Indice:
- Il fatto
- I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
- Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
- Conclusioni
Il fatto
Il Tribunale di Reggio Calabria, adito ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen., riformava parzialmente un provvedimento impugnato, riducendo la misura del vincolo fino alla concorrenza di un nuovo importo, e confermava nel resto il decreto con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria aveva disposto l’applicazione della misura cautelare del sequestro preventivo di beni (finalizzato in parte alla confisca diretta e in parte a quella per equivalente) nei confronti di una persona indagata in relazione al reato di cui agli artt. 81 e 316-ter cod. pen., per avere indebitamente percepito dallo Stato erogazioni in termini di risparmio di spesa, portando a conguaglio importi per assegni nucleo familiare, invero mai corrisposti ai propri dipendenti né da questi richiesti.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso la decisione summenzionata proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’indagato deducendo violazione di legge per avere il Tribunale del riesame erroneamente qualificato i fatti accertati, integranti gli estremi non del delitto di cui all’art. 316-ter cod. pen., bensì del delitto di cui all’art. 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000, in concreto insussistente per il mancato superamento della soglia di punibilità nonché per avere omesso di considerare che i reati ipotizzati si sarebbero oramai in gran parte prescritti.
Vedasi sull’argomento: “Delitto di indebita compensazione configurabile solo per imposte sui redditi e IVA”
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva accolto per le seguenti considerazioni.
Si osservava a tal proposito innanzitutto, una volta fatto presente che l’art. 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74, recante la rubrica ‘Indebita compensazione‘ (introdotto dall’art. 35, comma 5, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e poi modificato dall’art. 9, comma 1, del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, prevede come reato la condotta chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti o crediti inesistenti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro, come vi sia un contrasto interpretativo in ordine alla definizione dell’ambito di configurabilità di tale delitto atteso che, per un primo indirizzo, il reato in questione riguarda l’omesso versamento di somme di denaro attinente a debiti, sia tributari, sia di altra natura, per il cui pagamento debba essere utilizzato il modello di versamento unitario (così, tra le altre, Sez. 3, n. 389 del 18/09/2020; Sez. 3, n. 13149 del 03/03/2020; Sez. 3, n. 5934 del 12/09/2018) mentre, per l’indirizzo contrario, la condotta di omesso versamento di cui all’art. 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 concerne esclusivamente le somme dovute a titolo di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, coerentemente con la sua collocazione all’interno di un testo normativo concernente i soli reati attinenti dette imposte e con la speciale causa di non punibilità del pagamento del debito tributario disciplinata dall’art. 13, comma 1, d.lgs. n. 274 del 2000 in termini incompatibili con obblighi di natura diversa (Sez. 1, n. 38042 del 10/05/2019).
Orbene, nel caso di specie, il Supremo Consesso riteneva di dovere aderire alla prima delle due indicate opzioni esegetiche militando in tal senso, a suo avviso, il dettato normativo posto che, se il menzionato art. 10-quater fa rinvio alla disciplina del meccanismo di compensazione dettata dall’art. 17 d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, che, nel prevedere una serie di norme finalizzate alla semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni, stabilisce che ciascun contribuente che intenda utilizzare un modello di versamento unitario delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, può operare la compensazione dei crediti e dei debiti riguardanti lo stesso periodo: ciò anche se i crediti e i debiti sono concernenti non solo le imposte sui redditi e l’imposta sul valore aggiunto, ma pure i contributi previdenziali e assistenziali dovuti dai titolari di posizione assicurativa, dai datori di lavoro e dai committenti di prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa, oltre a taluni specifici premi assicurativi, imposte, tasse o addizionali previste da leggi speciali; l’art. 10-quater, così formulato, non pone, quindi, per la Cassazione, alcuna limitazione operativa alla relativa norma, facendo riferimento genericamente al mancato versamento delle “somme dovute“, né conduce a differenti conclusioni la circostanza che la disposizione in argomento sia stata inserita in provvedimento legislativo che riguarda specificamente – come puntualizzato dalla intestazione del decreto – i reati tributari in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto in quanto è ben noto come si tratti di un ‘contenitore’ avente ad oggetto anche violazioni rilevanti penalmente concernenti altri tributi, come quella prevista dall’art. 11, comma 2.
