabilire quando il passaggio non è inoffensivo è, infatti, solo in parte temperata da una lista di attività considerate pregiudizievoli per la pace, l’ordine e la sicurezza.
Si è avuto modo antecedentemente di sostenere che il diritto di passaggio inoffensivo è un diritto ormai consolidato da una lunga prassi in virtù del quale le navi degli Stati terzi possono attraversare il mare territoriale di uno Stato costiero o per ritornare poi in mare aperto o per entrare o uscire dai porti di quello Stato. Credo che, in merito a quanto scritto poc’anzi, è d’uopo fare qualche precisazione. Il termine passaggio non sta a indicare la c.d. «libertà di navigazione», nel senso che non significa che le navi di uno Stato terzo possano liberamente navigare come vogliono, ma palesa solo diritto di transito, cioè il passaggio necessario per l’attraversamento di queste acque territoriali; si tratta, ergo, di un concetto più ristretto rispetto alla libertà di navigazione.
Per quanto riguarda i bastimenti delle ONG, che effettuano operazioni di ricerca e salvataggio in mare, uno Stato costiero può ancorarsi su due linee dispositive. La prima è quella del paragrafo 2, lettera g, dell’articolo 19 della CNUDM, in base al quale si suppone che il transito non sia inoffensivo quando implica il carico di persone contrarie alle norme sull’immigrazione dello Stato costiero. Di certo, l’espressione contenuta nella lettera g – caricamento in corso di persone – non è equivalente all’espressione soccorso di individui. Di regola, un soccorso comporta il dovere di far salire a bordo le persone, ciò è d’uopo per trarre in salvo vite umane in distress, ma non costituisce un atto deliberato per aggirare le norme di diritto dell’immigrazione. Quindi, è ben chiaro che ogni Stato è vincolato a soccorrere i migranti clandestini, come ogni altro essere umano che si trovi in tale situazione, vincolo che, discendendo da antiche consuetudini marinare, è oggi sancito dalla CNUDM, non solo, ma tale obbligo di soccorrere le persone in pericolo in mare è anche una diretta conseguenza del diritto umano alla vita, che è garantito in una serie di Trattati relativi ai diritti umani[62]. Interpretato, dunque, in buona fede e in base al significato ordinario da dare ai termini del trattato, come d’altronde prevede la norma generale unitaria dell’interpretazione del trattato, la c.d. règle générale d’interprétation – ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 1, della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati –, dove vige il principio fondamentale della buona fede, nel senso che l’interpretazione dei trattati è governata dal principio di etica internazionale, pertanto i trattati stessi devono essere interpretati bona fide, su cui si fonda il principio pacta sunt servanda[63], gli Stati costieri non possono fare affidamento all’articolo 19, paragrafo 2, lettera g per negare alle navi estere di condurre operazioni di ricerca e soccorso nell’ambito delle acque territoriali. Tale articolo, in ogni modo, concerne solo le norme attinenti alle questioni di carattere migratorio e può, dunque, essere reclamato solo per affrontare il carico di individui che tentano di fare ingresso nello Stato costiero, ma non coloro che cercano di andarsene.
La seconda disposizione è la lettera l dell’articolo di cui si sta trattando[64], sempre della CNUDM, che consente a ogni Stato costiero di qualificare ogni altra attività che non sia in rapporto diretto con il passaggio come non innocente e porre il diniego del transito mercé il suo mare territoriale su tale fondamento. Un paio di concrete ragioni può essere evidenziato nell’attuale contesto. La prima, parallelamente all’articolo 19, paragrafo 2, lettera g della Convenzione di Montego Bay, si concretizza sulla ragione che uno Stato costiero può sostenere che il passaggio di una nave non è innocente quando carica persone contrarie all’emigrazione dello Stato costiero, contrariamente alle norme che riguardano l’immigrazione. La seconda si fonda sul fatto che gli Stati costieri, parti al Protocollo addizionale del 2000, per combattere il traffico di migranti via mare e via aria[65], sono vincolati a prevenire e reprimere il traffico di migranti via mare come luogo di partenza, ai sensi dell’articolo 7 del Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata per combattere il traffico illecito di migranti via terra, via mare e via aria, in base al quale «gli Stati parti cooperano nella maniera più ampia per prevenire e reprimere il traffico di migranti via mare, ai sensi del diritto internazionale del mare»[66]. Sulla base di tale vincolo, uno Stato costiero può cercare di asserire che ha il permesso di impedire alle persone di lasciare irregolarmente le proprie rive e di inibire alle nave di imbarcale dal loro mare territoriale[67].
In via preliminare, va evidenziato che è improbabile che le operazioni di salvataggio da parte delle ONG si configurino come traffico di esseri umani; ciò è nettamente indicato nell’articolo 3, lettera a, del Protocollo addizionale, che fornisce una definizione all’espressione traffico di migranti, nel senso che tale dicitura indica «il procurare, con l’obiettivo di ricavare direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o materiale, l’ingresso illegale di una persona, in uno Stato parte, di cui la persona non è cittadina o residente permanente». L’articolo poc’anzi citato è accompagnato dall’articolo 6, paragrafo 1, che fa riferimento alla penalizzazione mediante l’adozione di misure legislative necessarie il tipo di reato in base al proprio diritto interno[68].
Ritengo fondamentale porre in risalto la questione che esistono due punti motivabili che non sono sufficienti ossia poco favorevoli per le ONG che operano nelle zone marittime per salvare e ricercare i migranti, che non sono sulla stessa onda delle norme del diritto internazionale. Prima di tutto, non sarebbe in linea con l’oggetto e il fine contenuti nella Convenzione di Montego Bay. Sebbene non sia l’obiettivo primario della CNUDM, le osservazioni che caratterizzano le norme di diritto d’umanità sono evidenti nella struttura delle proprie disposizioni[69]. È molto probabile che le norme presenti nell’Istituto del passaggio inoffensivo, interpretato e posto in atto nell’ambito della buona fede e alla luce di quelli che sono gli obiettivi che abbiano fini prettamente d’umanità della CNUDM – come l’articolo 98 della Convenzione sul diritto del mare del 1982 che disciplina l’obbligo di prestare soccorso a chi si trovi in pericolo, vincolo, punto che va ovviamente reso evidente, che non è assoluto, ma è condizionato dalla circostanza che non vengono messi a repentaglio la nave soccorritrice, il suo equipaggio e i passeggeri[70] –, richiedono la priorità di prestare soccorso alle persone che rischiano la vita, scavalcando il rispetto e l’applicazione delle norme di diritto interno dello Stato costiero. In secondo luogo, sarebbe in conflitto con il diritto internazionale dei diritti dell’uomo. La lettera c dell’articolo 31, paragrafo 3, della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati tiene conto, oltre al contesto, di considerare «ogni norma pertinente di diritto internazionale applicabile alle relazioni fra le Parti», nel senso che ogni strumento internazionale deve essere interpretato e applicato nel quadro dell’insieme del sistema giuridico in vigore al momento in cui ha luogo l’interpretazione[71]. Chiamato pure il principio o il metodo dell’integrazione sistematica, dicitur che la lettera c, dell’articolo di cui si sta trattando, consente di tenere in ponderazione dei vincoli anche quando derivino da altri trattati e quando si riferiscono all’argomento[72]. Ogni trattato, pertanto, inteso come atto giuridico concluso tra due o più soggetti di diritto internazionale, tende ad inserirsi in un più vasto sistema giuridico normativo esistente tra gli Stati stessi, cioè a dire quel complesso delle norme di diritto internazionale convenzionale poste fra gli Stati medesimi da altri trattati[73]. Inoltre, si può menzionare che la stessa CNUDM, all’articolo 293, paragrafo 1, enuncia che un tribunale competente, ai sensi della Convenzione di Montego Bay del 1982, applica le disposizioni della stessa e le altre norme di diritto internazionale che non siano incompatibili con la presente Convenzione[74]. Quanto evidenziato, è stato confermato in alcune sentenze emesse dal Tribunale internazionale del diritto del mare[75], specifico organo giurisdizionale, competente a risolvere le questioni che ineriscono alle diverse tematiche del mare[76]. Le disposizioni che riguardano il passaggio inoffensivo nel mare territoriale andrebbero interpretate ed applicate nel contesto del diritto internazionale dei diritti umani[77].
Qualche problema potrebbe essere posto in risalto circa l’utilizzo degli articoli di cui poc’anzi ho delineato, in riferimento all’articolo 31, paragrafo 3, lettera c della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati del 1969 e a quello della CNUDM, c’est à dire l’articolo 293 al fine di leggere disposizioni della Convenzione che vanno al di là delle questioni disciplinate dalla Convenzione di Montego Bay[78]. Il diritto internazionale, che si occupa specificamente della sfera dei diritti dell’uomo – oltre a costituire un mezzo di interpretazione della CNUDM –, può essere posto in essere, nel concreto può essere applicato in modo autonomo, anche il poter circoscrivere o limitare le possibilità degli Stati costieri di inibire l’ingresso a imbarcazioni battenti bandiera di Stati terzi nel mare territoriale. Un caso particolare, tanto per esemplificare, è stato affrontato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che riguarda(va) la fondazione olandese women on waves e altri c. Portogallo[79] del 2009. La vicenda concerneva un’imbarcazione della ONG, battente bandiera dei Paesi Bassi, che era intenzionata a fare ingresso nel mare territoriale del Portogallo ed ormeggiare nel porto di Figuera da Foz dove avrebbe dovuto organizzare a bordo delle riunioni, delle esercitazioni pratiche e dei seminari. L’intervento del Segretario di Stato per il mare, del 27 agosto 2004, mediante l’adozione decisionale, inibiva l’accesso nelle acque territoriali e nei porti portoghesi. Tale intervento si basava sulla ragione che l’atto era motivato dalla necessità di evitare azioni che potevano andare contro la CNUDM e le norme interne del Portogallo in materia sanitaria, sostenendo inoltre che le attività previste dall’ONG avrebbero reso non innocente il passaggio della nave olandese Borndiep. Le autorità di Lisbona, difatti, avevano applicato l’articolo 19, paragrafo 2, lettera g, in quanto ritenevano che per impedire l’ingresso della nave Borndiep era necessario adottare la misura per la protezione della sicurezza e della salute pubblica[80]. Veniva notificata al comandante della nave ONG Borndiep il divieto di procedere all’ingresso delle acque territoriali portoghesi, tanto da posizionare due navi da guerra con lo scopo di impedire fisicamente all’imbarcazione olandese Borndiep l’ingresso nel proprio mare territoriale.
È vero che quando si tratta di non mettere in pericolo la salute pubblica, è giustificata l’azione dello Stato costiero di motivare il passaggio non inoffensivo, ai sensi della CNUDM, ma la Corte EDU ha rilevato che negando l’ingresso del bastimento ONG, le autorità di Lisbona avevano violato l’articolo 10 della Convenzione EDU, che riconosce e garantisce la libertà di espressione, la libertà di ricevere e di comunicare informazioni, precisando che tale libertà deve essere adeguatamente bilanciata con il rispetto di altri diritti garantiti dalla Convenzione EDU, non solo, ma è stata anche definita un fondamentale pilastro della società democratica[81], per la ragione che l’interferenza del Portogallo è stata ritenuta sproporzionata rispetto agli obiettivi perseguiti, rammentando, inoltre, che la libertà di espressione deve essere ritenuta prevalente rispetto alle esigenze di protezione della vita del feto[82]. Impedire agli individui, da una lato, di lasciare uno Stato, tranne in casi dove le restrizioni sono circoscritte, si scontra contro la branca quale sfera dei diritti umani contenuta nel diritto internazionale generale, in virtù del quale ogni essere umano, in linea di principio, gode della piena libertà di abbandonare qualsiasi Stato, compreso quello d’origine[83]. Sulla questione delle restrizioni va anche aggiunto che devono essere date dal diritto e, dunque, devono essere necessarie e proporzionali. Le stesse restrizioni, che rientrano nell’alveo della liceità, devono includere la garanzia di un processo in sospeso, la protezione dei segreti di Stato, l’attuazione delle riduzioni sanzionatorie adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e via discorrendo[84]. Il diritto alla vita, dall’altro lato, impone tassativamente i vincoli allo Stato costiero di intraprendere misure adeguate per preservare la morte di coloro che fanno ritorno nella sua domestic jurisdiction[85]. Ciò vale anche nell’ambito SAR, come ha ribadito la Corte EDU nel caso Leray c. Francia, confermando che la strada in cui le operazioni di soccorso in mare vengono condotte, sono suscettibili di judicial review alla luce del diritto alla vita[86]. Il diritto alla vita di ogni migrante va rispettato e garantito, in base alle circostanze della situazione di pericolo e delle navi che si trovano nella zona che possono prestare soccorso ed assistenza, comporta l’obbligo di non ostacolare il transito delle imbarcazioni delle ONG nel mare territoriale, qualora siano in grado di contribuire ad evitare perdite di vita di essere umani.
