Quale valutazione è tenuta a fare il giudice quando deve decidere sul differimento dell’esecuzione della pena o, in subordine, sull’applicazione della detenzione domiciliare per motivi di salute

Il fatto

Il Tribunale di sorveglianza di Palermo rigettava l’istanza di differimento dell’esecuzione della pena detentiva, per grave infermità, nelle forme previste dall’art. 47-ter Ord. pen., comma 1-ter, presentata nell’interesse di un detenuto.

In particolare, erano stati considerati elementi ostativi i rilievi inerenti alla situazione di salute del detenuto afferente al suo disturbo psicotico cronico in soggetto con pregressa tossicodipendenza già ritenuta non tale da determinare il ricovero del condannato ai sensi dell’art. 148 c.p. in quanto il recluso appariva in fase di sufficiente compenso e in condizioni tali da risultare compatibile con la prosecuzione dell’esecuzione in regime carcerario senza possibilità di applicare al malato psichico la disciplina di cui all’art. 47-ter Ord. pen., comma 1-ter.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

La difesa del detenuto aveva proposto impugnazione chiedendo l’annullamento dell’ordinanza sulla base di un unico motivo con cui si lamentava la violazione di legge nell’individuazione dei presupposti per il differimento della pena o per l’alternativa concessione della detenzione domiciliare, nonché mancanza di motivazione.

Il ricorrente rammentava, fra l’altro, come fosse stata segnalata l’avvenuta nomina dell’amministratore di sostegno del recluso, atto nel quale si evidenziava come le sue gravissime condizioni psichiche rendessero inadeguato il regime detentivo al fine del suo recupero.
In questa situazione veniva pertanto criticata la scelta del Tribunale di muoversi secondo il tradizionale orientamento giurisprudenziale che non applica l’art. 47-ter Ord. pen., comma 1-ter alle infermità psichiche reputando confinata alla disciplina dell’art. 148 c.p. la corrispondente rilevanza ma senza considerare che l’eventuale ricovero in strutture psichiatriche ex art. 148 c.p. è attualmente impraticabile in quanto le R.E.M.S. devono intendersi istituzionalmente riservate all’esecuzione delle misure di sicurezza, provvisorie o definitive sicché la norma da ultimo citata va considerata non più operante, con la conseguente necessità di applicare, anche per le infermità psichiche, l’art. 147 c.p. e art. 47-ter Ord. pen., anche in via analogica.

Ciò posto, si era ulteriormente segnalato come questo punto fosse stato considerato dall’ordinanza della Corte di cassazione che aveva sollevato la corrispondente questione di legittimità costituzionale tenuto peraltro conto che i vincoli costituzionali e convenzionali non escludono che l’allocazione nel reparto psichiatrico carcerario dell’infermo psichico possa dar luogo a trattamento degradante quando le terapie non risultino appropriate e la detenzione si prolunghi per un tempo significativo.

La requisitoria svolta dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione

Il Procuratore generale aveva prospettato il rigetto del ricorso evidenziando come la decisione del Tribunale di sorveglianza si fosse basata sia sull’esito della relazione peritale e sia sulla considerazione, assorbente, dell’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 148 c.p. e dell’art. 47-ter Ord. pen., comma 1-ter in relazione agli artt. 146 e 147 c.p.

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Altri scritti difensivi

Oltre al ricorso proposto, la difesa di ricorrente aveva prodotto memoria con cui segnalava la portata innovativa della sentenza della Corte costituzionale n. 99 del 20 febbraio-19 aprile 2019 che aveva a sua volta dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter Ord. pen., comma 1-ter, nella parte in cui non prevede che nell’ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta, il tribunale di sorveglianza possa disporre l’applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui al comma 1 del medesimo art. 47-ter, sostenendosi come tale pronuncia rafforzasse le ragioni dell’impugnazione e confermasse l’erroneità del riferimento all’art. 148 c.p. (norma allo stato inapplicabile).

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione

L’impugnazione veniva stimata fondata e, quindi, da doversi accogliere per le seguenti ragioni.

Si osservava prima di tutto come fosse utile precisare che il Tribunale di sorveglianza, oltre alle notazioni sopra richiamate, aveva posto a ragione del provvedimento reiettivo la riflessione secondo cui l’osservazione psichiatrica svolta in tempo successivo alla perizia aveva fatto realmente emergere fasi alterne di instabilità psichica che avevano indotto il Servizio operante presso il carcere a prospettare l’eventuale inserimento del detenuto in una struttura terapeutica (la Comunità terapeutica (OMISSIS)) che tuttavia aveva di recente comunicato l’impossibilità di accoglierlo comunque essendo risultato dalla recente relazione sanitaria che il detenuto era disponibile al dialogo, sufficientemente compensato, sebbene privo di consapevolezza del proprio disturbo psichiatrico e peraltro portatore di pensiero coerente senza errori formali.

