(Riferimenti normativi, Cod. pen., artt. 572, 609-bis)
Il fatto
La Corte di appello di Ancona, in parziale riforma di quella emessa dal Tribunale di Pesaro, aveva sostituito nei confronti dell’imputato la interdizione perpetua dai pubblici uffici con la interdizione quinquennale revocando al contempo l’interdizione legale durante l’espiazione della pena.
La Corte territoriale, invece, aveva confermato nel resto la condanna nei confronti dell’imputato alla pena di anni 5 di reclusione concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e con la continuazione, per i reati ex: 1) art. 572 cod. pen., aggravato ex art. 61 n. 11-quinquies cod. pen.; 2) artt. 81 cpv. e 609-bis cod. pen..
L’imputato, infine, era stato condannato al risarcimento del danno a favore della persona offesa costituita parte civile liquidato in Euro 30.000.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona veniva proposto ricorso per cassazione deducendosi i seguenti motivi: 1) nullità dell’interrogatorio di garanzia nonché travisamento della prova in relazione alle dichiarazioni rese dal ricorrente nell’ambito dell’interrogatorio medesimo; 2) violazione degli artt. 572 e 609 cod. proc. poiché la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere il concorso tra i reati; 3) violazione dell’art. 609-bis cod. pen. nonché inosservanza delle norme processuali avendo i giudici di appello dato valore di prova alle dichiarazioni della persona offesa in mancanza di riscontri esterni e concreti e che, pertanto, anche in base alla giurisprudenza consolidatasi in materia, non avrebbero potuto ritenersi sufficienti a fondare la penale responsabilità del ricorrente; 4) vizi di violazione di legge e motivazione quanto alla determinazione della pena visto che la pena inflitta sarebbe stata illegale quanto al bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche, riconosciute al ricorrente già in primo grado; 5) vizio di violazione di legge in relazione alla quantificazione del risarcimento a favore della parte civile dato che nella sentenza di primo grado non sarebbe stata rinvenibile alcuna esplicitazione dei criteri e delle valutazioni operate dal giudice nella determinazione del risarcimento ma la sussistenza del danno morale subito dalla persona offesa sarebbe stato ritenuto esistente in re ipsa e, pertanto, la motivazione sul punto sarebbe stata meramente apparente per cui essa avrebbe costituito un vizio rilevante ai fini del giudizio di legittimità.
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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Per quanto concerne il primo motivo, l’eccezione veniva considerata manifestamente infondata posto che, dall’analisi dell’interrogatorio allegato al ricorso, risultava come l’indagato non avesse inteso rispondere alle domande ma aveva reso, dopo la frase «non intendo rispondere», dichiarazioni che dovevano essere qualificate quali spontanee.
Oltre a ciò, veniva rilevato al contempo come la nullità dell’interrogatorio per l’omessa presenza dell’interprete, sia a regime intermedio mentre, invece, dal verbale risultava che nulla fu eccepito.
In particolare, avendo la parte assistito al fatto – la palese difficoltà di raccordo tra indagato ed interprete – che, secondo l’infondata tesi del ricorrente determinerebbe la nullità, secondo gli Ermellini, il difensore avrebbe dovuto eccepire tempestivamente la nullità ex art. 182 cod. proc. pen.
Ciò posto, veniva considerato parimenti manifestamente infondato anche il dedotto travisamento della prova trattandosi, secondo il Supremo Consesso, di una divergenza assolutamente irrilevante avendo comunque il ricorrente dichiarato di riconoscere tutte le sue colpe.
Invece, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, rammentava la Suprema Corte nel caso di specie, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato fermi restando il limite del devolutum in caso di cosìddetta «doppia conforme» e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (così Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019,).
L’errore de quo, quindi, non disarticolava in alcun modo l’intero ragionamento probatorio perché la sentenza di condanna si fondava sulle dichiarazioni della persona offesa e di altri testimoni.
