(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 423)
1. La questione
Nel corso di una udienza preliminare tenutasi dinanzi del Tribunale di Torino, il Pubblico ministero modificava una delle imputazioni ascritte agli imputati nel senso che, in luogo del delitto di concorso, quali componenti del collegio sindacale di due società di capitali, nei reati bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, contestava il reato di concorso in bancarotta semplice per aver aggravato il dissesto omettendo di fare denuncia ex art. 2409 cod. civ., contestazione, questa, comprensiva anche dell’originaria imputazione di cui al capo b), relativa a un’ipotesi di bancarotta semplice.
Il Giudice dell’udienza preliminare, invece, dal canto suo, ritenuta allo stato degli atti corretta l’originaria contestazione, respingeva la richiesta e, all’esito dell’udienza, emetteva decreto che dispone il giudizio.
Avverso l’indicata ordinanza, e il conseguente decreto che disponeva il giudizio, proponeva ricorso per Cassazione, con un unico atto, il difensore degli accusati, denunciandone l’abnormità, sotto il profilo strutturale, per la singolarità del contenuto che, a suo avviso, esulava dagli aspetti demandati al vaglio del giudice dell’udienza preliminare, e sotto quello funzionale, essendo stato il provvedimento adottato fuori dei casi consentiti in quanto il potere di formulare l’imputazione è demandato al p.m. e non al g.u.p., che, nel caso di specie, non si era limitato a valutare la corretta qualificazione giuridica dei fatti contestati, ma aveva modificato l’imputazione, a fronte dell’iniziativa del P.M., che, all’esito di una globale rivalutazione della vicenda, aveva di fatto escluso, per i ricorrenti, l’originaria ipotesi di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta, senza limitarsi a una mera riqualificazione dei fatti originariamente contestati.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
Il ricorso summenzionato era ritenuto fondato ravvisandosi, nella fattispecie in esame, una abnormità per carenza di potere in astratto [che ricorre quando il giudice esercita un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale (Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009)].
In particolare, gli Ermellini osservano – una volta fatto presente che il comma 1 dell’art. 423 cod. proc. pen. riguarda – oltre ai casi di emersione di un reato connesso o di una circostanza aggravante, qui non rilevanti – l’ipotesi che nel corso dell’udienza preliminare il fatto risulti diverso da come descritto nell’imputazione e che, per “fatto“, ai sensi della disciplina in esame, deve intendersi «un dato empirico, fenomenico, un dato della realtà, un accadimento, un episodio della vita umana, cioè la fattispecie concreta e non la fattispecie astratta» (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996) – come la giurisprudenza di legittimità abbia avuto modo di puntualizzare la nozione di “fatto diverso“, che legittima l’iniziativa modificatrice del p.m. indipendentemente dal consenso dell’imputato, è quello con connotati materiali anche difformi da quelli descritti nel capo d’imputazione ma storicamente invariato nei suoi elementi costitutivi (condotta, oggetto), inclusi i riferimenti spazio-temporali, sicché, se questi sono alterati, si tratta di un fatto nuovo (Sez. 4, n. 5405 del 10/02/1998) fermo restando che dalla “ipotesi di modifica dell’imputazione va tenuta distinta la – mera – diversa qualificazione del fatto in quanto «la modifica dell’imputazione rientra nell’esercizio dell’azione penale e, quindi, è attribuita al potere-dovere del pubblico ministero non del giudice; tuttavia, quest’ultimo può sempre dare al fatto una diversa qualificazione. Infatti, il giudice non può modificare il fatto oggetto dell’imputazione, ma, anche in sede di udienza preliminare, può dare al fatto il nomen juris che ritiene corretto. Il potere del giudice di qualificare correttamente il fatto, sotto il profilo giuridico, si risolve nella esatta applicazione della legge, sicché non tollera limitazioni, così come non deve essere specificamente previsto, proprio perché è un connotato dell’esercizio della giurisdizione» (Sez. 6, n. 28481 del 17/04/2012).
Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, i giudici di piazza Cavour ritenevano come, a fronte dell’iniziativa del P.M. nei termini già indicati, il “rigetto” del G.u.p. avesse presupposto, in buona sostanza, un giudizio di erroneità della modifica dell’imputazione e avesse quindi comportato una modifica del fatto così come successivamente contestato dal P.M., versandosi, dunque, in ipotesi di abnormità che, come rimarcato dalle Sezioni unite, «più che rappresentare un vizio dell’atto in sé, integra sempre e comunque uno “sviamento dalla funzione giurisdizionale”, non rispondendo, dunque, al modello previsto dalla legge, ma collocandosi al di là del perimetro entro il quale è riconosciuto dall’ordinamento, sia che si tratti di un atto strutturalmente “eccentrico” rispetto a quelli positivamente disciplinati, sia che si versi in una ipotesi di atto normativamente previsto e disciplinato, ma “utilizzato” al di fuori dell’area che ne individua la funzione e la stessa ragione di essere nell’iter procedimentale, quale esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge, perché al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto)».
Pertanto, l’ordinanza summenzionato e il decreto che dispone(va) il giudizio erano annullati senza rinvio con trasmissione degli atti al Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino per l’ulteriore corso.
3. Conclusioni
Fermo restando che, come è noto, l’art. 423, co. 1, primo periodo, cod. proc. pen. dispone che, se “nel corso dell’udienza il fatto risulta diverso da come è descritto nell’imputazione ovvero emerge un reato connesso a norma dell’articolo 12 comma 1 lettera b), o una circostanza aggravante, il pubblico ministero modifica l’imputazione e la contesta all’imputato presente”, si chiarisce in tale pronuncia quando un fatto può ritenersi differente da quanto contestato nel capo di accusa che, in quanto tale, come appena visto, legittima l’autorità requirente a modificare l’imputazione.
Difatti, in questa decisione, dopo essere stato postulato che, per “fatto“, ai sensi della disciplina in esame, deve intendersi un dato empirico, fenomenico, un dato della realtà, un accadimento, un episodio della vita umana, cioè la fattispecie concreta e non la fattispecie astratta, si afferma, sulla scorta di un precedente conforme, che la nozione di “fatto diverso“, che legittima l’iniziativa modificatrice del p.m. indipendentemente dal consenso dell’imputato, è quello con connotati materiali anche difformi da quelli descritti nel capo d’imputazione ma storicamente invariato nei suoi elementi costitutivi (condotta, oggetto), inclusi i riferimenti spazio-temporali, sicché, se questi sono alterati, si tratta di un fatto nuovo.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare se siffatta diversità sussista (o meno).
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale sotto il profilo giurisprudenziale, dunque, non può che essere positivo.
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