In poche parole si può considerare il fatto che uno Stato costiero non ha strumenti giuridici per impedire alle navi delle organizzazioni non governative di attuare le operazioni di ricerca e soccorso a favore di persone migranti che si trovino in pericolo di vita nelle sue acque territoriali, per la ragione che l’ingresso e la presenza nel mare territoriale, che ha come obiettivo quello di intraprendere la ricerca e il salvataggio, non rende il transito di una nave come passaggio inoffensivo. Da qui va anche sottolineato che la questione che le navi ONG non solo sono nella piena titolarità di poter navigare nei lembi territoriali marittimi per operazioni di intervento che hanno come fine la ricerca e il soccorso di esseri umani in pericolo di vita, ma ostacolare l’ingresso comporterebbe la violazione delle norme contenute nella Convenzione di Montego Bay del 1982, come pure la violazione delle disposizioni che regolano il diritto internazionale dei diritti umani.
È ben noto che le autorità libiche sia del passato che dell’attuale governo non hanno ancora stipulato e ratificato la CNUDM, tuttavia gli stessi organi governativi libici sono tenuti a rispettare quei principi basilari del diritto di passaggio inoffensivo, presente nella sezione 3 della stessa CNUDM che sono reputati come riflesso dello jus cogens, come è stato già sottolineato dalla Corte Internazionale di Giustizia, nella sentenza concernente le attività militari e paramilitari in e contro il Nicaragua, secondo la quale «al fine di poter accedere nei porti, le navi straniere dispongono del diritto consuetudinario di passaggio inoffensivo nel mare territoriale e l’articolo 18, paragrafo1, lettera b della CNUDM non fa che codificare il diritto internazionale cogente»[87]. Ancora, è d’uopo evidenziare il fatto che il diritto marittimo non assicura a ciascuno Stato costiero alcun potere di restrizione alla navi battenti bandiera di Stati terzi in merito al diritto di poter navigare nelle acque territoriali di un altro Stato rivierasco. Pertanto, va precisato che ogni tentativo delle autorità governative italiane di vincolare le navi delle ONG ad attenersi alle disposizioni contenute nel codice di condotta, che impone l’inibizione di accedere nel lembo delle acque territoriali libiche, è privo di inquadramento giuridico nell’ambito del diritto internazionale.
…b) Libertà di navigazione al di là del mare territoriale
Oltre al mare territoriale, vi sono altre zone marittime adiacenti come il mare internazionale, come pure tutte quelle porzioni di acque marine del pianeta rispetto alle quali non si afferma né si irradia la sovranità territoriale di alcun membro della società internazionale[88], la zona contigua (ZC), area di mare contigua a quella territoriale e nell’ambito della quale lo Stato costiero si attribuirebbe il diritto di svolgere determinate attività di controllo anche nei riguardi delle navi di altre bandiere ossia può esercitare poteri di carattere strettamente funzionale[89], e, come ultimo, la zona economica esclusiva (ZEE)[90], area esterna e adiacente al mare territoriale, in cui lo Stato costiero ha una gamma di diritti che si intrecciano a favore dello Stato rivierasco, che è dovuto proprio al fatto che questa ZEE è un’area di transizione fra acque territoriali e alto mare, che si estende sino a 200 miglia marine dalle linee di base da cui viene misurata l’ampiezza del mare, in cui lo Stato costiero esercita poteri sovrani circa lo sfruttamento delle risorse economiche[91]. Non va escluso, inoltre, che, al di là delle acque territoriali, le navi battenti bandiera di qualsiasi Stato, goda della libertà di navigazione[92], come sancito nella CNUDM, in mare aperto o mare liberum e, quindi, la libertà di utilizzazione del mare al di là dei limiti giurisdizionali nazionali e, aggiungerei, anche la libertà delle navi di muoversi in piena libertà nella zona in cui vi è la mera assenza di ogni sovranità territoriale proprio in alto mare[93].
Dopo aver delineato tali aspetti, si può asserire che le navi ONG, al di là della zona del mare territoriale, sono esclusivamente soggette alla giurisdizione del loro Stato di bandiera e, pertanto, nessun altro Stato può porre dei limiti ai diritti di queste navi di navigare nell’ambito della ZEE o in mare liberum, quest’ultimo considerato quale spazio marino non sottoposto ad alcuna sovranità, come già accennato, nel quale dominano la libertà di navigazione e la regola della bandiera[94].
Non si può, tuttavia, non tenere conto che esistono talune eccezioni particolari a questa regola. In primo luogo, vige una gamma di valide ragioni circa la questione giurisdizionale su cui gli Stati diversi da quello di bandiera possano esercitare nelle acque internazionali. Queste sono elencate ampiamente proprio nel testo della CNUDM e comprendono l’esercizio di giurisdizione o un diritto di visita in caso vi siano fondati motivi per sospettare che la nave sia impegnata in atti di pirateria o animus furandi, come elemento soggettivo del crimine, consistenti in atti illeciti di violenza o di sequestro e che costituisce il perseguimento di un fine di lucro[95], come pure la prevenzione e il perseguire il trasporto di schiavi a bordo di una nave, su cui lo Stato che procede alla visita, non avendo poteri coercitivi, può limitarsi esclusivamente ad informare lo Stato della bandiera; tuttavia, viene anche sancito nella CNUDM che ogni Stato adotta misure efficaci per prevenire e perseguire il trasporto degli schiavi a bordo di navi autorizzate a battere la sua bandiera, e per prevenire l’uso illecito della propria bandiera a tal fine. Se lo schiavo, inter alia, si rifugia a bordo del bastimento che procede alla visita, egli è libero ipso facto[96]; così pure il traffico illecito dei stupefacenti e sostanze psicotrope in base al quale viene disposto un generico obbligo di cooperazione tra gli Stati per la repressione del traffico di stupefacenti[97]; e, infine, le trasmissioni non autorizzate in mare liberum come quelle radiofoniche o televisive diffuse verso la platea di persone in violazione dei regolamenti internazionali. Tale potere è attribuito, oltre che allo Stato della bandiera, allo Stato di cui i responsabili abbiano la nazionalità e a quegli Stati nei quali le trasmissioni sono ricevute o le cui radiocomunicazioni sono disturbate[98]. Tuttavia, nessuno delle ragioni poc’anzi elencate fornisce una base giuridica per limitare i diritti di navigazione delle imbarcazioni ONG che conducono operazione di ricerca e soccorso[99].
Il secondo punto, contornato dalla sua eccezionalità alla normale delimitazione delle autorità statali in alto mare, è inerente al c.d. hot pursuit ossia diritto d’inseguimento in mare liberum di navi private straniere per infrazioni da queste compiute[100], Istituto da lungo tempo riconosciuto dal diritto internazionale marittimo cogente e dalla CNUDM, che consente allo Stato costiero di proseguire pure verso il mare internazionale quando ha valide ragioni per stanare un’attività repressiva che abbia avuto inizio in acque sottoposte alla sua sovranità, dando la possibilità allo Stato costiero stesso di bloccare la nave nei cui confronti sussistono forti motivazioni per ritenere che tale nave sia andata contro le leggi o i regolamenti dello Stato costiero considerato[101] cioè a dire che lo Stato costiero è nella titolarità di inseguire con le proprie navi da guerra o in servizio di Stato, un bastimento mercantile battente bandiera straniera che abbia commesso un’infrazione nelle sue acque territoriali: se l’inseguimento è proseguito senza interruzione, la nave straniera può essere fermata in acque internazionali per essere ricondotta in uno dei porti dello Stato inseguitore[102].
Punto fondamentale da non sottovalutare sul droit de poursuite consiste proprio nel fatto che esso deve subire la cessazione nel momento in cui la nave privata oggetto di inseguimento entra nel mare territoriale dello Stato di cui batte la bandiera di un terzo Stato[103], sebbene si verificherebbe una violazione del c.d. dominio riservato, quale sfera esclusivamente riservata all’esercizio dei poteri sovrani e sottratta all’azione di altri soggetti di diritto internazionale al fine di salvaguardare la sovranità statale[104]. Oggi, peraltro, questo Istituto di derecho de persecuciòn in alto mare può reputarsi senz’altro acquisito al patrimonio giuridico internazionale. Pertanto, tale diritto non può essere praticato nei riguardi delle navi delle ONG che si trovino oltre il mare territoriale dello Stato costiero cioè in acque internazionali mentre sono intente presumibilmente ad attività illecite senza mai mettere piede nelle acque territoriali.
Il terzo punto o meglio la terza ed ultima eccezione ha come punto quello che concerne il potere di intercettare imbarcazioni straniere sospettate di traffico di migranti (migrant smuggling) in alto mare, in base al quale uno Stato parte che ha ragionevoli motivi di sospettare che una nave, (…), sia coinvolta nel traffico di migranti via mare, può richiedere ad altri Stati parte assistenza per porre fine all’utilizzo della nave utilizzata a tale fine, come sancito dall’articolo 8, paragrafo 1, del Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata per combattere il traffico illecito di migranti via terra, via mare e via aria. Tuttavia, esiste un’altra espressione che è quella della tratta o traffico degli esseri umani (human trafficking), dove non vi è alcuna pattuizione tra criminale e vittima e il destino della merce è fondamentale per il trafficante, che si concretizza contro la volontà delle persone che ne sono oggetto, destinate ad essere sottoposte al controllo dei trafficanti, come pure al loro sfruttamento, rispetto al traffico di migranti in cui il soggetto criminale svolge una funzione paragonabile a quella di un’agenzia, instaurandosi così un rapporto commerciale tra il migrante che chiede un servizio dai contorni illeciti e il criminale che glielo offre dietro una somma di danaro ossia un rapporto consensuale tra il trafficante e il migrante, che ha quale fine primario il rilascio del secondo nello Stato di destinazione in tale maniera rescindendo ogni collegamento con il primo una volta che il trasferimento è stato portato a termine[105]. La ricerca e il soccorso di solito non vengono qualificate come trafficante o facilitatore, nel senso che le operazioni di salvataggio a favore di migranti in acque internazionali non possono essere inquadrate nella sfera del crimine e, pertanto, non vanno considerate crimini internazionali[106]. Lo Stato intercettatore, inoltre, avrebbe necessità di un’autorizzazione preventiva dello Stato di bandiera della nave ONG prima che possa adottare le misure previste dall’articolo 8, paragrafo 2 del Protocollo addizionale del 2000, in base al quale uno Stato Parte che ha ragionevoli motivi per sospettare che una nave, che esercita la libertà di navigazione in conformità al diritto internazionale e che batte bandiera o che esibisce i segni di iscrizione al registro di un altro Stato Parte, sia coinvolta nel traffico di migranti via mare, può informare di ciò lo Stato di bandiera, chiedere conferma dell’iscrizione sul registro e, se confermata, chiedere l’autorizzazione a detto Stato a prendere misure opportune in relazione a tale nave. Per concludere questo paragrafo, necessita sottolineare che in genere non esistono delle circostanze dove gli Stati costieri possano avere del tutto il diritto di fermare o di imbarcarsi o andare alla ricerca di bastimenti appartenenti alle organizzazioni non governative che si trovino ad espletare operazioni di ricerca e salvataggio al di là delle acque territoriali oppure anche procedere al fermo dell’intero equipaggio[107].
4 – I poteri dello Stato costiero nella cornice delle operazioni SAR
Ogni Stato costiero, al fine di ottemperare ai vincoli sanciti dalla Convenzione di Amburgo, è obbligato a porre in essere delle strutture che consentano il coordinamento efficiente per far fronte ad eventi in cui vi è la certezza del pericolo in mare, che può accadere all’interno della propria regione di ricerca e soccorso (SRR), nel senso che si è voluto procedere alla creazione di un sistema internazionale in materia di operazioni di ricerca e soccorso in mare, caratterizzato, difatti, dall’obbligo per gli Stati di costituire servizi di ricerca e soccorso, individualmente o in cooperazione inter sé, come pure l’obbligo di condurre individui tratti in salvo in un luogo sicuro[108]. A tal fine, gli Stati costieri offrono generalmente competenze di come bisogna coordinarsi alle autorità statali competenti, in particolar modo ci si riferisce ai Centri di coordinamento del soccorso in mare. Esaminando il quadro della portata dei poteri di istruzioni che rientrano nelle competenze delle autorità in uno specifico contesto normativo interno, è d’uopo diversificare alcuni criteri.
Partendo dal primo, si delinea il fatto che l’ordinamento interno di determinati Stati costieri non stabilisce completamente la possibilità per gli organi competenti di rilasciare istruzioni riguardanti il soccorso e la ricerca in mare, o lo fa, tuttavia, senza porre in netta rilevanza la loro natura de jure vincolante l’applicabilità geografica, come avviene nell’ordinamento dei Paesi Bassi[109]; mentre nel nostro ordinamento, la Convenzione SAR del 1979, rappresenta un limite alla potestà dello Stato e tale Convenzione in concerto con le norme del diritto internazionale, sottoscritta dall’Italia[110], non può essere derogata dall’autorità politica nel senso che tra le norme di diritto generalmente riconosciute rientrano pure quelle poste dagli accordi internazionali in vigore dal nostro Paese che assumono, in virtù del principio pacta sunt servanda[111], quale norma fondamentale del diritto dei trattati che assume l’accordo stesso a fatto giuridico produttivo, un rango gerarchicamente superiore alla disciplina del proprio ordinamento domestico.
