Quando è configurabile il reato di furto e non quello di appropriazione indebita

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SOMMARIO: Il fatto – I motivi addotti nel ricorso per Cassazione – Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione – Conclusioni

Il fatto

La Corte di Appello di Milano, in parziale riforma di una sentenza emessa dal Tribunale di Milano nei confronti di una persona imputata per il delitto di cui agli artt. 624, 81 cpv., 61 n. 11, 110 cod. pen., rideterminava la pena in anni due, mesi nove e giorni sei di reclusione ed euro 1200,00 di multa, confermando nel resto.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi:

1) erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in riferimento alla qualificazione giuridica del fatto nonché vizio di motivazione assumendosi come la Corte di Appello fosse incorsa nella dedotta violazione in quanto la fattispecie penale, sotto cui sussumere il fatto di reato, avrebbe dovuto essere quella di appropriazione indebita e non quella di furto, e ciò perché l’imputato era un dipendente di una società trasporti ed era impiegato come trasportatore; avendo quindi la disponibilità intesa come materiale detenzione del mezzo affidatogli e del relativo carburante necessario per percorrere le tratte lavorative, egli aveva il legittimo possesso del bene; quel possesso che la giurisprudenza richiede affinché si configuri il reato di appropriazione indebita; oltre a ciò, veniva altresì rilevato come la Corte territoriale avesse affermato che invece la detenzione qualificata riguarderebbe unicamente il quantitativo di gasolio necessario per svolgere il percorso assegnatogli ma, a parere del ricorrente, tale considerazione non poteva essere considerata corretta, non essendo possibile stabilire se la quantità sottratta sarebbe proprio quella eccedente rispetto al quantitativo che legittimamente avrebbe potuto utilizzarsi per eseguire il percorso assegnato dato che il caso di specie non era assimilabile a quello della sottrazione della merce trasportata poiché in tale ipotesi il vettore non aveva alcuna autonoma disponibilità della cosa sottratta ma una mera detenzione materiale in nome di altri, non potendosi del resto affermare, come aveva fatto il collegio dell’appello, che la corretta qualificazione discendesse dalla ravvisata sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 cod. pen.;

2) mancata concessione delle attenuanti generiche affermandosi come la sentenza impugnata non avesse considerato che le attenuanti generiche erano state già concesse con la pronuncia di condanna per il reato posto in continuazione con quello di cui al presente procedimento in considerazione del comportamento assunto dall’imputato in occasione dell’arresto in flagranza.

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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva dichiarato inammissibile per le seguenti considerazioni.

In particolare, il primo motivo era stimato inammissibile per manifesta infondatezza in quanto la Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato, sulla base della compiuta ricostruzione del fatto, la tesi oggi riproposta, che invoca la qualificazione della condotta come appropriazione indebita e non furto, evidenziando gli aspetti che connotano la fattispecie in esame, in particolare come il gasolio oggetto di sottrazione non potesse ritenersi oggetto di detenzione qualificata da parte del ricorrente.

Orbene, per il Supremo Consesso, l’impostazione seguita dai giudici di appello era stata corretta posto che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della Cassazione quello secondo cui, in tema di reati contro il patrimonio, ove l’agente abbia la detenzione della cosa, in mancanza di un autonomo potere dispositivo del bene, è configurabile il reato di furto e non quello di appropriazione indebita (Sez. 4, Sentenza n. 54014 del 25/10/2018, nella fattispecie la Corte aveva ritenuto immune da censure la sentenza impugnata che aveva qualificato come furto l’impossessamento di diversi elementi di un immobile – quali le porte, i radiatori e un armadio a muro – oggetto di vendita all’incanto, operato dai precedenti proprietari nel periodo in cui, dopo la vendita, erano stati autorizzati dall’acquirente a ritardarne il rilascio).