Allo stesso modo, sempre per la Suprema Corte, non depone in senso contrario neppure il fatto che l’art. 13 dello stesso d.lgs. n. 74 del 2000, nel regolare la causa di punibilità dovuta al pagamento del debito tributario, parifichi il reato dell’art. 10-quater a quello degli artt. 10-bis e 10-ter che attengono all’omesso versamento di ritenute dovute ai fini delle imposte dirette o all’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, ipotesi queste ultime che hanno come presupposto comune la differente condotta di chi abbia correttamente dichiarato il proprio debito tributario, tenuto conto altresì del fatto che, sempre ad avviso degli Ermellini, non va neppure trascurato che la Consulta – nel dichiarare la infondatezza di una questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, sia pur nel testo anteriore alle modifiche operate dal d.lgs. n. 158 del 2015 – ha sottolineato come, superando una concezione restrittiva per cui l’istituto della compensazione in materia tributaria era ritenuto applicabile ai crediti nei soli casi eccezionalmente previsti e solo per la cosiddetta compensazione “verticale” avente ad oggetto, cioè, crediti e debiti relativi alla stessa imposta, con il menzionato art. 17 d.lgs. n. 241 del 1997 il legislatore avesse proposto una concezione innovativa, “consentendo al contribuente di effettuare un versamento unitario delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, (…) in deroga al requisito dell’identità dei soggetti titolari delle reciproche posizioni debitorie e creditorie, previsto dal codice civile (art. 1241)”. In tal modo, si è chiarito, a differenza della “compensazione ammessa in sede di presentazione della dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o all’iva (solo in forma) ‘verticale’ (…) in sede di versamento unitario, può procedersi anche (…) alla compensazione ‘orizzontale’, ossia tra imposte diverse” (così Corte cost., sent. n. 35 del 2018).
I giudici di piazza Cavour, pertanto, alla luce delle considerazioni sin qui enunciate, formulava, riaffermandolo, il seguente principio di diritto: “il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, è configurabile, alla luce dell’ampliamento delle ipotesi di compensazione previste dalle norme tributarie disposto dall’art. 17 del d.lgs. n. 241 del 1997, sia nel caso di compensazione “verticale”, riguardante crediti e debiti afferenti alla medesima imposta, sia in caso di compensazione “orizzontale”, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa, purché previste dal predetto d.lgs.”.
Di conseguenza, una volta fatto presente come non vi fosse nessun dubbio che, in presenza di una specifica norma incriminatrice, nel rapporto con l’art. 316-ter cod. pen. prevalga, in applicazione dell’art. 15 cod. pen., la disposizione del suddetto art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000 (così Sez. 3, n. 7662 del 14/12/2011) e ritenuto, dunque, che le condotte accertate a carico dell’odierno ricorrente avrebbero potuto integrare gli estremi del delitto di cui al citato art. 10-quater, veniva infine rilevato come, nel caso di specie, non risultasse essere stata superata l’indicata soglia di punibilità di cinquantamila euro per ciascun periodo annuale, mancando, quindi, il requisito del fumus commissi delicti che rappresentava il presupposto per l’applicazione del disposto sequestro preventivo.
Venivano, pertanto, annullate senza rinvio sia l’ordinanza impugnata, che il decreto genetico della misura reale, di cui era altresì dichiarata la perdita di efficacia.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito quando è configurabile il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti.
Difatti, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, seppure non uniforme, è affermato in tale pronuncia che il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, è configurabile, alla luce dell’ampliamento delle ipotesi di compensazione previste dalle norme tributarie disposto dall’art. 17 del d.lgs. n. 241 del 1997, sia nel caso di compensazione “verticale“, riguardante crediti e debiti afferenti alla medesima imposta, sia in caso di compensazione “orizzontale“, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa, purché previste dal predetto d.lgs..
Siffatto provvedimento, dunque, deve essere preso nella dovuta considerazione al fine di comprendere la portata applicativa di cotale norma incriminatrice fermo restando che, essendovi contrasto interpretativo su tale specifica tematica, sarebbe auspicabile che intervenissero le Sezioni Unite al fine di chiarire quale degli indirizzi interpretativi, richiamati in questa stessa sentenza e già esaminati in precedenza, debba rilevare nel caso di specie.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta decisione, proprio perché prova a fare chiarezza su questa problematica giuridica, non può che essere positivo.
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