Circa il secondo criterio, si evidenzia la questione che esistono dei sistemi giuridici interni agli Stati costieri che determinano compiti e competenze dei Centri di coordinamento del soccorso marittimo, come quello italiano, ubicato nella capitale, presso la sede del Commando generale del corpo della capitaneria di porto/Guardia costiera, per fornire istruzioni SAR giuridicamente vincolanti nell’ambito del mare territoriale di tale Stato. Nell’ordinamento interno italiano, a titolo di esempio, il codice di navigazione stabilisce quelli che sono i poteri attribuiti al comandante sul posto per il soccorso a navi in pericolo o ai naufraghi[112]. Nel momento in cui l’autorità marittima è informata di un’imbarcazione in pericolo o di un naufragio, deve subito provvedere al soccorso[113], come può anche ordinare che le navi che si trovino sul posto siano disponibili con i relativi equipaggi[114], ordine che vi è stato configurato come atto di requisizione[115]. Esistono pure le sanzioni in caso di omissione di soccorso, come viene previsto dall’articolo 1113 del Codice della navigazione, in base al quale viene enunciato che «chiunque, nelle condizioni previste negli articoli 70, 107, 726, richiesto dall’ autorità competente, omette di cooperare con i mezzi dei quali dispone al soccorso di una nave, di un galleggiante, di un aeromobile o di una persona in pericolo ovvero all’ estinzione di un incendio, è punito con la reclusione da uno a tre anni», o di assistenza a navi o persone in pericolo come è enucleato nell’articolo 1158, paragrafo1, secondo cui «il comandante di nave, di galleggiante o di aeromobile nazionali o stranieri, che omette di prestare assistenza ovvero di tentare il salvataggio nei casi in cui ne ha l’ obbligo a norma del presente codice, è punito con la reclusione fino a due anni». Tuttavia, vi sono dei principi che concernono il vincolo per lo Stato di salvare vite umane in pericolo in mare, come enunciati nell’articolo 2 della Costituzione, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, che sono quelli propri della stessa natura umana, fra questi il diritto alla vita – pur non espressamente menzionato nella nostra Carta costituzionale, ma rientra fra i diritti inviolabili e riconosciuti dalla repubblica italiana[116] – e come singolo e come partecipe alle formazioni sociali nelle quali si svolge la sua personalità[117]. La Corte costituzionale, in una serie di sentenze (n.54/79, n.223/96, n.35/97) ha asserito che il diritto alla vita è uno dei diritti inviolabili. Tali principi, presenti nell’articolo 10, paragrafo 1, impongono all’Italia di conformare il proprio ordinamento alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute tra cui il salvataggio in mare di naufraghi e via discorrendo. Il meccanismo di adattamento, inoltre, del diritto interno a quello internazionale, come predisposto dall’articolo costituzionale poc’anzi citato, è automatico, nel senso che esso provvede a creare le norme interne che servono per adempiere alle prescrizioni delle norme internazionali generali, senza il necessario intervento del legislatore. In sostanza, la disposizione, de quo si sta trattando, funziona nell’ordinamento costituzionale come «trasformatore permanente», il quale estrae dalle norme di diritto internazionale generale il contenuto delle norme interne per adattarlo a quelle cioè si mette in moto un meccanismo che produce effetti interni in relazione al sorgere, al modificarsi e all’estinguersi di disposizioni generali[118], vale a dire che tali norme devono intendersi direttamente produttive di effetto anche sul piano dell’ordinamento interno e, quindi, debbono essere applicate direttamente dal giudice nazionale, poiché il nostro ordinamento si «conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute»[119].
Sul terzo criterio va posto in risalto che gli ordinamenti di determinati soggetti di diritto internazionale come, ad esempio, il Canada[120] e la Francia[121], in quanto Stati costieri, prevedono che le autorità competenti possano impartire linee-guida nell’ambito della loro aree SRR, c’est à dire non solamente all’interno dei propri mari territoriali, ma pure in quelle zone del mare internazionale che fanno parte del SRR.
È ben noto che, mentre sono inesistenti norme nette e specifiche in base al diritto internazionale circa il potere degli Stati costieri di fornire istruzioni SAR vincolanti, il diritto internazionale marittimo fornisce alcune linee-guida. Nell’ambito del mare territoriale, ogni Stato può esercitare la totale sovranità anche su navi battenti bandiera di altri Stati. Pure la CNUDM usa l’espressione «sovranità dello Stato costiero[122]» sulle acque territoriali; è stato osservato che il termine appropriato per individuare i poteri dello Stato rivierasco sarebbe piuttosto quello di «giurisdizione sovrana» che indicherebbe l’insieme di poteri assoluti esercitati dallo Stato sulla terra ferma e che non è oggetto di alcuna eccezione, mentre nel mare territoriale tale agglomerato di poteri è solamente limitato dal diritto di passaggio inoffensivo a favore delle navi battenti la bandiera straniera, il che giustifica l’uso della dicitura di «giurisdizione sovrana», anziché di «sovranità»[123]. Tuttavia, alcuno Stato può reclamare la sovranità in acque internazionali dove tutti gli Stati godono di una libertà esercitabile nell’ambito dei parametri statuiti dalla CNUDM. Ciò sta a indicare che lo Stato in genere, neppure quello costiero, non può legittimamente rivendicare la sottoposizione alla sua sovranità di alcuna parte del mare aperto[124]. Mentre la regola generale, così come recepita nell’articolo 92 della CNUDM, inerente la posizione giuridica delle navi[125], vuole che, salvo eccezioni chiaramente statuite dal diritto internazionale pattizio, come la Convenzione di Montego Bay, le navi che operano nel mare internazionale sono sottoposte alla giurisdizione esclusiva dello Stato di cui battono bandiera o «legge di bandiera»[126]. Tale principio è stato affermato, per la prima volta, dalla Corte Permanente di Giustizia Internazionale nel caso SS Lotus (Francia c. Turchia), nel 1927, in base al quale «le navi in alto mare non sono sottoposte ad altra autorità che a quella dello Stato di cui porta la bandiera e, in virtù del principio della libertà del mare, cioè a dire dell’assenza di ogni sovranità territoriale in mare aperto, nessuno Stato può esercitarvi poteri d’imperio giurisdizionale su bastimenti battenti bandiera straniera»[127]. Dopo quasi trent’anni, d’altronde, gli ha fatto eco la Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite, in merito a tale principio, che ha posto in rilievo il fatto che «la mancanza di qualsiasi autorità sulle navi che navigano nelle acque internazionali porterebbe unicamente nella sfera della confusione e del caos. Uno degli elementi essenziali del principio della libertà dei mari sta nella ragione che una nave deve battere la bandiera di un singolo Stato e che è soggetta alla giurisdizione di tale Stato»[128]. Il sistema SAR crea unicamente delle responsabilità, ma non incide sulle demarcazioni confinarie degli Stati, sul controllo oppure sui diritti di navigazione e, in aggiunta, non conferisce nuovi diritti o ragioni di giurisdizione agli Stati rivieraschi[129].
Il terzo criterio, concernente l’ordinamento interno che determina la questione che le istruzioni SAR siano de jure vincolanti, al di là del mare territoriale, interferisce con la giurisdizione dello Stato di bandiera esclusivo e, pertanto, non è conforme al diritto internazionale marittimo.
Ora, ai sensi del diritto internazionale, in tale ottica le linee-guida SAR, fornite dalle autorità nazionali a navi private, battenti bandiera di Stati terzi, oltre il mare territoriale, possono essere reputate solamente come appelli di cooperazione, rammentando ad esse la necessità di attenersi e porre in atto i vincoli sanciti dall’ordinamento dello Stato di bandiera concernente il dovere di assistere. Un Centro di coordinamento del soccorso in mare può solo comunicare allo Stato di bandiera di una nave estera la mancanza di cooperazione, ma non può imporre al rispetto e all’applicazione delle sue istruzioni in acque che non sono sotto la sua giurisdizione ovvero in acque internazionali. Quindi, la struttura dell’impianto codicistico di condotta, concernente l’adempimento alle istruzioni del Centro di coordinamento di soccorso in mare competente, può essere solo resa attuabile nell’ambito del mare territoriale, ma al di fuori di esso le linee guida non sono vincolanti ai fini cooperativi.
5 – I pilastri delle operazioni SAR mercé le istruzioni di soccorso, trasferimento e sbarco degli individuati salvati in mare
È ben noto che il diritto internazionale, come pure quello riguardante la sfera dei diritti dell’essere umano, e il sistema di ricerca e soccorso in mare pongono dei paletti giuridici circa l’ammissibilità delle linee guida SAR, in particolar modo quelle che afferiscono il soccorso emergenziale e quello di trasferimento e sbarco dei migranti tratti in salvo[130]. Parametri che sono stati posti per la ragione che, in passato, si sono manifestati duri scontri di tensioni fra gli Stati costieri e le organizzazioni non governative.
Le linee guida inerenti il soccorso in caso di emergenza rientrano nella sfera di richiesta di procedura in situazioni di pericolo, in cui è necessario il salvataggio a individui che si trovano in pericolo di vita. Tali istruzioni non sollevano particolari problemi di conformità con il diritto internazionale pubblico, dal momento che ogni comandante è un organo di per sé soggetto al vincolo ossia al dovere di assistere le persone che si trovino in serie di pericolo (distress) e in situazioni di difficoltà per la loro incolumità, in base alle norme dello Stato di bandiera ovvero della loro legge di bandiera[131]. Le stesse ONG hanno posto in risalto di aver ricevuto dei vademecum o linee-guida contornate da una serie di problematiche ardue da risolvere, nel momento in cui le autorità nazionali fornivano loro delle direttive a non espletare operazioni di soccorso a persone che erano in pericolo di vita e, dunque, ad astenersi dall’offrire ogni tipo di assistenza. L’esempio plausibile è riscontrabile nella vicenda Aquarius, bastimento dell’organizzazione non governativa SOS Mediterranée, di cui si è già detto all’inizio di questo studio, che ricevette l’ordine, nei giorni 23 e 24 novembre 2017, dal Centro di coordinamento dei soccorsi marittimi di Roma, di desistere dal soccorrere talune imbarcazioni in pericolo nella acque internazionali del canale di Sicilia[132].
L’intero corpus iuris di norme e di linee-guida del funzionamento della struttura di ricerca e soccorso è stato progettato al fine di assicurare una zona SAR che funzioni nell’ambito della sua efficienza ed efficacia. Il successo di una missione SAR dipende soventemente dalla rapidità con cui viene pianificata e portata l’operazione stessa[133]. Ciò è anche indicato in una disposizione della CNUDM, in base alla quale viene enunciato che il comandante deve procedere quanto più rapidamente possibile al soccorso delle persone in pericolo o in emergenza in mare aperto. Questa circostanza corrisponde a un obbligo di antica formazione di diritto consuetudinario (jus cogens), codificato proprio dall’articolo 98, paragrafo 1, della CNUDM, secondo cui ogni Stato è tenuto a soccorrere, mercé navi che battono la loro bandiera, chiunque sia trovato in mare al limite del pericolo della propria vita[134]. Elemento quest’ultimo in base al quale il dovere di rendere assistenza, sancito dalla stessa Convenzione di Montego Bay, equivale ad una norma di diritto internazionale generale, di per sé, punto importante, vincolante erga omnes – cioè per tutti gli Stati che costituiscono l’intera comunità internazionale – a prescindere dallo status degli Stai stessi quali Parti contraenti della CNUDM[135]. Questo è il motivo per cui la Convenzione SAR, oggi vincolante per più di cento Stati contraenti, obbliga ogni unità di ricerca e salvataggio, che viene a conoscenza di pericoli imminenti, ad adottare nell’immediato dei provvedimenti, auspicandosi che sia in grado di fornire assistenza e, in tutti i casi, informa il Centro di coordinamento di salvataggio o il Centro secondario di soccorso marittimo nella zona dove si è verificato il caso di pericolo. Persino il manuale di ricerca e soccorso internazionale marittimo (e aeronautico)[136] delinea l’urgenza di una risposta alla natura dell’incidente e alla corsa contro il tempo dove la situazione possa peggiorare, determinando l’invio immediato di unità di soccorso e ricerca con l’obiettivo di confermare il luogo o la posizione dove è presente il pericolo. Chiaramente, un’autorità, attraverso fondate motivazioni, può chiedere ad una nave di restare ferma senza intervenire, quando un’altra nave si trova nell’area vicina in modo da poter fornire assistenza. Si metta, tuttavia, appena in conto di rilevare che dove un’imbarcazione ONG si trovi in prossimità di una situazione in cui delle vite umane sono in serio pericolo e che sia in grado di intervenire subito prestando soccorso, la linea guida di uno Stato costiero a non procedere si porrebbe in contrasto con la Convenzione di Amburgo del 1979. Di certo, va posto in evidenza che tale linea-guida verso l’area reputata di pericolo non contravviene al regime giuridico SAR, qualora un’altra nave si trovi già in tale zona e, pertanto, in grado di prestare soccorso, onde evitare che tutte le navi ONG vadano verso lo stesso punto dove vi è un imminente pericolo.
