Il fatto
La Corte d’appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Salerno che avea giudicato l’imputato colpevole del reato di cui all’art. 570 c.p., commi 1 e 2, aveva dichiarato la prescrizione di uno dei reati contestati mentre, quanto all’altro, rideterminava per l’effetto la pena in ordine a detto reato in mesi due di reclusione ed Euro 200 di multa.
Oltre a ciò, la Corte territoriale aveva altresì confermato le disposizioni relative al risarcimento del danno, revocando la provvisoria esecuzione disposta dal tribunale.
Nel decidere in tal senso, la Corte aveva ripercorso nel merito le motivazioni svolte dal primo giudice in ordine alla consistenza del reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore, al coniuge separato e ai due figli maggiorenni per i quali il giudice delegato in sede di comparizione personale aveva stabilito la cifra di Euro 200 per il coniuge e 200 per ciascuno dei tre figli della coppia, e riteneva non fondati i rilievi difensivi in ordine all’insussistenza del fatto, per avere l’imputato provveduto lasciando al coniuge la riscossione di un canone locatizio, non essendovi traccia di ciò nel verbale di separazione e non avendo l’imputato chiesto alcuna rideterminazione dell’assegno al giudice competente.
Volume in merito al processo penale
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Il difensore dell’A. aveva presentato ricorso avverso la citata sentenza e ne aveva chiesto l’annullamento, deducendo i seguenti motivi: a) vizio di motivazione in relazione alla mancata considerazione, a fronte di un obbligo di versamento di Euro 800 mensili, dell’effettiva corresponsione di 750 Euro mensili al coniuge, di cui 350 assicurati con la riscossione di un canone di locazione tenuto conto altresì del fatto che la Corte non avrebbe inoltre tenuto conto della carenza dello stato di bisogno in capo alla stessa coniuge e ai due figli maggiorenni della coppia, di talché la somma versata doveva considerarsi destinata alla sola figlia minore; all’opposto, la cifra residua, ad avviso del ricorrente, doveva considerarsi adeguata con riferimento al coniuge, in considerazione della circostanza, sempre a dire della difesa, trascurata dalla Corte, che il Tribunale aveva ritenuto insussistente l’elemento materiale del reato con riguardo ai figli maggiorenni “in grado di provvedere autonomamente alle proprie esigenze tramite attività lavorativa” senza neanche soffermarsi sull’esistenza di un effettivo stato di bisogno in capo all’imputato; b) violazione di legge e carenza motivazionale in relazione agli artt. 578 e 605 c.p.p. perché la Corte aveva provveduto a dichiarare l’estinzione del reato di cui al primo capo di imputazione per prescrizione, senza esaminare i motivi di gravame ad esso afferenti, stante la condanna al risarcimento del danno;
c) violazione di legge con riguardo all’art. 597 c.p.p., comma 3 e art. 62-bis c.p. poiché, una volta fissata la nuova pena base in mesi due di reclusione ed Euro 200 di multa a seguito della declaratoria di prescrizione, si era provveduto a ridurre la sola pena detentiva per le attenuanti generiche, in misura inferiore ad un terzo, lasciando inalterata quella pecuniaria;
d) violazione degli artt. 129 e 578 c.p.p. e carenza motivazionale poiché, con riferimento al capo a), era stato dichiarato che la prescrizione si era consumata il 27/09/2017 senza compiere alcuna valutazione del compendio probatorio e senza revocare le statuizioni civili in essa contenute atteso che la prescrizione era maturata prima della sentenza di primo grado emessa il 23/09/2017.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il primo motivo di ricorso veniva stimato fondato atteso che, in tema di sindacato del vizio di motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta dai giudici di merito bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni, a preferenza di altre (Sez. U., n. 930 del 13/12/1995).
Difatti, se la Corte territoriale, per un verso, aveva esaminato i motivi di appello sottoponendo ad analisi critica le dichiarazioni rese dalla coniuge circa l’inadempimento da parte dell’imputato dell’obbligo contributivo a suo carico e aveva rilevato come non vi fosse stata alcuna traccia documentale del fatto che la parte offesa avrebbe percepito il canone di locazione in (parziale) sostituzione dell’assegno di mantenimento, per altro verso, aveva ritenuto la sussistenza del reato di cui al capo b) affermando che, semmai, l’imputato avrebbe dovuto agire in giudizio e richiedere una rideterminazione dell’assegno, ma non procedere ad un’autoriduzione dello stesso, a fronte però delle specifiche doglianze avanzate nell’atto di impugnazione, ove si riferiva delle risorse (in particolare immobiliari) di cui dispone la coniuge e del fatto, rilevato dal Tribunale, che i due figli maggiorenni della coppia svolgevano attività lavorativa remunerata presso l’azienda di famiglia, non si evinceva con chiarezza sulla base di quali argomentazioni i giudici di merito fossero pervenuti all’affermazione relativa alla sussistenza dello stato di bisogno del soggetto passivo.
