(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 586-bis)
Il fatto
La Corte di appello di Trento aveva confermato la decisione emessa dal Tribunale di Trento la quale aveva a sua volta condannato l’imputata alla pena di giustizia per il reato previsto dall’art. 9, comma 1, I. n. 376 del 2000, a lei ascritto per aver assunto sostanza dopante del tipo Eritropoietina ricombinante al termine della gara di sci di fondo.
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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso l’indicata sentenza, l’imputata, per il tramite del difensore di fiducia, proponeva ricorso per Cassazione, articolato nei seguenti motivi:
1) vizio di motivazione in relazione al rigetto dell’eccezione di incompetenza territoriale atteso che, secondo il ricorrente, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale, le odierne analisi scientifiche, come acclarato da studi puntualmente pubblicati, avrebbero permesso di verificare la presenza di EPO nelle urine e nel sangue anche a distanza di giorni dalla loro assunzione mentre la Corte di Appello, invece, avrebbe fornito una motivazione illogica in quanto, anziché confrontarsi con il dato scientifico, aveva ritenuto inattendibili le dichiarazioni della persona offesa la quale aveva a sua volta riferito di essersi iniettata la sostanza dopante a casa posto che l’imputata, per non essere vista dai genitori, ben avrebbe potuto assumere la sostanza in una stanza della casa senza essere vista; oltre a ciò, veniva altresì fatto presente che l’assunzione del farmaco poche ore prima della gara non avrebbe avuto alcun affetto, a conferma che l’assunzione avvenne il venerdì prima della gara;
2) errata applicazione degli artt. 8 e 9 cod. proc. pen. e dell’art. 9 I. n. 376, del 2000 e correlato vizio di motivazione dato che, secondo il ricorrente, stante, quantomeno, l’incertezza, del luogo di assunzione della sostanza dopante, la Corte di Appello avrebbe dovuto far riferimento alle regole suppletive di cui all’art. 9 cod. proc. pen. la cui applicazione, nel caso in esame, secondo la difesa, consentiva di individuare il giudice competente nel Tribunale di Belluno nella cui circoscrizione era ubicata la residenza dell’imputata.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso era reputato fondato per i motivi e nei limiti indicati nei seguenti termini.
In via preliminare, veniva osservato che l’art. 9, comma 1, I. n. 376 del 2000 così disponeva: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da euro 2.582 a euro 51.645 chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ricompresi nelle classi previste all’articolo 2, comma 1, che non siano giustificati da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze”.
Ciò posto, si evidenziava come l’art. 9 I. n. 376 del 2000 sia stato abrogato dall’art. 7, comma 1, lett. n), d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21; parallelamente, in applicazione del principio della “riserva di codice”, ora enunciato nell’art. 3-bis cod. pen., l’art. 2, comma 1, lett. d) d.lgs. n. 21 del 2018 ha trasferito nel codice penale le disposizioni già contenute nell’indicato art. 7: l’art. 586-bis cod. pen., infatti, incrimina l’utilizzo o somministrazione di farmaci o di altre sostanze al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti” rilevandosi al contempo che il comma 1, “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, punisce con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da 2.582 a 51.645 euro “chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ricompresi nelle classi previste dalla legge, che non siano giustificati da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze”.
Orbene, ad avviso del Supremo Consesso, come risulta dalla comparazione delle due fattispecie, si tratta di un’abrogatio sine abolitio perché il fatto già punito dal previgente art. 9, comma 1, I. n. 376 del 2000 è ora oggetto di incriminazione da parte dell’art. 586-bis, comma 1, cod. pen..
Ciò chiarito, si rilevava altresì come il Tribunale avesse rigettato l’eccezione di incompetenza territoriale facendo leva sul fatto che l’EPO sintetica, quando – come nella specie – viene somministrata per via sottocutanea, ha un’emivita breve, pari a circa otto ore, ed è possibile rilevarla nelle urine già dopo tre ore dalla sua somministrazione.