Ora, è fondamentale che, se si vuole evitare perdite di vite umane in mare, è d’uopo che il coordinamento sul luogo, dove è presente un pericolo che possa colpire l’incolumità degli individui, abbia la sua efficacia. Questo è il caso in cui più soggetti sono presenti in un’area di pericolo. In questi casi, possono sorgere delle domande attorno alla responsabilità e alla procedura di salvataggio nella zona. Un tangibile esempio può essere tratto quando, il 6 novembre del 2017, l’imbarcazione della Sea-Watch era giunta in una zona dove vi era un pericolo imminente, dopo aver risposto alla richiesta del Centro di coordinamento del soccorso in mare di Roma, assumendo la responsabilità di coordinare sul posto, assieme alla navi da guerra francese e un elicottero della Marina militare italiana, in pieno e reciproco accordo, in linea con il protocollo da rispettare in questo genere di situazioni, la nave meglio equipaggiata per il soccorso viene scelta per assumere il comando delle operazioni. A quel punto, sia l’elicottero che la nave militare francese hanno riconosciuto tale ruolo alla Sea-Watch, preparandosi a compiere i passi successivi per coordinare e realizzare al meglio le operazioni di salvataggio. L’intera operazione avvenne nelle acque internazionali[137]. La distanza dalle coste libiche era di circa 30 miglia nautiche e ciò stava a indicare che la guardia costiera libica non aveva alcun diritto di intervenire in quanto non aveva alcuna sovranità. Tuttavia, quando la nave della guardia costiera libica era giunta nell’area di soccorso, dove l’ONG tedesca Sea-Watch stava effettuando operazioni di salvataggio, anziché supportare il bastimento ONG decise di interrompere il coordinamento e le operazioni di salvataggio sul posto, cagionando la morte di molti migranti[138].
La Convenzione SAR, inoltre, per quanto concerne il coordinamento sul posto delle attività di ricerca e salvataggio, statuisce che, quando i mezzi si apprestano a intraprendere le operazioni di ricerca e salvataggio (…), dovrà essere designata la persona a cui deve essere affidato il coordinamento in loco per seguire le operazioni, nel senso che «le attività delle unità di ricerca e di salvataggio e degli altri mezzi che partecipano alle operazioni di’ ricerca e di salvataggio sono coordinate “in loco” in modo da ottenere i risultati più efficaci»[139]. Fa da supporto anche il manuale di ricerca e soccorso internazionale marittimo che delinea la necessità di una persona responsabile e coordinatore sul posto[140]. È noto il fatto che le navi ONG sono le prime ad arrivare o che si trovino già in prossimità di luoghi di pericolo rispetto alle navi delle guardie costiere degli Stati e, pertanto, vengono considerate le più adatte a coordinare le operazioni di ricerca e soccorso nelle zone di pericolo. L’articolo 4.7.2 della Convenzione di Amburgo specifica che «quando più mezzi si apprestano ad intraprendere le operazioni di ricerca e di salvataggio ed il centro di coordinamento di salvataggio oppure il centro secondario di salvataggio lo ritiene necessario, dovrà essere designata al più presto la persona più capace, in quanto coordinatore in loco, e preferibilmente prima dell’arrivo dei mezzi nella zona di operazioni stabilita. Responsabilità precise sono affidate al coordinatore in loco, in considerazione delle competenze che risulta possedere e dei bisogni operativi». Da ciò si desume come sia fondamentale in una situazione di pericolo il ruolo del coordinatore sul luogo dove è tangibile, come pure riscontrabile, il pericolo che deve essere affidato per la gestione di esso al soggetto competente, preparato e in grado di gestire l’operazione in loco. Inoltre, da quanto detto, è possibile constatare la differenza, sul piano dell’esperienza e, non solo, anche delle capacità operative, fra gli operatori delle navi usate dalle organizzazioni non governative e gli organi ufficiali della Guardia costiera dello Stato libico, dove i primi sono consapevoli di assumersi la responsabilità della gestione e del coordinamento delle operazioni che riguardano il salvataggio di esseri umani che sono in pericolo di vita in mare, come pure di ricerca, mentre i secondi risultano essere, ancora oggi, privi di adeguate cognizioni e, senz’altro, di un’ampia professionalità per potersi indossare la veste di coordinatori nella gestione del coordinamento nella zona considerata pericolosa. Altro aspetto da tenere in ponderazione si poggia sulla ragione che, nel momento in cui il comandante di un bastimento dell’ONG ha l’incarico di procedere a determinare il coordinamento di avviare operazioni di ricerca e soccorso nel luogo di pericolo, altre imbarcazioni, che siano militari o viceversa, presenti sono tenute a non cagionare alcun ostacolo o impedimento alla responsabilità della gestione affidata al comandante, altrimenti il loro comportamento di impedimento incorrerebbe in violazione delle norme contenute nella Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo del 1979, sebbene possono compromettere un’efficace coordinamento in loco che ha come obiettivo quello di salvare la vite a individui che si trovino in pericolo, dato che è fondamentale non violare il diritto alla vita, per l’appunto, di migranti che sono in situazioni di imminente pericolo in mare. Il compito degli Stati resta in ogni modo quello di adottare ogni misura efficace al fine di custodire tale vita attraverso la prevenzione delle vite umane. Tanto è vero che, quanto poc’anzi scritto, gli Stati sono vincolati a garantire che sia prestata – ai sensi della Convenzione SAR – assistenza a ogni individuo in pericolo in mare senza distinzione relative alla nazionalità o allo status di tale persona o alle circostanze nelle quali la persona viene trovata, come pure quello di fornire le prime cure mediche o di altro genere e a trasferirla in un luogo sicuro[141]. Nell’attuale contesto, ciò sta a indicare che uno Stato rivierasco, conscio di una situazione di imminente pericolo per le persone, non dovrebbe fornire delle linee-guida che abbiano un effetto contrario o che possano cagionare problemi ad un’operazione, poiché ciò andrebbe contro il diritto d’umanità ossia il diritto internazionale che tutela i diritti dell’essere umano. Ciascuno Stato costiero deve tenere presente la linea razionale che consiste nell’impegnarsi o nel fare in modo che i diritti umani di coloro, che decidono di migrare dal loro Paese d’origine per entrare nel suo territorio – e quindi sotto la sua sovranità giurisdizionale –, siano del tutto garantiti. È sufficiente, inoltre, sottolineare che esiste un accordo cogente erga omnes, dove vige il vincolo di far prevalere il diritto internazionale dei diritti umani in acque internazionale che si mette in moto quando uno Stato esercita l’autorità e il controllo sugli individui[142]. Lo Stato che fa imbarcare degli individui a bordo del proprio bastimento oppure compie manovre azzardate con l’intento di colpire o causare il rovesciamento dell’imbarcazione, sta, in tal momento, esercitando la propria autorità e il pieno controllo sugli individui che si trovano a bordo della nave e, pertanto, sta applicando la giurisdizione ai fini dei diritti umani[143]. Come è ben risaputo che, durante le operazioni SAR da parte delle navi ONG in mare, la Guardia costiera libica ha soventemente agito coercitivamente nei confronti degli uomini delle ONG per costringerli ad abbandonare l’aerea di pericolo e consegnare le persone salvate. Quanto scritto ora, è riscontrabile dall’esempio reale accaduto nel settembre 2017, quando la Guardia costiera libica attaccava l’ONG tedesca Mission Lifeline, durante la prima operazione di salvataggio nel Mediterraneo, dopo aver salvato una cinquantina di migranti per, poi, proseguire verso l’Italia[144]. Similmente, non va sottovalutato che si possa fare scudo dell’esercizio di un mero controllo efficace che può essere l’utilizzo di astuzie dissuasorie o intimidatorie, come, ad esempio, l’ubicazione di una nave da guerra vicino a quella dell’ONG. Questo scenario è molto simile a quello del caso Women on Waves et autres c. Portugal – di cui abbiamo già trattato in precedenza – dove una nave da guerra della marina portoghese si posizionò in modo da impedire alla nave ONG olandese di fare ingresso nel mare territoriale del Portogallo[145]. Quando si effettuano operazioni di salvataggio a soggetti fisici in pericolo, è necessario che, dopo averli salvati, essi siano fatti sbarcare in un luogo sicuro, nel senso che le operazioni di soccorso debbano concludersi e in cui la sicurezza per la vita dei sopravvissuti non venga minacciata, dove possono essere soddisfatte le necessità umane di base e possono essere definite le modalità di trasporto dei sopravvissuti verso la destinazione successiva o finale tenendo conto della protezione dei loro diritti fondamentali nel rispetto del principio di non respingimento[146], considerato vincolo assoluto e che costituisce uno sviluppo progressivo del diritto nel contesto del sistema di non refoulement e del diritto internazionale dei diritti umani[147]. La stessa Convenzione di Amburgo sancisce che l’espressione «salvataggio» indica l’operazione destinata a ripescare le persone in pericolo e a prodigare loro le prime cure mediche o altre di cui potrebbero aver bisogno ed a trasportarle in un luogo sicuro[148]. Il Centro di coordinamento del soccorso in mare, nella cui zona regionale di ricerca e salvataggio viene affrontata la situazione di pericolo, viene ritenuto il principale responsabile nel fornire e nel garantire il coordinamento e la cooperazione nel reperire un luogo sicuro per procedere allo sbarco delle persone[149]. L’equipaggio di bastimenti di piccole e medie dimensioni delle organizzazioni non governative, come primo intervento, distribuisce giubbotti di salvataggio, cure mediche e altre forniture di prima necessità, in attesa che imbarcazioni di ampie dimensioni raggiungano il punto, dove è tangibile il pericolo, per procedere a soccorrere e far salire a bordo i migranti e, successivamente, trasportarli sino al luogo più sicuro, in modo da permettere loro di condurre altre operazioni di intervento nella zona. Va anche detto che il Codice di condotta, di cui abbiamo delineato in precedenza, statuisce «l’impegno a non trasferire le persone soccorse su altre navi, eccetto in caso di richiesta del competente MRCC e sotto il suo coordinamento anche sulla base delle informazioni fornite dal comandante della nave: dopo l’imbarco delle persone soccorse, le navi delle ONG dovrebbero, di norma, completare l’operazione sbarcando le medesime in un porto sicuro sotto il coordinamento del Centro di coordinamento del soccorso in mare competente, salvo nelle situazioni sopra menzionate»[150]. Si pone, dunque, il problema se lo Stato costiero possa inibire tali trasferimenti e, nel frattempo, imporre al comandante e al suo equipaggio di portare a termine l’operazione di soccorso a individui in pericolo in mare per poi mettere in fuga gli stessi quando sono sul proprio suolo. È d’uopo, inoltre, porre in chiaro che attualmente manca una norma che acconsenti lo Stato costiero a impedire i trasferimenti di migranti soccorsi. Il sistema convenzionale di Amburgo, invece, invita lo Stato costiero a impegnarsi a liberare le imbarcazioni che sono intervenute dai loro vincoli immediatamente (..releasing the master of the ship from these obligations does not further endanger the safety of life at sea..)[151]. Va anche detto che l’inibizione di procedere al trasferimento, in determinate situazioni, potrebbe compromettere la sicurezza di una nave, ivi l’intero equipaggio e le persone che vi si trovino a bordo. Questo è il caso, a titolo di esempio, quando il numero di individui tratti in salvo, superi la capienza di un bastimento. Allo stesso modo, lo sbarco veloce può essere necessario per salvaguardare il benessere delle persone soccorse, in particolare laddove queste ultime necessitino di cure mediche urgenti. In tali situazioni, l’inibizione di trasferire persone[152] su navi di ampia grandezza contrasta con le disposizioni della Convenzione di Amburgo del 1979. La seconda ambiguità riguarda il problema della discrezionalità dello Stato costiero nel determinare dove dovrebbe avvenire lo sbarco, nel senso che bisogna comprendere se uno Stato rivierasco abbia la titolarità a imporre ad una nave gestita da uomini di una organizzazione non governativa a procedere allo sbarco di individui in un luogo che la stessa ONG reputi privo del requisito di sicurezza, in quanto luogo territoriale dove è presente la violazione dei diritti della persona. La risposta può essere trovata nella precedente bozza del Codice di condotta in cui veniva reso nero su bianco che «l’inosservanza degli impegni ivi previsti può comportare il diniego da parte delle autorità italiane di autorizzare l’ingresso ai propri porti nazionali, al rispetto delle convenzioni internazionali vigenti»[153]. Tale versione finale è stata cambiata con la seguente dicitura che asserisce che «la mancata sottoscrizione di questo Codice di condotta o l’inosservanza degli impegni in esso previsti può comportare l’adozione di misure da parte delle Autorità italiane nei confronti delle relative navi, nel rispetto della vigente legislazione internazionale e nazionale, nell’interesse pubblico di salvare vite umane, garantendo nel contempo un’accoglienza condivisa e sostenibile dei flussi migratori». Le istruzioni contenute nelle linee-guida dell’Organizzazione Internazionale marittima, concernente il trattamento degli individui salvati in mare, delineano in modo netto che un luogo sicuro sta a indicare un’area territoriale in cui la sicurezza e l’incolumità della vita dei naufraghi salvati non sia più minacciata, le necessità di primaria importanza, come il rifocillare, il fornire un riparo e i primi interventi sanitari, siano abbastanza soddisfacenti, come pure il trasporto di persone verso la destinazione finale. Sebbene una nave, che interviene per salvare vite di migranti che sono in pericolo, possa servire come primo luogo temporaneo e sicuro, non vige alcun vincolo effettivo per lo Stato costiero di far sbarcare le persone salvate. In altri termini, uno Stato può rifiutare tale sbarco sulla sua terraferma o renderlo dipendente da talune condizioni[154]. In aggiunta, va anche sottolineato il punto che il diritto internazionale dei diritti umani pone dei limiti circa la scelta del luogo dove deve avvenire uno sbarco[155]. Poiché questi non vengono applicati alle organizzazioni non governative, invece vincolano gli Stati, a patto che esercitino la giurisdizione sugli individui salvati. Se il diritto internazionale dei diritti umani possa essere applicabile in un caso specifico, allora il principio di non- refoulement – regola che ormai corrisponde ad una norma di diritto internazionale generale[156]– che inibisce lo sbarco di persone in un luogo in cui possono essere sottoposte a forme violente come la tortura o ai trattamenti lesivi o pene crudeli, inumani e/o degradanti. Quest’ultimo è sancito nell’articolo 33, paragrafo 1, della Convenzione di Ginevra del 1951 sul rifugiato, dove viene enunciato che «nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche». Inoltre, va anche aggiunto che tale principio può essere definito come il diritto al non respingimento, non solo, ma anche è riconosciuto pressoché universalmente quale principio fondamentale e consolidato di diritto internazionale consuetudinario e, pertanto, oggetto di un obbligo giuridico di carattere vincolante anche per gli Stati che non hanno aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951[157]. In effetti si può sostenere che l’articolo 33, paragrafo 1, possiede il carattere fondamentale normativo secondo cui è possibile derogare con un accordo alle regole di diritto internazionale in casi particolari o tra certe parti – come ha sostenuto la Corte Internazionale di Giustizia nella sentenza emessa il 20 febbraio 1969, inerente la delimitazione della piattaforma continentale nel mare del Nord – e non solo, ma costituisce una prova di fondamentale rilievo del fatto che esso si divenuto parte del corpus generale del diritto internazionale, accettato come tale dall’opinio juris così da imporsi anche agli Stati che non sono parti della Convenzione[158]. Qualche accenno va fatto anche in merito a questo principio nel contesto della giurisprudenza della Corte EDU che mostra una decisa tendenza ad apprestare garanzie a tutela dello straniero contro le espulsioni , i respingimenti e via discorrendo. Mercé la giurisprudenza della Corte EDU e la struttura della Convenzione EDU, si manifestano le potenzialità evolutive di sviluppo dei diritti apparentemente nuovi, tutelati in via indiretta – c.d. protezione par ricochet (di riflesso) che consente di estendere materialmente il campo di applicazione della CEDU, proteggendo diritti non espressamente dichiarati in essa, e di permettere l’estensione territoriale delle garanzie della convenzione. – da norme volte a tutelare, in via diretta, diritti differenti[159]. In secondo luogo, il divieto di espulsione collettiva richiede che ci sia una valutazione delle circostanze individuali delle persone soccorse prima dello sbarco, come è accaduto nell’affare Hirsi Jamaa e altri c.Italia, dove il nostro Paese ha subito una pesante condanna dalla Grande Camera della Corte EDU che ha condannato all’unanimità lo Stato italiano per aver violato l’articolo 3 della Convenzione EDU e l’articolo 4 del Protocollo n.4 e l’articolo 13, ciò in merito ai fatti accaduti a 35 m. n. dalle coste dell’isola di Lampedusa nel maggio 2009 [160]. Conseguentemente, lo Stato costiero non può obbligare i bastimenti delle ONG che sono nella loro giurisdizione ad avviare le procedure di sbarco degli individui salvati perché incorrerebbe nella violazione di uno di questi diritti.
