Quando è configurabile il reato di esercizio abusivo di attività finanziaria

    Indice 

  1. La questione
  2. La soluzione adottata dalla Cassazione
  3. Conclusioni

(Riferimento normativo: D.lgs., 1/09/1993, n. 385, art. 132)

1. La questione

La Corte di Appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, confermava una sentenza con la quale, all’esito del giudizio abbreviato, il Tribunale di Taranto aveva dichiarato l’imputato responsabile – in concorso con altro, nei confronti del quale si era proceduto separatamente – del reato di esercizio abusivo di attività finanziaria (art. 132, d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, recante “Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia”; d’ora in poi, TUB).

Ciò posto, avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato che, tra le doglianze ivi addotte, prospettava erronea applicazione o interpretazione dell’art. 132 TUB in quanto, ad avviso del ricorrente, la giurisprudenza di legittimità sottolinea che le attività finanziarie rilevanti ai sensi degli artt. 106 e 132 TUB devono essere individuate in ragione della concreta “sostanza” delle operazioni effettuate, quale attività sottoposta a controllo e rivolta al pubblico, laddove il d.nn. n. 53 del 2015, richiamato dall’art. 106 Tub, opera un ulteriore rinvio, per inquadrare il contesto delle attività riconducibili al “credito ai consumatori“, agli artt. 121 e 122 TUB, che, indicano tra le eccezioni alla normativa relativa al credito al consumo i finanziamenti nei quali è escluso il pagamento di interessi o altri oneri fermo restando che, anche in presenza di un reato di pericolo astratto, non può prescindersi dalla valutazione della lesività/offensività dei comportamenti potenzialmente concretizzabili nelle condotte realizzate sicché non si può prescindere dalla onerosità delle operazioni di finanziamento, il che, sempre per il legale, era pacificamente escluso nel caso di specie, trattandosi di (reputati) autonomi e occasionali mutui non onerosi ritualmente stipulati tra privati, non assoggettati a riserva legislativa, perché esclusa dal combinato disposto degli artt. 121 e 122 TUB.


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2. La soluzione adottata dalla Cassazione

La Suprema Corte riteneva il motivo summenzionato infondato sulla scorta di quell’orientamento nomofilattico, condiviso anche in questa occasione, secondo cui commette il reato di esercizio abusivo di attività finanziaria di cui all’art. 132 d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, chi pone in essere le condotte di finanziamento previste dall’art. 106 del medesimo d.lgs. inserendosi nel libero mercato e sottraendosi ai controlli di legge, purché l’attività, anche se in concreto realizzata per una cerchia ristretta di destinatari, sia rivolta ad un numero potenzialmente illimitato di soggetti e sia svolta professionalmente, ovvero in modo continuativo e non occasionale, non essendo invece necessario il perseguimento di uno scopo di lucro o, comunque, di un obiettivo di economicità, posto che «il carattere di professionalità non implica il perseguimento di uno scopo di lucro, o, quantomeno, di un obiettivo di  economicità (pareggio tra costi e ricavi)» (Sez. 5, n. 18317 del 16/12/2016; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 21927 del 17/04/2018).

Difatti, le argomentazioni svolte dalla difesa – che si erano svolte attraverso una serie di richiami normativi: l’art. 106 TUB, richiamato dall’art. 132 in esame per l’individuazione delle attività finanziarie prese in considerazione dalla fattispecie incriminatrice, rinvia, a sua volta, al decreto ministeriale n. 53 del 2015, che, all’art. 2, richiama, tra l’altro, il credito ai consumatori come definito dall’art. 121 TUB; disposizione, quest’ultima, che, nella prospettazione del ricorrente, deve essere coordinata sistematicamente con l’art. 122 TUB, il quale qualificherebbe, come eccezione alla normativa in questione, «i finanziamenti nei quali è escluso il pagamento di interessi o altri oneri» (art. 122, comma 1, lett. c), TUB) – erano disattese alla luce del fatto che, secondo il Supremo Consesso, l’art. 106, comma 3, TUB non rinvia tout court al decreto ministeriale, ma solo in relazione all’individuazione delle circostanze nelle quali «ricorra l’esercizio nei confronti del pubblico» e da ciò se ne faceva conseguire che la disposizione del d.m. n. 53 del 2015, alla quale far riferimento, è (non già l’art. 2, in tema di «attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma», ma) l’art. 3, concernente, appunto, l’«esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti»: quest’ultima disposizione (che pure, come subito si vedrà, contiene un riferimento all’art. 121 TUB) esclude l’operatività nei confronti del pubblico per quei finanziamenti concessi da produttori di beni e servizi o da società del gruppo di appartenenza, a soggetti appartenenti alla medesima filiera produttiva o distributiva del bene o del servizio quando ricorra, tra l’altro, la condizione che i destinatari del finanziamento non siano consumatori ai sensi dell’art. 121 TUB, il cui comma 1, lett. b), definisce «consumatore» la «persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta».

La tesi del ricorrente, dunque, per gli Ermellini, era il frutto di una non corretta ricostruzione del quadro normativo ed era pertanto, a loro avviso, inidonea a inficiare le conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza di legittimità con le pronunce sopra citate.

3. Conclusioni 

La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi ribadito, sulla scorta di un orientamento nomofilattico conforme, che commette il reato di esercizio abusivo di attività finanziaria di cui all’art. 132 d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, chi pone in essere le condotte di finanziamento previste dall’art. 106 del medesimo d.lgs. inserendosi nel libero mercato e sottraendosi ai controlli di legge, purché l’attività, anche se in concreto realizzata per una cerchia ristretta di destinatari, sia rivolta ad un numero potenzialmente illimitato di soggetti e sia svolta professionalmente, ovvero in modo continuativo e non occasionale, non essendo invece necessario il perseguimento di uno scopo di lucro o, comunque, di un obiettivo di economicità, posto che il carattere di professionalità non implica il perseguimento di uno scopo di lucro, o, quantomeno, di un obiettivo di  economicità (pareggio tra costi e ricavi).

Tale pronuncia, quindi – fermo restando che in essa viene altresì chiarito, nella parte in cui viene esaminata un’altra doglianza, sempre sulla scorta di un pregresso orientamento elaborato dalla Cassazione in subiecta materia, che il requisito della professionalità debba essere intesa in senso ampio, coincidente con il compimento di una serie coordinata di atti rientranti nelle tipologie previste – deve essere presa nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare la sussistenza di siffatto illecito penale.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, dunque, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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