Precisato ciò, il secondo motivo seguiva la medesima sorte procedurale essendo, per il Supremo Consesso, errata la tesi difensiva dell’assorbimento tenuto conto del fatto accertato ed in diritto.
Difatti, una volta fatto presente che il reato ex art. 572 cod. pen. risultava essere stato commesso mediante atti di violenza sistematica, quali calci, pugni, procurando ecchimosi e lesioni, lasciando la donna isolata all’interno dell’abitazione, con minacce, trattando la donna con disprezzo e sfruttandola e, nel capo di imputazione del delitto ex art. 572 cod. pen., non erano state inserite le condotte ex art. 609-bis cod. pen., i giudici di piazza Cavour facevano presente che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, il delitto di maltrattamenti è assorbito da quello di violenza sessuale soltanto quando vi è piena coincidenza tra le condotte nel senso che gli atti lesivi siano finalizzati esclusivamente alla realizzazione della violenza sessuale e siano strumentali alla stessa mentre, in caso di autonomia anche parziale delle condotte, comprendenti anche atti ripetuti di percosse gratuite e ingiurie non circoscritte alla violenza o alla minaccia strumentale necessaria alla realizzazione della violenza, vi è concorso tra il reato di violenza sessuale continuata e quello di maltrattamenti; in tal senso Sez. 3, n. 45459 del 22/10/2008, omissis, Rv. 24167001.
In altri termini, secondo Sez. 3, n. 40663 del 23/09/2015, il delitto di violenza sessuale concorre con quello di maltrattamenti in famiglia qualora, attesa la diversità dei beni giuridici offesi, le reiterate condotte di abuso sessuale, oltre a cagionare sofferenze psichiche alla vittima, ledano anche la sua libertà di autodeterminazione in materia sessuale potendosi configurare l’assorbimento esclusivamente nel caso in cui vi sia piena coincidenza tra le due condotte ovvero quando il delitto di maltrattamenti sia consistito nella mera reiterazione degli atti di violenza sessuale.
Detto questo, il terzo motivo veniva anch’esso reputato manifestamente infondato.
Una volta osservato come fossero inconferenti i richiami agli art. 189 (che concerne le prove atipiche) e 190 (che concerne il diritto alla prova e non a sua valutazione), i giudici di piazza Cavour denotavano che il motivo, con il quale si deduceva il vizio di violazione di legge processuale in relazione agli art. 192 e 533 cod. proc. pen., fosse inammissibile ai sensi dell’art. 606 comma 3 cod. proc. pen. in quanto l’inosservanza di tali norme non è prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza dal momento che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, in tema di ricorso per cassazione, le doglianze relative alla violazione degli art. 192 e 533 cod. proc. pen., non essendo l’inosservanza di tali norme previste a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge di cui all’art. 606 lett. c) cod. proc. pen. ma soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della medesima norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame.
Sempre a parere della Suprema Corte, la motivazione sull’attendibilità della persona offesa era invece del tutto immune da vizi logici avendone la Corte di appello ampiamente illustrato le ragioni in base alla genesi, alla struttura del racconto, ai particolari riferiti, ai riscontri – la cui sussistenza non è obbligatoria ma solo opportuna – che confermavano a suo avviso la complessiva attendibilità della dichiarante.
Manifestamente infondato era ritenuto anche il quarto motivo.
Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, infatti, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, evidenziava il Supremo Consesso, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto; così Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010. In motivazione le Sezioni Unite hanno affermato che a giustificare la soluzione della equivalenza deve ritenersi sufficiente l’implicito riferimento ad una valutazione complessiva dell’episodio criminoso e della personalità dell’imputato, che si traduce in sostanza in un giudizio di non meritevolezza di un trattamento sanzionatorio ancor più mite.
Nello stesso senso: Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, per cui le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto.