Da tale premessa di carattere scientifico, posto che la presenza di EPO era stata accertata a seguito del prelievo antidoping delle urine effettuato dopo la seconda gara, il Tribunale aveva tratto la conseguenza che l’assunzione di detta sostanza non poteva che essere avvenuta nell’imminenza della gara, o, comunque, nel territorio di Trento, e non già due giorni prima, ossia il venerdì, a casa dell’imputata, come da costei affermato (p. 2 della sentenza di primo grado).
Orbene, notavano i giudici di piazza Cavour, nel proporre appello, la difesa, come si apprendeva dalla sentenza impugnata (p. 7), aveva dedotto l’esistenza di diversi studi, puntualmente indicati, relativi a un nuovo metodo di indagine, che avrebbero consentito di individuare l’EPO esogena anche dopo tre giorni dall’assunzione.
In particolare, la Corte territoriale aveva ritenuto non dirimenti tali studi in ordine alla collocazione temporale dell’assunzione della sostanza dopante, in quanto “la circostanza che nessuno in famiglia abbia visto P. E. iniettarsi la sostanza de qua rende più verosimile, oltre a quanto si dirà oltre, che tale operazione sia avvenuta prima della gara sul luogo della stessa e non il venerdì a casa, in F., quantomeno perché la ragazza non avrebbe voluto far assistere il padre, così impressionabile, alla iniezione sottocutanea della sostanza” (p. 8 della sentenza impugnata).
Oltre a ciò, la Corte aveva messo in luce: che la sostanza ha effetto immediato, a conferma che fu assunta quando l’atleta era già in territorio trentino; che la prospettazione di un diverso luogo della condotta non era evidenziabile al momento dell’esercizio dell’azione penale essendo emersa solo nel procedimento antidoping il 10 aprile 2017; che, comunque, in sede di opposizione a decreto penale di condanna, non era stata prospettata l’eccezione di incompetenza territoriale.
Ebbene, secondo il Supremo Consesso, tale motivazione si appalesava essere errata.
In primo luogo, veniva ribadito a tal proposito il principio, secondo cui il reato di assunzione di sostanze dopanti, che ha natura istantanea con effetti permanenti, si perfeziona nel momento dell’assunzione della sostanza vietata, essendo irrilevante l’eventuale perdurante pericolo dell’alterazione delle prestazioni agonistiche; pertanto, la competenza territoriale va individuata in relazione al luogo in cui la sostanza viene somministrata, assunta o favorita nell’assunzione (Sez. 6, n. 39482 del 22/06/2017).
Tal che se ne faceva conseguire come il luogo della consumazione del reato sia quello in cui, per rimanere alla condotta oggetto di scrutinio, la sostanza dopante è stata assunta, luogo che può non coincidere con quello in cui il reato è stato accertato, essendovi, di regola, uno iato temporale tra l’assunzione del farmaco (il cui effetto non è generalmente immediato ma, per poter agire, necessita di tempo, che varia a seconda del tipo di sostanza) e il momento in cui il reato viene accertato, che, come nel caso in esame, è avvenuto a seguito di controlli effettuati al termine di una competizione sportiva.
Mutuando principi che sono stati affermati in relazione al delitto di ricettazione, che, stante il carattere istantaneo della condotta, può presentare uno scarto temporale tra il momento consumativo – che coincide con la ricezione del bene di provenienza illecita – e quello in cui è. accertata la detenzione della res (cfr. Sez. 1, n. 24934 del 24/02/2004), per la Corte di legittimità, per individuare il giudice competente è necessario accertare in quale luogo sia avvenuta l’assunzione della sostanza dopante e tale indagine va condotta sulla base di elementi oggettivi sicché nemmeno può attribuirsi, a tal fine, valore decisivo alle dichiarazioni dell’imputato allorché non siano sorrette da sicuri riscontri; ed ove il predetto accertamento non sia possibile, a causa della mancanza o dell’equivocità degli elementi di riscontro, devono trovare applicazione le regole suppletive di cui all’art. 9 cod. proc. pen., fermo restando che deve escludersi la possibilità di considerare “parte dell’azione” la protrazione degli effetti permanenti del reato istantaneo, e quindi di attribuire la competenza, per tale via, al giudice del luogo in cui, a seguito di esami diagnostici, si è rilevata la presenza nel sangue della sostanza dopante.