Note
[1] G. PACCIONE, Le migrazioni nel diritto internazionale e nell’Unione Europea, in Diritto & Diritti – Rivista giuridica elettronica, pubblicata su Internet all’indirizzo https://www.diritto.it, ISSN 1127-8579 – ©Diritto.it s.r.l., 2011.
[2] O. SPINETTI, Le ONG e il soccorso in mare, Tesi reperibile e consultabile nella seguente pagina, in https://www.meltingpot.org/IMG/pdf/le_ong_e_il_soccorso_in_mare_ok.pdf.
[3] D. IRRERA, Migrants, the EU and NGO’s: the practice of non-governmental SAR operations, in Romanian Journal of European Affairs, 9/2016, p.20 ss..
[4] C. HELLER, L. PEZZANI, Forensic Oceanography Mare Clausum, Goldsmiths, University of London, 2018, p.58 ss.
[5] I. PAPANICOLOPULU, Salvataggio in mare: cosa dice il diritto (e cosa non dice), 19 giugno 2018, in https://www.lacostituzione.info/index.php/2018/06/19/salvataggio-in-mare-cosa-dice-il-diritto-e-cosa-non-dice/.
[6] E. CUSUMANO, Emptying the sea with a spoon? Non-governmental providers of migrant search and rescue in the Mediterranean, in Marine Policy, 2017, p.91 ss.
[7] F. V. PALEOLOGO, Respinti e disumanizzati. Quale giustizia per i dannati della Lifeline?, del 26 giugno 2018, reperibile e consultabile in https://www.a-dif.org/2018/06/26/respinti-e-disumanizzati-quale-giustizia-per-i-dannati-della-lifeline/.
[8] S. SCHERER, Rescue ship says Libyan coast guard shot at and boarded it, seeking migrants, del 26 settembre 2017, consultabile in https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-libya-ngo/rescue-ship-says-libyan-coast-guard-shot-at-and-boarded-it-seeking-migrants-idUSKCN1C12I4.
[9] F. FERRI, Il codice di condotta per le ONG e i diritti dei migranti fra diritto internazionale e politiche europee, in Diritti Umani e Diritto Internazionale, 2018, p.189 ss.
[10] 1. Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri: a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; b) proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa; c) presti soccorso, in caso di abbordo, all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando è possibile, comunichi all’altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa è immatricolata, e qual è il porto più vicino presso cui farà scalo. 2. Ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali.
[11] M. SORMANI, Obbligo di soccorso in mare, evoluzione degli assetti navali nel mare mediterraneo e ruolo delle ONG, in Rivista di Diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, vol. XVII, 2019, p.85 ss.
[12] G. PACCIONE, La vicenda dell’imbarcazione “Aquarius” sotto la lente del diritto internazionale e del diritto UE, in Diritto & Diritti – Rivista giuridica elettronica, pubblicata su Internet all’indirizzo https://www.diritto.it, ISSN 1127-8579 – ©Diritto.it s.r.l., 11/2018, p.10 ss.
[13] A. MARESCA, Il Diritto dei Trattati, Giuffré, Milano, 1971, p.159.
[14] F. V. PALEOLOGO, Migranti, obblighi di protezione e diritto internazionale del mare, 20 luglio 2007, in https://www.meltingpot.org.
[15] U. LEANZA, F. GRAZIANI, Poteri di enforcement e di jurisdiction in materia di traffico di migranti via mare: aspetti operativi nell’attività di contrasto, in La Comunità Internazionale, 2/2014, p. 163 ss.
[16] F. V. PALEOLOGO, Controlli e diritti fondamentali dei migranti, in Immigrazione e diritti fra costi-tuzioni nazionali, Unione Europea e diritto internazionale, S. GAMBINO, G. D’IGNAZIO (a cura di), Giuffré, Milano, 2010, p.39 ss.; M. TONDINI, The legality of intercepting boat people under search and rescue and border control operations, in Journal of International Marittime Law, 2012, p.62 ss.
[17] A. C. VELASCO, The International Convention on Maritime search and rescue: legal mechanisms of responsibility sharing and cooperation in the context of sea migration, in The Irish Yearbook International Law, 2015, p.57 ss.; R. BUTTON, International law and Search and Rescue, in Operational Law in International Straits and current maritime security challenges, J. SCHILDKNECHT, R. DECKEY, M. FINK, L. FERRIS (a cura di), Springer, 2018, p.107 ss.
[18] Istituto specializzato delle Nazioni Unite, costituito a Ginevra nel 1948, a seguito di una Conferenza diplomatica sul diritto del mare. Il suo funzionamento è iniziato nel 1958, quando il suo accordo istitutivo è stato ratificato negli anni. Cfr. G. BISCOTTINI, Il Diritto delle Organizzazioni Internazionali. Le principali organizzazioni, CEDAM, Padova, II, 1981, p.98 ss.
[19] Cfr. in Gazzetta Ufficiale n.120 del 25 maggio 2001, p.7 ss.
[20] F. TIMO, G. CAVANENGHI, Codice della Navigazione Marittima, Interna ed Aerea, La Tribuna, Piacenza, 2018, p.1433 ss.
[21] F. BERLINGIERI, Le Convenzioni internazionali di Diritto marittimo e il codice della navigazione, Giuffré, Milano, 2009, p.508 ss.; F. CAFFIO, N. CARMINEO, A LEANDRO, Elementi di diritto di geopolitica degli spazi marittimi, Cacucci, Bari, 2013, p.215 ss.
[22] Il codice di condotta in http://www.interno.gov.it/sites/default/files/codice_condotta_ong.pdf.
[23] M. SORMANI, op. cit., in Rivista di Diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, vol. XVII, 2019, p.105 ss.
[24] M. MANCINI, Il Memorandum d’intesa tra Italia e Libia del 2017 e la sua attuazione, in I conflitti in Siria e Libia. Possibili equilibri e le sfide al diritto internazionale, N. RONZITTI, E. SCISO, Giappichelli, Torino, 2018, p.203 ss.
[25] D. IRREA, Società civile e migranti nel Mediterraneo: le “operazioni non governative di ricerca e salvataggio in mare, in Sulle onde del Mediterraneo. Cambiamenti globali e risposte alle crisi migratorie, S. PANEBIANCO (a cura di), Egea, Milano, 2016, p.105 ss.
[26] F. FERRI, op. cit., in Diritti Umani e Diritto Internazionale, 2018, p.189 ss.; E. T. BULGHERINI, Soccorso, controllo delle frontiere e contrasto alla criminalità nel traffico via mare dei clandestini, in Immigrazione, marginalizzazione, Integrazione, A. C. A. MANGIAMELI, L. DANIELE, M. R. DI SIMONE, E. T. BULGHERINI (a cura di), Giappichelli, Torino, 2019, p.123 ss.
[27] D. VITIELLO, Il diritto di cercare asilo ai tempi dell’Aquarius, 29 giugno 2018, reperibile in http://www.sidiblog.org/.
[28] S. GRECO, Le ONG in acque agitate tra Sicilia orientale e Sicilia occidentale, 18 luglio, 2018, in www.questionegiustizia.it.
[29] M. RAMACCIOTTI, Sull’utilità di un codice di condotta per le organizzazioni non governative impegnate in attività di search and rescue, in Rivista di Diritto Internazionale, 2018, p.213 ss.
[30] G. ARANGIO-RUIZ, La persona internazionale dello Stato, UTET-Giuridica, Milano, 2014, p.29 ss.
[31] N. RONZITTI, La Corte Internazionale di Giustizia e la questione della liceità della minaccia o dell’uso delle armi nucleari, in Rivista di Diritto Internazionale, 4/1996, p.861 ss.; I. ROSSI, Legal status of non-Governmental Organizations in international law, INTERSETIA, Cambridge, 2010, p.48 ss.; E. CUSUMANO, J. PATTISON, The non-governmental provision of search and rescue in the Mediterranean and abdication of state responsibility, in Cambridge Review of international Affairs, 2018, p.53 ss.
[32] R. MONACO, Corso di Organizzazione internazionale. Principi Generali, Giappichelli, Torino, I, 1985, p.9 ss..
[33] S. MARCHISIO, Corso di Diritto Internazionale, Giappichelli, Torino,2017, p.299 ss.
[34] G. GIOFFREDI, Globalizzazione, nuove guerre e diritto internazionale, TANGRAM Edizioni Scientifiche, Trento, 2012, p.22 ss.
[35] A. DI MAJO, Codice Civile con la Costituzione, i Trattati U.E. e le principali norme complementari, Giuffré, Milano, 2012, p.2014.
[36] Libia ha firmato il 28 aprile 2005 (entrato in vigore per la Libia il 28 maggio 2005), si veda in IMO, SAR/Circ. 77 (17 May 2005) Ref. A1/W/2.03.
[37] M. MANCINI, Il Memorandum di Intesa tra Italia e Libia del 2017 e la sua attuazione, in I conflitti in Siria e Libia. Possibili equilibri e le sfide al diritto internazionale, N. RONZITTI, E. SCISO (a cura di), Giappichelli, Torino, 2017, p.204.
[38] A. MARESCA, Il Procedimento Protocollare Internazionale. Procedure diplomatiche ed extra-diploma-tiche, Giuffré, Milano, II, 1969 p.722 ss.; A. GIOIA, Manuale Breve Diritto Internazionale, Giuffré, Milano, 2013, p.360 ss.; S. SALUZZO, Accordi internazionali degli Stati membri dell’Unione Europea e Stati terzi, LEDIZIONI, Milano, 2018, p.95 ss.