In tali condizioni si era ritenuto come mancasse la sussistenza, a cagione del quadro psicotico, della grave infermità fisica considerata l’unica ad essere a tutt’oggi presa in considerazione dagli artt. 146 e 147 c.p., in relazione all’art. 47-ter Ord. pen., soccorrendo per la malattia psichiatrica rilevante la sola fattispecie di cui all’art. 148 c.p., fattispecie – quest’ultima – valutata in modo sfavorevole per il ricorrente.

Si era, in definitiva, ritenuto che il detenuto, pur se portatore di una condizione di sofferenza psichica, dovesse affrontare questa condizione necessariamente all’interno delle strutture penitenziarie, posta l’indisponibilità ad accoglierlo della struttura terapeutica per la salute mentale.

Premesso ciò, gli Ermellini rilevavano come la Corte costituzionale, con sentenza n. 99 del 2019, depositata il 19 aprile 2019 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 24 aprile 2019), avesse dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47-ter, comma 1-ter, nella parte in cui non prevede che, nell’ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta, il tribunale di sorveglianza possa disporre l’applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui al comma 1 del medesimo art. 47-ter.

Rimandando per ogni dettaglio alla completa disamina compiuta dal Giudice delle leggi nella richiamata decisione, i giudici di piazza Cavour ritenevano sufficiente fare presente come la Corte costituzionale avesse preso atto del fatto che il processo riformatore, che aveva condotto alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, non era stato completato con previsioni adeguate alla situazione dei detenuti con gravi malattie psichiche sopravvenute essendo rimasta incompiuta quella parte della delega disposta dalla L. n. 103 del 2017, relativa ai detenuti malati psichici, volta a garantire agli stessi i trattamenti terapeutici e riabilitativi adeguati, anche attraverso misure alternative alla detenzione, oltre che attraverso la creazione di nuove strutture sanitarie interne al carcere.
In questa prospettiva l’istituzione delle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) introdotte dalla riforma non rimedia alla lacuna determinatasi giacché esse non sono destinate a sostituire i soppressi ospedali psichiatrici sotto altra veste: i vecchi ospedali psichiatrici ospitavano tutti i malati psichiatrici gravi in qualsiasi modo venuti a contatto con la giurisdizione penale e, dunque, anche i condannati con infermità psichica sopravvenuta alla condanna laddove le REMS sono destinate esclusivamente ai malati psichiatrici che sono stati ritenuti non imputabili in sede di giudizio penale o che, condannati per delitto non colposo a una pena diminuita a cagione di infermità psichica, sono stati sottoposti a una misura di sicurezza (D.L. n. 211 del 2011, ex art. 3-ter, comma 2, introdotto dalla legge di conversione n. 9 del 2012, successivamente attuato con decreto del Ministro della salute adottato di concerto con il Ministro della giustizia 1 ottobre 2012).

Alla luce di ciò, era stata, quindi, enucleata la conseguente carenza dell’impianto normativo inerente alla situazione specifica che riguarda la condizione dei detenuti affetti da infermità psichica sopravvenuta i quali non hanno accesso alle REMS nè ad altre misure alternative al carcere qualora abbiano un residuo di pena superiore a quattro anni, nè possono accedere all’istituto del rinvio obbligatorio della esecuzione della pena di cui all’art. 146 c.p., comma 1, n. 3), perché la grave patologia psichica non integra il presupposto ivi previsto della malattia grave in fase così avanzata da essere refrattaria alle terapie e nemmeno hanno titolo di beneficiare del rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena di cui all’art. 147 c.p., comma 1, n. 2), perché questa previsione riguarda solo i casi di grave infermità fisica: espressione quest’ultima, ad avviso della Corte, – chiara, senza margini per una diversa interpretazione, tale da renderla inapplicabile anche al detenuto che soffra di una patologia psichica.

Corollario ineludibile di questo quadro normativo era, sempre ad avviso della Cassazione, la conclusione che i malati psichici non potevano giovarsi neppure della detenzione domiciliare umanitaria o in deroga, di cui all’art. 47-ter Ord. pen., comma 1-ter, che nel definire il suo ambito di applicazione rinvia agli artt. 146 e 147 cit..