Ed ancora, con riferimento a fattispecie assimilabile a quella in esame, si è affermato che integra il delitto di furto (art. 624 cod. pen.) – e non quello di appropriazione indebita (art. 646 cod. pen.) – la condotta del dipendente di un vettore che si impossessi della cosa mobile affidatagli per il trasporto in quanto, pur detenendola materialmente “nomine alieno“, non ha alcuna disponibilità autonoma della cosa stessa (cfr. tra tante, Sez. 5, Sentenza n. 31993 del 05/03/2018), così come risponde, altresì, del reato di furto aggravato, e non di appropriazione indebita, la dipendente di una società, incaricata di provvedere ai pagamenti in nome della stessa, che si impossessi di somme di denaro sottraendole dal conto corrente aziendale (Sez. 4, Sentenza n. 8128 del 31/01/2019, nella fattispecie, la Corte aveva ritenuto immune da censure la sentenza che aveva escluso che l’imputata avesse la disponibilità del denaro sottratto solo perché disponeva della “password” per operare sul conto corrente della società, rilevando che la facoltà dell’imputata di effettuare pagamenti non le conferiva una signoria autonoma sui conti correnti, trattandosi di facoltà vincolata alle istruzioni e alle direttive impartitele dai vertici societari, e che la provvista depositata sui conti correnti era sempre rimasta nella piena disponibilità dell’ente titolare).

In altri termini, quando sussiste un semplice rapporto materiale con la cosa, determinato da un affidamento condizionato e conseguente ad un preciso rapporto di lavoro, soggetto ad una specifica regolamentazione, che non attribuisca all’agente alcun potere di autonoma disponibilità sulla cosa stessa, si ricade nell’ipotesi di furto e non di appropriazione indebita (cfr. Sez. 2, n. 7079 del 17/3/1998; nonchè Sez. 5 n. 33105/20).

Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, gli Ermellini osservavano come

il ricorrente, dipendente della società per la quale effettuava il trasposto, non avesse alcuna disponibilità autonoma del carburante in eccesso, rispetto alle necessità del viaggio, del quale ebbe ad appropriarsi, di talchè la sottrazione di esso non era qualificabile come appropriazione indebita bensì come furto.

Corretta ed argomentata appariva essere quindi per la Corte la qualificazione del reato operata dai giudici del gravame del merito che non avevano ravvisato il possesso e la disponibilità del gasolio in esubero della società in capo al ricorrente che, a sua volta, non aveva la gestione del carburante della società ma unicamente l’incarico di provvedere al trasporto mediante l’automezzo della società nell’ambito del rapporto di lavoro dipendente che lo legava alla medesima, tanto che lo stesso adottava una serie di stratagemmi al fine di perpetrare il furto.

Ciò posto, anche il secondo motivo era reputato privo di pregio avendo la sentenza impugnata dato conto delle ragioni per le quali non potessero riconoscersi le attenuanti generiche, evidenziando in particolare l’assenza di particolari elementi di meritevolezza, peraltro neppure dedotti dalla difesa, dal momento che le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato – nel caso di specie peraltro comunque ridotta dalla corte territoriale – in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere del reo sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 2 – , Sentenza n. 9299 del 07/11/2018) laddove il ricorrente si era limitato a fare riferimento unicamente a generiche circostanze, afferenti, peraltro, il comportamento dell’imputato nell’altro procedimento penale in cui era stato giudicato il reato posto in continuazione con i 49 episodi di furto accertati nel presente procedimento.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito quando ricorre il delitto di furto, e non quello di appropriazione indebita.

Difatti, in tale pronuncia, citandosi precedenti conformi, si afferma che, in tema di reati contro il patrimonio, ove l’agente abbia la detenzione della cosa, in mancanza di un autonomo potere dispositivo del bene, è configurabile il reato di furto e non quello di appropriazione indebita e, di conseguenza, quando sussiste un semplice rapporto materiale con la cosa, determinato da un affidamento condizionato e conseguente ad un preciso rapporto di lavoro, soggetto ad una specifica regolamentazione, che non attribuisca all’agente alcun potere di autonoma disponibilità sulla cosa stessa, si ricade nell’ipotesi contemplata dall’art. 624 cod. pen., e non quella di cui all’art. 646 cod. pen..

Tale sentenza, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di procedere ad una corretta qualificazione giuridica del fatto-reato ove si verifichi una condotta delittuosa di questo genere.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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