[39] E. DI NOLFO, Storia delle relazioni internazionali. Dalla fine della guerra fredda a oggi. Editori Laterza, Roma-Bari, 2016, III, p.267.
[40] Memorandum d’Intesa tra Italia e Libia, firmato a Roma il 2 febbraio 2017, consultabile in www.osservatoriosullefonti.it; riunione informale dei Capi di Stato e di Governo dell’UE, 3 febbraio 2017, in www.consilium.europa.eu.
[41] A. MARESCA, Dizionario Giuridico Diplomatico, Giuffré, Milano, 1991, p.428.
[42] G. PACCIONE, Un Mare di Abusi. La vicenda dell’Enrica Lexie e dei due Marò nel contesto del diritto internazionale, ADDA, Bari, 2016, p.43.
[43] N. RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, Giappichelli, Torino, 2016, p.114 ss.; R. LUZZATO, F. POCAR, Codice di Diritto Internazionale Pubblico, Giappichelli, Torino, 2016, p.319.
[44] M. M. ANGELONI, A. SENESE, Profili applicativi dei principali istituti del diritto del mare, Cacucci, Bari, 2001, p.118.
[45] G. BADIALI, Il Diritto di Pace di Alberico Gentile, Il SIRENTE, Roma, 2010, p.205 ss.; G. PACCIONE, op. cit., ADDA, Bari, 2016, p.77.
[46] H. YANG, Jurisdiction of the coastal State over foreign merchant ships in international waters and territorial sea, SPRINGER, Berlin-Heideberg, 2006, p.140 ss.
[47] A. MARESCA, op. cit, Giuffré, Milano, 1991, p.564.
[48] Cfr. A titolo di esempio, l’accordo concluso fra L’Italia e la Slovenia sulle SRR e il coordinamento sulle operazioni di soccorso e ricerca, ai seni del paragrafo 2.14, dell’Allegato alla Convenzione di Amburgo che statuisce che ogni zona di ricerca e di salvataggio viene stabilita mediante accordo tra lo Parti interessate. Il Segretario Generale viene informato della conclusione di un tale accordo. In aggiunta la SAR SAR.6/Circ.44, art 7, dell’Organizzazione internazionale marittima.
[49] B. CONFORTI, Diritto internazionale, Editoriale Scientifica, Napoli, 2003, p.264; A. TANZI, Introduzio-ne al Diritto Internazionale Contemporaneo, CEDAM, Padova, 2017, p.553.
[50] G. PACCIONE, op. cit., ADDA, Bari, 2016, p.33 ss.
[51] UNCLOS, arts 3 and 4; Article 2 of Italian Law No. 359 of 24 August 1974 Gazzetta Ufficiale. Anno 115° – Numero 218, 5542; Libyan Act No. 2 of 18 February 1959 concerning the delimitation of Libyan territorial waters. UN Doc, Legislative Series, ST/LEG/SER.B/16, 14.
[52] M. GIULIANO, T. SCOVAZZI, T. TREVES, Diritto Internazionale. Gli aspetti giuridici della coesistenza degli Stati, Giuffré, Milano, II, 1983, p.171 ss.
[53] A. P. SERENI, Organizzazione internazionale, Giuffré, Milano, II, 1958, p.568 ss.; R. BARNES, ‘Article 25: Rights of protection of the coastal State, in A. Proelss (a cura di), The United Nations Convention on the Law of the Sea. A Commentary (C.H. Beck – Hart – Nomos 2017) p.223 ss.
[54] Cfr. Sezione 3. Passaggio Inoffensivo nel mare territoriale della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del mare dall’articolo 17 sino all’articolo 32, in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 19 dicembre 1994, n.164, Legge 2 dicembre 1994, n.689.
[55] C. FOCARELLI, Trattato di Diritto Internazionale, UTET- GIURIDICA, Torino, 2015, p.734 ss.
[56] G. CATALDI, Il passaggio delle navi straniere nel mare territoriale, Giuffré, Milano, 1990, p.83.
[57] R. BARNES, ‘Article 18: Rights of protection of the coastal State, in A. PROELSS (a cura di), op. cit. (C.H. Beck – Hart – Nomos 2017) p.187 ss.
[58] In Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 19 dicembre 1994, n.164, Legge 2 dicembre 1994, n.689, p.299.
[59] G. CATALDI, op. cit., Giuffré, Milano, 1990, p.81.
[60] A. LEFEBVRE D’OVIDIO, G. PESCATORE, L. TULLIO, Manuale di Diritto della Navigazione, Giuffré, Milano, 2004, p.337 ss.; S. M. CARBONE, P. CELLE, M . L. DE GONZALO, Il Diritto Marittimo attraverso i casi e le clausole contrattuali, Giappichelli, Torino, 2015, p. 131 ss.
[61] Cfr. Cassazione Penale 28 ottobre 1953, in Giur. Compl. Cass. Pen., III/1953, p.564.
[62] T. SCOVAZZI, Il respingimento di un dramma umano collettivo e le sue conseguenze, in L’immigrazione irregolare via mare nella giurisprudenza italiana e nell’esperienza europea, A. ANTONUCCI, I. PAPANICOLOPULU, T. SCOVAZZI (a cura di), Giappichelli, Torino, 2017, p.66 ss.
[63] A. MARESCA, op. cit., Giuffré, Milano, 1971, p.344 ss.; G. STROZZI, Il diritto dei Trattati, Giappichelli, Torino, 1999, p.56 ss.
[64] N. RONZITTI, Il passaggio inoffensivo e la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, in Rivista di Diritto Internazionale, 1985, p.47 ss.; G. CATALDI, op. cit., Giuffré, Milano, 1990, p.139 ss.
[65] C. FERRARA, Il traffico e la tratta di esseri umani, in Il traffico di migranti. Diritti, tutele, criminalizza-zione, V. MILITELLO, A. SPENA (a cura di), Giappichelli, Torino, 2015, p.145 ss.
[66] Cfr. Gazzetta Ufficiale Legge 16 marzo 2006, n.146, p.144. Cfr. G. PACCIONE, Immigrazione clandestina in mare e diritto internazionale, in Diritto & Diritti – Rivista giuridica elettronica, pubblicata su Internet all’indirizzo https://www.diritto.it, ISSN 1127-8579 – ©Diritto.it s.r.l., 2015, p.5 ss.
[67] M. A. A. SABBATINI, A. BALSAMO, Verso un nuovo ruolo della Convenzione di Palermo nel contrasto alla criminalità transnazionale, in Diritto Penale Contemporaneo, 12/2018, p.133 ss.
[68] “Ogni Stato Parte adotta misure legislative e di altro tipo necessarie per conferire il carattere di reato ai sensi del suo diritto interno, quando l’atto è commesso intenzionalmente e al fine di ottenere, direttamente o indirettamente un vantaggio finanziario o altro materiale:(…)”.
[69] T. TREVES, Human rights and Law of the Sea, in Berkeley Journal of International Law, 2010, p.3 ss.
[70] N. RONZITTI, Introduzione al Diritto Internazionale, Giappichelli, Torino, 2016, p.134 ss.
[71] T. TREVES, Diritto internazionale. Problemi fondamentali, Giuffré, Milano, 2005, p.389.
[72] R. GARDINER, Treaty Interpretation, Oxford University Press, Oxford, 2017, p.299 ss.
[73] A. MARESCA, op. cit., Giuffré, Milano, 1971, p.338 ss.
[74] U. VILLANI, La funzione giudiziaria nell’ordinamento internazionale e la sua incidenza sul diritto sostanziale, in Diritto e processi: rapporti e interferenze, F. DANONI (a cura di), Giappichelli, Torino, 2015, p.79; R. LUZZATTO, F. POCAR, Codice di Diritto Internazionale pubblico, Giappichelli, Torino, 2016, p.382.
[75] Ciò può avere la sua conferma attraverso la lettura di alcune sentenze del Tribunale del mare come nel caso della M/V Saiga (Saint Vincent and the Grenadines v. Guinea) del 1°luglio 1999 e nel caso M/V/ ‘Juno Trader’ Case (Saint Vincent and the Grenadines v. Guinea) del 18 dicembre 2004. Sentenze che possono essere consultabili in www.itlos.it. Cfr. PH. GAUTIER, Standing of NGO’S and third-party intervention before the International Tribunal for the laws of the sea, in Revue Belge de Droit International, 1/2014, p.205 ss.
[76] A. CANNONE, Il Tribunale Internazionale del Diritto del Mare, Cacucci, Bari, 1991, p.19 ss.; J.G. MAHINGA, Le Tribunal international du droit de la mer: Organisation, compétence et procedure, LARCIER, Bruxelles, 2013, p.20 ss.; A. DEL VECCHIO, I Tribunali internazionali tra globalizzazione e localismi, Cacucci, Bari, 2015, p.59 ss.; Y. TANAKA, The International Law of the Sea, Cambridge University Press, Cambridge, 2015, p.436 ss.
[77] I. PAPANICOLOPULU, International Judges and the Protection of Human Rights at Sea, in International Courts and development of international law, N. BOSCHIERO (a cura di), SPRINGER, , Berlin-Heideberg, 2013, p.535 ss.
[78] R. HIGGINS, A Babel of Judicial Voices? Ruminations from the Bench, in International and Com-parative Law Quarterly, 2006, p.791 ss.
[79] Women On Waves v Portugal App. no 31276/05, in Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, del 3 febbraio 2009.
[80] I. PAPANICOLOPULU, Donne sulle onde: libertà di espressione, libertà di navigazione o libertà di circolazione?, in Diritti Umani e Diritto Internazionale, 1/2010, p.205 ss.
[81] C. RUSSO, P. M. QUAINI, La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e la Giurisprudenza della Corte di Strasburgo, Giuffré, Milano, 2000, p.112 ss.; A. DI STASI, Introduzione alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, Wolters Kluwer-CEDAM, 2016, p.26 ss.; P. PUSTORINO, Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani, Cacucci, Bari, 2019, p.167 ss.
[82] L. BEDUSCHI, Rassegna delle pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del triennio 2008/2010 in tema di art.8 a 11 CEDU, in Diritto Penale Contemporaneo, 2010, p.41 ss.
[83] P. DE STEFANI, Il Diritto internazionale dei Diritti Umani. Il Diritto internazionale nella comunità mondiale, CEDAM, Padova, 1994, p.63 ss.; U. VILLANI, Dalla Dichiarazione universale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Cacucci, Bari, 2016, p.17 ss.
[84] C. HARVEY, R. P. BARNIDGE, Right to Leave in International Law, in International Journal of Refugee Law, 2007, p.1 ss.; J. MCADAM, An Intellectual History of Freedom of Movement in International Law: The Right to Leave as a Personal Liberty, in Melbourne Journal of International Law 2011, p.54 ss.; D. KOCHENOV, The Right to Leave Any Country Including Your Own in International Law, in Connecticut Journal of International Law, 2012, p.43 ss.; N. MARKARD, The Right to Leave by Sea: Legal Limits on EU Migration Control by Third Countries, in European Journal of International Law, 2016, p.591 ss.; V. MORENO-LAX, Accessing Asylum in Europe: Extraterritorial Border Controls and Refugee Rights under EU Law, Oxford University Press, Oxford, 2017, p.341 ss.
[85] W. SCHABAS, The European Convention on Human Rights – A Commentary, Oxford University Press, Oxford, 2015, p.126 ss.
[86] Leray v France App no 44617/98 (ECtHR, 16 January 2001); P.TAVERNIER, La Cour Européenne des Droits de l’Homme et la Mer, in La Mer et Son Droit, D. H. ANDERSON (a cura di), Pedone, Paris, 2003, p.575 ss.; L. M. KOMP, The Duty to Assist Persons in Distress: An Alternative Source of Protection against the Return of Migrants and Asylum Seekers to the High Seas?, in ‘Boat Refugees’ and Migrants at Sea: A Comprehensive Approach, V. MORENO-LAX, E. PAPASTAVRIDIS (a cura di), Brill, 2016, p.236 ss.
[87] Case concerning military and paramilitary activities in and against Nicaragua (Nicaragua v. United States of America [1986] ICJ, p.101 ss., in www.icj-cij.org, 27 giugno 1986. Cfr. P. M. EISEMANN, L’arrêt de la C.I.J. du 27 juin 1986 (Fond) dans l’affaire des activités militaires et paramilitaires au Nicaragua et contre celui-ci, in Annuaire Français de Droit International, 1986, p.153 ss.
[88] M. GIULIANO, T. SCOVAZZI, T. TREVES, op. cit., Giuffré, Milano, II, 1983, p.253 ss.; F. CAFFIO, Glossario di Diritto del mare, Supplemento alla Rivista Marittima, 2007, p.9.
[89] M. GIULIANO, T. SCOVAZZI, T. TREVES, op. cit., Giuffré, Milano, II, 1983, p.177 ss.; G. PACCIONE, op. cit., ADDA, Bari, 2016, p.50 ss.