Tal che si metteva in risalto il fatto – essendo innegabile che la malattia psichica è fonte di sofferenze non meno della malattia fisica, pur non obliterando che la tutela della salute mentale dei detenuti richiede interventi complessi e integrati, radicati in primo luogo nel potenziamento delle strutture sanitarie in carcere – come la Corte costituzionale avesse fatto emergere l’esigenza che l’ordinamento preveda anche percorsi terapeutici esterni, almeno per i casi di accertata incompatibilità con l’ambiente carcerario, con misure alternative alla detenzione carceraria “che il giudice possa disporre caso per caso, momento per momento, modulando il percorso penitenziario tenendo conto e della tutela della salute dei malati psichici e della pericolosità del condannato, di modo che non siano sacrificate le esigenze della sicurezza collettiva”.

Per tali ragioni, la Corte costituzionale aveva di conseguenza ritenuto contrastante con i principi costituzionali di cui agli artt. 2 e 3 Cost., art. 27 Cost., comma 3, art. 32 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, l’assenza di ogni alternativa al carcere, che impedisce al giudice di disporre che la pena sia eseguita fuori dagli istituti di detenzione anche qualora, a seguito di tutti i necessari accertamenti medici, emerga una malattia mentale idonea a determinare una sofferenza talmente grave che, cumulata con l’ordinaria afflittività del carcere, dia luogo a un supplemento di pena contrario al senso di umanità e aveva, conclusivamente, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter Ord. pen., comma 1-ter, nella parte in cui non consente che la detenzione domiciliare umanitaria sia disposta anche nelle ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta.

Questo approdo interpretativo, per il Supremo Consesso, determina ex se il superamento di quelle considerazioni svolte dal Tribunale di sorveglianza in punto di inapplicabilità al caso di specie della suindicata disciplina atteso il novum costituito dal più ampio spettro applicativo dell’art. 47-ter Ord. pen., comma 1-ter, determinatosi a seguito della citata pronuncia di incostituzionalità.

A fronte di quanto sin qui esposto, gli Ermellini evidenziavano come comunque residui la verifica dell’adeguatezza della motivazione fornita dal Tribunale laddove non era stata considerata l’evenienza di un’infermità psichica di grado grave in persona di questo detenuto fermo restando che, ad avviso della Corte, tale verifica non consente di ritenere adeguata e coerente la motivazione addotta dai giudici di sorveglianza sul punto dal momento che gli elementi valorizzati da parte del Tribunale in ordine al contenuto delle evidenze sanitarie appaiono trattati a livello troppo generale e, inoltre, con conclusioni non univoche, da un lato, essendosi valorizzato il giudizio di compatibilità con la restrizione carceraria della condizione del detenuto espresso in tempo pregresso dalla relazione peritale in rapporto però al ricovero da effettuarsi ai sensi dell’art. 148 c.p. (come si è visto, inapplicabile in concreto) ma, dall’altro, essendosi dato atto che la recente relazione sanitaria, segnalando come l’instabilità psichica del recluso avesse registrato fasi alterne, aveva prospettato l’esigenza dell’inserimento del detenuto, per le sue condizioni, in una struttura terapeutica esterna, struttura dichiaratasi, tuttavia, indisponibile ad accoglierlo sicché, nell’iter giustificativo, secondo la Suprema Corte, appare rivestire valore determinante il riferimento all’impossibilità giuridica di adottare il provvedimento art. 47-ter Ord. pen., comma 1-ter per la malattia psichiatrica, vale a dire un riferimento da ritenersi, ormai, divenuto privo di giuridico fondamento.

In definitiva, la complessiva valutazione compiuta dal Tribunale di sorveglianza in ordine alla gravità dell’infermità psichica di cui era portatore il detenuto, per la Cassazione, non risultava essere fondata su una motivazione adeguata risentendo – le considerazioni svolte nel provvedimento impugnato – del riferimento al regime giuridico all’epoca vigente, regime ora inciso in modo notevole dalla richiamata decisione della Corte costituzionale e, pertanto, sotto l’aspetto così enucleato, i giudici di piazza Cavour reputavano come il profilo di corrispondente carenza del discorso giustificativo denunciato dal ricorrente apparisse, quindi, essere sussistente.

Dedotto ciò, si rilevava altresì come, alla luce della novità ordinamentale emersa, inquadrata nell’alveo della sedimentata elaborazione ermeneutica, lo stato di salute – ora anche psichica – incompatibile con il regime carcerario, idoneo a giustificare l’applicazione della detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter Ord. pen., comma 1-ter, non sia limitato alla patologia implicante un pericolo per la vita dovendosi avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento psico-fisico capace di determinare una situazione di esistenza al di sotto di una soglia di dignità da rispettarsi pure nella condizione di restrizione carceraria, dovendo contemplarsi, nella valutazione conclusiva, l’esigenza di non ledere il fondamentale diritto alla salute e il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità ex artt. 32 e 27 Cost. (Sez. 1, n. 3262 del 01/12/2015; Sez. 1, n. 16681 del 24/01/2011; Sez. 1, n. 22373 del 08/05/2009).

