Quale differenza tra coltivazione e detenzione di droga? L’art. 73 del D.P.R. 309/1990 ed il principio dell’offensività in concreto

Con sentenza del 24 aprile 2012, il G.U.P. del Tribunale di Trento ha condannato due imputati per il reato di cui al D.P.R. 309/1990 art. 73, ritenuta l’ipotesi attenuata di cui al comma 5 del medesimo articolo, per aver coltivato due piante di canapa indiana in un armadio trasformato in serra nella propria abitazione e per aver detenuto 20 foglie della medesima pianta in un essiccatore.

La Corte di Appello di Trento, con sentenza del 15 novembre 2013, ha confermato la sentenza di primo grado, giudicando sempre punibile la condotta di coltivazione, ritenendo la condotta offensiva sul presupposto che il materiale ritenuto raggiungesse la “soglia drogante” e confermando la irrilevanza della destinazione della sostanza ad uso personale.

Il difensore dei due imputati, rilevando indubbia la destinazione al mero uso personale, ha presentato ricorso, rilevando l’assenza di offensività della condotta che non ha attitudine alla lesione del bene giuridico.

Secondo la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, n. 5254 del 9 febbraio 2016, “la quantità assai modesta della droga resa disponibile dalla limitata fonte di produzione (solo due piante), in relazione al valore di mercato “nero” della sostanza stessa (notoriamente, in base alla casistica giudiziaria, di pochi Euro al grammo) conferma che si trattava di droga destinata al consumo personale degli imputati”, e inoltre è necessario considerare che “… in un caso di produzione assolutamente minima, si pone un problema di “offensività” in concreto della condotta”.

Ribadendo il precedente orientamento espresso con la sentenza Sez. 6, n. 33835 del 08/04/2014 – dep. 30/07/2014, Pg in proc. Piredda, Rv. 260170,  la Suprema Corte ha confermato che “La punibilità per la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti va esclusa allorché il giudice ne accerti l’inoffensività “in concreto”, nel senso che la condotta deve essere così trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità della droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione di essa.”.

Pertanto, secondo i Giudici di legittimità, si deve considerare come operi nel nostro ordinamento il principio di offensività.

Con sentenza della Corte Costituzionale n. 360 del 1995, la scelta normativa di distinguere fra detenzione e coltivazione è collegata ad un atteggiamento meno rigoroso nei confronti del consumo degli stupefacenti, attività che viene valutata in termini di illiceità ma in modo ben diverso rispetto all’attività di distribuzione di stupefacente a terzi. La differenza è ancora più evidente se si tiene conto che la detenzione ha per sua natura un oggetto determinato e controllabile sotto il punto di vista della quantità, cosa che invece non ricorre nel caso della produzione sia per la indeterminatezza del quantitativo da produrre sia perché si tratta di condotta con capacità di ulteriore diffusione atteso, appunto, che si tratta di coltivazione. In tale differenza si rileva il pieno rispetto del principio di offensività in astratto nella formulazione della norma da parte del legislatore: ciò che viene sanzionato non è il consumo ma la creazione di nuova disponibilità di droga e di condizioni per l’ulteriore diffusione dello stupefacente in ragione dell’aumento delle occasioni di vendita a terzi dovuto all’accrescimento dei quantitativi da coltivare. Secondo la Consulta, infatti, mentre la coltivazionenon può essere direttamente ricollegata all’uso personale ed è punita di per sé in ragione del carattere di aumento della disponibilità e della possibilità di ulteriore diffusione”, al contrario la detenzione “è condotta che, invece, è strettamente collegata alla successiva destinazione della sostanza ed è qualificata da tale destinazione; pertanto è punibile solo quando è destinata all’uso di terzi mentre, se destinata all’uso personale, ha la sanzione (amministrativa) corrispondente a tale ultima condotta. Perciò l’azione tipica della coltivazione si individua senza alcun riguardo all’accertamento della destinazione della sostanza bastando che sia realizzato il pericolo presunto quale sopra specificato. Ma, proprio nella individuazione del compimento della azione tipica nel singolo caso, va applicata la regola di necessaria sussistenza della “offensività in concreto”: ovvero, pur realizzata l’azione tipica, dovrà escludersi la punibilità di quelle condotte che siano in concreto inoffensive.

Si ribadisce, quindi, che “ricorre la assenza di offensività per quelle condotte che dimostrino tale levità da essere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcuna ulteriore diffusione della sostanza”.

In conclusione, secondo la Suprema Corte, essendo certo, nel caso concreto, che quanto individuato esauriva la disponibilità degli imputati senza alcuna prospettiva di utile distribuzione in favore di terzi consumatori, avere coltivato due piantine di canapa indiana non costituisce una condotta offensiva.

Sentenza collegata

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Dott. Assenza Carmelo

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