Tal che se ne faceva conseguire come la mera condotta omissiva, consistente nella mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento ai familiari, di cui dava conto la Corte territoriale, non fosse sufficiente ad integrare il delitto di cui all’art. 570 c.p. essendo comunque richiesta la sussistenza dello stato di bisogno della persona offesa dato che solo quando soggetto passivo del reato sia un figlio minore lo stato di bisogno è presunto mentre, in ogni altro caso, esso deve costituire oggetto di specifica dimostrazione (Sez. 6, n. 48548 del 29/09/2016).
Orbene, a fronte di ciò, risultava nel caso di specie come emergesse dagli atti che la parte civile aveva ammesso di essere proprietaria di numerosi immobili in comproprietà con i familiari e di conseguenza, rispetto a queste risultanze, ad avviso del Supremo Consesso, appariva essere distonica la mancata presa in considerazione dell’effettività dello stato di bisogno della stessa parte civile posto che è incontrovertibile che gli immobili possano costituire fonte di reddito in quanto il proprietario, concedendoli in locazione, può acquisire risorse finanziarie, più o meno cospicue, onde provvedere alle proprie necessità e dunque, sempre secondo la Corte, i giudici di merito avrebbero dunque dovuto approfondire tale aspetto.
Gli ermellini, pertanto, dichiaravano come la sentenza impugnata andasse annullata con rinvio alla Corte di Appello di Napoli per nuovo giudizio sul punto fermo restando che tale epilogo decisorio, comportando un pronunciamento di natura rescindente, determinava l’ultroneità della disamina delle doglianze di cui al terzo motivo di ricorso relativo alla quantificazione della pena per il reato de quo.
Ciò posto, se il secondo motivo – relativo al mancato esame dei motivi di gravame afferenti il capo di imputazione sub a) – veniva stimato manifestamente infondato in quanto la Corte aveva emesso declaratoria di prescrizione alla luce di una motivazione approfondita del primo giudice in ordine alla responsabilità dell’imputato, cui aveva fatto espresso riferimento, all’opposto, veniva viceversa considerato fondato il quarto motivo di ricorso avendo la Corte territoriale dichiarato che la prescrizione del reato di cui al capo a) fosse maturata, tenuto conto di interruzioni e sospensioni, il 27/09/2017, quindi in epoca antecedente la sentenza di primo grado emessa il 23/11/2017.
Difatti, secondo la Suprema Corte, quando il giudice di appello accerti che la prescrizione del reato è maturata prima della sentenza di primo grado, nel pronunciare la declaratoria di estinzione del reato, deve contestualmente revocare le statuizioni civili in essa contenute dato che la pronuncia del giudice di secondo grado sugli effetti civili del reato estinto presuppone che la causa estintiva sia sopravvenuta alla sentenza emessa dal giudice di primo grado che ha pronunciato sugli effetti civili mentre qualora la causa di estinzione del reato preesista alla sentenza di primo grado e il giudice erroneamente non l’abbia dichiarata, non sussistono i presupposti di operatività dell’art. 578 c.p.p., poiché tale decisione implica una precedente pronuncia di condanna sulle statuizioni civili validamente emessa e gli effetti della sentenza di secondo grado devono essere riportati al momento in cui è stata emessa quella di primo grado (Sez. 4, n. 27393 del 22/03/2018; Sez. 6, n. 33398 del 19/09/2002).
Da ciò, essendo la prescrizione maturata nel caso di specie, se ne faceva discendere l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
Conclusioni
La decisione qui in commento è assai interessante nella parte in cui viene postulato che quando il giudice di appello accerti che la prescrizione del reato è maturata prima della sentenza di primo grado, nel pronunciare la declaratoria di estinzione del reato, deve contestualmente revocare le statuizioni civili in essa contenute.
Di conseguenza, ove i giudici di seconde cure non decidano in tal senso, ben si potrà ricorrere per cassazione dolendosi della mancata adozione di un provvedimento di questo tipo.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale pronuncia, proprio perché chiarisce tale aspetto processuale, di conseguenza, non può che essere positivo.
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