[90] «La zona economica esclusiva è la zona al di là del mare territoriale e ad esso adiacente, sottoposta allo specifico regime giuridico stabilito nella presente Parte, in virtù del quale i diritti e la giurisdizione dello Stato costiero, e i diritti e le libertà degli altri Stati, sono disciplinati dalle pertinenti disposizioni della presente Convenzione» (art.55 CNUDM).
«Le disposizioni della presente Parte si applicano a tutte le aree marine non incluse nella zona economica esclusiva, nel mare territoriale o nelle acque interne di uno Stato, o nelle acque arcipelagiche di uno Stato-arcipelago. Il presente articolo non limita in alcun modo le libertà di cui tutti gli Stati godono nella zona economica esclusiva, conformemente all’articolo 58» (art.86 CNUDM).
[91] B. CONFORTI, La zona economica esclusiva, Giuffré, Milano, 1983, p.1 ss.; M. S. MESSINA, Compen-dio di Diritto Internazionale Pubblico, Primiceri Editore, 2016, p.2002 ss.
[92] «Nella zona economica esclusiva tutti gli Stati, sia costieri sia privi di litorale, godono, conformemente alle specifiche disposizioni della presente Convenzione, delle libertà di navigazione e di sorvolo (…)» (art.58/1 CNUDM).
«L’alto mare è aperto a tutti gli Stati, sia costieri sia privi di litorale. La libertà dell’alto mare viene esercitata secondo le condizioni sancite dalla presente Convenzione e da altre norme del diritto internazionale. Essa include, tra l’altro, sia per gli Stati costieri sia per gli Stati privi di litorale, le seguenti libertà: a) libertà di navigazione; b) libertà di sorvolo; (…)» (art.87/1 CNUDM).
[93] M. GIULIANO, T. SCOVAZZI, T. TREVES, op. cit., Giuffré, Milano, II, 1983, p.264 ss.
[94] A. LEANDRO, Diritto del mare e sicurezza degli spazi marini: flessioni e adeguamenti nel contrasto ai traffici illeciti, in Mare e Sicurezza. Il contrasto ai traffici marittimi illeciti, A. LEANDRO, Cacucci, Bari, 2018, p.23 ss.
[95] L. MARINI, Pirateria marittima e diritto internazionale, Giappichelli, Torino, 2016, p.72 ss.; M. DEL CHICCA, La pirateria marittima. Evoluzione di un crimine antico, Giappichelli, Torino, 2016, p.51 ss.; M. DELL’AQUILA, Pirateria marittima. La disciplina giuridica internazionale e il caso dei marò dell’Enrica Lexie, Edizioni Lazisa, Palermo, 2017, p.12 ss.; G. REALE, La moderna pirateria marittima. Problemati-che giuridiche, proposte, possibili soluzioni, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018, p.101 ss.
[96] A. GIOIA, Manuale breve di Diritto Internazionale, Giuffré, Milano, 2013, p.231 ss.; G. PACCIONE, op. cit., ADDA, Bari, 2016, p.92.
[97] N. RONZITTI, op. cit., Giappichelli, Torino, 2016, p.138.
[98] N. RONZITTI, op. cit., Giappichelli, Torino, 2016, p.137.
[99] «Nell’alto mare o in qualunque altro luogo fuori della giurisdizione di qualunque Stato, ogni Stato può sequestrare una nave o aeromobile pirata o una nave o aeromobile catturati con atti di pirateria e tenuti sotto il controllo dei pirati; può arrestare le persone a bordo e requisirne i beni. Gli organi giurisdizionali dello Stato che ha disposto il sequestro hanno il potere di decidere la pena da infliggere nonché le misure da adottare nei confronti delle navi, aeromobili o beni, nel rispetto dei diritti dei terzi in buona fede». (art.105 CNUDM).
«Tutti gli Stati cooperano alla repressione del traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope commesso da navi nell’alto mare in violazione delle convenzioni internazionali». (art.108/1 CNUDM).
«Tutti gli Stati cooperano alla repressione delle trasmissioni non autorizzate dall’alto mare».(art.109/1 CNUDM).
[100] «È consentito l’inseguimento di una nave straniera quando le competenti autorità dello Stato costiero abbiano fondati motivi di ritenere che essa abbia violato le leggi e i regolamenti dello Stato stesso» (art.111/1 CNUDM). Cfr. M. GIULIANO, T. SCOVAZZI, T. TREVES, op. cit., Giuffré, Milano, II, 1983, p.297 ss.; P. ESCHENHAGEN, M. JÜRGENS, Protective jurisdiction in the contiguous zone and the right of hot pursuit: rethinking coastal states’ jurisdictional rights, in Melbourne Journal of International Law, 2018, p.13 ss.
[101] L. SICO, L’alto mare, Giappichelli, Torino, 1999, p.14 ss.
[102] T. BALLARINO, Diritto Internazionale Pubblico, Wolters Kluwer CEDAM, Padova, 2014, p.310 ss.
[103] T. SCOVAZZI, Elementi di Diritto Internazionale del Mare, Giuffré, Milano, 1994, p.73 ss.
[104] G. SPERDUTI, Il Dominio Riservato, Giuffré, Milano, 1970, p.5 ss.; R. SAPIENZA, Il principio del non intervento negli affari interni, Giuffré, Milano, 1990, p.66 ss.
[105] C. FERRARA, op. cit., in Il traffico di migranti. Diritti, tutele, criminalizzazione, V. MILITELLO, A. SPENA (a cura di), Giappichelli, Torino, 2015, p.141 ss.; L. SCHIANO DI PEPE, «Human Trafficking» e «Migrant Smuggling» in mare: tutela della sicurezza e ruolo dell’Unione Europea, in Mare e Sicurezza. Il contrasto ai traffici marittimi illeciti, A. LEANDRO, Cacucci, Bari, 2018, p.39 ss.
[106] E. PAPASTAVRIDIS, Interceptions of Vessels on the High Seas: Contemporary Challenges to the Legal Order of the Oceans, Bloomsbury, 2014, p.266.
[107] D. GUILFOYLE, Shipping Interdiction and the Law of the Sea, Cambridge University Press, Cambridge, 2009, p.185 ss.
[108] M. DI FILIPPO, Irregular Migration across the Mediterranean Sea: Problematic Issues Concerning the International Rules on Safeguard of Life at Sea, in Paix et Sécurité Internationales, 1/2013, p.53 ss.
[109] Dutch SAR Decision (Regeling inzake de SAR-dienst van 26 augustus 1994); Dutch SAR operational plan (Operationeel Plan voor Search and Rescue) in www.kustwacht.nl.
[110] Lo svolgimento del servizio di ricerca e soccorso, per quanto riguarda l’Italia, è stato disciplinato dal DPR n.662/1994 con cui viene recepita la Convenzione di Amburgo nella competenza primaria del Ministero delle Infrastrutture e trasporti che si avvale del Corpo della Capitaneria di porto/Guardia costiera, sempre il DPR attribuisce al Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto la qualifica di organismo nazionale che assicura il coordinamento generale dei servizi di soccorso marittimo.
[111] A. MARESCA, op. cit., Giuffré, Milano, 1971, p.11; A. T. VIGNANO, M. SOLINA, Profili di Diritto Internazionale, UTET, Torino, 1990, p.18 ss.; F. V. PALEOLOGO, Gli obblighi di soccorso in mare nel diritto internazionale e nell’ordinamento interno, in Questione Giustizia, 2/2018, p.215 ss.
[112]«Il centro nazionale di coordinamento di soccorso marittimo (I.M.R.C.C.), i centri secondari di soccorso marittimo (M.R.S.C.) e le unità costiere di guardia (U.C.G.), secondo le rispettive competenze, coordinano o impiegano le unità di soccorso. L’I.M.R.C.C. e gli M.R.S.C. richiedono agli alti comandi competenti della Marina militare e dell’Aeronautica militare, in caso di necessità, il concorso dei mezzi navali ed aerei appartenenti a tali amministrazioni dello Stato. Parimenti le U.C.G. richiedono alle altre amministrazioni dello Stato o a privati il concorso di mezzi navali ed aerei, ritenuti idonei per partecipare alle operazioni di soccorso marittimo secondo le procedure e le modalità previste dal decreto del Ministro della marina mercantile 1 giugno 1978, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 174 del 27 giugno 1979. 2. Il comando e il controllo operativo dei mezzi navali o aerei della Marina militare, dell’Aeronautica militare e delle altre amministrazioni, eventualmente chiamati a concorrere alle operazioni di soccorso marittimo, sono esercitati dai rispettivi comandi competenti per giurisdizione, che terranno informati i centri di soccorso marittimo (I.M.R.C.C. – M.R.S.C. – U.C.G.) responsabili del soccorso e del coordinamento, secondo le rispettive competenze. 3. Il compito di “comandante sul posto” (OSC – ufficiale in comando tattico) dei mezzi della Marina, dell’Aeronautica, del Corpo delle capitanerie di porto, della Guardia di finanza, dei Carabinieri, della Polizia di Stato e delle altre amministrazioni eventualmente concorrenti, è assegnato al comandante del mezzo navale della Marina militare o del Corpo delle capitanerie di porto, di maggiore anzianità di grado. Nel caso che sul posto non dovessero trovarsi ad operare unità della Marina militare e del Corpo delle capitanerie di porto, il compito di “comandante sul posto” sarà assegnato al comandante di unità navale della Guardia di finanza, dei Carabinieri, della Polizia di Stato o delle altre amministrazioni dello Stato, di maggiore anzianità di grado. 4. Il “comandante sul posto” nella condotta dell’operazione di ricerca e salvataggio si conforma alle direttive specifiche emanate dall’I.M.R.C.C. o dall’M.R.S.C./U.C.G. delegato. 5. Se in zona sono presenti soltanto unità mercantili, l’I.M.R.C.C. o il M.R.S.C./U.C.G. delegato, più idoneo in relazione allo svolgimento dell’operazione di soccorso, assegna il compito di coordinatore delle ricerche in superficie (CSS) al comandante di una delle unità mercantili presenti. A tal fine deve essere tenuto conto della tipologia delle navi e dei mezzi di cui dette unità dispongono e della rispettiva ora stimata di arrivo sul posto. Al momento in cui assume le funzioni, il CSS deve darne immediata comunicazione all’I.M.R.C.C. o al M.R.S.C. o al U.C.G., che operano secondo le rispettive competenze. 6. Il coordinatore delle ricerche di superficie di cui al comma 5 opera sotto il controllo dell’I.M.R.C.C. o del M.R.S.C. o dell’U.C.G. delegato in relazione allo svolgimento dell’operazione di soccorso marittimo. Il M.R.S.C. o l’U.C.G. tengono informato il centro di coordinamento superiore interessato» (art.5 DPR 662/1994).
[113] «L’ autorità marittima, che abbia notizia di una nave in pericolo ovvero di un naufragio o di altro sinistro, deve immediatamente provvedere al soccorso e, quando non abbia a disposizione né possa procurarsi i mezzi necessari, deve darne avviso alle altre autorità che possano utilmente intervenire»(art.69/1 Cod. Nav.)
[114] «Ai fini dell’ articolo precedente, l’ autorità marittima o, in mancanza, quella comunale possono ordinare che le navi che si trovano nel porto o nelle vicinanze siano messe a loro disposizione con i relativi equipaggi»(art.70/1 Cod. Nav.).
[115] A. LEFEBVRE D’OVIDIO, G. PESCATORE, L. TULLIO, Manuale di Diritto della Navigazione, Giuffré, Milano, 2011, p.112 ss.
[116] V. ZAGREBELSKY, R. CHENAL, L. TOMASI, Manuale dei diritti fondamentali in Europa, Il Mulino, Bologna, 2016, p.147 ss.
[117] O. ORTOLANI, R. ZAMPILLONI, Civitsa. Educazione civica, Trevisini Editore, Milano, 1983, p.65 ss.; T. MARTINES, Diritto Costituzionale, Giuffré, Milano, 2013, p.627 ss.
[118] T. PERASSI, Lezioni di diritto internazionale, CEDAM, Padova, I, 1961, p.29 ss.; T. TREVES, op. cit., Giuffré, Milano, 2005, p.658 ss.; E. CANNIZZARO, Diritto Internazionale, Giappichelli, Torino, 2014, p.471 ss.
[119] P. CARETTI, U. DE SIERVO, Diritto costituzionale e pubblico, Giappichelli, Torino, 2017, p.188.
[120] «Le ministre peut désigner des coordonnateurs de mission de recherche et de sauvetage chargés des opérations de recherche et de sauvetage» (articolo 130, paragrafo 1) e «Tout bâtiment dans les eaux canadiennes et toute personne à son bord et tout bâtiment, où qu’il soit, dont le capitaine est une personne qualifiée et toute personne à son bord sont tenus de se conformer aux ordres qui leur sont donnés en vertu du paragraphe 2» (articolo 130, paragrafo 3), reperibile in https://laws-lois.justice.gc.ca/fra/lois/C-10.15/TexteComplet.html.
[121] French Internal Security Code (Code de la sécurité intérieure du 12 mars 2012) art L742-5; French SAR Decree (Décret n°88-531 du 2 mai 1988 portant organisation du secours, de la recherché et du sauvetage des personnes en détresse en mer) arts 1 and 7(2).