Ebbene, alla luce di queste premesse, la Cassazione osservava che, se il Tribunale aveva ritenuto che l’assunzione della sostanza dopante fosse avvenuta nel territorio di Trento, sull’assunto – metodologicamente corretto, in quanto ancorato a un elemento obiettivo – che l’EPO ha una emivita breve, pari a circa otto ore, questo stesso Tribunale, però, non aveva indicato da dove avesse tratto tale informazione e come essa fosse stata veicolata nel processo trattandosi di un dato di natura scientifica mentre un’affermazione del genere avrebbe dovuto essere acquisita per il tramite della deposizione di un testimone esperto, consulente o perito, nel contraddittorio tra le parti.
Invece, in ordine a quanto appena enunciato, gli Ermellini ritenevano come di ciò non vi fosse traccia alcuna nella motivazione.
La conclusione del Tribunale, contestata dall’imputato con l’indicazione, nell’atto di appello, di studi relativi a un nuovo metodo di indagine che consentirebbe di individuare l’EPO esogena anche dopo tre giorni dalla sua assunzione, veniva ritenuta per la Suprema Corte erronea non essendo stato stimato dirimente l’analisi di tali studi confermando, sul punto, la decisione del Tribunale sulla base di un percorso argomentativo inconferente ossia sulla base di una maggiore verisimiglianza in ordine al luogo di assunzione della sostanza dopante con riguardo alla sola valutazione, peraltro opinabile, delle dichiarazioni dell’imputata la quale, per contro, aveva sempre affermato di avere assunto la sostanza dopante nella propria abitazione il venerdì precedente le gare.
Viceversa, per la Suprema Corte, la Corte di merito, come anche richiesto dal Procuratore generale nelle conclusioni rassegnate nel giudizio di appello, nel solco tracciato dal Tribunale, avrebbe dovuto disporre una perizia al fine di accertare, in maniera oggettiva, i tempi di reazione della sostanza per cui era processo e così fornire un’adeguata copertura scientifica alla tesi, affermata in modo apodittico del Tribunale, secondo cui la rilevazione nel sangue dell’EPO svanirebbe dopo circa otto ore, o, comunque, in un arco temporale che, nella specie, non sarebbe stato compatibile con l’assunzione avvenuta il venerdì precedente la gara.
A fronte delle considerazioni sin qui esposte, di conseguenza, si procedeva all’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, perché procedesse all’incombente dinanzi indicato al fine di delibare in ordine all’eccezione di incompetenza territoriale, tempestivamente sollevata dalla difesa prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, e dovendosi precisare che, ove la perizia non giungesse a un risultato certo, avrebbero dovuto trovare applicazione le regole suppletive indicate nell’art. 9 cod. proc. pen..
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito chi è il giudice territorialmente competente nel caso in cui si proceda per il reato di assunzione di sostanze dopanti.
Difatti, in tale pronuncia, dopo essersi fatto presente, citandosi giurisprudenza conforme, che il reato di assunzione di sostanze dopanti, che ha natura istantanea con effetti permanenti, si perfeziona nel momento dell’assunzione della sostanza vietata, essendo irrilevante l’eventuale perdurante pericolo dell’alterazione delle prestazioni agonistiche e, pertanto, la competenza territoriale va individuata in relazione al luogo in cui la sostanza viene somministrata, assunta o favorita nell’assunzione, viene altresì osservato, dal momento che il luogo della consumazione del reato, ossia, come appena visto, quello in cui la sostanza dopante è stata assunta, può non coincidere con quello in cui il reato è stato accertato, essendovi, di regola, uno iato temporale tra l’assunzione del farmaco (il cui effetto non è generalmente immediato ma, per poter agire, necessita di tempo, che varia a seconda del tipo di sostanza) e il momento in cui il reato viene accertato, che, per individuare il giudice competente, è necessario accertare in quale luogo sia avvenuta l’assunzione della sostanza dopante e tale indagine va condotta sulla base di elementi oggettivi.
Tale sentenza, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di correttamente individuare il giudice competente allorché si proceda per questo reato.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
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