A sua volta la valutazione relativa alla compatibilità tra regime detentivo carcerario e condizioni di salute del recluso, ovvero la verifica della possibilità del mantenimento o meno dello stato di detenzione carceraria di persona gravemente debilitata e/o ammalata, rifluisce nella valutazione sul se il trattamento detentivo possa scadere in ambito inumano o degradante, costituzionalmente e convenzionalmente inibito ed essa, dunque, deve essere effettuata tenendo comparativamente conto delle condizioni complessive di salute e di detenzione e implica un giudizio – non soltanto di astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici in potenza a disposizione del detenuto, a seconda del regime impostogli, ma anche – di effettivo accesso alle cure praticabili e di concreta adeguatezza delle stesse.

Oltre a ciò, una volta accertata in modo congruo l’entità della malattia, in questo caso psichica, la verifica della sussistenza, o meno, della pericolosità del condannato e, secondo l’esito, l’eventuale valutazione comparativa fra quegli elementi, è richiesto altresì che il giudice, quando è chiamato a decidere sul differimento dell’esecuzione della pena o, in subordine, sull’applicazione della detenzione domiciliare per motivi di salute, deve effettuare un bilanciamento tra le istanze sociali correlate alla pericolosità del detenuto e le condizioni complessive di salute di quest’ultimo, con riguardo sia all’astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici disponibili, sia alla concreta adeguatezza della possibilità di cura e assistenza che nella situazione specifica è possibile assicurare al predetto, ponderando anche le possibili ripercussioni del mantenimento del regime carcerario in termini di aggravamento del quadro clinico (Sez. 1, n. 37062 del 09/04/2018; sulla necessità di operare un bilanciamento tra l’interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività, in tema di applicazione della speculare fattispecie prevista dall’art. 147 c.p., comma 1, n. 2; Sez. 1, n. 789 del 18/12/2013, dep. 2014).

In relazione a tale quadro ermeneutico, invece, secondo la Cassazione, la motivazione del provvedimento impugnato era connotata per la carenza della struttura argomentativa già segnalata in punto di accertamento e valutazione della grave infermità psichica da effettuarsi alla stregua del nuovo e più ampio spettro normativo determinato dall’indicata pronuncia della Corte costituzionale.

Pertanto, alla stregua di quanto appena esposto, il ricorso, per tale ragione, veniva accolto con il conseguente annullamento dell’ordinanza impugnata ed il rinvio al Tribunale di sorveglianza di Palermo per il nuovo esame da svolgersi nell’osservanza degli indicati principi.

Conclusioni

La decisione qui in esame è assai interessante in quanto spiega quale valutazione decisoria è richiesta in materia di differimento dell’esecuzione della pena e in quella di applicazione della detenzione domiciliare per motivi di salute.

In particolare, secondo quanto trapela in tale sentenza, lo stato di salute, anche psichica, idoneo a giustificare l’applicazione della detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter Ord. pen., comma 1-ter, non è limitato alla patologia implicante un pericolo per la vita dovendosi avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento psico-fisico capace di determinare una situazione di esistenza al di sotto di una soglia di dignità da rispettarsi pure nella condizione di restrizione carceraria, dovendo contemplarsi, nella valutazione conclusiva, l’esigenza di non ledere il fondamentale diritto alla salute e il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità ex artt. 32 e 27 Cost..

Inoltre, per quanto attiene la valutazione da doversi fare circa la compatibilità tra regime detentivo carcerario e condizioni di salute del recluso, ovvero la verifica della possibilità del mantenimento o meno dello stato di detenzione carceraria di persona gravemente debilitata e/o ammalata, essa, sempre secondo quanto emerge dalla pronuncia in commento, deve essere effettuata tenendo comparativamente conto delle condizioni complessive di salute e di detenzione e implica un giudizio – non soltanto di astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici in potenza a disposizione del detenuto, a seconda del regime impostogli, ma anche – di effettivo accesso alle cure praticabili e di concreta adeguatezza delle stesse.

Oltre a ciò, la valutazione decisoria richiesta in tali casi richiede anche che si faccia un bilanciamento tra le istanze sociali correlate alla pericolosità del detenuto e le condizioni complessive di salute di quest’ultimo, con riguardo sia all’astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici disponibili, sia alla concreta adeguatezza della possibilità di cura e assistenza che nella situazione specifica è possibile assicurare al predetto, ponderando anche le possibili ripercussioni del mantenimento del regime carcerario in termini di aggravamento del quadro clinico.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché fa chiarezza su tutte queste tematiche giuridiche, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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