[122] «La sovranità dello Stato costiero si estende, al di là del suo territorio e delle sue acque interne e, nel caso di uno Stato-arcipelago, delle sue acque arcipelagiche, a una fascia adiacente di mare, denominata mare territoriale»(articolo2/1 CNUDM).
[123] M. FORNARI, Il regime giuridico degli stretti utilizzati per la navigazione internazionale, Giuffré, Milano, 2016, p.86 ss.
[124] «Nessuno Stato può legittimamente pretendere di assoggettare alla propria sovranità alcuna parte dell’alto mare» (art.89 CNUDM).
[125] «Le navi battono la bandiera di un solo Stato e, salvo casi eccezionali specificamente previsti da trattati internazionali o dalla presente Convenzione, nell’alto mare sono sottoposte alla sua giurisdizione esclusiva» (art.92/1 CNUDM).
[126] G. MANNUCCI, Il conflitto di giurisdizione tra Italia e India nel caso Enrica Lexie: quale ruolo per il diritto internazionale?, Firenze University Press, Firenze, 2014, p.3.
[127] Il Lotus, vapore battente bandiera francese, entrò in collisione con un vapore turco, il BozTurk, la notte del 2 agosto del 1926, provocandone l’affondamento e causando la morte di otto persone che non riuscirono a mettersi in salvo. Conseguentemente, essendo il Lotus approdato nel porto di Istanbul, l’ufficiale francese addetto alle manovre della nave venne arrestato e condannato dalla Corte penale di quella città per omicidio colposo. Con un compromesso del 12 ottobre 1926 Francia e Turchia decisero di chiedere alla CPJI di stabilire se la Turchia, esercitando la giurisdizione penale su un cittadino straniero per atti commessi in alto mare, “avesse agito in violazione dei principi del diritto internazionale – e se sì, di quali”. In realtà il diritto internazionale veniva in rilievo, nella specie, per relationem, in quanto richiamato dalla Convenzione di Losanna del 1923 che, nell’abolire il regime delle capitolazioni già gravante sull’Impero ottomano, aveva stabilito, all’art. 15, che l’esercizio della giurisdizione da parte della Turchia per le controversie riguardanti gli stranieri, giurisdizione subentrata a quella consolare, dovesse essere esercitata in conformità ai “principi del diritto internazionale”. Cfr. caso SS Lotus (Francia c. Turchia), Ser. A, N. 10, 7 settembre 1927, p. 25, in https://www.icj-cij.org/files/permanent-court-of-international-justice/serie_A/A_10/30_Lotus_Arret.pdf.
[128] Commissione del diritto internazionale, Doc. A/3159, Report of the International Law Commission covering the Work of Its Eighth Session, 23 aprile – 4 luglio 1956, Art. 30 Commentary, p.279, in http://legal.un.org/ilc/documentation/english/reports/a_cn4_104.pdf.
[129] Cfr. IAMSAR Manual – Volume I, 2016 – section 2.3.15(e).
[130] E. CUSUMANO, J. PATTISON, The non-governmental provision of search and rescue in the Mediterra-nean and the abdication of state responsibility, in Cambridge Review of International Affairs, 2018, p.53 ss.
[131] E. VOLLI, Il soccorso marittimo, in Trattato breve di Diritto Marittimo. Le obbligazioni e la responsa-bilità nella navigazione marittima, A. ANTONINI (a cura di), Giuffré, Milano, 2010, III, p.163 ss.
[132] P. CUTTIVA, I respingimenti in Libia, soccorsi ritardati, ONG ostacolata. Riflessioni sui fatti di novembre, in Associazione Diritti e Frontiere, 31/12/2017, www.a-dif.org.
[133] «The success of a SAR mission often depends on the speed with which the operation is planned and carried out. The prompt receipt of all available information by the RCC is necessary for thorough evaluation of the situation, immediate decision on the best course of action, and a timely activation of SAR facilities. While no two SAR operations follow exactly the same pattern, SAR incidents do generally pass through defined stages, which can be used to help organize response activities( 1.6.1 IAMSAR Manual (n 14) Vol. II)»; e «When the SAR system first becomes aware of an actual or potential emergency, the information collected and the initial action taken are often critical to successful SAR operations. It must be assumed that in each incident there are survivors who will need assistance and whose chances of survival are reduced by the passage of time. The success of a SAR operation depends on the speed with which the operation is planned and carried out. Information must be gathered and evaluated to determine the nature of the distress, the appropriate emergency phase, and what action should be taken. Prompt receipt of all available information by the RCC or RSC is necessary for thorough evaluation, immediate decision on the best course of action, and a timely activation of SAR facilities to make it possible to: locate, support and rescue persons in distress in the shortest possible time; and use any contribution survivors may still be able to make towards their own rescue while they are still capable of doing so (3.1 IAMSAR Manual (n 14) Vol. II)».
[134] G. R. BACCELLI, Il comandante della nave, in Trattato breve di Diritto Marittimo. Principi, soggetti, Beni e Attività, A. ANTONINI (a cura di), Giuffré, Milano, 2007, I, p.154 ss.; I. TANI, Le forme di contrasto al fenomeno dell’immigrazione irregolare attraverso il Mediterraneo, in L’immigrazione irregolare via mare nella giurisprudenza italiana e nell’esperienza europea, A. ANTONUCCI, I. PAPANICOLOPULU, T. SCOVAZZI (a cura di), Giappichelli, Torino, 2016, p.158.
[135] M. PALLIS, Obligations of States towards Asylum Seekers at Sea: Interactions and Conflicts Between Legal Regimes, in International Journal of Refugee Law, 2002, p.329 ss.
[136] Cfr. IAMSAR Manual – Volume II, 2016 – section 3.8.5; IMO Linee-guida che designa i criteri applicabili a tutte le navi, Code on intact stability for all types of ships covered by IMO instruments, A. 18/Res.749 del 23 novembre 1993, p.12
[137] G. D’AMBROSIO, Naufragio del 6 novembre: la Guardia costiera libica responsabile dell’incidente nelle operazioni di salvataggio, 7 novembre 2017, in https://www.meltingpot.org/Naufragio-del-6-novembre-la-Guardia-costiera-libica.html#.XH5SfMBKjIU.
[138] N. SCAVO, Strage in mare, il video che incastra la Guardia costiera libica, 13 novembre 2017, in https://www.avvenire.it/attualita/pagine/libia-migranti-video.
[139] Cfr. art.4.7.1 Convenzione di Amburgo 1979.
[140] IAMSAR Manual (n 14) Vol I, section 2.6.1. and Vol II, section 1.2.4. «Finché non sia stato designato un comandante sul posto, la prima unità di salvataggio che arrivi sul luogo delle operazioni dovrebbe assumere automaticamente le funzioni e le responsabilità di comandante sul posto»»(art.4.7.1 Conv. Amburgo 1979). Questa linea guida è stata consacrata nella sezione 5.7.3 della convenzione SAR del 1979 originaria, ma è stata eliminata in occasione dell’emendamento del 1998.
[141] M. CARTA, Misure di contrasto al traffico di migranti via mare, in Il contrasto al traffico di migranti nel diritto internazionale, comunitario e interno, G. PALMISANO, (a cura di), Giuffré, Milano, 2008, p.83 ss.
[142] M. MILANOVIC, Extraterritorial Application of Human Rights Treaties – Law, Principles, and Policy, Oxford University Press, Oxford, 2011, p.160 ss.; S. BESSON, The Extraterritoriality of the European Convention on Human Rights: Why Human Rights Depend on Jurisdiction and What Jurisdiction Amounts to, in Leiden Journal of International Law, 2012, p.857 ss.
[143] L. DEN HERTOG, Fundamental Rights and the extra-territorialisation of EU border policy: A contra-diction in terms?, in Foreigners, Refugees or Minorities?: Rethinking People in the Context of Border Controls and Visas, D. BIGO, S. CARRERA, E. GUILD (a cura di), Routledge, London & New York, 2016, p.218 ss.
[144] O. SPAGGIARI, Mediterraneo: nuovo attacco della Guardia costiera libica alle ONG, 29 settembre 2017, reperibile e consultabile in http://www.vita.it/it/article/2017/09/29/mediterraneo-nuovo-attacco-della-guardia-costiera-libica-alle-ong/144656/.
[145] Cfr. Affaire Women on Waves et autres c. Portugal, paragrafo 9, consultabile nella seguente pagina, in https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22dmdocnumber%22:[%22846488%22],%22itemid%22:[%22001-91046%22]}.
[146] Cfr. Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio recante norme per la sorveglianza delle frontiere marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata dall’agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli stati membri dell’unione europea (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio PE-CONS 35/1/14, articolo 2, punto 12).
[147] H. JOBSTL, An Unforeseen Pandora’s Box? Absolute Non-Refoulement Obligations under Article 5 of the ILC DraftArticles on Crimes Against Humanity, in www.ejiltalk.org/, 20 maggio 2019.
[148] Entrata in vigore degli emendamenti alla Convenzione di Amburgo del 27 aprile 1979 sulla ricerca ed il salvataggio marittimo. (art.1.3.2, Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.120 del 25-05-2001 – Suppl. Ordinario n. 128). S. CASU, Le zone SAR, 03 marzo 2019, consultabile in Rivista giuridica online http://www.iusinitinere.it.
[149] «Parties shall co-ordinate and co-operate to ensure that masters of ships providing assistance by embarking persons in distress at sea are released from their obligations with minimum further deviation from the ships´ intended voyage, provided that releasing the master of the ship from these obligations does not further endanger the safety of life at sea. The Party responsible for the search and rescue region in which such assistance is rendered shall exercise primary responsibility for ensuring such co-ordination and cooperation occurs, so that survivors assisted are disembarked from the assisting ship and delivered to a place of safety, taking into account the particular circumstances of the case and guidelines developed by the Organization. In these cases, the relevant Parties shall arrange for such disembarkation to be effected as soon as reasonably practicable (art.3.1.9 Conv. Amburgo)».
[150] Cfr. Codice di condotta per le ONG impegnate nelle operazioni di salvataggio dei migranti in mare, punto 7, in http://www.interno.gov.it/sites/default/files/codice_condotta_ong.pdf.
[151] Già riportato nella nota 144, (art.3.1.9 Convenzione di Amburgo).
[152] «Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri: a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; b) proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo; (…)» (art.98, paragrafo 1, CNUDM).
[153]«Failure to sign this Code of Conduct or failure to comply with its obligations may result in the refusal by the Italian State to authorize the access to national ports, subject to compliance with the existing international conventions» prima bozza non approvata, in https://www.humanrightsatsea.org/wp-content/uploads/2017/07/2017070516-EU-Code-of-Conduct.pdf.
[154] G.S. GOODWIN-GILL, The Refugee in International Law, Clarendon Press, Oxford, 1996, p.157 ss.; J. COPPENS, E. SOMERS, Towards New Rules on Disembarkation of Persons Rescued at Sea?, in Inter-national Journal of Marine and Coastal Law, 2010, p.377 ss.
[155] K. GOMBEER, (2017), Human rights adrift? Enabling the disembarkation of migrants to a place of safety in the Mediterranean, in Irish Yearbook of International Law,2017, p.23 ss.
[156] A. MARCHESI, Diritti umani e Nazioni Unite. Diritti, obblighi e garanzie, Franco Angeli, Milano, 2007, p.39 ss.; G. FICORILLI, Il principio di non-refoulement, Editrice APES, Roma, 2012, p.35 ss.
[157] F. LENZERINI, Asilo e Diritti Umani. L’evoluzione del diritto d’asilo nel diritto internazionale, Giuffré, Milano, 2009, p.335 ss.; E. CORDUAS, Il principio di non-refoulement: quadro generale e giurisprudenza, 21 luglio 2017, in https://www.iusinitinere.it/principio-non-refoulement-quadro-generale-giurisprudenza-4333.
[158] Cfr. Sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 20 febbraio 1969 nel caso della delimitazione della piattaforma continentale nel Mare del Nord (Repubblica Federale di Germania c. Danimarca –Repubblica Federale di Germania c. Paesi Bassi), in https://www.icj-cij.org/en/case/51/judgments.
[159] R. PALLADINO, La tutela dei migranti irregolari e dei richiedenti protezione internazionale, in CEDU e Ordinamento Italiano. La giursprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e l’impatto nell’ordinamento interno (2010-2015), WOLTER KLUWER – CEDAM, Vicenza, 2016, p. 167 ss.; U. VILLANI, Dalla Dichiarazione universale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Cacucci, Bari, 2016, p.130 ss.; P. PUSTORINO, Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani, Cacucci, Bari, 2019, p.121 ss.
[160] G. CELLAMARE, Brevi note sulla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nell’affare Hirsi Jamaa e altri c. Italia, in Studi sull’Integrazione Europea, 2-3/2012, p.491 ss.; M. R. MAURO, Il divieto di espulsioni collettive dei migranti irregolari: i casi Hirsi e khlaifia, in Dialoghi con Ugo Villani, E. TRIGGIANI, F. CHERUBINI, I. INGRAVALLO, E. NALIN, R. VIRZO (a cura di), Cacucci, Bari, 2017, vol. I, p.461 ss.
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