Oltre a tale approdo ermeneutico, veniva tra l’altro fatto presente che uno dei parametri normativi, per effettuare il giudizio di bilanciamento, è l’art. 133 cod. pen.; cfr. Sez. 2, n. 3610 del 15/01/2014, che ha affermato che, in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee, non incorre nel vizio di motivazione il giudice di appello che, nel formulare il giudizio di comparazione, dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell’art. 133 cod. pen. e gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto.
Orbene, a fronte di tali criteri ermeneutici, i giudici di legittimità ordinaria rilevavano come nel caso di specie la Corte di appello avesse confermato il giudizio di equivalenza sulla base di un ragionamento complessivo, ossia avendo preso in esame l’intensità del dolo, il danno subito dalla persona offesa e, dunque, la motivazione si fondava sulla valutazione degli elementi ex art. 133 cod. pen..
Analogamente, il discostamento dal minimo edittale del reato sub a), qualificato minimo, essendo pari ad un anno, era stato per la Suprema Corte adeguatamente motivato con riferimento agli elementi ex art. 133 cod. pen. quali le connotazioni soggettive ed oggettive ed il protratto periodo di commissione dei fatti sub a): in sostanza la Corte di appello non aveva altro che tenere della continuazione interna al capo a).
Oltre a ciò, veniva per di più ricordato come il dovere per il giudice di una specifica motivazione sulla pena sia stato ancorato allo scostamento dal minimo edittale e l’uso del potere discrezionale del giudice, nella graduazione della pena, è insindacabile nei casi in cui la pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, essendo sufficiente in tali casi richiamare criteri di adeguatezza, congruità, non eccessività, di equità e simili.
Quanto appena esposto dimostra, per il Supremo Consesso, come il giudice avesse considerato nella fattispecie in esame, sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello.
Il quinto motivo veniva anche questo reputato inammissibile in quanto, dal testo della sentenza e dall’analisi dell’impugnazione, ad avviso della Cassazione, non risultava che tra i motivi di appello vi fosse anche quello relativo al quantum del risarcimento del danno.
A fronte di ciò, invece, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, la lettura coordinata degli artt. 609 e 606 comma 3 cod. proc. pen. impedisce la proponibilità in Cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello, quale rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di Cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello posto che, in questo caso, è facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della relativa sentenza con riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio perché mai investito della verifica giurisdizionale (in tal senso cfr. Sez. U. n. 24 del 24/11/1999).
Il ricorso proposto, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, veniva dichiarato inammissibile e il ricorrente veniva condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante in quanto in essa si spiega quando il delitto di maltrattamenti è assorbito da quello di violenza sessuale e quando invece il primo concorre con il secondo.
Difatti, in tale pronuncia, citandosi giurisprudenza conforme, si afferma che il delitto di maltrattamenti è assorbito da quello di violenza sessuale soltanto quando vi è piena coincidenza tra le condotte nel senso che gli atti lesivi siano finalizzati esclusivamente alla realizzazione della violenza sessuale e siano strumentali alla stessa mentre, in caso di autonomia anche parziale delle condotte, comprendenti anche atti ripetuti di percosse gratuite e ingiurie non circoscritte alla violenza o alla minaccia strumentale necessaria alla realizzazione della violenza, vi è concorso tra il reato di violenza sessuale continuata e quello di maltrattamenti.
Pertanto, il delitto di violenza sessuale concorre con quello di maltrattamenti in famiglia qualora, attesa la diversità dei beni giuridici offesi, le reiterate condotte di abuso sessuale, oltre a cagionare sofferenze psichiche alla vittima, ledano anche la sua libertà di autodeterminazione in materia sessuale potendosi configurare l’assorbimento esclusivamente nel caso in cui vi sia piena coincidenza tra le due condotte ovvero quando il delitto di maltrattamenti sia consistito nella mera reiterazione degli atti di violenza sessuale.
Questa pronuncia, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione ogni volta si deve verificare se il delitto di maltrattamenti resti assorbito in quello di violenza sessuale o se, al contrario, ambedue debbano concorrere assieme.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in cotale decisione, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su questa tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.
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